IHSAHN – Cara terra natia

Pubblicato il 27/02/2020 da

Annoiato (diciamo pure infastidito), dai suoi trascorsi di puro, malvagio, musicista black metal, Ihsahn si è costruito nel suo percorso solista la reputazione di artista ‘sostenuto’ e intellettualoide. Un cammino di espiazione di presunti peccati, volendo vederla in senso ironico. Solo che, col passare degli anni, certe voglie giovanili tendono a tornare attraenti. E così, già nell’ultimo album “Àmr”, un certo retrogusto vintage si era palesato, facendo sorgere il sospetto che il sound crudo delle origini fosse di nuovo in auge nella mente del polistrumentista norvegese. Arriviamo quindi all’EP “Telemark”, dove gli indizi si fan certezze: non siamo immersi nelle atmosfere cruente del 1992, ma accanto ai ricami prog ecco ricomparire una ferocia desueta, sporcata dall’inconfondibile screaming selvaggio di Ihsahn. L’EP, cui dovrebbe a breve seguire un gemello più folle e sperimentale, ci conferma l’ispirazione del leader degli Emperor e ci offre lo spunto per parlare di quanto sia legato alle sue origini e cosa infonda ancora oggi alla sua anima quell’area geografica individuata nel Telemark.

“TELEMARK” È IL PRIMO DI DUE EP DEDICATI ALLA TUA TERRA NATIA. PERCHÉ HAI DECISO DI LANCIARTI IN QUESTE DUE PUBBLICAZIONI, QUALI SONO I MOTIVI CHE TI HANNO GUIDATO A QUESTA SCELTA?
– C’è un misto di ragioni che mi hanno spinto a questi due EP. La principale è che volevo scrivere qualcosa legato alle mie radici, qualcosa che andasse alle origini della mia musica e mi permettesse anche di omaggiare alcune rock band a cui sono molto legato. Sul progetto ho potuto lavorare con mia moglie e, visto che stavo andando a riproporre un tipo di suono legato al passato, ho pensato che sarebbe stato logico riconnetterlo ai temi della casa e della propria terra d’origine. A ben vedere, parlavamo del Telemark nei nostri primi passi come Emperor, ispirati dalla natura di questi luoghi e dai suoi riferimenti culturali. Anche di recente, penso a “My Heart Is For The North”, ho parlato di questa mia affezione per i posti dove sono nato e vivo tutt’ora. Con “Telemark”, sono soltanto andato più in profondità sull’argomento. Attualmente abito a, letteralmente, due minuti da piedi dalla fattoria in cui vivevo da piccolo. Si è parlato in passato di trasferirsi altrove ma, per un motivo o per l’altro, ciò non è mai successo. Viaggio molto grazie al mio lavoro, mi piace visitare altri posti, però appartengo alla terra dove sono nato.

IN QUESTO TUO RITORNO A SONORITÀ PIÙ CRUDE E BRUTALI, RITROVI FORTI SIMILITUDINI CON ALTRO MATERIALE DA TE REALIZZATO IN PASSATO?
– Per quanto riguarda i miei album solisti, direi che non c’è nulla di simile. C’è qualcosa dei primi Emperor, senza dubbio, anche se quando parlo di ‘radici musicali’ mi riferisco a un periodo ancora anteriore, ai primi Bathory e Celtic Frost, quelli sono i riferimenti da cui sono partito per scrivere “Telemark”.

