IN FLAMES – Tutto ciò che ha un inizio ha anche una fine

Pubblicato il 15/11/2016 da

Ormai arrivati al disco della maturità con la nuova formazione Friden-centrica, il quintetto più amato/odiato/rimpianto di Gothenburg ha compiuto un deciso passo avanti nel suo processo di americanizzazione, evidente già nei credits di “Battles” – con il multiplatinato Howard Benson e l’ingresso in formazione di Joe Ricker al posto del dimissionario Daniel Svennson – ed ancor più dall’ascolto del dodicesimo album, caratterizzato da refrain catchy ed effettistica varia come mai in quasi un quarto di secolo di carriera. A raccontarci la genesi del disco, peraltro uscito ad una settimana di distanza dagli ex-compagni di scena Dark Tranquillity, è proprio il principale artefice della scelta, ovvero Mr. Anders ‘barba & cappello’ Friden…

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DOPO IL MOOD MALINCONICO DI “SIREN CHARMS” SIETE PASSATI ALLE ATMOSFERE PIU’ SOLARI DI “BATTLES”: QUANTO HA INFLUITO IN QUESTO SENSO IL PASSAGGIO DALLA FOSCHIA DELLA BERLINO D’AUTUNNO ALLE SPIAGGE ASSOLATE DELLA CALIFORNIA?
“Sicuramente l’ambiente circostante ha influito sul processo di scrittura: sono molto contento di quanto abbiamo fatto a Berlino, ma stavolta volevamo provare qualcosa di diverso, anche se il fatto di essere andati in California è frutto della scelta del produttore. Insieme a Bjorn ne abbiamo valutati 7-8 e, quando alla fine la scelta è caduta su Howard Benson, ci ha suggerito di raggiungerlo a Los Angeles, e così è stato: anche per questo credo ‘Siren Charms’ possa essere considerato un album più ‘freddo’ rispetto a questo”.

L’UNICA COSTANTE DEGLI IN FLAMES E’ IL CAMBIAMENTO: STAVOLTA AVETE CAMBIATO QUALCOSA ANCHE NEL PROCESSO DI COMPOSIZIONE?
“Sì, effettivamente io e Bjorn abbiamo lavorato veramente fianco a fianco come mai ci era successo, perchè Howard Benson ci ha ‘costretto’ a spedirli dei demo finiti delle canzoni. In genere infatti mettiamo giù le idee di musica e testi e poi, prima di raffinarli, andiamo avanti a scrivere; stavolta invece siamo volati in California un paio di settimane prima delle registrazioni con dei pezzi già in stadio più avanzato, e in quel lasso di tempo non abbiamo fatto che smontare e rimontare i pezzi, entrando l’uno nelle idee dell’altro con in mezzo Howard a fare da filtro chiedendoci dove volessimo realmente arrivare con un determinato pezzo o testo. E’ stato decisamente differente rispetto al passato, e non solo per i barbecue in spiaggia (risate, NdA)”.

OGNI ‘SVOLTA’ DEGLI IN FLAMES E’ STATA ACCOMPAGNATA DA UN PRODUCER (FREDRIK NORDSTRÖM FINO A “CLAYMAN”, POI DANIEL BERGSTRAND NEL PERIODO “REROUTE TO REMAIN”, ROBERTO LAGHI DA “SOUNDS OF A PLAYGROUND FADING”), PER CUI POSSIAMO DIRE CHE CON HOWARD BENSON, PERALTRO IL PRIMO NON SVEDESE, AVETE UFFICIALMENTE INIZIATO UN’ALTRA ERA?
“Penso che ogni album degli In Flames sia in qualche modo unico, ma al tempo stesso se andando a ritroso fino a ‘Lunar Strain’ si può trovare un filo conduttore in tutta la nostra discografia. Ogni volta che entro in studio cerco di fare il meglio possibile in quel momento, senza pensare a quello che è successo prima, quindi è come se fosse una fotografia di dove siamo in quel preciso momento storico. Poi certo, il produttore ha un ruolo fondamentale in questo percorso, e il fatto di cambiare sicuramente può influenzare come suona un disco, ma come detto non credo ci siano epoche diverse, semplicemente ogni album è la naturale evoluzione di quello che lo ha preceduto”.

