E sono dieci. Dieci album all’insegna del più puro e incontaminato death metal made in USA, spalmati su trent’anni di carriera poveri di riconoscimenti ma dal valore artistico inattaccabile, segno di una dedizione e di un talento sconosciuti a molti gruppi della cosiddetta vecchia guardia (Deicide? Morbid Angel? Obituary?). Questi sono gli Immolation, tornati prepotentemente in pista con una delle loro opere più avvincenti e complete, già in lizza per il titolo di disco dell’anno. Una summa di tutto ciò che i Nostri – qui rappresentati dall’umile e disponibile Ross Dolan, LA voce di un certo modo di intendere il death metal – hanno fatto e sperimentato nel corso del loro lunghissimo viaggio, un viaggio cominciato nei freddi sobborghi di New York nel 1988 e che oggi, contro ogni difficoltà, continua a colpire dritto al cuore…
“ATONEMENT” E’ IL VOSTRO DECIMO ALBUM. AVRESTE MAI IMMAGINATO DI RAGGIUNGERE UN SIMILE OBIETTIVO?
“A stento credevamo che saremmo riusciti a pubblicare un disco, figurati dieci! Sapevamo che la nostra musica aveva del potenziale, ma non ci saremmo mai aspettati che sarebbe stata parte di noi dopo tutti questi anni. Ciò che facevamo all’inizio era qualcosa che piaceva ad un ristretto numero di persone sparse per il mondo, per cui vederla crescere all’interno del movimento, acquisendo a poco a poco sempre più forza, è stato incredibile. Siamo felici di essere qui ed entusiasti di pubblicare uno degli album migliori della nostra carriera”.
“ATONEMENT” E’ UN DISCO MOLTO VARIO, CON DIVERSE SOLUZIONI RITMICHE E CHITARRISTICHE. COME VI SIETE APPROCCIATI AL SONGWRITING?
“Bob è e sarà sempre il motore principale del nostro songwriting. In genere gli occorrono quattro-cinque mesi per scrivere un album dall’inizio alla fine. Registra la musica intanto che compone con la chitarra, dopodiché aggiunge le parti di batteria grazie ad un programma sul suo PC. Immagina il disco come un unico blocco compatto, non come una raccolta di singoli brani, così – mano a mano che procede con il lavoro – ha modo di pensare alle esigenze dell’album e di colmare le varie lacune. Anche se ci sono undici canzoni in ‘Atonement’, fanno tutte parte di un solo pezzo, e tutte si incastrano a mo’ di tessere di un puzzle per rendere l’opera completa. ‘Atonement’ ha richiesto molto più tempo per essere completato rispetto alle nostre ultime release. Abbiamo cominciato a scriverlo nei primi mesi del 2015, e fin da subito ci siamo scontrati con diverse difficoltà. Una volta completati i primi tre brani, Bob è incappato in un brutto blocco dello scrittore, che lo ha spinto a fermarsi e ad aspettare un po’ prima di rimettersi al lavoro. A settembre Steve si è rotto la caviglia. L’incidente ha richiesto un’operazione chirurgica e circa sei mesi di riabilitazione fisica per re-imparare ad usare il piede destro. E’ stato un cammino lungo, tanto che solo a giugno 2016 siamo riusciti ad entrare in studio. Credo che l’unico aspetto positivo della vicenda sia stato il tempo extra: abbiamo avuto modo di rifinire le canzoni per renderle uniche e speciali, inoltre Steve è riuscito ad ‘entrare’ completamente nella musica. La sua performance alla batteria è forse la migliore in assoluto da quando suona con noi. Col senno di poi, tutte queste battute di arresto hanno reso ‘Atonement’ uno dei nostri dischi più riusciti e memorabili”.
QUALI ARGOMENTI AVETE DECISO DI AFFRONTARE NEI TESTI?
“’Atonement’ tocca diverse nuove tematiche, oltre a riprendere alcune idee già presenti nelle vecchie release. Anche se non è un concept come ‘Kingdom of Conspiracy’, c’è comunque un fil rouge che lega tutte le canzoni. I testi affrontano il lato oscuro dell’umanità, come esso si manifesta in modi diversi ogni giorno. Si passa dall’estremismo religioso alle molte forze disgregatrici che mantengono la gente impaurita, oppressa e piena d’odio. E’ un disco molto oscuro, che parla delle realtà invisibili che permeano il nostro mondo e che si celano nell’ombra, invisibili a causa delle molte distrazioni della vita e della manipolazione dei fatti e della realtà”.
VI ANDREBBE DI PRESENTARE ALEX BOUKS A CHI ANCORA NON LO CONOSCESSE? COME SIETE ENTRATI IN CONTATTO CON LUI?