NONOSTANTE, NELLE INTENZIONI, TU SIA ANDATO A RIPESCARE SONORITÀ PIUTTOSTO BRUTALI E PRIMORDIALI, LA COMPONENTE PROG E DI METAL CLASSICO RIMANE FONDAMENTALE, SOPRATTUTTO PER QUANTO RIGUARDA IL LAVORO DI CHITARRA SOLISTA. C’È QUALCHE MUSICISTA CHE TI HA PARTICOLARMENTE ISPIRATO SOTTO QUESTO ASPETTO, CHE DAL MIO PUNTO DI VISTA MOSTRA DIVERSE ANALOGIE CON QUANTO FATTO IN “ARKTIS.” E “ÀMR”?
– Non riesco a darti dei riferimenti precisi, penso che il mio modo di suonare derivi innanzitutto dai chitarristi che ascoltavo da ragazzo, i primi che mi vengono in mente sono Dave Murray e Adrian Smith degli Iron Maiden. Suono la chitarra cercando di metterci feeling e passione, soprattutto negli ultimi anni sono attratto da uno stile che sappia comunicare emozioni, mentre l’aspetto tecnico è per me secondario. Uno dei chitarristi che prediligo ad esempio è Fredrik Åkesson degli Opeth, che ha anche suonato su “Àmr” (in “Arcana Imperii”, ndR). È fondamentale, per quanto mi riguarda, che un chitarrista sia riconoscibile, abbia il suo tocco caratteristico, mentre è meno importante quanto sappia suonare cose difficili e complicate.

L’OPENER DI “TELEMARK” SI INTITOLA “STRIDIG” E, COME IL RESTO DELL’EP, È CANTATA IN NORVEGESE, UNA NOVITÀ PER TE. HAI ANCHE REALIZZATO UN VIDEO PER QUESTA CANZONE, CHE NELLA SUA SEMPLICITÀ RIESCE AD EVOCARE L’IDEA DI UNA MUSICA PROFONDAMENTE RADICATA NELLE TERRE NORDICHE E CHE NON POTREBBE GIUNGERE DA ALCUN ALTRO LUOGO. VOLEVO SAPERE PERCHÉ HAI SCELTO DI CANTARE IN NORVEGESE SU “TELEMARK” E QUALE SAREBBE L’IDEA BASE PER IL VIDEO CHE AVETE GIRATO.
– “Stridig” prova a spiegare quale sia lo spirito, il modo di pensare delle persone del Telemark. Chi proviene da questi luoghi tende a cercare di essere autosufficiente, ad essere in grado di pensare per se stesso senza dover aspettarsi il contributo di altri; è tendenzialmente diffidente verso chi non conosce, ha un forte contegno, non mostra molto le sue emozioni e il suo pensiero. Un abitante del Telemark, insomma, non è una persona con cui sia molto facile entrare in piena familiarità, è probabile che all’inizio tenga le distanze e non dia molta confidenza. Viaggiando, conoscendo altre culture, di questi aspetti finisci per accorgertene molto di più che non se rimani sempre nello stesso posto. Capisci le peculiarità del gruppo sociale da cui provieni, confrontandolo con quello che hai vissuto in altri posti. In “Telemark” riporto i conflitti e le attitudini che ha nella sua identità una persona nata e vissuta dalle mie parti, un’idea molto black metal se ci pensi, quella di proiettare in musica le contraddizioni e le convinzioni profonde e spesso rigide di un individuo. Per tutti gli aspetti artistici di “Telemark” ho pensato a un cromatismo ridotto all’osso, che a sua volta guardasse al passato, tutto in tonalità di grigi e in bianco e nero. Così accade per la copertina disegnata da David Thiérrée e per il video di “Stridig”. Una scelta necessaria sia per evocare il folklore, il clima ambientale e culturale tipico del nord, sia per ricondurre l’EP agli artwork del primo black metal, in prevalenza orientati al bianco e nero, a disegni poco ritoccati. Per tutti i miei album mi è sempre piaciuto avere una direzione chiara e omogenea per tutti gli aspetti collegati alla musica, quindi lavoro grafico, foto promozionali, eventuali video, devono essere tutti coerenti con quanto emanato dalla musica. Il prodotto nella sua globalità, se poni attenzione a ogni aspetto, dovrebbe essere superiore alla somma delle sue singole parti.

