Nati nel 2012 a Milano, gli Incudine sono diventati, nel giro di dieci anni, una solida realtà legata al mondo dell’hardcore. I protagonisti di questo progetto sono veterani del genere, avendo militato in gruppi blasonati quali Crash Box, Maze e Real Deal e, nonostante qualche cambio di formazione e le inevitabili avversità che realtà di questo tipo devono affrontare nel nostro paese, sono giunti alla pubblicazione del terzo album “Wrong Place Wrong Time”, che segue a distanza “Survive To Myself” (2013) e “Holy Parasite” (2015). Ancora una volta il quartetto ha centrato il proprio obiettivo, con pezzi potenti, diretti e cupi, ma anche aperti a sonorità esterne e si appresta a proporre le nuove creature in qualche data live.
Ne parliamo con il cantante Cesare Tondelli (Che) ed il batterista Massimiliano Cristadoro (Mox), personaggi storici che hanno molto da raccontare e la cui testimonianza va ben oltre l’esperienza degli Incudine stessi.
CIAO, COMPLIMENTI PER IL DISCO E BENVENUTI SU METALITALIA.COM. SIETE SOLO AL TERZO ALBUM MA ORMAI SIETE ATTIVI DA UN DECENNIO. CI RACCONTATE COME SONO NATI GLI INCUDINE E COME SIETE ARRIVATI A “WRONG PLACE WRONG TIME”?
– Mox: Le radici di Incudine appartengono a una gloriosa scena sorta addirittura negli anni ‘80: gli elementi che hanno fatto nascere il progetto nel 2012 si sono ritrovati alla reunion milanese degli Indigesti. Io e Cesare in veste di fondatori del progetto, poi ci hanno seguito Steve Traldi dei Rappresaglia, Luca Bonati dei Temporal Sluts e Giulio Pastoretti, proveniente anch’egli da Crash Box e Real Deal.
L’attuale line-up vede Gila, ex Maze, alla chitarra (già insieme a me nel progetto hardcore Furious Party, con Olly degli Shandon) e Adam, anche lui ex Maze. La registrazione dei brani di “Wrong Place Wrong Time” avviene nel 2022 da una precisa volontà di rendere tracciabile il lavoro concretizzato dal gruppo negli ultimi anni. L’interesse dell’etichetta specializzata Devarishi, con la pubblicazione dell’album e tutto ciò che ne consegue, ha dato nuova linfa alla nostra attività. Resta evidente quanto ognuno di noi continui ad avvertire l’esigenza di esprimersi musicalmente con questo linguaggio, indipendentemente dall’inesorabile avanzare degli anni.
TITOLO DEL DISCO E TESTI SONO INTRISI DI UN TOTALE PESSIMISMO, UNA SORTA DI INELUTTABILITA’. QUAL E’ IL MESSAGGIO CHE VOLETE DARE A CHI VI ASCOLTA?
– Mox: Se vuoi un’interpretazione pseudo-filosofica: il destino dell’umanità su questo pianeta sembra essere l’eliminazione, in un processo autodistruttivo sempre più accelerato.
La nostra attitudine – e parlo a titolo personale ma abbastanza sicuro di condividere un sentire comune del gruppo – è riassumibile in un’affermazione quasi sloganistica: “Hardcore is suffering“; il che sottintende una marcata predisposizione ad ascolti e narrazioni oscure, in risposta (o in linea) al disagio cui far fronte nel corso dell’esistenza. Ma nel contempo trovo anche che riesca in parte a farci esorcizzare gli stati di malessere…
Cesare è l’autore di tutte le liriche, spesso ispirate a letteratura e cinema, e può esporre al meglio questa visione.
– Che: Io sono sempre stato dell’idea che non dovresti spiegare nulla a chi ti ascolta. Non faccio musica per insegnare qualcosa, lo faccio perché è una mia necessità di vita. Se questa mia pulsione si concretizza in qualcosa che riesce a interessare e a stimolare chi mi ascolta, ne sono felice. Se non ci riesce amen, questo non mi ferma dal continuare a suonare. Nei testi e nella musica di Incudine ognuno è libero di trovare quello che preferisce e interpretarlo come meglio crede, l’importante è che questo ascolto lasci un segno. Per il resto, leggendo i miei testi, ci si rende conto che parlano di cose che costellano in senso più o meno drammatico le nostre esistenze: solitudini, mancanze, incomunicabilità, rimorsi, rimpianti, scomparse.
