INFECTION CODE – Il Caos Della Fine

Pubblicato il 19/01/2011 da

“Triste come il grigio, puro come il bianco, buio come il nero. Un arcobaleno che crolla. Verso la ‘Fine’”. Riprendiamo direttamente e volutamente le parole conclusive della recensione ad esso dedicata per introdurre questa intervista alla scoperta di “Fine”, il disco che ha segnato il graditissimo e grandioso ritorno in pista dei piemontesi Infection Code, una band che certamente si è evoluta con passi da gigante nel corso della propria carriera, per ora culminata con quello che è sicuramente il suo lavoro più maturo, sfaccettato e sperimentale. Ai nostri virtuali microfoni, ecco Gabriele Oltracqua, voce dedicata e appassionata del Codice…

DUNQUE, GABRIELE, SONO PASSATI TRE ANNI DAL VOSTRO ORMAI PENULTIMO LAVORO, “INTIMACY”. COME AVETE TRASCORSO QUESTO TRIENNIO E QUANDO VI SIETE SENTITI PRONTI PER METTERVI ALL’OPERA PER UN NUOVO DISCO?
“Tre anni possono essere tanti o pochi, dipende dalle esigenze di una band. Siamo un gruppo di persone che ha altro nella vita oltre la musica. Per forza di cose o per scelta la musica rimane la passione, il sacrificio, un bisogno da soddisfare quando chiama. In questi tre anni questo bisogno, ovvero l’urgenza di dare un seguito ad ‘Intimacy’, è arrivato come un fulmine a ciel sereno. Inaspettato. Per un lungo periodo l’ispirazione è andata in malora. Agonizzante. Agonizzata dalle cose della vita quotidiana che non ci hanno permesso la giusta dedizione nella stesura dei pezzi. L’ispirazione è arrivata circa un anno fa. Autunno, periodo dove tutto muore e si assopisce. Periodo dove la creatività nostra si risveglia e si rinvigorisce alla luce di un neon, al calore di una valvola ed al luccichio di una spia. Abbiamo acceso gli strumenti e ‘Fine’ è nato. Di getto. Vomitato. Un urlo liberatorio durato un anno”.

SIETE SEMPRE STATI UN GRUPPO TRASVERSALE TRA GENERI, A CAVALLO TRA HARDCORE, DEATH METAL, INDUSTRIAL, NOISE E ALTRO ANCORA. DOPO TANTI ANNI SULLA E NELLA SCENA, A VOI STESSI COME PIACE DEFINIRVI O DESCRIVERVI?
“Semplicemente, e forse sarò banale, Infection Code. Abbiamo fatto sempre tutto ciò che ci passava per la testa. Sbagliando, facendo errori di valutazione, passi affrettati, istintivi nella composizione, frutto di inesperienza e tanto entusiasmo. Questo soprattutto agli inizi. Ora, con un po’ di anni in più e qualche capello grigio che spunta nella nostra diradata chioma, abbiamo imparato ad essere più riflessivi. Ciò non toglie che andiamo avanti sempre con il cuore in mano. Che non ragioniamo ma viviamo. La nostra musica la viviamo visceralmente. Nel profondo. Ci piace metterci in gioco e sperimentare. Ci annoiamo a fare un album simile all’altro. Ci stanchiamo presto della musica che ci circonda e di quella che componiamo. Siamo sempre alla ricerca di nuovi luoghi da esplorare. Questa è la nostra peculiarità. Forse. Comporre e mettere noi stessi nelle canzoni. Quei noi stessi del momento. Un fermo immagine. Una fotografia che ci raffigura in quel determinato momento. Noi siamo questo. Al di là delle mode, delle influenze, dei gusti, ho la presunzione di affermare che siamo unici. In tutto. Siamo il tutto ed il nulla. Che piaccia oppure no. E’ la nostra natura”.

