IMPLORE – Ora o mai più

Pubblicato il 02/11/2017 da

Una line-up che vanta membri provenienti da Argentina, Spagna, Italia e Austria e una dedizione al lavoro che ricorda quelle di certe realtà hardcore americane, abituate a vivere in tour: gli Implore sono certamente una formazione atipica e non è così strano che la loro intraprendenza stia venendo sempre più notata nel panorama underground. Messo sotto contratto dalla potente Century Media, il gruppo ha di recente rilasciato “Subjugate”, secondo full-length della carriera e ennesimo spaccato di quel concetto di death-grind-hardcore senza compromessi con cui i ragazzi si sono fatti segnalare sin dai loro esordi. Parliamo del disco e dell’attitudine della band con il suo leader di sempre, il bassista/cantante Gabriel “Gabbo” Dubko…

I MEMBRI DEGLI IMPLORE SEMBRANO PROVENIRE DA DIVERSE CITTA’. VI RISULTA DIFFICILE PROGRAMMARE LE ATTIVITA’ DELLA BAND IN QUESTA SITUAZIONE? COME E’ VENUTA A CREARSI L’ATTUALE LINE-UP DEL GRUPPO?
– Hai ragione, abitiamo in città diverse. Ci ritroviamo per provare prima di ogni tour e questo metodo sembra fare al caso nostro. Il problema è che non possiamo essere spontanei se riceviamo un’offerta all’ultimo minuto. Ne siamo consapevoli, quindi accettiamo le circostanze. La line-up attuale è nata per caso: quando il nostro vecchio batterista ha deciso di tenere il suo lavoro e la sua vita di sempre, Guido si è unito a noi per il tour sudamericano, mostrando interesse e disponibilità. Quindi abbiamo lavorato a “Subjugate” a Linz, in Austria; Markus ha lavorato con noi e le cose sono andate benissimo da subito, quindi abbiamo deciso di farlo diventare un membro a tempo pieno.

IL VOSTRO PRIMO ALBUM, “DEPOPULATION”, E’ STATO BEN ACCOLTO E AVETE FIRMATO PER CENTURY MEDIA RECORDS PER PUBBLICARE IL NUOVO “SUBJUGATE”. VI SIETE SENTITI SOTTO PRESSIONE MENTRE LAVORAVATE AI NUOVI BRANI?
– Sapere che l’album sarebbe stato pubblicato in tutto il mondo con molta più spinta promozionale ci ha messo addosso un po’ di pressione extra. Volevamo dare il meglio di noi stessi, anche se a volte abbiamo riflettuto se ciò ci avrebbe effettivamente fatto bene. Tuttavia, una volta dato forma alle canzoni, aggiunto i testi e controllata la pre-produzione, sapevamo di essere nella giusta direzione. Quando abbiamo completato il mixaggio abbiamo avuto la certezza che si trattasse del nostro miglior lavoro.

QUANTO SIETE CAMBIATI, MUSICALMENTE, DA “DEPOPULATION” E DAI PRECEDENTI EP, SECONDO TE?
– Beh, il 50% della band è nuovo e quindi abbiamo potuto contare su un diverso approccio da parte dei nuovi musicisti. Siamo diventati più professionali nel modo di lavorare e abbiamo potuto contare su nuove influenze. Il disco possiede più varietà in ogni senso, molto più di “Depopulation”; “Thanatos” è stato un EP studiato appositamente per testare la line-up del 2016 ed è stato composto in cinque giorni in sala prove senza lavorare troppo ai brani. “Black Knell” è invece stato abbozzato digitalmente e suonato le prime volte in sala prove con una drum machine. Non abbiamo nemmeno mai suonato con Kevin Talley, ha solo registrato la batteria in studio per noi. Credo che per tutti questi motivi ogni nostra uscita sia differente dall’altra.

PENSO CHE QUESTA VOLTA ABBIATE CERCATO DI NON RIPETERVI TROPPO DURANTE LA FASE DI COMPOSIZIONE: I BRANI NON ADERISCONO TUTTI ALLA MEDESIMA FORMULA. STRUTTURE E RITMICHE SONO PIUTTOSTO VARIEGATE.
– La varietà è qualcosa che abbiamo sempre avuto in mente durante la stesura dell’album. Non abbiamo preso alcuna band come punto di riferimento, limitandoci a comporre le migliori canzoni possibile e facendo del nostro meglio per renderle personali e diverse dalle altre. Penso che siamo riusciti a centrare l’obiettivo: tutte le tracce hanno una propria caratteristica e riescono a venire riconosciute durante l’ascolto.