IL VOSTRO SUONO E’ OVVIAMENTE LEGATO ALLE VOSTRE RADICI MUSICALI MA NON MANCANO INFLUENZE ESTRANEE ALL’HARDCORE ED AL PUNK DELLE ORIGINI. SIETE D’ACCORDO? QUALI SONO LE BAND CLASSICAMENTE HARDCORE ALLE QUALI SIETE PIU’ LEGATI E QUALI INVECE QUELLE ESTERNE A QUEL CIRCUITO?
– Mox: Assemblare i suoni è possibile in infinite modalità, ed è un istinto o un’arte prima di essere un mero esercizio. I nostri ascolti sono ovviamente variabili, come quelli di tutti, e in particolar modo di chi suona uno strumento o canta.
Nel momento in cui traessi ispirazione da una scansione ritmica presente in un brano di Diana Ross con gli Chic, piuttosto che dei King Crimson, di Ivano Fossati, dei Goblin o dei Rainbow, andando poi a sovrapporla in un contesto che usualmente apparterrebbe ai Minor Threat o ai Disorder, fornirei una misura di quanto Incudine cerchi di muoversi in un’ampiezza decisamente maggiore rispetto ai parametri HxC Punk canonici.
Penso altresì che durante l’ascolto dei nostri brani non sia difficile rilevare venature di Cro-Mags o Germs, o Scream, o primi Raw Power, così come di Wire o Dead Kennedys…
– Che: Le influenze ‘inevitabili’ direi che sono quelle che contrassegnavano anche i Real Deal, la mia band degli anni ‘90: Cro-Mags, Underdog, Black Flag, Slayer e un certo metal di stampo sabbathiano. Poi ognuno di noi ha un bagaglio di ascolti molto vario e naturalmente alcuni spunti o soluzioni possono richiamare atmosfere non hardcore nello stretto senso della parola. Ma rimango dell’idea che noi ci sentiamo e siamo una band hardcore, magari un po’ distanti da certi stereotipi musicali che alla lunga diventano ripetitivi e non fanno bene al genere che amiamo.
IL VOSTRO ALBUM PRECEDENTE, “HOLY PARASITE”, ERA USCITO SOLO IN FORMATO DIGITALE, MENTRE “WRONG PLACE WRONG TIME” E’ STATO PUBBLICATO COME VINILE. QUALI SONO I MOTIVI DI QUESTA SCELTA? SIETE IN QUALCHE MODO LEGATI AL FORMATO FISICO DELLA VOSTRA MUSICA? VI SENTITE A VOSTRO AGIO CON PIATTAFORME TIPO SPOTIFY?
– Mox: In totale onestà, produrre dischi è un costo (non solo in termini di stampaggio). Se l’attività live o promozionale di un progetto musicale non è sufficiente per arrivare con facilità al riscontro di un pubblico, non essendoci modo di vendere le copie e recuperare l’investimento, quel costo e quello sforzo diventano una perdita.
Il recente avvento di Devarishi e Rebuilding nel percorso degli Incudine ha risolto questo fattore, rendendo sensata la pubblicazione della nostra musica anche su supporto fisico.
Poi rimaniamo comunque su Bandcamp per ampliare giustamente la possibilità di fruizione, poiché non tutti possiedono un giradischi.
– Che: La realizzazione del vinile, come ha già detto Mox, si deve unicamente all’inestimabile aiuto di Devarishi Records e Rebuilding. Abbiamo registrato “Wrong Place Wrong Time” unicamente per fermare gli anni di lavoro che avevamo alle spalle, senza alcuna speranza di poterne fare un vinile. Già in “Holy Parasite” eravamo stati costretti a rinunciare alla possibilità di dare un supporto fisico alla nostra musica, e sinceramente pensavo che anche questa volta sarebbe andata così. Poi le cose sono andate diversamente e di questo sono felicissimo e grato verso chi ci ha aiutato. Questo disco ci soddisfa completamente, sotto tutti gli aspetti.