LA PRESENTAZIONE CHE AVETE PREPARATO PER “FINE” DIREI CHE E’ MOLTO ELOQUENTE: VI IDENTIFICATE COME ALLA FINE DI UN PERCORSO DI RICERCA MUSICALE ED INTROSPETTIVA, OLTRE IL QUALE ESISTE L’INDEFINITO. PER LIBERARE IL CAMPO DAGLI EQUIVOCI, GLI INFECTION CODE ANDRANNO AVANTI O IL TITOLO “FINE” PUO’ VOLER DIRE QUALCOSA?
“Ogni volta che finivamo di comporre un album non sapevamo se ci sarebbe stato un futuro. Il nostro processo di composizione, registrazione e realizzazione è sempre molto estenuante e stancante. Considerando che facciamo questo nei ritagli di tempo. Sottraendo tempo alle persone che ci stanno vicino, che ci amano e che ci supportano e sopportano. Non sappiamo se ci sarà un seguito. Viviamo alla giornata. Il titolo ‘Fine’ non significa questo, o almeno solo in parte potrebbe avere questo significato. Un altro che mi preme spiegare è che con questo titolo vogliamo evidenziare la nostra svolta. Una strada indefinita ora, ma che intravediamo tra le nebbie di una composizione futura che, se mai ci sarà, porterà buoni frutti. Un’altra via per ora poco esplorata. Un sentiero che forse intraprenderemo portando con noi l’esperienza, gli errori ed i ricordi di questi undici anni. Undici anni di passione, sacrifici, sfighe, gioie, tanto rumore e, nonostante tutto, momenti indimenticabili”.

VENIAMO AL DISCO, ALLORA, PARTENDO DAI DETTAGLI, TIPO LA COPERTINA E APPUNTO IL TITOLO: QUALE SIGNIFICATO HANNO? SOPRATTUTTO PER LA COVER, IN UN ALBUM I CUI BRANI HANNO TUTTI A CHE FARE CON IL COLORE, COME MAI AVETE SCELTO IL VIOLA?
“Come ho accennato prima, il titolo può avere molteplici significati. Lasciamo all’ascoltatore una sua interpretazione. Può essere la conclusione di qualcosa. Ma cosa? La nostra carriera, che molti si augurano? O la fine di un ciclo artistico? O semplicemente il gioco della traduzione in inglese. Ognuno è libero di interpretare e arrivare ad una propria conclusione. Tutti i titoli ed i testi rappresentano la vita e descrivono la vita dell’uomo medio messo davanti a delle scelte. Costretto a scegliere. Messo a nudo di fronte alla cruda realtà. Messo in croce e sacrificato agl’ideali in cui credeva e che ora lo hanno tradito. Ho voluto rappresentare quest’uomo e descriverlo attraverso dei colori, il nero, il bianco, il rosso, il grigio. I primi due contrastanti. Il dualismo tra la purezza e la corruzione dell’animo. La sporcizia del mondo. Il rosso è il colore della passione e del suo sangue. Tracce ematiche della sua esistenza persa in un campo di battaglia che è poi la quotidianità. Il grigio è l’abominio della speranza perduta. Il lasciarsi andare senza tregua. Senza più forze. Inerme e verme strisciante inerte. Il viola è la summa, non cromatica, di tutta questa raffigurazione. E’ il colore del lutto. Della Fine di esistenza, non terrena ma intellettuale e morale. Quest’uomo è arrivato alla Fine”.

COME VI SIETE APPROCCIATI ALLA COMPOSIZIONE? AVEVATE PIANIFICATO TUTTO A TAVOLINO OPPURE L’IMPROVVISAZIONE E’ STATA REGINA?
“Quando è arrivata l’ispirazione è stata una botta di vita. In mente e nell’animo avevamo qualche idea assopita ed addormentata. Ma non abbiamo mai avuto il coraggio di affrontarle e vedere cosa sarebbe uscito. Ci siamo sbloccati. Abbiamo messo in discussione tutto. Prima di tutto noi stessi come persone. Il nostro rapporto. La carriera musicale. Ci siamo guardati negli occhi. Ed improvvisamente ‘Fine’ è nato. Un anno di lavoro duro dove abbiamo arrangiato, stravolto, tagliato, cucito, provato, buttato, ripreso, registrato, cancellato, rivalutato, litigato. Un anno dove abbiamo vissuto. La nostra vita e la musica che stava nascendo. E’ stato un processo sfiancante. Non sarebbe successo nulla se non fosse arrivata l’ispirazione. A tutti contemporaneamente. Se non si fosse creata quell’atmosfera che solo noi quattro sappiamo conoscere e riconoscere. E’ bastato aprire la porta della saletta. E farla entrare”.

