IHSAHN – L’insignificanza e la grandezza dell’Uomo

Pubblicato il 14/04/2016 da

Accompagnato oramai da una venerazione concessa soltanto alle guide spirituali di un genere, Ihsahn si è ripresentato sul mercato con un’opera che mai come in passato concede molto all’orecchiabilità e alla facile fruizione. Nell’attraversare uno dei periodi creativamente più fertili della sua esistenza, il polistrumentista norvegese ha ripescato stilemi e modi di comporre divulgati decenni addietro dai mostri sacri del rock e li ha mescolati alla sua tipica sensibilità visionaria. Ne è uscito un disco che, come avete potuto leggere in sede di recensione, non presenta alcun punto debole e nella sua varietà d’azione va a toccare tutto il pantheon d’influenze di questo vulcanico artista. Metal classico, progressive, black metal, avant-garde, sprazzi hard rock, melodie quasi pop, c’è di che perdersi in “Arktis.”, restare così avvinghiati da quanto si sta ascoltando da non desiderare altro che rimanere perdutamente in questo sfavillante lotto di canzoni. Come guida per l’ascolto, eccovi una lunga chiacchierata con la mente che ha concepito tale meraviglia.

Ihsahn - foto intervista - 2016

LA PRIMA IMPRESSIONE CHE SI RICAVA ASCOLTANDO “ARKTIS.” È CHE SIA IL TUO ‘TIPICO’ ALBUM: UNA MESCOLANZA DI MOLTEPLICI ESPERIENZE, ATMOSFERE, UN DISCO COMPLESSO E PARTICOLAREGGIATO, MA DOTATO DI DIVERSI AGGANCI MELODICI E MOLTO SCORREVOLE. PIÙ CHE NEL PASSATO, SEMBRA CHE QUEST’ALBUM SIA STATO COMPOSTO DA UNA PERSONA IN PACE COL MONDO, INCREDIBILMENTE SERENA. SI SENTONO INFATTI MELODIE MOLTO PURE E CRISTALLINE, COME NEL CASO DI “MY HEART IS OF THE NORTH”. CONDIVIDI QUESTA INTERPRETAZIONE?
“Ti posso dire che è il mio album più positivo, quest’ultimo, dove traspare un profondo senso di gratitudine, di godimento delle cose belle della vita. Suppongo sia dovuto all’età che avanza, mentre finivo di scrivere il nuovo album ho passato la fatidica soglia dei quarant’anni e questo mi ha fatto riflettere su quanto è successo nella mia vita e mi ha fatto nascere una profonda riconoscenza per quello che ho fatto e vissuto. La mia grande passione per la musica, il mio totale coinvolgimento nell’arte, l’amore per la mia famiglia, sono confluiti nella composizione del disco, non c’è più soltanto rabbia in quello che suono, puoi sentire molti momenti ‘luminosi’ ora. Come se la mia musica avesse assunto un carattere quasi ‘incoraggiante’, desse speranza. Ciò si riflette in diverse scelte melodiche all’interno di ‘Arktis’. Da un certo punto di vista, ho cercato di immettere nel nuovo album un modo di comporre da artista pop tradizionale: intendo dire che volevo scrivere canzoni basate su una formula ben definita, come usavano gli Iron Maiden e i Judas Priest. Non è semplice agire in questo modo, riuscire a trasporre quel modo di lavorare in quello che suono ora è stata una sfida ardua, nient’affatto banale. Vedi, riuscire a far funzionare il mio stile all’interno di una formula consolidata ha richiesto grande determinazione, non è nemmeno semplice adottare certe soluzioni quando le persone si aspettano che le tue canzoni prendano per forza una determinata piega e abbiano una struttura diversa. Lavorare in questo modo ha comportato che potessi concentrarmi in ogni canzone su un’idea base molto forte, che desse un’impronta all’intera traccia e la differenziasse da tutto il resto. Ad esempio, “South Winds” la ricordi per le sue basi elettroniche in partenza, i bassi molto presenti; “Until I Too Dissolve” è molto influenzata dal tipico suono degli anni ’80, si basa su riff heavy rock tradizionale e da lì si evolve mantenendo inalterata la sua idea di partenza”.

