IMMOLATION – Messa di mezzanotte

Pubblicato il 09/03/2022 da

Hanno impiegato un lustro a dare alle stampe un nuovo album, ma – come si suol dire – l’attesa è stata ampiamente ricompensata dall’ennesimo gioiello di una discografia mirabile e mai paga dei risultati raggiunti. Ancora una volta, il ritorno degli Immolation ha messo d’accordo tutti, al punto da poter già essere visto come una delle opere death metal di questo 2022, e il primo a rendersene conto sembra essere proprio il quartetto, qui rappresentato dall’entusiasta e disponibilissimo Rob Vigna. Raggiunto telefonicamente qualche settimana fa, lo storico chitarrista americano non si è risparmiato nel fare il punto sulla realizzazione di questo undicesimo full-length e sulle motivazioni che – dopo oltre trent’anni di carriera – continuano ad alimentare le fiamme del gruppo di New York, vero e proprio esempio di ingegno, passione e voglia di superarsi nel sempre tumultuoso mondo della musica pesante. Ecco cosa ci ha raccontato!

DOVE COLLOCHERESTI “ACTS OF GOD” NELLA VOSTRA DISCOGRAFIA? QUALI ERANO I VOSTRI OBIETTIVI PER QUESTO DISCO DOPO IL SUCCESSO DI “ATONEMENT”?
– Approcciandoci alla stesura del nuovo disco, sapevamo che “Atonement” sarebbe stato difficile da battere. È sicuramente uno dei nostri lavori più riusciti, e credo che proprio questo fatto ci abbia dato un’ulteriore spinta per la realizzazione di “Acts of God”; da sempre, l’intento di questa band è alzare l’asticella, album dopo album, e sento che anche stavolta siamo riusciti a centrare gli obiettivi che ci eravamo prefissati. È come se il disco facesse tesoro di tutta l’esperienza accumulata negli anni, dall’impatto dei nostri esordi alle sperimentazioni più recenti. A conti fatti, penso possa essere visto come una delle nostre opere più complete: è potente, è atmosferico, e rapportato ad “Atonement” anche più aggressivo. Le canzoni sono catchy, ovviamente alla maniera degli Immolation, e ognuna di esse si regge in piedi da sola, distinguendosi dalle altre per un motivo. Questa caratteristica era presente anche in “Atonement”, ma credo che i brani di “Acts…” siano un po’ più epici e distinguibili. Ci sono pezzi molto feroci e diretti, altri più pesanti e oscuri, altri ancora che sposano i due registri… non ci si annoia mai (ride, ndR). Musicalmente, il disco scorre molto bene, ma a dire il vero è l’intero pacchetto a renderci soddisfatti; per l’artwork, abbiamo collaborato con artisti molto talentuosi come Eliran Kantor e Santiago Jaramillo, mentre per i suoni ci siamo affidati come sempre a Paul Orofino, il cui lavoro è stato poi spedito a Zack Ohren per il mixing e il mastering. A livello di forma, “Acts…” ci ha davvero fatto compiere un passo in avanti, e siamo entusiasti dei responsi finora ottenuti dai fan e dalla critica. Sono il coronamento di tanto duro lavoro.

LA COPERTINA MI È SEMBRATA UNA REINTERPRETAZIONE DI QUELLA DI “DAWN OF POSSESSION”…
– Non parlerei di vera e propria reinterpretazione. Eliran ha scelto quel soggetto più che altro sulla base dei testi che gli abbiamo spedito. Come la maggior parte dei nostri dischi, anche “Acts of God” si concentra sugli aspetti più oscuri della natura umana, della politica e della religione; cose che vediamo o di cui leggiamo ogni giorno, e che finiscono per influenzare ciò che scriviamo. Questa volta nei testi sono presenti diversi rimandi al concetto di ‘luce oscura’, e sulla base di questo abbiamo voluto dare all’artwork un taglio un po’ diverso dal solito. Anziché scegliere una copertina esplicita come in passato, con Eliran ci siamo orientati su un soggetto più sottile, meno immediato. Da lì è nata l’idea di quest’uomo tormentato e trascinato verso una luce malefica dagli angeli. Un atto oscuro di Dio, per l’appunto. C’erano molti temi che volevamo affrontare in questo disco, e una cover del genere li riassume tutti quanti. Il fatto che poi abbia dei punti di contatto con quella di “Dawn of Possession”, cosa difficile da negare, ha una rilevanza secondaria. Anche perché sì, le somiglianze ci sono, ma i significati come detto sono ben diversi.

