Gli Infection Code sono tornati. Di soppiatto, in silenzio, strisciando lentamente fuori, come lombrichi dopo un temporale, dall’underground più ostinato e caustico. Hanno ripreso le fila del loro (pen)ultimo “Fine”, riavvolgendo nastri, sinapsi e meningi, e ripresentandosi fra noi con un lavoro difficile, ostico e pressoché indigeribile, ma che definisce ancora una volta la band piemontese come una delle più vive, attive e coraggiose della poco popolata scena noise/industrial tricolore. “La Dittatura Del Rumore” rimbomba feroce e scomodo di tante cose, pregno di liriche di condanna, impegnato socialmente e storicamente, per non dire politicamente. Un lavoro a cui va data più di una chance e che non va preso sottogamba, frutto di sofferenza, cambiamento e coerenza: le costanti di casa Infection Code. Ci accompagna, attraverso questo viaggio, il megafono della band, Gabriele Oltracqua.
CIAO GABRIELE, UN BENTORNATI SULLE SCENE AGLI INFECTION CODE! COME AL SOLITO, VOI TORNATE IN PISTA QUANDO AVETE DAVVERO QUALCOSA DA DIRE, NON TANTO PER RISPETTARE CADENZE SPESSO FORZATE. PER CUI, COME DOBBIAMO VEDERE IL QUADRIENNIO INTERCORSO TRA LA RELEASE DI “FINE” E QUELLA DEL NUOVO “LA DITTATURA DEL RUMORE”?
“Innanzitutto grazie per averci concesso ancora spazio sulle pagine di Metalitalia.com. In questi quattro anni sono successe parecchie cose. Ci siamo mossi molto, perché come disse uno scrittore tossico di nakediana memoria, la peggior cosa è rimanere immobili e mangiare pasti nudi freddi. Abbiamo continuato a lavorare anche con qualche intoppo. Subito dopo l’uscita di ‘Fine’, abbiamo cercato di suonare un po’ per supportare al meglio l’album. Avevamo parecchie idee ma nulla di concreto a livello compositivo. Stavamo cercando un approccio più sperimentale con l’elettronica. Nel senso che avremmo voluto spingerci oltre, rendendo la nostra musica più rumorosa e dannosa all’ascolto. ‘Fine’ ci è piaciuto, ma ci stufiamo quasi subito di quello che abbiamo prodotto. ‘Fine’ è troppo pulito, educato, un po’ freddino. Volevamo qualcosa di bastardo ed oscuro ma neppure poi troppo fine (scusate il gioco di parole) a se stesso nella ricerca del rumore. Abbiamo lavorato molto con nuovi aggeggi elettronici ed altre diavolerie che man mano invadevano la nostra sala prove. Ci siamo chiusi dentro noi stessi per parecchi mesi e, pur avendo molti problemi extra-musicali, siamo rimasti concentrati con un unico scopo: cercare di essere ancor più pesanti e disturbanti. Sono uscite tre canzoni che sono andate a finire sullo split della Subsound Records, che nel frattempo ci ha proposto questa cosa davvero bella. Amiamo i vinili e questo tipo di iniziative. Lo split album con i Deflore è uscito ad inizio 2013, ma nel frattempo abbiamo cambiato chitarrista (e questo episodio ci ha permesso di capire quanto siamo convinti nel proseguire il nostro cammino), trovando in Paolo una persona che ha portato nuova linfa creativa e tanta professionalità. Questo cambio ha rafforzato le nostre convinzioni su come dovevano uscire le prossime canzoni. Con un nuovo elemento, l’entusiasmo ritrovato ed una vena creativa che sembrava non sopirsi, i brani di ‘La Dittatura Del Rumore’ sono usciti quasi di getto. L’unico punto su cui ci siamo soffermati era che dovevano essere molto più cariche di pathos e sanguigne rispetto a quelle di ‘Fine’, e l’avvento di Paolo ci ha regalato nuove prospettive compositive che prima non avevamo”.
