INFECTION CODE – Nubi di zolfo

Pubblicato il 30/01/2024 da

Gli alessandrini Infection Code stanno vivendo un momento alquanto positivo, almeno se osservato dall’esterno, della loro tumultuosa, lunga carriera musicale. Il nome della band negli ultimi tempi ha iniziato a girare con maggiore regolarità rispetto al passato e non più solo nei circuiti ultra-underground; l’attività live sta aumentando e le nubi da sempre all’orizzonte del futuro dei Nostri sono perlomeno scariche di pioggia.
Frutto, tale situazione, del ‘martellamento’ discografico degli ultimi tre dischi, usciti a breve distanza uno dall’altro e forieri di una versione quanto mai metallica e malvagia dei nostri portabandiera, il cui death metal di stampo industrial-thrash va tingendosi sempre più di grigio antracite. Abbiamo parlato del presente del gruppo nostrano, ‘solare’ quanto mai lo è stato di recente, con il nostro habitué Gabriele Oltracqua, al solito schietto e appassionato quando c’è da raccontare le sorti della sua creatura.

CIAO GABRIELE, ORMAI È DIVENTATO UN PIACEVOLE APPUNTAMENTO FARE QUATTRO CHIACCHIERE IN OCCASIONE DELL’USCITA DI UN VOSTRO NUOVO DISCO, EVENTUALITÀ CHE SI RIPETE DA QUALCHE ANNO CON UNA SORPRENDENTE REGOLARITÀ. CON L’ENNESIMA NUOVA FORMAZIONE DEGLI INFECTION CODE, PERÒ, L’IMPRESSIONE È CHE QUALCOSA ABBIA DAVVERO MESSO LA FRECCIA E SIA ENTRATO IN CORSIA DI SORPASSO. MI DAI LE TUE SOLITE SCHIETTE IMPRESSIONI SU QUESTO MOMENTO DELLA BAND?
– Ciao Marco, prima di tutto vorrei ringraziarti e ringraziare tutta la redazione di Metalitalia.com per il supporto costante che hai e avete dato alla band in tutti questi anni. Non è da tutti. Davvero, grazie di cuore.
Tornando alla tua domanda ti rispondo con una riflessione: in cinque anni, dall’inizio del 2018 ad oggi, con pandemie, guerre, carestie, tanti cambi di line-up avvenuti come se piovesse, abbiamo scritto, composto e registrato quattro dischi. Senza l’aiuto di nessuno. Con le nostre forze e la nostra passione. Una cosa da pazzi… Ma infatti ho la sensazione che non siamo tanto sani di mente! Affermazione un po’ manowariana, ma detto questo ti posso assicurare che con “Sulphur” le cose si sono fatte molto più serie. Non che prima non lo fossero, ma ora un po’ di cose sono cambiate. Una formazione finalmente stabile con cui abbiamo scritto “Sulphur”, un nuovo contratto discografico, qualche possibilità concertistica concreta e non troppo raffazzonata.
Insomma, diciamo che l’avventura Infection Code sta procedendo bene. Con buoni sviluppi sul futuro. Non so se abbiamo messo la freccia, non so se abbiamo raggiunto un livello più alto. Siamo sempre una piccolissima band underground italiana che cerca di lavorare sodo per proporre nel modo più professionale possibile il proprio messaggio musicale.