QUESTA VOLTA LA TRACKLIST È DAVVERO MOLTO VASTA. È STATA UNA CONSEGUENZA DEL TEMPO EXTRA A DISPOSIZIONE DURANTE LA PANDEMIA?
– Abbiamo avuto sicuramente più tempo per comporre. L’ultima canzone è stata finita a giugno dello scorso anno, lo stesso mese in cui poi siamo entrati in studio di registrazione. In questo senso, si può dire che lo stallo della pandemia ci abbia aiutato a mettere più idee sul tavolo, ma non è l’unica ragione per cui “Acts of God” ha così tanti brani. Quando lavoriamo ad un disco pensiamo sempre a come suonerà nell’insieme, e questa volta, dopo che avevamo già un buon numero di pezzi pronti, abbiamo avuto l’impressione che mancasse ancora qualcosa per renderlo completo. “When Halos Burn” e “Apostle” sono nate da questa riflessione: volevamo rendere l’ascolto più intenso, così le abbiamo aggiunte per una dose extra di impatto e aggressività.

STA DIVENTANDO DIFFICILE COMPORRE MATERIALE INTERESSANTE DOPO TUTTI QUESTI ANNI?
– È decisamente una bella sfida, posso dirti questo (ride, ndR). E più dischi hai alle spalle, più diventa difficile mantenere alti gli standard della musica che scrivi. Per noi è importantissimo non ripetere alla lettera quanto fatto in passato, ma vogliamo anche che tutti gli elementi su cui abbiamo costruito la nostra carriera siano sempre presenti. Quelle sono le nostre radici, e non vogliamo allontanarcene. Ci teniamo ad essere subito identificabili come Immolation, quando parte un nostro pezzo. Quella è la vera sfida: suonare freschi senza stravolgersi, componendo il miglior death metal possibile. Ma è una sfida che continua ad appassionarci, e credo anzi che negli anni la stiamo affrontando sempre più a testa alta, come dimostrato da “Atonement” e “Acts of God”.

QUANDO PENSO ALLA VOSTRA CARRIERA, HO SEMPRE L’IMPRESSIONE CHE CERCHIATE DI MIGLIORARE DISCO DOPO DISCO, SPECIALMENTE DALLA PUBBLICAZIONE DI “HARNESSING RUIN” IN AVANTI. PENSI SIA QUESTA LA CHIAVE DEL VOSTRO SUCCESSO?
– Sono d’accordo, quello è stato il primo disco in cui abbiamo davvero provato a variare e, per certi versi, semplificare le cose. Ricordo che era nato in maniera molto spontanea e naturale, dopo che avevamo capito di non voler ripetere ancora e ancora lo stile sviluppato negli album precedenti. Da quel momento in poi, siamo diventati decisamente più bravi a scrivere canzoni in grado di rimanere in testa, evitando alcune forzature e assecondando le esigenze della musica. Se un riff pesante e complesso, per quanto ottimo, non si incastra con il mood di un pezzo più diretto, allora perché inserircelo a forza? È una cosa che abbiamo capito col tempo, ed è la base del nostro metodo attuale di scrittura. Tutto deve basarsi sul flow e sull’atmosfera dei vari brani, e ciò che non è necessario va scartato.

IL VOSTRO APPROCCIO ALLA MUSICA È SEMPRE STATO CONSIDERATO UNICO E CARATTERISTICO. QUANTO È IMPORTANTE PER VOI AVERE UNO STILE PERSONALE?
– Avere un’identità musicale è importantissimo. Ci sono così tanti gruppi là fuori da rendere necessario, per un artista, cercare di farsi riconoscere dall’ascoltatore nel minor tempo possibile. Come Immolation, abbiamo sempre cercato di fare le cose a modo nostro, ma senza troppi calcoli. Lo stile che ci ha resi riconoscibili è nato da sé, e la musica suona così semplicemente perché è il frutto del nostro background e della nostra personalità. Per noi è impossibile scindere ciò che suoniamo da quello che siamo come individui. Credo sia quella la chiave del nostro successo: essere autentici.