DUE BRANI MI HANNO COLPITO MOLTO, I DUE PIU’ LUNGHI, “GREY” E “PAINTING MY LIFE”. IN PARTICOLARE, IL PEZZO DI CHIUSURA LO RITENGO UN PO’ LA SUMMA DELLE VOSTRE SONORITA’ NEL 2010. CE NE PUOI PARLARE?
“Sono i pezzi che vogliamo coccolare e che ci hanno lasciato sorpresi per come sono venuti fuori. All’improvviso, dopo qualche jam e arrangiamento, suonavamo perfetti. Abbiamo tolto. Non aggiunto. Siamo stati bravi nel togliere strati di musica e abbiamo reso i due pezzi più lineari e minimali, se mi passi il termine. Come gli altri sono gli Infection Code del 2010. O meglio, sono un’altra sfumatura e colore degli Infection Code. Penso che ‘Fine’ sia l’album più poliedrico e vario che abbiamo fatto. Un album organico, comunque ben rappresentato da ciò che siamo stati finora. Nell’anno di grazia 2010”.

LA COVER DI “CUPE VAMPE” DEI CSI E’ CERTAMENTE UNO DEI PEZZI PIU’ RIUSCITI DEL LAVORO. NON OFFUSCA PER NIENTE I VOSTRI BRANI, PERO’ ALLO STESSO TEMPO RIESCE A DARE ALL’ORIGINALE UNA CHIAVE DI LETTURA DAVVERO ECCEZIONALE. COME L’AVETE CREATA E SVILUPPATA?
“Grazie davvero per il complimento. Eravamo un po’ spaventati all’ inizio. Avvicinarsi a dei mostri sacri come i CSI, che per noi e per molti penso sono stati il rock d’autore per eccellenza. Prendere una loro canzone-simbolo e stravolgerla ci ha fatto riflettere. Ma ormai la miccia era stata accesa e, passate le titubanze iniziali, scaturite da un nostro personale rispetto verso Ferretti & Co., ci siamo avventati su ‘Cupe Vampe’ e lo abbiamo violentato con rumore, elettronica, urla, sussurri, bassi distorti e batterie marziali. Ci siamo sfiancati. Energie che fluttuavano e si esaurivano. Ma il risultato è stato davvero eccezionale. L’elettronica ha svolto un ruolo molto importante. Ha creato una nuova ‘Cupe Vampe’ senza però snaturarla. In questo pezzo è stato importante lavorare tanto con l’elettronica. Volevamo ottenere un brano che si discostasse un po’ dai classici canoni rock impostati su basso-chitarra-batteria”.

DARE IL LA ALLA TRACKLIST CON UNA SORTA DI MANTRA SCHIZOIDE E DISTURBATO QUALE “VARNISH” NON E’ UN PO’ AZZARDATO? PERSONALMENTE L’HO APPREZZATO SUBITO, MA COME OPENING-TRACK PARE PIUTTOSTO OSTICA…
“’Varnish’ è nata per ultima ed è stata creata proprio con quel compito. Come opening-track per il disco. Sì, forse è un po’ azzardata ma rispecchia ciò che è ‘Fine’. Vogliamo preparare l’ascoltatore. Avvisarlo a cosa va incontro ascoltando ‘Fine’. E poi non ci piaceva assolutamente iniziare con un pezzo che potesse essere scontato, classico per quanto riguarda la struttura. ‘Varnish’ non ha nessuno schema, è puro rumore catartico. Rumore nero che rapisce. Rumore schizoide ed incontrollato”.