CON “BATTLES” SIETE TORNATI AD UN TITOLO CORTO, COSA CHE NON SUCCEDEVA DAI TEMPI DI “COLONY” E “CLAYMAN”: QUALI SONO LE BATTAGLIE A CUI FAI RIFERIMENTO?
“Il fatto di avere un titolo corto è stata una scelta intenzionale, perchè volevo qualcosa che avesse un impatto immediato sulla copertina e in prospettiva anche sul merchandising. Detto questo, credo sintetizzi bene il tema delle liriche dell’album, e fa riferimento alle battaglie interiori che ciascuno di noi ha, e con cui dobbiamo imparare a convivere per poter sopravvivere a tutto quello che ci gira intorno”.

DOPO UNA VITA CON DANIEL SVENSSON AVETE APPENA UFFICIALIZZATO L’INGRESSO DI JOE RICKARD COME NUOVO BATTERISTA: COME LO AVETE RECLUTATO E COME LAVORERETE INSIEME, VISTO CHE VIVE IN AMERICA?
“Non credo si trasferirà in Svezia, ma questo non sarà un problema dato che siamo spesso in tour e quando siamo a casa non facciamo molte prove. Per quanto riguarda Daniel, è stato davvero un duro colpo per noi, dato che abbiamo suonato insieme per 18 anni ed era veramente parte della famiglia, ma d’altro canto sentiva il bisogno di passare più tempo con la sua ‘vera’ famiglia, dato che ha tre figlie e una moglie ed il tempo speso lontano da loro non tornerà indietro. Avendolo saputo poco prima di entrare in studio abbiamo dunque pensato di registrare con un session man per evitare di metterci alla ricerca di un nuovo membro durante il processo compositivo: mentre eravamo in studio con Howard abbiamo però conosciuto Joe Rickard, che lavorava lì come addetto alla programmazione della batteria elettronica e, visto che non ci trovavamo bene a suonare con una base registrata, si è offerto di provare ad accompagnarci dietro al drumkit. Così è stato, e da subito siamo rimasti impressionati dal musicista prima e dalla persona subito dopo, dato che abbiamo avuto modo di conoscerci meglio passando insieme il tempo libero durante le registrazioni. Dopo che ci ha aiutato così bene sull’album, gli abbiamo dunque chiesto se voleva venire con noi in tour, e da lì a prenderlo nella band il passo è stato breve: devo dire che è stato tutto molto naturale e semplice, non potevamo essere più fortunati di così”.

PER PROMUOVERE “BATTLES”, AVETE GIRATO DUE VIDEO ‘GEMELLI’ PER “THE END” E “THE TRUTH”, ENTRAMBI ISPIRATI AL MONDO DEI VIDEOGIOCHI…
“Siamo tutti fan dei videogame, in particolare di ‘Call Of Duty’. Volevamo qualcosa che andasse oltre il classico video, per cui parlandone con Patrick Ullaeus, il nostro storico regista ormai da parecchi anni, abbiamo trovato quest’idea di un gruppo di bambini programmati da altri ragazzini per diventare delle macchine da guerra, mentre un altro gruppi di bambini invece è impegnato prova a salvare i primi de-programmandoli per poterli restituire alla società. Mi piace molto il risultato finale soprattutto perchè è un qualcosa di diverso dal solito, oltre al fatto che uno finisce dove l’altro inizia e viceversa”.

NELLA TRACKLIST SPICCA UN PEZZO COME “WALLFLOWER”, UN UNICUUM NELLA VOSTRA DISCOGRAFIA COME LO ERA STATO “THE CHOSEN PESSIMIST”…
“In genere amiamo andare diretti al punto per cui scriviamo pezzi mediamente immediati, ma ogni tanto ci piace anche provare qualcosa di diverso. ‘The Chosen Pessimist’ era sicuramente un buon esempio in questo senso, ed è un pezzo che suoniamo spesso anche dal vivo, per rompere un po’ la routine. Io poi faccio parte della vecchia scuola, per cui mi piace pensare ad un album come un insieme di canzoni dove ogni pezzo è legato all’altro piuttosto che una compilation di singoli, per cui man mano che il disco prendeva forma mi sembrava mancasse qualcosa di questo tipo. Devo dire che non è stato un pezzo immediato da scrivere: la parte strumentale si è allungata un po’ alla volta, al punto che quando chiedevo a Bjorn se potevo iniziare a cantare mi rispondeva sempre ‘aspetta, ancora un po’!’ (risate, NdA)”.