PRIMA DI ADDENTRARCI NELLA DISAMINA DEL NUOVO LAVORO, FACCIAMO UN PICCOLISSIMO PASSO INDIETRO ALLO SPLIT ALBUM CON I DEFLORE, DI CUI SOPRA: CON IL SENNO DI POI, QUEI TRE BRANI NON PAIONO TANTO COLLEGATI CON QUELLO CHE POI SI SENTE SUL NUOVO FULL, BENSI’ HANNO UN’IMPRONTA MENO INDUSTRIAL E PIU’ VIRANTE VERSO LO SLUDGE, SEMPRE CONSIDERANDO IL NOISE/INDUSTRIAL COME VOSTRO BACKGROUND PRINCIPALE. QUINDI NON SONO NATI ASSIEME, DEVO SUPPORRE?
“I tre pezzi dello split sono nati molto prima rispetto a quelli dell’album. Erano gli ultimi mesi con il vecchio chitarrista e forse in qualche passaggio si sente ancora la sua influenza più sludge, appunto. Ma quei tre brani sono come un ponte che collega il passato di ‘Fine’ con il futuro de’ La Dittatura Del Rumore’. Ci sentirai anche, magari in forma più embrionale, molte cose contenute nelle canzoni di ‘LDDR’; le ritmiche, l’elettronica ed alcuni passaggi vocali sono figli di quella sperimentazione che ci siamo sempre prefissati di portare avanti. Probabilmente le canzoni dello split sono più fangose e caustiche ma meno noise-oriented, perché Paolo ha saputo inserire molte cose strane di chitarra che non sono propriamente metal. Questo è stato un punto a favore nell’economia dei pezzi”.
“LA DITTATURA DEL RUMORE”, ANCOR PRIMA CHE ESSERE UN TITOLO D’ALBUM, PARE PROPRIO ESSERE UNO SLOGAN, UN MANIFESTO D’INTENTI, E CERTAMENTE VA A COLLEGARSI CON IL BELLISSIMO ARTWORK DI COPERTINA. CI SPIEGHI IL SIGNIFICATO, A GRANDI LINEE, DEL TEMA CONCETTUALE DELL’ALBUM E DELLA SUA COVER?
“Da moltissimo tempo sono amante di tutto ciò che è accaduto in Italia negli anni che vanno dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ai giorni nostri. Il Dopoguerra, il boom economico, le lotte studentesche ed operaie, i vari colpi di stato mai riusciti, gli anni di piombo, la strategia della tensione e varie logge massoniche. In più, ho sempre ammirato la vita e soprattutto la coerenza politica e morale di due personaggi che erano sì italiani, orgogliosamente italiani, ma che hanno lottato per un mondo migliore lontano da casa, pagando con la morte: Sacco e Vanzetti. Tutto questo calderone storico-politico-sociale mi ha da sempre attirato ed affascinato. Ho letto molto, mi sono informato fino alla nausea nel corso degli anni, fino a stare male da non uscire neanche più di casa (tanto in giro c’è sempre la solita merda ed è meglio un libro), non per poi scriverci un album ma per mio diletto. I testi de ‘La Dittatura Del Rumore’ sono usciti in modo piuttosto spontaneo. Non si tratta di un concept album, ma sono miei riflessioni e pensieri, anche forse un po’ criptici, per descrivere dal mio punto di vista quegli anni; ed il pezzo dedicato a Sacco e Vanzetti, anche se storicamente non c’entra nulla con le altre canzoni, ha molte similitudini politico-sociali. La copertina è stata una conseguenza dei testi. Ammiriamo molto il lavoro di Marco Castagnetto (Shabda). Da subito, per il concept grafico abbiamo pensato a lui. E’ stato molto bravo ad interpretare i nostri pensieri. L’uomo distopico della copertina non può che essere simbolo migliore per rappresentare visivamente ‘La Dittatura Del Rumore’”.
LEGGENDO I TITOLI DELLE CANZONI, VIENE OVVIAMENTE SUBITO ALL’OCCHIO IL FATTO CHE SIANO SCRITTI ‘TUTTO D’UN FIATO’, SENZA SPAZI. PERCHE’ QUESTA SCELTA E COSA SOTTINTENDE?