“Il nostro amico di lunga data Alex Bouks suona ora la chitarra al fianco di Bob, andando a ricoprire il ruolo che per oltre sedici anni è stato di Bill Taylor. Purtroppo Bill ha dovuto lasciare la band per motivi personali. Sapevamo che la cosa era nell’aria, ma ci è dispiaciuto comunque molto vederlo partire. Sarà sempre un caro amico e un fratello, oltre che una parte fondamentale di ciò che ha reso unica e speciale questa band. Abbiamo appoggiato la sua scelta e il tutto è avvenuto in circostanze assolutamente amichevoli. Sarà sempre uno di noi. Alex è stata la prima e unica persona che abbiamo contattato non appena Bill ci ha comunicato la sua decisione. E’ un grande uomo e trovo si integri alla perfezione con noi tre. Ovviamente è un chitarrista straordinario: ha suonato per Goreaphobia, Incantation e Master, e ha anche un suo progetto, i Ruinous. E’ un fan degli Immolation dal 1988, quindi non penso avremmo potuto trovare sostituto migliore. Non vediamo l’ora di condividere la nostra strada con lui”.
ANCORA UNA VOLTA, PAUL OROFINO E ZACK OHREN SI SONO OCCUPATI DELLA PRODUZIONE DEL DISCO. PENSATE DI RIVOLGERVI A QUALCUN’ALTRO IN FUTURO? RECENTEMENTE, ERIK RUTAN CI HA CONFIDATO CHE GLI PIACEREBBE LAVORARE CON VOI…
“Questo è l’ottavo full-length che registriamo con Paul, senza contare gli EP ‘Providence’ e ‘Hope and Horror’. Arrivati a questo punto fa davvero parte della famiglia. Da ‘Majesty and Decay’ in poi ci siamo sempre affidati a lui per le registrazioni (nel suo studio a Millbrook, New York), e a Zack per il mixing e il mastering. Credo che la combinazione tra l’approccio old school di Paul e quello più moderno di Zack esalti entrambi i modi di intendere questo genere di musica. Per ‘Atonement’ hanno svolto un lavoro incredibile, conferendo al disco un suono levigato che permette a tutti gli strumenti di brillare e, al tempo stesso, di catturare un feeling estremamente oscuro e sinistro. Siamo davvero entusiasti del risultato finale e credo che anche i nostri fan lo apprezzeranno. Erik Rutan è un caro amico e una persona che ammiriamo molto, non solo per il lavoro nei Ripping Corpse, negli Alas, nei Morbid Angel e negli Hate Eternal, ma anche per le sue grandi doti di produttore. Lo conosciamo dal maggio 1988, quando suonammo il nostro primissimo show in compagnia dei Ripping Corpse, e nel corso degli anni ci ha avvicinato più volte per chiederci di lavorare con lui. Abbiamo sempre declinato per una questione di comodità e fedeltà. Lavoriamo con Paul da quasi vent’anni, e come ho detto prima è fondamentale per il suono e le dinamiche della band. Stessa cosa per Zack, che pur collaborando con noi da ‘soli’ sette anni ha saputo trasformare i nostri ultimi album in qualcosa di veramente devastante. Come dice un vecchio proverbio ‘non provare ad aggiustare qualcosa che non è rotto’, ma mai dire mai”.
I VOSTRI ARTWORK SONO TRA I PIU’ CARATTERISTICI DELL’INTERO SCENARIO DEATH METAL. QUAL E’ IL VOSTRO PREFERITO?
“Parlando dei primi anni della band, sceglierei senza dubbio quelli di ‘Dawn of Possession’ e ‘Here in After’. Andreas Marchall fece un lavoro incredibile con quelle cover, che non a caso i fan considerano ancora dei classici. Pensando invece all’ultimo periodo, direi quelli di ‘Atonement’ e ‘Majesty and Decay’. Credo che il lavoro di Par Oloffson mantenga viva la tradizione degli ottimi artwork degli Immolation. Il suo stile si integra perfettamente con quello delle nostre vecchie copertine, proseguendo ed ampliando la visione di Marchall”.
INDUBBIAMENTE QUESTO E’ UNO DEI PERIODI PIU’ FORTUNATI PER LA BAND, MA QUALI SONO STATI I MOMENTI PIU’ DIFFICILI? C’E’ QUALCHE ALBUM DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA CHE RITENETE SOTTOVALUTATO O POCO CAPITO?