IN EFFETTI IN MOLTE PARTI MI È PARSO DI COGLIERE SPUNTI PROVENIENTI DAL MONDO DELL’HEAVY METAL CLASSICO, SCAMPOLI APPUNTO DI IRON MAIDEN O JUDAS PRIEST, REINTERPRETATI SECONDO LA TUA PERSONALE OTTICA!
“Sì, alla fine ti accorgi che questa è una musica unificante, che ascoltano un po’ tutti i metallari sparsi in giro per il mondo. Ci sono cresciuto io come ci sono cresciute tantissime altre persone dappertutto, quindi un certo background te lo porti dentro e, come è successo in ‘Arktis.’, finisce per emergere nella musica che suoni. Girando in molti paesi per suonare, in Europa, negli Stati Uniti, fino all’India e al Giappone, ho percepito che per quante differenze culturali vi possano essere tra persone nate e vissute in contesti molto diversi, chi ascolta heavy metal ha dei punti in comune, si identifica nelle stesse cose, ha delle forti relazioni con chi ha la sua stessa passione. Tutto ciò ha una forza enorme, che tiene assieme gli appassionati a prescindere da molti altri fattori. Il bello è che per quanto vi siano tantissimi tipi di metal in circolazione e le persone abbiano i gusti più disparati a riguardo, una band come gli Iron Maiden ce l’avranno sempre in comune nei loro ascolti! E questo determina una vicinanza fortissima”.

GUARDANDO LA COPERTINA DELL’ALBUM E IL VIDEO DI “MASS DARKNESS” SI HA L’IMPRESSIONE CHE IL NUOVO DISCO SIA ISPIRATO ALLE GRANDI ESPLORAZIONI DELL’ARTICO COMPIUTE NEL DICIANNOVESIMO SECOLO. RACCONTI UNA STORIA LEGATA A QUESTI EVENTI NELL’ALBUM, OPPURE QUESTE TEMATICHE RAPPRESENTANO SOLTANTO LA METAFORA DI QUALCOS’ALTRO, LO SPUNTO PER RIFLESSIONI LONTANE DA QUELLO CHE SEMBREREBBE SUGGERIRE IL CONCEPT VISUALE DELL’OPERA?
“Il titolo, ‘Arktis.’, è stato deciso in corso d’opera, quando arrivato a buon punto nella stesura del nuovo materiale mi sono guardato indietro per identificare un’espressione che potesse riassumere i contenuti generali. Assieme a mia moglie, mi sono reso conto che molte delle canzoni scritte si riferivano proprio a quell’area geografica e quindi mi sono orientato su qualcosa che richiamasse le lande artiche. Sono luoghi che hanno atmosfere simili a quelle della mia musica, un contesto dove posso esprimere al meglio quello che sono e conosco. Per questo mia moglie mi ha suggerito di dare questo nome all’album. Il tema dell’Artico si è poi trasferito a tutto quello che fa da contorno alla musica, quindi l’intero aspetto visuale, l’artwork, sono andati a connettersi con il titolo. La foto in copertina è una di quelle che il famoso esploratore Roald Amundsen si è fatto scattare in azione durante una delle sue avventure, abbiamo potuto utilizzarla su concessione della Biblioteca Nazionale Norvegese, dov’è custodita. La storia di questo personaggio è per me fonte di grande ispirazione. È una persona che ha sfidato un ambiente ostile per inseguire un’idea, quella di giungere al Polo Nord. Per farlo si è buttato in spedizioni molto difficili non avendo alcuna certezza sulle possibilità di riuscita, andando a confrontarsi con un territorio e un clima difficili e bellissimi. Ha mostrato curiosità, coraggio e spirito di sacrificio per coronare il suo sogno, quello di raggiungere un punto sulla mappa nel quale ancora non era giunto nessuno”.