Per quanto riguarda il discorso della fisicità della musica, io sono ancora legato al supporto. Che sia vinile o anche CD, l’importanza della tangibilità di quello che hai fatto e per cui ti sei sbattuto per anni è fondamentale. Le piattaforme musicali da un lato possono essere un mezzo per propagandare la tua musica, ma nulla può sostituire il supporto fisico. Avere un vinile (o un CD) tra le mani ti obbliga a un ascolto e a una fruizione differente, più consapevole.
MOX, TRA LE TUE ESPERIENZE MUSICALI PASSATE C’E’ STATA ANCHE QUELLA CON ROCK FM. COSA TI HA LASCIATO QUEL PERIODO? QUALE CREDI SIA IL VALORE DELLE RADIO OGGI PER CHI ASCOLTA MUSICA COME LA NOSTRA?
– Mox: Si tratta di un argomento che molti hanno ancora a cuore. Innumerevoli volte abbiamo esplicitato che l’esperienza Rock FM, osservata in un contesto di radiofonia tradizionale con diffusione nell’etere, è rimasta unica e irripetibile. Lo continuo ad affermare con cognizione di causa, perché passare brani dei Converge, dei Nile, dei Cindy Talk, di black metal (anche se in fascia tardoserale), o interminabili suite di psichedelia e progressive rock nella loro rispettata interezza, non sembra avere eguali nella storia della modulazione di frequenza, dal 1980 in avanti…
Il periodo in cui ho vissuto Rock FM da protagonista, in un cast interessante di persone molto valide (non dimentichiamo Freak Antoni, Fabio Treves o Marco Garavelli), ha rappresentato la fase della mia vita lavorativa più idilliaca e nel contempo incredibile: immaginare che condividere le musiche che preferisci con tantissima gente sia equiparato a un mestiere regolarmente retribuito suona come mera fantascienza. Non poteva durare, e infatti non è durato.
Allo stato attuale delle cose, il mezzo radiofonico ha decisamente ridotto la sua importanza, in termini di capacità di penetrazione, parimenti a quello televisivo.
Tuttavia una comunicazione come quella condotta a Rock FM sarebbe stata ancora utile per gli appassionati; di fatto al momento ad affrontare certi argomenti con la competenza necessaria nel nostro Paese sono rimasti solo Garavelli e pochissimi altri.
COSA CI PUOI RACCONTARE INVECE DELL’ESPERIENZA DEI MONUMENTUM E DEL TUO RAPPORTO CON IL BLACK METAL?
– Mox: Ai suoi albori, un giorno di settembre dell’81 in cui arrivò nei negozi la stampa italiana di “Welcome To Hell” dei britannici Venom, ebbi la fortuna di acquistarlo immediatamente e di invaghirmene in tempo reale… Da dodicenne non era difficile!
Ma MonumentuM è un’idea nata dopo un po’ di anni e di tutt’altra natura: pura ispirazione dark, la cui aderenza col movimento black metal risiede solo nell’apprezzamento che il demotape realizzato nel 1989 dalla prima incarnazione suscitò abbondantemente nei fruitori di quella scena in tutta Europa, portando il marchio nel ‘95 all’incisione di “In Absentia Christi”, con un vivo interesse delle label avvezze al genere. Il primo a manifestare la volontà di produrci fu Euronymous dei Mayhem… Dopodiché avvenne l’assurdo delitto che tutti conosciamo e l’album fu poi pubblicato in UK da Mysanthropy Records, dopo una sorta di spareggio con la Candlelight di Lee Barrett.
A parte il piacere all’ascolto di “Demigod” dei Behemoth o dei primi Cradle of Filth, e un’entusiastica quanto improvvisata partecipazione in Hanormale, super-progetto di Unconventional Black Metal tutto italiano facente capo ad Arcanus Incubus, il mio personale rapporto col genere è praticamente nullo. O meglio, si arresta ad “Under The Sign Of The Black Mark “, terzo LP di Quorthon…
MOX, HAI SCRITTO DIVERSI LIBRI SUL PROGRESSIVE, OLTRE AD AVERE UN PROGETTO A TUO NOME IN QUESTO AMBITO. COME FAI A CONCILIARE DUE GENERI SPESSO CONSIDERATI ANTITETICI COME IL PROG E L’HARDCORE?