“Questo è certamente un periodo molto positivo per gli Immolation, e siamo orgogliosi di essere arrivati a questo punto dopo ventinove anni di carriera. E’ stata una corsa con molti alti e bassi, ma nel complesso parliamo di un’esperienza straordinaria. Abbiamo intenzione di continuare ancora a lungo. Direi che il periodo di cinque anni tra il primo e il secondo album sia stato senza dubbio il più buio e difficile per la band. Dopo aver terminato il ciclo promozionale di ‘Dawn of Possession’ e abbandonato la Roadrunner, eravamo senza un’etichetta, e ci è voluta moltissima dedizione per mantenere unito e vivo il gruppo. Siamo stati fortunati a firmare per la Metal Blade e a pubblicare il nostro secondo album. La strada per arrivarci è stata lunga, una vera dimostrazione di passione e perseveranza. A mio parere, sia ‘Here in After’ che ‘Failures for God’ non sono stati compresi al momento della loro uscita, ma ora la gente li sta finalmente rivalutando. Si tratta dei primi passi verso la definizione del nostro stile, quello poi raggiunto da ‘Close to a World Below’. Eravamo sulla buona strada per creare ciò che avevamo immaginato nel 1988”.
AVETE DA POCO CELEBRATO I VENTICINQUE ANNI DI “DAWN OF POSSESSION”. CHE RICORDI AVETE DI QUEI GIORNI? C’E’ QUALCHE ANEDDOTO CHE VI PIACEREBBE RACCONTARCI?
“Esatto, lo scorso maggio abbiamo festeggiato i venticinque anni del nostro primo album! E’ stato un momento molto emozionante. Un capitolo della nostra storia a cui guarderemo sempre con affetto. La nostra prima collaborazione con un’etichetta e il culmine di anni spesi a gettare le basi della band nell’underground death metal dell’epoca. Due dei ricordi migliori che conservo sono le lettere di congratulazioni dei fan provenienti da tutto il mondo e il vedere ‘Dawn of Possession’ nei record store locali. Fa sempre piacere ricordare queste ‘pietre miliari’ ora che sono passati tanti anni”.
QUAL E’ LA PIU’ GRANDE SODDISFAZIONE CHE VI SIETE TOLTI CON QUESTA BAND?
“Credo che aver pubblicato dieci album in ventinove anni di carriera e aver scritto e registrato oltre cento canzoni possa essere considerato un ottimo traguardo. Fare ancora ciò che amiamo e ci appassiona è una delle sensazioni più belle al mondo. Abbiamo avuto un’occasione unica a viaggiare in giro per il mondo e a condividere la nostra musica con così tante persone. E’ incredibile, e non la riteniamo affatto una cosa scontata”.
DOPO TUTTI QUESTI ANNI, COSA SIGNIFICA PER VOI SUONARE DEATH METAL?
“Il death metal fa parte della nostra vita ed è una parte fondamentale di ciò che siamo. La passione senza fine per la creazione di musica terrificante, oscura e maestosa ci ha consumato fin dall’inizio. Questo genere ci ha condotto ad un viaggio lungo ventinove anni, insegnandoci molte cose sulla vita, sul mondo e sulle persone. Ci ha dimostrato che la musica, in particolar modo il metal, è una forza positiva e unificante in tutto il mondo, e che farne parte è un qualcosa di straordinario”.
COSA NE PENSATE DELL’ODIERNA SCENA DEATH METAL? CREDETE CHE IL GENERE POSSA ESSERE CONSIDERATO ‘PERICOLOSO’ COME NEGLI ANNI ’90?
“La scena death metal è più forte che mai! C’è tanta passione all’interno della comunità, e fa davvero piacere poterlo constatare con i propri occhi. Naturalmente abbiamo visto questo genere attraversare diversi periodi bui, ma credo che ora goda di una considerazione mai avuta in passato. E’ onesto, potente, e sarà sempre pericoloso se non tradirà i suoi ideali e se continuerà ad unire le persone”.
QUANDO PENSATE DI TORNARE IN EUROPA E/O IN ITALIA? A VOSTRA AVVISO, C’E’ QUALCHE DIFFERENZA TRA IL PUBBLICO AMERICANO E QUELLO DEL VECCHIO CONTINENTE?
“Speriamo di tornare in Europa ad aprile con i nostri cari amici Vader. A breve invece saremo on the road con i fratelli Cavalera per il ‘Return to Roots’ tour (l’intervista ha avuto luogo a gennaio, ndR). Siamo super entusiasti all’idea di entrambe le tournée e non vediamo l’ora di suonare per i nostri fan in giro per il mondo. Il pubblico è caloroso e appassionato sia negli Stati Uniti che in Europa, sarà fantastico”.
GRAZIE PER IL TEMPO CHE CI AVETE DEDICATO. VI ANDREBBE DI AGGIUNGERE QUALCOSA PRIMA DI CONCLUDERE?
“Grazie a te per la bella intervista, non vediamo l’ora di suonare per tutti i nostri italiani! Un ringraziamento a tutti coloro che ci hanno sostenuto nel corso degli ultimi ventinove anni”.