UNA DELLE CANZONI CHE EMERGE IN “ARKTIS.” È “SOUTH WINDS”, PER IL GIOCO DI CONTRASTI FRA LA DUREZZA DELLE PARTI ELETTRONICHE, DOVE INSISTI SU VOCALIZZI SPORCHI PIUTTOSTO TENEBROSI, E LA PULIZIA DELLE VOCALS UTILIZZATE NELLA MAGGIOR PARTE DELLA CANZONE, CHE SI DIPANA SU MELODIE RAREFATTE ED EMANANTI PACE E ARMONIA. COSA INTENDI ENFATIZZARE COI TUOI DIFFERENTI APPROCCI VOCALI? DI COSA PARLI NEL TESTO?
“’South Winds’ riflette sulla religione, su come essa, soprattutto nelle sue forme più estreme, finisca per limitare l’individuo, la sua umanità, il suo raziocinio e lo costringa a comportarsi in un modo distorto. Molte persone sono trasfigurate dal potere della religione, si comportano in conseguenza di essa e ritengo questa modifica del proprio agire, della propria personalità, un qualcosa di distruttivo, degradante. Non faccio mistero di essere sempre stato molto critico sotto questo punto di vista e continuo a ritenere che i sentimenti religiosi abbiano un’influenza negativa sulle persone”.

UN’ALTRA CANZONE CHE DÀ STRANI EFFETTI, CI SI SORPRENDE A SENTIRE ALL’INIZIO, È “CROOKED RED LINE”. È QUASI UNA BALLAD, IMPREZIOSITA DAL DELIZIOSO SAX JAZZATO DI JØRGEN MUNKEBY. PUOI RACCONTARCI COME SI È ORIGINATA QUESTA CANZONE E PERCHÉ HAI DECISO DI UTILIZZARE QUI IL SAX DI JØRGEN, CON CUI HAI COLLABORATO SPESSO IN PASSATO?
“In quella sorta di ottica ‘pop rock’ a cui accennavo prima, ci stava di posizionare nella tracklist una specie di ballad. ‘Crooked Red Line’ è attraversata da un particolare mood malinconico, anche se i testi fanno poi riferimento all’Artico, ai grandi scenari naturali, ai paesaggi che regala. Con l’evolversi della musica, ho pensato di chiamare Jørgen in questa canzone per andare un po’ in controtendenza e chiedergli qualcosa di diverso da quanto mi aveva dato in ‘After’ ed ‘Eremita’. In quei casi si era espresso su canzoni molto violente. Non l’ho invitato a collaborare con me nel mio disco precedente, ‘Das Seelenbrechen’, che nel suo essere molto legato all’improvvisazione avrebbe potuto rappresentare un approdo naturale per Munkeby, ma sarebbe anche stato scontato e troppo facile farlo suonare lì (risata sommessa, ndR)! Come accaduto in passato, collaborare con Jørgen ha dato una marcia in più alla canzone, egli sa sempre stupirmi e inserire delle parti che mi impressionino e mi facciano sentire felice di averlo al mio fianco”.