L’EP È FORMATO DA TRE CANZONI ORIGINALI E DUE COVER, “ROCK AND ROLL IS DEAD” DI LENNY KRAVITZ E “WRATHCHILD” DEGLI IRON MAIDEN. CHE SIGNIFICATO HANNO QUESTI DUE PEZZI E PERCHÉ PENSI CHE SIANO ADATTI A UNA PUBBLICAZIONE DEDICATA AL TELEMARK?
– So che può sembrare strano in effetti avere due cover all’interno di “Telemark”. Volevo suonare questi due pezzi perché entrambi danno l’idea di quello che era per me il rock in gioventù: un gruppo di musicisti che suona assieme nella stessa stanza, che diventa una cosa sola, una vera rock band. Gli arrangiamenti, il suono, l’impressione generale che la canzone degli Iron Maiden e quella di Lenny Kravitz sanno dare è quella del rock’n’roll nella sua forma più pura, secondo il mio punto di vista. Le due cover sono per me dei riferimenti, delle linee guida generali su come ho sviluppato nel tempo la mia idea di musica. Ho scelto di suonarle prima ancora di aver scritto le canzoni originali di “Telemark”. E ho fatto in modo che fosse preservata la melodia originaria di ognuna, che il rapporto fra gli elementi melodici principali e quelli racchiusi nei riff restasse quello originario. In passato mi è successo di coverizzare canzoni heavy metal utilizzando il tipico screaming black metal e un approccio molto estremo: così sono andate disperse tutte le sfumature melodiche insite nelle vocals. Volevo evitare questa ‘trappola’, così sono rimasto più fedele alle versioni originali per non alterare il feeling dei brani. Per quanto riguarda la canzone di Lenny Kravitz, dà anche il messaggio che la musica rock dovrebbe mantenersi il più pura e libera possibile, senza farsi suggestionare dagli interessi commerciali, che ne distorcono inevitabilmente i significati. L’approccio non calcolatore al rock, spontaneo, è quello che, in una forma diversa, si sentiva nel primo black metal. I principi di partenza, a ben vedere, sono simili.

VIVERE IN UN LUOGO COME IL TELEMARK, COME HA DETERMINATO LA TUA VISIONE DEL MONDO E IL TUO MODO DI APPROCCIARTI E INTERPRETARE LA MUSICA, QUAND’ERI PIÙ GIOVANE?
– Un legame diretto e immediato magari non lo si vede ma, visto che nelle tue opere canalizzi quello che conosci, chiaramente le prime produzioni degli Emperor, i primi artwork, sono un riflesso dell’ambiente in cui vivevo. I boschi, le foreste, la natura così protagonista a livello visuale, sono un’emanazione di quello che potevo vedere, respirare, sentire attorno a me all’epoca. Lo scenario nel quale ero immerso non era poi così lontano da quello tratteggiato dai racconti folcloristici oppure dal fantasy e dalla letteratura favolistica/fiabesca.

QUALI RITIENI SIANO LE DIFFERENZE PRINCIPALI FRA IL TELEMARK DELLA TUA GIOVINEZZA E QUELLO DI OGGI?
– Come è accaduto ovunque, le prospettive delle persone si sono allargate in un’ottica globale. I ragazzi di oggi sono meno legati, nella loro formazione, ai posti da cui provengono, data l’accessibilità a fonti di informazione che gli permettono di avere una visione di quello che accade in tutto il mondo, che ai miei tempi non era possibile. Sicuramente, quando ero piccolo, le tue origini, chi erano i tuoi genitori, cosa facevano nella vita, erano caratteristiche che già definivano in una certa maniera chi eri, ti identificavano. Oggi questo tipo di informazioni è interpretato in modo più sfumato, ci sono tante connessioni possibili che ne annacquano i possibili significati.

PER “TELEMARK” TERRAI UNO SHOW SPECIALE ALL’INFERNO FESTIVAL. COME TI STAI PREPARANDO PER QUEST’EVENTO E QUANTO SARÀ DIVERSO DA UN NORMALE CONCERTO DI IHSAHN?
– Al di là delle tracce di “Telemark”, che fatalmente non possono che occupare un tempo limitato, mi concentrerò sul materiale più estremo del mio catalogo. Sceglierò quindi le canzoni che saranno più vicine a quelle di “Telemark”, al momento non ho ancora deciso esattamente cosa suonerò (l’intervista si è tenuta poco dopo la metà di gennaio, il festival si terrà il 9-12 aprile, ndR).