IL CAMBIO DI BASSISTA, DA DAVIDE PEGLIA AD ANDREA RASORE, ERA NELL’ARIA OPPURE È STATO PIÙ UN FULMINE A CIEL SERENO? COME SI È INSERITA LA NEW ENTRY NEL GRUPPO? AMMETTO CHE COME IMPATTO VISIVO ORA SEMBRATE PIÙ SPORCHI E CATTIVI CHE MAI, UN’IMMAGINE CHE VA DI PARI PASSO CON LA MUSICA, DICIAMO.
– L’uscita di Davide è avvenuta nel mezzo delle registrazioni di “Sulphur”, proprio quando Ricky (Porzio, ndR) terminò le parti di batteria e sarebbe toccato a Davide dover incidere. È stata una doccia fredda, un fulmine a ciel sereno. Abbiamo cercato in tutti i modi di convincere Davide a rimanere con noi, non tanto per il discorso registrazioni ma perché nel corso degli anni è stata fondamentale la sua presenza, come è stato importante il suo apporto quando è entrato nel 2018 sostituendo Enrico (Cerrato, ex basso e campionamenti, ndR), figura storica all’interno della band.
Davide ha preso una decisione per motivi personali che non possiamo e non dobbiamo discutere, e che rispettiamo. Possiamo solo ringraziarlo davvero tanto per quello che ha fatto per la band e per ciò che ha portato. Le parti in studio sono state completate da Chris (Perosino, ndR) che, oltre alla chitarra, si è sobbarcato le registrazioni di tutte le linee di basso.
Nel frattempo ci siamo messi alla ricerca di un bassista. Si sono presentati alcuni musicisti molto validi. Ed abbiamo trovato Andrea, persona splendida, umile e con un gran bella botta sullo strumento. Si è subito messo sotto a studiare i brani e dal vivo ha saputo dare un contributo molto dinamico e cattivo, come hai accennato tu poco prima. Nonostante Andrea sia più musicale ed armonico di Davide, ha comunque un’attitudine molto sporca e viscerale sulle ritmiche. Abbiamo, e qui mi tocco, finalmente una lineup coesa, che sa quello che vuole.

PARLIAMO UN PO’ DELLA GENESI E DELLA COMPOSIZIONE DEL NUOVO “SULPHUR”, CHE VEDE PER LA PRIMA VOLTA AL SONGWRITING IL CHITARRISTA CHRIS PEROSINO. MI SEMBRA ABBIA INTRODOTTO INFLUENZE ALLO STESSO TEMPO PIÙ MELODICHE E PIÙ ESTREME, DONANDO PIÙ VARIETÀ AD UN SOUND CHE PERMANE SEMPRE MOLTO PESANTE ED OPPRIMENTE. RACCONTACI UN PO’ DELL’ULTIMO PERIODO CREATIVO.
– Quando facemmo l’intervista per “Alea Iacta Est”, “Sulphur” era per metà già composto. Chris è arrivato a fine 2021, subito dopo le registrazioni dell’album precedente. Avevamo due strade da percorrere: promuovere il disco e contemporaneamente comporre nuovi brani per un successivo lavoro. Diciamo che, fino a che siamo riusciti, abbiamo intrapreso entrambe le strade con un grande lavoro da parte di Ricky e Chris. A metà del 2022, infatti, “Sulphur” era praticamente finito. Questo grazie anche e soprattutto al grande entusiasmo di Chris ed alla nostra voglia di uscire con un prodotto che potesse presentare le nuove vesti sonore degli Infection Code.
Non ti nascondo che ci sono stati momenti molto intensi, frenetici e carichi. Abbiamo lavorato molto in fase di composizione e scrittura e poi siamo entrati ai The Cat’s Cage Recording Studios con Francesco Salvadeo a gennaio 2023. È innegabile che Chris abbia portato tanto entusiasmo e voglia di scrivere nuove canzoni. È un chitarrista molto dotato, tecnicamente e a livello ritmico, e ha una fantasia e creatività molto spiccate. Ha dato al suono della band più melodia ed un certo tipo di epicità nordica con parti di chitarra che prima mai ci saremmo sognati di avere. Il processo compositivo di “Sulphur”, come ho accennato prima, è stato molto intenso perché la voglia e l’entusiasmo di Chris sono stati determinanti. Possiamo dire che con lui abbiamo trovato la quadratura del cerchio.