ARRIVIAMO ALLE LYRICS: IL FIL ROUGE MI PARE EVIDENTE SIA IL COLORE. DI COSA PARLI IN “FINE” E QUALE MESSAGGIO VUOI ESPRIMERE?
“I testi rappresentano, come sempre è stato per gli Infection Code, pensieri e considerazioni riguardanti la figura dell’uomo all’ interno della società in cui opera. Questa volta, a differenza degli altri dischi, sono riflessioni rapportate alla mia vita. Ho messo me stesso al centro di questa società. Ho usato la mia persona come modello per vestire gli abiti che descrivo in tutti i testi. I colori mi hanno aiutato meglio a focalizzare ciò che volevo rappresentare. Ne ho usati quattro. Il bianco in ‘All Colours’, il rosso in ‘Collapse Of The Red Side’, il grigio in ‘Grey’ ed il nero in ‘Black Glue’. In una guerra cromatica esistenzial-artistica che è ‘Painting My Life’ e la poliedricità tossica ed acida in ‘Varnish’. Non c’è speranza, ma neppure nichilismo filosofico, solo tanta realtà. Disillusione che uccide il sogno. Cruda e spietata ovvietà umana”.

INVECE ATTRAVERSO LA MUSICA QUALI SENTIMENTI/SENSAZIONI VI PREME PIU’ FAR ARRIVARE ALL’ASCOLTATORE?
“Non ci preoccupiamo di ciò che potrebbe arrivare all’ascoltatore quando componiamo. Scriviamo in totale libertà emotiva ed artistica, non facendo troppa attenzione a ciò che esce dai nostri strumenti. Ogni cosa che scriviamo esce motivata da un mood oscuro, tetro e claustrofobico. Un magma sonoro a cui non possiamo sottrarci. E’ il nostro istinto che parla quando siamo in saletta e componiamo. Non decidiamo ciò che sarà. Perché è già stato prima nei nostri cuori e nella nostra anima”.

COME E’ STATO LAVORARE CON UN PERSONAGGIO DI FAMA ANCHE EXTRA-METALLICA QUALE ERALDO BERNOCCHI? COSA GLI AVETE DETTO/CHIESTO E LUI COSA VI HA DETTO/CHIESTO?
“Non ti nascondo che quando, ai tempi di ‘Intimacy’, Eraldo ci fece i complimenti per il disco non volevamo crederci. Siamo fan dei suoi dischi, della sua arte, del suo modo di trattare la musica. I nostri mondi all’apparenza potrebbero essere distanti, ma così non sono. Dopo ‘Intimacy’ ci siamo ripromessi che, se avessimo fatto un altro disco, ci saremmo risentiti. Dopo la composizione di ‘Fine’, quindi, lo abbiamo contattato. Sarebbe stato un sogno poter aver Eraldo come produttore. Non siamo ragazzini che vanno fuori per il nome del produttore. Volevamo un certo tipo di suono per ‘Fine’. Cambiare abito ma rimanere sempre noi stessi. Volevamo unire la nostra pesantezza ed asprezza con un lavoro più morbido, organico e comunque elegante. Eraldo è riuscito a donare al disco un taglio più rock, risaltando l’elettronica ed il rumore senza renderlo troppo ossessivo ed invadente. Un suono più potente, dinamico e lontano dai cliché standard del metal. Qualunque metal sia. Penso che ci sia riuscito egregiamente. Ci ha chiesto di essere noi stessi e di fare ciò che sentivamo. Abbiamo trascorso giorni intensi che ci hanno arricchito dal punto di vista umano e professionale”.

A QUESTO PUNTO POTREBBE ESSERE ANCHE INUTILE, MA NON RESTA CHE CHIEDERTI QUALI SARANNO LE VOSTRE PROSSIME MOSSE… CONCERTI, TOUR?
“Le solite cose. Faremo qualche data per portare live ‘Fine’ e poi tutto morirà”.

DAVVERO GRAZIE, GABRIELE, E’ STATA UN’INTERVISTA MOLTO SPONTANEA E DIRETTA. TI LASCIO TERMINARE COME PREFERISCI…
“Grazie per lo spazio dato alla Bestia”.

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