I VOSTRI PEZZI TENDONO AD ESSERE MOLTO CONCISI. AVETE MAI AVUTO VOGLIA DI COMPORRE UN BRANO DI CINQUE O SEI MINUTI? OPPURE NON E’ UN FORMATO CHE VI INTERESSA?
– Penso che prima o poi quanto dici accadrà. Siamo aperti a tutto e ci piace sperimentare e avventurarci in nuovi territori sonori.

DI COSA PARLATE CON “SUBJUGATE”? QUALI SONO LE VOSTRE PERSONALI IDEOLOGIE? VI LASCIATE ISPIRARE DA ESSE QUANDO SCRIVETE MUSICA?
– Penso che chiunque dovrebbe avere un’ideologia, altrimenti questo mondo sarebbe popolato da zombie. I miei valori sono contrari a questo sistema tecnologico e ad ogni tipo di oppressione; stiamo diventando delle macchine prive di emozioni in un mondo dominato dal consumismo. Scrivo principalmente di ciò. “Subjugate” parla del concetto di essere controllati da qualcuno o qualcosa. E’ un album che potrebbe venire paragonato al romanzo “1984” di George Orwell, a livello di contenuti. Forse per il prossimo album mi lascerò ispirare da “Brave New World” di Aldous Huxley.

QUAL E’ L’ASPETTO DEL FARE MUSICA CHE PIU’ TI ENTUSIASMA AL MOMENTO?
– Mi piace vedere un’idea prendere la forma di un riff e poi diventare una canzone. E’ un processo molto appagante, soprattutto quando si suona la canzone e si constata che quest’ultima ha un senso. Comporre musica è un bel modo per dare sfogo ai miei pensieri e ai miei sentimenti. E’ l’unico mezzo che utilizzo per vomitare fuori quello che ho dentro.

QUAL E’ INVECE L’ASPETTO CHE PIU’ TI SCORAGGIA?
– Forse i litigi su nuove idee; a volte può essere pesante discutere con gli altri ragazzi della band e non riuscire a trovare un compromesso mentre ognuno dice una cosa diversa. Confrontarsi con i tuoi compagni non è sempre piacevole, a nessuno piace litigare con i propri amici.

SIETE RECENTEMENTE TORNATI DA UN TOUR EUROPEO CON I VALLENFYRE: COME E’ STATA QUESTA ESPERIENZA?
– E’ stato molto bello: si è trattato del nostro secondo tour in locali di un certo calibro e ci siamo trovati bene. I ragazzi dei Vallenfyre sono persone fantastiche e siamo davvero felici di avere avuto modo di conoscerli. La maggior parte degli show hanno ricevuto belle recensioni e per noi si è trattato di un passo avanti nella nostra carriera. Abbiamo inoltre suonato davanti ad un pubblico nuovo per noi: la maggior parte dei loro fan sono sulla trentina e seguono la band anche perchè ‘imparentata’ con i Paradise Lost.

QUAL E’ IL POSTO PIU’ STRANO IN CUI AVETE REGISTRATO O AVETE TENUTO UNO SHOW?
– Abbiamo sempre registrato con Jan Oberg presso gli Hidden Planet Studio di Berlino, quindi non ho aneddoti particolari su queste esperienze. Posso però citare delle location strane per i concerti: una cucina in Brasile, una cantina piccolissima a Chico, in California, dove venti ragazzi hanno perso la testa. Abbiamo anche suonato in un giardino a Mendoza, in Argentina; è stato molto divertente.

TRASCORRETE MOLTO TEMPO IN TOUR…
– E’ ciò che ci riesce meglio. Amiamo andare in tour. In effetti, io odio stare a casa. Si tratta dell’unica nostra fonte di guadagno al momento. Facciamo dei piccoli lavoretti, ma non è mai abbastanza perchè abbiamo sempre da investire nella band. La situazione è difficile perchè non veniamo ancora pagati decentemente per ogni show, ma teniamo duro.

COME RIUSCITE A CONCILIARE L’ATTIVITA’ DELLA BAND CON LE ESIGENZE DI UNA VITA ‘NORMALE’?
– Ogni cosa passa in secondo piano rispetto alla band. Petro ha mollato i suoi studi e ci siamo spesso licenziati dai nostri lavori. Per fortuna nessuno di noi ha figli e pensa di averne a breve. Per noi è “ora o mai più”. Non vi è mai un compromesso: le persone che ci stanno accanto devono accettare e capire ciò che facciamo e noi stessi dobbiamo sempre esserne convinti. La band ha la priorità e il resto viene dopo.

PER CONCLUDERE, QUALI SONO I DISCHI CHE PIU’ HAI APPREZZATO QUEST’ANNO?
– Su tutti, i nuovi Der Weg Einer Freiheit, Teething, Foscor, Powertrip, Wolfbrigade, Ulver e Vallenfyre.

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