IL TITOLO “SULPHUR”, FACILMENTE RICONDUCIBILE AD ATMOSFERE INFERNALI, MALSANE E CAOTICHE, COME SI COLLEGA ALL’ARTWORK PREPARATO E A QUELLE CHE SONO STATE LE TUE RIFLESSIONI DA METTERE SU TESTO?
– È stata un’idea di Ricky. Stavamo riflettendo su quale titolo usare. Le soluzioni erano molte ma tutte si legavano ai testi che ho scritto e sarebbe stato un po’ troppo semplicistico dare un titolo che richiamasse i testi. Così abbiamo deciso per “Sulphur”, che non è direttamente collegato ai testi e neppure all’artwork.
Ci si arriva con piccoli passaggi: lo zolfo in alchimia è il fondamento per creare altri metalli ed altri elementi, è ciò che può trasformare e trasformarsi in altre entità. In filosofia alchemica lo zolfo simboleggia il fuoco, la luce, il principio da cui tutto prende forma e sostanza.
Nel nostro piccolo, abbiamo preso riferimento a questo elemento per paragonarlo a tutto ciò che musicalmente abbiamo scritto e a ciò che è contenuto in queste nove canzoni. Sono il principio da cui tutto, nei laboratori della band, è nato. Un segno tangibile di ritornare alle origini. Alle nostre origini metal. Quelle con cui siamo cresciuti e con cui ci siamo evoluti. I testi e l’artwork hanno un significato più complesso e sono collegati tra loro analizzando proprio il senso che abbiamo voluto dare al titolo dell’album.

RIMANGO SUI TUOI TESTI, PERCHÉ ANCHE NELLA LORO EVOLUZIONE SI SPECCHIA MOLTO QUELLA DELLA BAND. NEL PERIODO DEL CANTATO IN ITALIANO E DELL’INDUSTRIAL CRIPTICO E DILATATO, ERANO QUASI ESPLICITAMENTE DI STAMPO POLITICO, SEI D’ACCORDO? MENTRE ORA, TORNATO ALL’INGLESE DEGLI ESORDI, DA COSA TI LASCI INFLUENZARE E TRASPORTARE MAGGIORMENTE?
– Ti ringrazio, Marco, per aver notato questo cambiamento.
Nel periodo più sperimentale della band, che coincide con i due album cantati in italiano (“La Dittatura del Rumore” e “Dissenso”), i testi avevano un taglio diverso. Non lo definirei politico, ma storico e sociologico. Ho cercato di descrivere fatti ed avvenimenti accaduti in Italia in un determinato periodo. Da “In.R.I.” le cose sono cambiate. Sì, mi piace pensare che si siano evoluti di pari passo con la nostra proposta musicale.
È stato un processo non immediato, ma che piano piano mi ha portato a scrivere testi diversi, più evocativi, quasi dei racconti di fantasia, prendendo riferimento a piene mani dalla letteratura horror e sci-fi di cui sono un grande ed umile appassionato. Ho iniziato con “Red Death Masquerade” contenuta in “Alea Iacta Est” e poi, visto che l’esperimento mi ha entusiasmato ed anche gli altri hanno apprezzato, ho provato a scrivere così anche i testi di “Sulphur”. Che poi, fondamentalmente, si tratta di mie riflessioni su determinati fatti che accadono nel mondo, nate da riferimenti su romanzi e racconti di grandi scrittori, quali ad esempio il Maestro H.P. Lovecraft, Philip K. Dick, Ray Bradbury, Richard Matheson ed altri più underground e meno conosciuti come Ben Bova, che con “Orion” penso abbia scritto una serie di opere che vanno oltre al genere fantascientifico.