– Mox: Innanzitutto ho vissuto in una congiunzione anagrafica tale da avermi reso scevro da ideologie o pregiudizi di sorta. Avendo assorbito ogni emanazione sonora quasi simultaneamente, ed essendomi subito innamorato dell’espressione musicale, nelle sue varietà, in quanto tale, non ho provato (specie da infante), particolare avversione per uno stile piuttosto che un altro.
Ancora alle scuole elementari, i miei ascolti compulsivi pomeridiani vertevano su suoni, testi e vibrazioni di: Patti Smith, J.M. Jarre, Abba, Deep Purple, Vecchioni, Goblin, Ramones, il primo album dei Decibel, Devo, Black Sabbath, Pink Floyd, Jethro Tull, Tom Robinson Band, Venditti, Queen, Finardi, Lou Reed, Kraftwerk, A. Radius, Elton John, Ultravox con J. Foxx, Le Orme, Bowie, Mia Martini, Dalla, Battisti, Bee Gees, Battiato, Faust’O, Tangerine Dream, Sweet, Kate Bush, Baciotti, Moroder, Donna Summer, etc…
Durante gli ‘80 seguivo assiduamente il metal, l’hardcore punk e ho approfondito ulteriormente progressive rock, psichedelia, la cosiddetta ‘musica d’autore’ e ancora l’evoluzione dell’elettronica. Ho istintivamente compreso quanto l’arte sia equiparabile a una dieta: entusiasma se varia ed evolve, annoia se gli ingredienti di un piatto si ripetono ossessivamente nella quotidianità. Ciò che ho sempre preferito rilevare in concreto è stata quella linea di continuità tra le generazioni dei giovani musicisti, sottolineando le affinità che hanno accomunato le realtà nelle loro intenzioni socio-politiche e attitudinali, piuttosto che le divergenze nella modalità stilistica, adottata per esprimere medesimi concetti e visioni della vita.
Ad esempio, in Italia sono stati portabandiera di liriche anarchiche/anticlericali/antipotere, contro ogni violenza e di attitudine ecologista, tanto nomi come De André o Gaber (e questo è risaputo), quanto band come Jumbo, Biglietto Per L’Inferno, Stormy Six, Alusa Fallax, Napoli Centrale, o Banco… senza dimenticarsi di Area e quasi tutto il giro Cramps o dell’Ultima Spiaggia. In seguito il filo è stato ereditato da Wretched, CCM, Negazione, Kina, BedBoys, Upset Noise, Raw Power o Infezione Di Modena, pur modificandone il linguaggio sonoro e divulgativo.
Così come Claudio Rocchi e Franco Battiato erano vegetariani, esattamente come i Crass, gli Earth Crisis, i Carcass o i Gojira. Non ultimo, sul fronte meramente sonoro diversi gruppi hanno anticipato le intenzioni poi sviluppate negli anni successivi, in ambiti apparentemente antitetici. In una visione non superficiale e lungimirante quindi, hardcore punk e classic rock sono facce di una medesima medaglia: Lee Dorrian ha cantato nei primi due album dei Napalm Death, decretando praticamente lo stile grindcore, ed è un immenso appassionato e collezionista di grande psichedelia, progressive rock e hard delle origini, da ogni angolo del globo.
L’artista preferito in assoluto di un fondatore dei Cheetah Chrome Motherfuckers (Antonio Cecchi) è Frank Zappa. Il disco omonimo del Biglietto Per L’Inferno lo ascoltai per la prima volta grazie a una cassetta che mi diede il cantante dei milanesi Wretched.
Poi vogliamo parlare di dischi come “Torture Garden” dei Naked City, follia grind concepita da musicisti jazz? O delle prodezze di Mike Patton? E di esempi così ce ne sono migliaia.