DOPO DUE DISCHI RISPETTIVAMENTE CON CENTURY MEDIA E SONY, SIETE TORNATI CON LA NUCLEAR BLAST, CON CUI AVETE RILASCIATO UN LIVE E UN ALBUM NEL GIRO DI UN PAIO DI MESI: POSSIAMO PARLARE, ALMENO SU QUESTO FRONTE, DI RITORNO ALLE ORIGINI?
“Con i ragazzi della Century Media ci siamo trovati benissimo (nessun cenno alla Sony, NdA) e siamo ancora in contatto con molti di loro, ma ormai facciamo contratti corti e, quando è stato il momento di vagliare una nuova offerta, siamo stati felici di tornare con la Nuclear Blast, la label che più di tutte ha segnato la storia degli In Flames e ci ha permesso di arrivare dove siamo oggi, per cui non potremmo essere più contenti”.

NELL’ULTIMA EDIZIONE DEL NOSTRO FESTIVAL ABBIAMO AVUTO COME CO-HEADLINER UNA BAND MOLTO VICINA A VOI, OVVERO I DARK TRANQUILLITY: VISTA L’IMPORTANZA A LIVELLO MONDIALE DELLA SCENA DI GOTHENBURG, AVETE MAI PENSATO DI ORGANIZZARE INSIEME AD ALTRI NOMI STORICI UNA SORTA DI KNOTFEST O FAMILY VALUES IN SALSA SVEDESE?
“Sarebbe sicuramente divertente, anche se tour del genere li abbiamo già fatti agli inizi della nostra carriera (risate, NdA). Siamo cresciuti insieme e siamo ancora in contatto, al punto che qualche giorno fa ci siamo visti con Bjorn e Anders Jivarp (batterista dei Dark Tranquillity, NdA) per un barbecue, in cui ci siamo fatti ascoltare i nostri nuovi album a vicenda. Come dicevo sono davvero una grande band, oltre che nostri compagni di avventura in questo quarto di secolo, quindi sarebbe sicuramente divertente suonare ancora insieme”.

SEI NEL MUSIC BUSINESS DA ORMAI UN QUARTO DI SECOLO E NEL TEMPO HAI SVOLTO DIVERSI RUOLI (MUSICISTA, PRODUTTORE, DISCOGRAFICO): VISTO ‘DA DENTRO’ COME E’ CAMBIATA IL MERCATO MUSICALE, CON IL PASSAGGIO DAL CD ALL’MP3 ALLO STREAMING E IL RITORNO DEL VINILE?
“Sicuramente il passaggio maggiore è stato dal fisico al digitale, ma c’è ancora molta gente che vuole ‘possedere’ i dischi, a partire dal vinile. Credo il mercato sia ancora vivo e sicuramente più accessibile di un tempo, anche se l’effetto collaterale è che ora è tutto consumato molto più in fretta. Ecco, il vero peccato credo sia questo: una volta se spendevo dei soldi per comprare un disco, anche se non mi piaceva al primo giro lo ascoltavo più e più volte finché non diventava il miglior album del mondo (risate, NdA). Ora invece la gente concede 1′-15 secondi ad un disco, e se non gli piace subito passa al prossimo. Oggi da un lato è più facile fare musica ed arrivare all’ascoltatore, ma d’altro canto per lo stesso motivo è più difficile conquistarlo. Ad ogni modo, è così e non possiamo farci niente, se non adattarci al tempo che cambia”.

LA MUSICA DI “BATTLES”, COME PERALTRO VISTO NEI PRIMI DUE VIDEO, SEMBRA SPOSARSI MOLTO BENE AI VIDEOGAME: AVETE PENSATO DI COLLABORARE A QUALCHE SOUNDTRACK?
“Ancora no, ma effettivamente sarebbe un buon binomio, che peraltro ci permetterebbe di raggiugere un’audience molto vasta, anche se mai come fatto dai Dragonforce ai tempi di Guitar Hero (risate, NdA). Come dicevo prima siamo comunque tutti grandi fan dei videogame e credo che anche in quel mondo ci siano molti fan degli In Flames, quindi mai dire mai”.

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