TI LASCIO LO SPAZIO PER DESCRIVERE I TRE PEZZI CHE MEGLIO RAPPRESENTANO IL NUOVO DISCO, A TUA OPINIONE.
– Non è facile rispondere a questa domanda, perché tutti i brani, indistintamente, rappresentano il sound della band.
Siamo e sono affezionato a tutte le canzoni, ma se dovessi sceglierne tre ti direi “The Colour Out Of Space”, “Something Wicked This Way Comes” e “Evil Side Of Mercy”. Sono canzoni che hanno una struttura molto simile, ma poi hanno melodie molto differenti tra loro e le parti ritmiche si differenziano in modo molto marcato. Ci sono sezioni più strutturate ed in fase di registrazione gli arrangiamenti sono stati molto impegnativi, soprattutto per quanto riguarda “The Colour Out Of Space”.
Ho scelto questi tre pezzi perché anche a livello testuale rappresentano forse i racconti o i romanzi a cui sono più legato in questo periodo. Soprattutto il romanzo “Orion” di Ben Bova, da cui ho preso ispirazione per scrivere “Evil Side Of Mercy”, ed “Il Popolo dell’Autunno” di Ray Bradbury, da cui ho attinto per scrivere “Something Wicked This Way Comes”.

INVECE TI PONGO UNA DOMANDA SPECIFICA SULL’ULTIMA CANZONE, “LURKING CREEPY LOVE”. A PARTE IL TITOLO CHE PORTA ALLA MENTE ARGOMENTI MOLTO DI ATTUALITÀ IN QUESTO PERIODO, HO APPREZZATO MOLTISSIMO L’ATMOSFERA SINISTRA E DOLCIASTRA DEL BRANO, CHE MI HA RICORDATO QUALCHE SEMIBALLATA DI PANTERA O ANTHRAX, COSÌ SUI GENERIS. CE NE VUOI PARLARE IN DETTAGLIO?
– Questa canzone è un valore aggiunto al disco per due motivi. Il primo va ricercato nel testo: è stato scritto da Chris e poi io ho aggiunto qualche verso ed arrangiato le metriche. L’argomento è delicato e molto profondo. Emotivamente parlando, ha un significato anche drammatico e parla della tossicità che ci può essere in un rapporto di coppia dove avviene uno sbilanciamento estremo di emozioni.
Una dinamica quasi tra vittima e carnefice, dove la vittima dona ed il carnefice prende, arrivando a trasformare un sentimento in qualcosa di angosciante e terribilmente viscido, strisciante come una figura minacciosa, vermiforme, che si avviluppa lungo il tuo buon cuore e poi ti stritola. Ho cercato di cimentarmi con metafore usando le parole di Chris per avvicinare il testo ad un racconto horror.
Musicalmente doveva esserci quindi un supporto sonoro degno, che sapesse raccontare la drammaticità e la carica emotiva del testo. E questo è il secondo motivo. Non abbiamo mai composto un brano che abbia una dinamica così marcata. Un crescendo molto evidente. Ma sofferto. Penso che Ricky e Chris abbiano scritto una canzone decisamente in linea con quanto descritto nel testo.

AVETE LASCIATO DOPO TANTI ANNI LA ARGONAUTA RECORDS, UN’ETICHETTA CHE PENSO VI ABBIA LASCIATO UNA LIBERTÀ ASSOLUTA D’ESPRESSIONE. COME VI TROVATE ORA SU TIME TO KILL E COSA È CAMBIATO NELL’APPROCCIO ALLA PROMOZIONE DEL DISCO?
– Con Argonauta Records è stato ed è tuttora un rapporto che va oltre il discorso lavorativo e di collaborazione. Con Gero, boss dell’etichetta, siamo molto amici dai tempi della Masterpiece Distribution, quando eravamo colleghi.
Con Argonauta Records abbiamo passato degli anni incredibili, durante i quali sono nati cinque dischi degli Infection Code. Il lavoro è stato grandioso e non possiamo che ringraziarli per tutto quello fatto. Abbiamo deciso di cambiare perché avevamo semplicemente bisogno di confrontarci con una realtà che fosse più radicata in una scena prettamente metal e che potesse darci una spinta maggiore in questo ambito.
Penso che la Time To Kill Records sia una delle etichette italiane più organizzate e strutturate in questo senso. Hanno una copertura capillare per quanto riguarda la consueta promozione su magazine, webzine e radio, ma sono molto focalizzati sui social e sanno molto bene come muoversi. Ci stanno dando una grossa mano e siamo davvero orgogliosi ed onorati di avere firmato un contratto discografico con loro. E’ sicuramente un passaggio da evidenziare nel nostro cammino.