NELLA TUA CARRIERA HAI CONOSCIUTO MOLTI ARTISTI ITALIANI ED INTERNAZIONALI DI UNA CERTA CARATURA. HAI QUALCHE ANEDDOTO DA RACCONTARCI?
– Mox: Una grande fortuna e un’iniziale incredulità nel constatare che personaggi seguiti da ammiratore viscerale fin dagli anni ’70 si siano poi materializzati fisicamente sul mio percorso. Come dici tu, i nomi sono tanti. Così numerosi che se dovessi provare a citarli tutti ne tralascerei sempre qualcuno… Ian Anderson, Keith Emerson, Ian Paice, Nick Cave, Lisa Gerrard, Tom Araya, Serj Tankian, Fish, Marky Ramone, Steve Hackett, Michael Schenker, Steven Wilson, Nergal, Glenn Hughes, Jon Anderson, Joe Bonamassa, Peter Steele, Dave Grohl, Carmine Appice, Harley Flanagan, Ray Cappo, Arjel Lucassen, poi i membri essenziali di PFM, Area, New Trolls, Banco, le Orme, Biglietto, Goblin, R.R.R., Antonius Rex, Balletto, Rovescio, Finardi, Faust’o, Ruggeri, Nada, Baglioni, Venditti, Gaber, Vecchioni, Camerini, Franco Fabbri, Rocchi, Cattaneo, Lanzetti… Potendo constatare che con molti artisti si può condividere, anche se a volte fugacemente, uno scambio emozionale, oltre che culturale o ludico.
Un giorno Marc Bell, noto per la lunga militanza nei Ramones, ha chiesto a me una copia di un disco in cui lui ha suonato nel ‘73, dopo averglielo fatto ascoltare durante un’intervista, perchè si era reso conto che gli mancava. Conservo una bottiglietta d’acqua minerale da cui ha bevuto Ian Anderson, dopo averlo intervistato (così ho il suo DNA). Ho trascorso una nottata con Michele Zarrillo dei Semiramis, nell’improbabile luogo di Campione d’Italia. Ho trascorso un pomeriggio prima di un concerto dei Cro-Mags in Veneto in compagnia di Flanagan e J. Joseph, quando erano ancora in amicizia. Francesco Di Giacomo mi dimostrò un’empatia e un rispetto non comuni, in diretta radiofonica. Ho fatto due chiacchiere con un umilissimo Dave Grohl prima di un concerto degli Scream al C.S. Leoncavallo di Milano. Nel camerino di un locale a Zurigo abbiamo aperto una bottiglia di rosso con Peter Steele…
Solo alcuni infinitesimali ricordi. É sempre bene ricordarsi il monito del grande giornalista Lester Bangs: “Un artista non è un tuo amico”. A me però in qualche caso è capitato il contrario, e non menziono i nomi per mera discrezione.
CESARE, INVECE, HAI AVUTO UNA CARRIERA PIU’ LINEARE E LEGATA ALL’HARDCORE ED AL PUNK. COSA SIGNIFICA PER TE SUONARE QUESTO GENERE?
– Che: Sono nato con il punk, che poi è sfociato nell’hardcore agli inizi degli anni ’80. Per me questi due generi musicali sono sempre stati sinonimi di libertà espressiva, e non ho mai sopportato chi, in tempi passati e forse anche presenti, si arroga il diritto di stabilire le giuste coordinate del punk o dell’HC. Per me suonare punk/HC vuole dire mantenere una coscienza critica ed indipendente su tutto, senza accettare schemi prestabiliti o divise da indossare. Purtroppo vedo che il conformismo di un certo ecumenismo mentale che ci vuole tutti ‘politically correct’ e inoffensivi ha intaccato anche questo ambito musicale. Ma questo è un discorso molto più ampio che riguarda anche la società odierna, e non mi sembra il caso di dilungarmi oltre in questa sede.
CHE DIFFERENZE CI SONO TRA LA SCENA ATTUALE E QUELLA DEI TUOI ESORDI? LE BAND SONO ANIMATE DALLO STESSO SPIRITO? PENSI CHE IL MESSAGGIO SIA ANCORA ATTUALE E CHE POSSA ESSERE COMPRESO DA NUOVE GENERAZIONI CHE PARLANO UN LINGUAGGIO DIVERSO E UTILIZZANO MEZZI DIFEERENTI?