UN ALTRO PEZZO CHE LASCIA IL SEGNO IN POCHI ASCOLTI È “CELESTIAL VIOLENCE”. A PARTIRE DAL TITOLO, RITENGO MOLTO AFFASCINANTE QUESTO CONTRASTO FRA “CELESTIAL” E “VIOLENCE”, DUE TERMINI APPARENTEMENTE COMPLETAMENTE ANTITETICI. COSA RAPPRESENTA PER TE UNA’VIOLENZA CELESTIALE’? INVECE, RIGUARDO ALLA STRUTTURA DELLA CANZONE, VOLEVO SAPERE COME SEI RIUSCITO A COSTRUIRE IL FINALE,  CON QUEST’IRRESISTIBILE CLIMAX CHE TRASCINA IL PEZZO A MOMENTI DI GRANDE EUFORIA VOCALE E A UNA MAESTOSA EPICITÀ.
“Come struttura, è tutto sommato una canzone abbastanza semplice, che si evolve molto naturalmente, progredendo col passare dei minuti senza presentare grossi stravolgimenti del tema principale. Il titolo può essere considerato un gioco di parole e riguarda principalmente l’insignificanza dell’uomo rispetto all’universo che lo circonda. La violenza di cui si parla è quella delle migliaia di forze che si agitano nello spazio profondo, le stelle, i pianeti, i buchi neri. Un’energia smisurata, rispetto alla quale il sole stesso è soltanto una miniatura, un nonnulla. E noi stessi siamo quindi qualcosa di infinitesimale, una minuzia, che conta poco al confronto di queste forze grandiose che si agitano ovunque fuori dalla Terra. Allo stesso tempo, il sapere tutto ciò è già di per sé un fatto importante, fondamentale. Noi proviamo esperienze importanti, il vivere è già di per sé un grandissimo dono e una cosa meravigliosa, della quale dovremmo essere sempre consapevoli. Ecco quindi che tutta la canzone è giocata su questi contrasti, sulla nostra piccolezza e sulla nostra grandezza. Vederci sotto una certa luce o sotto l’altra è una questione di punti di vista, delle prospettive che possiamo dare alle nostre vite”.

HAI CONCEPITO E SUONATO “ARKTIS.” COMPLETAMENTE DA SOLO, MA TI SEI AVVALSO DI ALCUNI TUOI STORICI COLLABORATORI IN ALCUNI MOMENTI. STIAMO PARLANDO DI EINAR SOLBERG, E JØRGEN MUNKEBY, OLTRE AL CONTRIBUTO DI MATT HEAFY DEI TRIVIUM. COSA HANNO AGGIUNTO QUESTI ARTISTI AL TUO DISCO?
“Intanto vorrei menzionare Tobias Ørnes Andersen, il batterista che ha suonato su tutte le tracce di ‘Arktis.’. Come accaduto nei due album precedenti, ha compiuto un lavoro eccellente e ha immesso il suo stile personale impeccabilmente all’interno delle singole tracce. Avere a che fare con un professionista del genere, così preparato, a prescindere che l’album sia più estremo o più pacato, più sperimentale o più classico, mi fa stare tranquillo. So che su un batterista come lui posso sempre fare affidamento, sa adattarsi alle tipologie di musica più disparate e quindi utilizzare il drumming migliore richiesto in una determinata circostanza. Ho la sicurezza, con Tobias, che posso avere un drumming eccellente sia in un disco molto classico e scorrevole come quest’ultimo, dove sono richiesti molti groove e tempi più facili, sia in un’opera molto sperimentale e imprevedibile come poteva essere ‘Das Seelenbrechen’. Tobias dà una grande forza alla mia musica, ne è diventato un fattore fondamentale per la sua riuscita. Einar è un vocalist meraviglioso nei Leprous, sia io che mia moglie conosciamo la sua voce molto bene, l’abbiamo prodotto nei nostri studio per i Leprous diverse volte in passato. È anche molto facile per me avere a che fare con lui e chiedergli di lavorare con me, d’altronde è anche il più giovane dei miei cognati! Fa parte della famiglia. Oltre ad avere una bella voce, sa capire cosa gli sia richiesto in un brano e avere un approccio molto oggettivo alla musica. Matt è un mio buon amico, ho partecipato all’ultimo disco dei Trivium ed è stata un’esperienza divertente e appagante, così gli ho chiesto una mano anche su ‘Arktis.’. La sua tipica potenza vocale, molto americana, è servita ad enfatizzare il potenziale di ‘Mass Darkness’, dandole il tocco che le serviva. Mi preme citare anche Nicolay Tangen Svennæs, che ha suonato le sue tastiere, e Robin Ognedal, che si è occupato delle sue parti di chitarra, entrambi presenti in ‘My Heart Is Of The North’. Quest’ultima abbiamo cominciato a suonarla prima dal vivo, solo successivamente l’abbiamo registrata. Quando ero in studio, ho ritenuto fosse meglio lasciare a loro due le parti che già avevano imparato per i concerti e ho permesso che anche in studio suonassero una canzone che oramai gli apparteneva”.