E APPUNTO, SEGUENDOVI DA TANTI ANNI SUI SOCIAL, NEGLI ULTIMI TEMPI PARE EVIDENTE COME VI STIATE ESPONENDO MEDIATICAMENTE CON PIÙ COSTANZA E CONVINZIONE CHE IN PASSATO. COS’È CAMBIATO DA QUESTO PUNTO DI VISTA, CHE AL GIORNO D’OGGI PUÒ DAVVERO FARE LA DIFFERENZA?
– Credo – e lo dico a malincuore perché sono un boomer, come si usa dire in questo periodo – che il futuro è e sarà dei social e di tutta questa realtà virtuale che invade anche la nostra realtà fisica e tangibile. Tutto è in costante evoluzione e devoluzione, aggiungerei. Sono per un rallentamento del corso della vita in questo senso. Non voglio tornare indietro nel tempo, ma non vorrei neppure che il tempo ci sfugga di mano.
Questo però sta succedendo in tanti ambiti. Sociali, lavorativi e familiari. C’è una frenesia ed un rincorrersi senza uno scopo o una meta. Senza un obiettivo, senza assaporare un risultato raggiunto. Esempio stupido: è uscito un nostro disco, come sta succedendo per centinaia di band nel mondo. Bene. Questo anni fa era considerato un buon risultato, un traguardo da assaporare per qualche mese, godendo dei feedback, delle recensioni, delle opinioni dei fan e di chi veniva ad un concerto. Ora tutto questo si consuma in un attimo. In un frangente massimo di pochi giorni.
Accade nel nostro piccolo mondo, ma succede un po’ ovunque. Tutto diventa vecchio in un secondo e tu, band iper-underground, devi correre ed essere sempre presente sui social, postando anche le più stupide amenità per stare sul pezzo, per non essere dimenticato. Facciamo molta fatica a fare questo e sinceramente è abbastanza frustrante.
Motivo principale perché non conta più aver composto un buon disco o aver fatto un live da paura, ma conta invece avere dei like sulle proprie pagine social.

CONCLUDIAMO CON UNA DOMANDA SULL’ATTIVITÀ LIVE, ANCH’ESSA IN UN MOMENTO DI IMPORTANTE FERMENTO PER UNA BAND UNDERGROUND COME GLI INFECTION CODE. AVETE PARTECIPATO ALL’ULTIMA EDIZIONE DEL REDIVIVO METAL VALLEY OPEN AIR DI TREVOR DEI SADIST, E IN PIÙ A DATE CHE SONO ANDATE PARE MOLTO BENE. RESPIRATE ARIA NUOVA, NONOSTANTE SAPPIA DI ZOLFO, SUL PALCO? O È UNA MIA IMPRESSIONE?
– Abbiamo avuto l’onore di partecipare al Metal Valley Open Air e per noi è stato un notevole traguardo. Non possiamo che ringraziare per la grande opportunità Trevor, Tommy e Federico della Nadir Promotion, realtà che in un futuro potrebbe incrociare il nostro cammino.
È stata una giornata riuscitissima ed abbiamo avuto il piacere di condividere il palco con Bulldozer, Fleshgod Apocalypse, Embryo, Hideous Divinity, Sfregio. In ogni caso sì, respiriamo aria nuova che spero ci porti nuovi fan, nuovi orizzonti da scoprire e mete da raggiungere.
Nel frattempo, non smettiamo di lavorare e di organizzare presupposti validi per supportare e promuovere al meglio “Sulphur”.

 

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