– Che: Penso di essere la persona meno adatta a parlare di ‘scena’. Nel mio percorso musicale, che dura ormai da parecchio, mi sono sempre sentito una specie di outsider. Suonando ho fatto delle belle esperienze e altre meno belle, ma non mi sono mai sentito veramente coinvolto dai discorsi sulla scena. Anche perché, persino negli anni ’80, c’era chi predicava bene e poi razzolava male, parlava di unità e pensava esclusivamente agli affari propri. Quindi mi sono lasciato alle spalle molto velocemente il concetto di scena.
In quanto al presente, trovo fantastico che esistano ancora dei gruppi che suonino hardcore, post-hardcore, metalcore etc. etc., pur sapendo che questo genere non godrà mai del riconoscimento o della popolarità che ha toccato altre forme musicali.
Tra le nuove generazioni c’è per fortuna chi crede ancora nella forza espressiva di questa musica, che comunque rimarrà sempre una nicchia nell’ambito di un panorama musicale molto vasto ma anche molto livellato al basso.
SAPPIAMO CHE, AVENDO VISSUTO FUORI DAL NOSTRO PAESE, HAI SUONATO IN PIANTA STABILE ALL’ESTERO, QUANDO MILITAVI NELLE FILA DI UN’ALTRA BAND. TROVI CHE SIA DIVERSO RISPETTO A SUONARE IN ITALIA?
– Che: Ho trascorso una parte della mia vita in Svizzera e con i Real Deal abbiamo suonato spesso in Germania, Svizzera e Austria. La differenza con l’Italia era abissale: a parte la serietà con cui venivano organizzati i concerti, il rispetto e la considerazione per chi faceva centinaia di chilometri per venire a suonare nel tuo posto, grande o piccolo che fosse, erano garantiti. E non parlo solo di compenso economico (che veniva pattuito e rispettato) ma quanto di atteggiamento e collaborazione.
All’epoca invece suonare in Italia significava andare incontro a problemi di ogni sorta, disorganizzazione e nella peggiore delle ipotesi anche mancanza di rispetto da parte degli stessi cosiddetti organizzatori. Ragion per cui chiudemmo molto presto con l’Italia e ci concentrammo solo sui paesi che ti ho citato.
Sto parlando di un’epoca in cui non c’era Internet e tutto veniva concordato e organizzato con brevi telefonate e lunghe lettere. Eppure, stranamente, tutto funzionava lo stesso.
TRA I GRUPPI IN CUI HAI MILITATO CI SONO GLI ERODE, CON TESTI POLITICIZZATI E BRANI CHE SONO DIVENTATI UNA SORTA DI INNO DELLE CURVE (“FRANA LA CURVA”). COME RIVEDI QUESTA ESPERIENZA? ESISTE ANCORA QUALCOSA DI SIMILE?
– Che: La prima regola degli Erode è che non si parla degli Erode (fa riferimento al film “Fight Club”, ndr). Penso tu abbia riconosciuto la citazione… Mi spiace ma di quel periodo non intendo parlare.
CONCLUDIAMO CON UNO SGUARDO AL FUTURO: PER ORA AVETE SUONATO RARAMENTE DAL VIVO, PENSATE DI INTENSIFICARE LE VOSTRE ESIBIZIONI? AVETE QUALCOSA IN PROGRAMMA?
– Mox: Solo in parte dipende da noi. Facendoci trasportare da una proficua, seppur minimale ondata di eventi positivi (strano a dirsi), noi pensiamo principalmente a dar sfogo alle nostre pulsioni suonando. Per cominciare domenica 12 febbraio saremo nella nostra città, Milano, sul palco dell’ Headbanger’s Pub. Ci vediamo lì…
– Che: Se riusciremo a trovare situazioni in cui suonare decentemente lo faremo più che volentieri. Certo che se devo fare ore di viaggio per andare a suonare in posti con impianti inesistenti, spie rotte e due birre come compenso, lascio ad altri questo onore.