HAI VIAGGIATO IN MOLTI POSTI NELLA TUA VITA DI MUSICISTA, CI SONO LUOGHI CHE TI HANNO DATO LE STESSE EMOZIONI DI QUELLO IN CUI VIVI?
– No, non mi è accaduto. Anche se apprezzo molto la diversità delle culture con cui sono venuto in contatto finora, solo all’interno dell’Europa le differenze fra uno stato e l’altro sono ampie, figuriamoci rispetto a una nazione come il Giappone, per esempio. Il linguaggio comune che posso sfruttare, rispetto alle persone che incontro nei miei viaggi, è quello della musica, chi viene ai miei concerti è sicuramente fan di gran parte degli artisti che apprezzo. Questo ci consente di avere un terreno comune per dialogare. Più passa il tempo, più sono sicuro e orgoglioso delle mie convinzioni e di come quello che sono sia influenzato da dove sono cresciuto; allo stesso tempo, sono contento di poter conoscere nuovi posti e poter assimilare qualcosa di buono da ogni esperienza. Più affronto esperienze di vita diverse, più mi rendo conto di quanto sia speciale il posto in cui vivo.

HAI DICHIARATO CHE NEL SECONDO EP ESPLORARE LA PARTE PIÙ SPERIMENTALE DEL TUO SOUND. QUANTO SARÀ QUINDI DIFFERENTE DAL PRIMO CAPITOLO E QUANDO USCIRÀ?
– Tanto questo primo EP è andato a toccare il materiale più estremo e pesante, tanto il secondo si rivolgerà a sonorità melodiche e progressive. Ci saranno molte più clean vocals, parti tranquille, e sicuramente una maggiore sperimentazione. Il formato sarà lo stesso del primo EP, tre canzoni originali e due cover, che esprimeranno cosa mi ha influenzato per suonare, appunto, le tracce più eclettiche del mio repertorio.

HO ANCORA UN’ULTIMA DOMANDA E NON PUÒ CHE ESSERE SUGLI EMPEROR: NEGLI ULTIMI ANNI AVETE INFITTITO GLI IMPEGNI E MI PARE CHE TU RIESCA A CONCILIARE MEGLIO IL TUO IMPEGNO DA SOLISTA CON QUELLO CON GLI EMPEROR. INOLTRE, L’ESSERE DI NUOVO FRONTMAN DEGLI EMPEROR PARE ESSERE UNA DIMENSIONE IN CUI TI SENTI PIENAMENTE A TUO AGIO, ORA CHE UN LIVE DEGLI EMPEROR È DIVENTATO FREQUENTE NEI PRINCIPALI FESTIVAL ESTIVI. QUAL È IL TUO GIUDIZIO SUGLI ULTIMI TOUR DEGLI EMPEROR E LE PERFORMANCE TENUTE NEL CORSO DEL 2019?
– Il campione di concerti è limitato, alla fine non teniamo molti concerti all’anno. Mi pare siano andati bene, per noi è sempre un privilegio esibirci come Emperor ai festival. Abbiamo provato esperienze mai vissute prima, come andare in Australia, in Messico… Non so per quanto andremo avanti, non abbiamo piani a lungo termine, né intendiamo impegnarci in tour prolungati. Anche l’interazione e il funzionamento di tutto il meccanismo, le persone coinvolte nei concerti e come lavorano assieme, le cose nel tempo sono andate migliorando, ora la macchina è perfettamente oliata. Ci siamo divertiti molto, abbiamo vissuto gli ultimi concerti con rilassatezza e senza alcuno stress. Rispetto ai primi concerti di questa ‘nuova fase’ siamo in una rinnovata situazione di comfort. Per il futuro, quando ci saranno altri concerti, cercheremo di modificare qualche aspetto dello show per non offrire qualcosa di già visto e sentito.

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