PENSI CHE VIVERE A NEW YORK ABBIA INFLUENZATO IL VOSTRO MODO DI COMPORRE?
– Provo a risponderti, visto che non ho mai vissuto da un’altra parte (ride, ndR). Direi di sì comunque, e in maniera assolutamente positiva. Inevitabilmente, l’ambiente che ti circonda ti influenza come persona, e vivere in posti molto affollati e aggressivi come Brooklyn e Manhattan ha sicuramente plasmato il nostro modo di vedere le cose e il mondo. Fin da giovani, siamo stati circondati da una moltitudine di persone e culture, cosa che ci ha in qualche modo aperto la mente. Inoltre, in una grande città come New York, l’accesso alla musica è sempre facilitato rispetto ad altri luoghi negli Stati Uniti. Anche negli anni Ottanta e Novanta, qualsiasi tour passava da qui, era una tappa fissa. Steve (Shalaty, batteria, ndR), ad esempio, è nato e cresciuto in Ohio, e da ragazzo non ha potuto essere esposto come noi alla musica. Siamo stati molto fortunati sotto questo punto di vista. In quel periodo, vedere suonare gente come Destruction, Kreator e Sepultura, tutti gruppi che hanno forgiato la nostra idea di metal e che rientrano fra le nostre influenze principali, ha avuto un forte impatto su di noi.

VEDI GLI IMMOLATION COME ARTE O INTRATTENIMENTO?
– Entrambe le cose, a dire il vero. Creiamo della musica, e questa va sicuramente vista come arte… Anche se qualcuno potrebbe non essere d’accordo (ride, ndR). Esprimiamo noi stessi e quello che ci circonda, ed è un processo che ci diverte e ci appassiona molto, anche dopo tutti questi anni. Al tempo stesso, la musica è intrattenimento, aiuta a staccare la spina e a passare meglio il tempo, anche quando si parla di generi molto estremi e dalle tematiche oscure come il death e il black metal. Anzi, credo che certi generi spingano le persone a pensare di più e a farsi più domande su ciò che stanno ascoltando, rispetto alla musica commerciale. Noi, che abbiamo avuto la fortuna di viaggiare e visitare il mondo grazie alla band, ci siamo presto resi conto di come il death metal, per quanto violento, unisca davvero le persone. È una scarica di energia e passione, tanto per i fan quanto per noi, e quella è la parte di intrattenimento a cui mi riferisco.

SIETE STATI IN TOUR CON I BLOOD INCANTATION, A BREVE CI ANDRETE CON IMPERIAL TRIUMPHANT E MORTIFERIUM… SEMBRA CHE VI TENIATE MOLTO AGGIORNATI SUGLI SVILUPPI DELLA SCENA DEATH METAL! COSA NE PENSI DEL RICAMBIO GENERAZIONALE DEGLI ULTIMI ANNI?
– La scena odierna è piena di band giovani e bravissime. Blood Incantation, Imperial Triumphant, Mortiferum, i Funeral Leech da Brooklyn… c’è stato un momento, durato a lungo, a dire il vero, in cui sembravano contare soltanto la brutalità, la pesantezza e la tecnica, ma questa nuova generazione sembra aver capito l’importanza dell’atmosfera e del feeling, che per anni erano quasi spariti dai radar. Sono gruppi che sanno davvero trasmetterti un senso di oscurità e malvagità, e noi ovviamente ci rivediamo moltissimo in questo loro approccio… voglio dire, è lo stesso che ci ispirava trent’anni fa! È stato davvero un piacere andare in tour con i Blood Incantation, dei musicisti e dei ragazzi straordinari, e varrà lo stesso con Imperial Triumphant e Mortiferum, che suonano in maniera praticamente opposta tra loro. Da una parte abbiamo gli Imperial che sono davvero contorti e avantgarde, dall’altra i Mortiferum che sono superpesanti e atmosferici, ma l’oscurità è sempre presente, capisci che intendo? È bello poter constatare questa cosa tra le nuove leve death metal.

SE TI GUARDI INDIETRO, HAI QUALCHE RIMPIANTO? PENSO AD ESEMPIO AI CINQUE ANNI DI SILENZIO FRA “DAWN OF POSSESSION” E “HERE IN AFTER”…
– Sicuramente non è la cosa migliore per la tua carriera esordire con un disco e poi sparire per cinque anni, ma è andata com’è andata (ride, ndR). Non abbiamo rimpianti perché ciò che siamo oggi è il frutto di ogni scelta compiuta in passato. La vita è un’esperienza durante la quale non si smette mai di imparare, e credo sia soprattutto dalle cose andate storte che uno apprende maggiormente. E poi, se ci pensi, anche “Atonement” era uscito cinque anni fa, quindi forse la morale è che non abbiamo ancora imparato la lezione (ride, ndR).

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