NEGLI ULTIMI TEMPI HAI CAMBIATO LA LINE-UP PER I CONCERTI E. COME ABBIAMO POTUTO CONSTATARE DURANTE IL BLASTFEST, ANCORA UNA VOLTA SEI RIUSCITO A SCOVARE DEI GIOVANI MUSICISTI DI GRANDE VALORE. PUOI PARLARCI DEI DUE NUOVI ARRIVATI E SPIEGARCI PER QUALE MOTIVO NON CI SIA UN BASS PLAYER IN FORMAZIONE?
“Per molto tempo mi sono avvalso dei Leprous e l’esperienza è stata molto costruttiva da ambo le parti, sia io che loro ne abbiamo avuto vantaggio. Con il crescere del successo dei Leprous e l’aumento dei loro impegni nei tour, è diventato evidente come i nostri programmi non potessero più collimare e dovessi cercare altre persone con le quali portare avanti il progetto dal vivo. In quel periodo, Tobias stava uscendo dai Leprous stessi e, per come era forte la mia relazione artistica con lui, avevo tutta l’intenzione di proseguire la collaborazione Nel frattempo lui aveva iniziato a suonare con gli Shining norvegesi, ma ciò non ha interferito con l’attività di Ihsahn. Quando mi sono trovato a dover occupare le posizioni di secondo chitarrista e tastierista, mi sono affidato a musicisti di cui avevo già avuto ottime referenze e che erano conosciuti da altre persone con le quali avevo lavorato in precedenza. Mi sono quindi affidato a delle soluzioni molto pratiche e posso dirti che sia Nicolay che Robin sono due sessionist di grande talento”.

VORREI FARTI UNA DOMANDA SULLA TUA ESPERIENZA DI MUSICISTA A TRECENTOSSESANTA GRADI. TU FREQUENTI LA SCENA EXTREME METAL DAI SUOI ALBORI, C’ERI QUANDO È NATA E HAI CONTRIBUITO ALLA SUA FORMAZIONE, E CI SEI TUTT’ORA, ALL’INTERNO DI QUESTO SCENARIO. VOLEVO SAPRE QUALI SONO SECONDO TE I VANTAGGI DI VIVERE QUESTO TIPO DI MUSICA OGGI, E QUALI SONO INVECE LE QUALITÀ PATRIMONIO DEI ‘PIONIERI’ DI QUESTE SONORITÀ CHE SONO ANDATE PERDUTE COL TEMPO.
“È cambiata tutta l’industria discografica da quando ho cominciato ad oggi. È mutato il modo in cui un disco arriva alle persone e ‘accende’ l’interesse nei suoi confronti, il passaparola ha assunto forme molto diverse dai primi anni ’90. In passato non c’era tutta questa esposizione mediatica, rimaneva sempre un certo mistero su quello che facevamo mentre adesso, grazie ai social network, tutti sanno tutto di tutti. Ricordo ancora la prima volta che vidi gli Iron Maiden, l’indescrivibile sensazione di vedermeli davanti dal vivo, sapere che erano lì con me, in quello stesso edificio. Quel tipo di mistero, il non sapere esattamente chi ci fosse dietro alla musica, oggi è andato perduto. Intendiamoci, a me piace molto che ci sia la possibilità di essere vicini ai fan, di poter essere visibili da tutti. Mi piace la tecnologia e alcune dinamiche relazionali che possono essersi instaurate negli ultimi anni fra musicisti e appassionati. Mi fa sorridere pensare a uno come Prince, che ha rifuggito per anni questo tipo di evoluzione, rimanendo il più lontano possibile da internet e cercando di non essere troppo visibile. È bello sapere che ci sono anche individui del genere a questo mondo, così pazzi da rifuggire per anni gli inesorabili frutti del progresso (risate, ndR)! In generale, l’extreme metal è diventato sempre più grande e si è segnalato quale importante fenomeno commerciale. Quando i fenomeni underground, per loro natura liberi e caotici, arrivano alle masse, si inizia sempre a mettere delle barriere, dei limiti, per definire un genere e dargli delle regole. Tutto diventa più standardizzato e meno creativo. Per questo il mio interesse di questi tempi va sempre verso chi crea nuova musica, ha il coraggio di sfidare gli ascoltatori e proporre qualcosa di mai sentito prima. Come James Blake ad esempio, con la sua mescolanza di un approccio live a un utilizzo massiccio di basi elettroniche”.

ESSERE UN MUSICISTA PROFESSIONISTA QUALI SACRIFICI HA COMPORTATO IN ALTRI ASPETTI DELLA TUA VITA? A COSA HAI DOVUTO RINUNCIARE PER CONCEDERE ALLA MUSICA IL TEMPO A LEI NECESSARIO?
“Sono stato fortunato da iniziare la mia carriera quando cose come Facebook ancora non esistevano e tutto si evolveva in maniera più lenta. Non credo quindi di aver compiuto grandi sacrifici per portare avanti il mio discorso artistico, forse con tutte le distrazioni che vi sono adesso avrei fatto più fatica a compiere un certo tipo di percorso, ma non ho avuto di questi problemi. Mi ha sempre spinto e sostenuto la straordinaria passione che ho per la musica e, nel rendere l’attività sopportabile, ha contribuito sicuramente il non aver mai intrapreso lunghi tour. Ho sempre preferito concentrarmi su date singole, nei festival, così da passare molto tempo a casa, nel mio studio. Ho potuto costruirmi una famiglia e non sono dovuto rimanere lontano da essa troppo a lungo per colpa del mio lavoro. Altri artisti sono invece costretti a stare in viaggio molti mesi, sacrificando così la famiglia, la stabilità, non possono passare molto tempo a casa loro e questo rende la vita del musicista molto più impegnata e stressante”.

UNA DOMANDA SUGLI EMPEROR: ERO PRESENTE ALLA VOSTRA FANTASTICA PERFORMANCE NEL 2014 ALL’HELLFEST, DOVE CELEBRASTE “IN THE NIGHTSIDE ECLIPSE”. VOLEVO SAPERE SE AVETE IN MENTE QUALCHE ALTRO EVENTO SPECIALE PER CELEBRARE “ANTHEMS TO THE WELKIN AT DUSK” O ALTRE RICORRENZE A VOI CARE.
“Siamo nella posizione privilegiata in cui possiamo scegliere quando possa essere il momento giusto per portare di nuovo alle persone la musica degli Emperor. Si tratta soltanto di decidere quando, le occasioni di certo non mancano, c’è ancora molto interesse per quella musica. Sono molto tranquillo su questo punto, quando magari in passato, agli inizi della mia carriera solista, ero un po’ restio a farmi coinvolgere in discorsi legati agli Emperor, perché non volevo che l’interesse per quella band offuscasse quanto stavo facendo nella mia nuova veste autonoma. Ora che è passato tanto tempo e ho prodotto molta musica non vedo più Emperor e Ihsahn come due entità separate, valuto tali esperienze artistiche come due parti di un unico mondo. Spesso mi capita di suonare qualcosa del mio gruppo precedente nelle date soliste, perché si tratta di pezzi che ho scritto io e non ha senso distinguere tra quello che facevo prima e quanto suono adesso. In passato tendevo a separare le due entità, ora ho superato questi dubbi e perplessità. All’Hellfest, ricordo che fu un’esperienza fantastica suonare molto vicino ai Black Sabbath, rimane sempre un’emozione grandissima trovarsi di fianco a delle leggende viventi come loro”.

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