“Semplicemente perché volevamo che i titoli delle canzoni risaltassero; e poi perché come per i testi, che sono stati scritti di getto, senza troppe correzioni, abbiamo cercato di dare l’impressione, usando anche la nostra lingua, che più che titoli diventassero quasi degli slogan e, per chi li avrebbe letti, apparissero quasi come simboli di lotta e resistenza”.
ORMAI AVETE ABBRACCIATO IN TOTO LA DECISIONE DI ESPRIMERVI IN ITALIANO, OPZIONE CHE PUO’ PRECLUDERVI ALCUNE PORTE, MA CHE CERTO CALZA A PENNELLO CON LA VOSTRA MUSICA. OLTRETUTTO, LE TUE LIRICHE DIVENTANO SEMPRE PIU’ PARTICOLARI E VISIONARIE, ACCOSTABILI AD UNA SORTA DI MANTRA O MOMENTI CATARTICI. VUOI SOFFERMARTI UN PO’ DI PIU’ SUI TEMI DEL DISCO E SULLE MODALITA’ DI TRASMISSIONE (AD ESEMPIO I COSTANTI EFFETTI VOCALI) DEI CONCETTI?
“La scelta di esprimerci in italiano fa parte del nostro percorso artistico nell’ottica di una sperimentazione che, nel bene o nel male, ci ha sempre contraddistinto. Non ci piace rimanere fermi su determinati caratteri stilistici e concettuali, non solo musicalmente, ma anche a livello lirico. L’uso dell’italiano è stata una sfida, una sorta di scommessa che non so se abbiamo vinto, ma che abbiamo affrontato con il massimo impegno ed il giusto piglio creativo. Già dopo ‘Fine’ l’idea era venuta fuori, ma non mi sono sentito pronto. Con ‘LDDR’, considerando i concetti che volevamo esprimere, è stato quasi spontaneo scrivere direttamente in italiano. Alcune sfumature linguistiche mi risultavano difficili da esprimere in inglese e forse, foneticamente, avrei trovato delle difficoltà a livello di metrica. Ma non me ne sono curato, man mano che scrivevo trovavo sempre più affascinante ed avvincente questa esperienza. L’uso degli effetti vocali e il tipo di trattamento che ha avuto la voce durante il mixaggio fanno parte dello stesso tipo di processo creativo che si unisce alla ricerca sonora. Volevamo qualcosa che si amalgamasse con il sound complessivo degli strumenti, cercando di dare un ruolo diverso alla voce: quasi come uno strumento, piuttosto che una forma di espressione a se stante. L’uso massiccio di effettistica, e soprattutto quel tipo di effettistica, così caustica ed acida, è il risultato di un confronto con i suoni usati per gli altri strumenti in fase di produzione e registrazione”.
LA MUSICA, DI PARI PASSO CON I TESTI, E’ ALQUANTO ALLUCINATA E DISTURBANTE, DI SICURO DI NON FACILE ED IMMEDIATA PRESA. COME AVETE SVILUPPATO, IN SEDE DI COMPOSIZIONE, I BRANI DE “LA DITTATURA DEL RUMORE”? DA CHI SONO PARTITI I PRIMI INPUT E QUANDO AVETE DECISO DI ALLONTANARVI DALLA DIREZIONE INTRAPRESA CON “FINE”?
“Come ho accennato prima, il percorso che ci ha portato a ‘LDDR’ è stato parecchio sofferto e tortuoso per vari motivi. Anche extra musicali, personali, che poi inevitabilmente hanno influito sul processo di composizione. ‘Fine’ è stato un grande album di cui siamo orgogliosi, ma c’è qualcosa che non ci convince. Forse, durante la scrittura, abbiamo cercato soluzioni troppo eleganti e pulite, alcune studiate un po’ a tavolino, e la produzione, pur essendo eccelsa, non ha tirato fuori quella sporcizia e quella grana spessa ed acida che contraddistingue un po’ il nostro suono globale. Non ci siamo allontanati da ‘Fine’ volutamente, ma è venuto tutto in maniera molto spontanea. E se proprio vogliamo essere precisi, non lo chiamerei neppure un allontanamento. Per ‘LDDR’ ci siamo sentiti di fare così. Avevamo bisogno di tirare fuori tutta la merda raccolta in questi anni. La scrittura per noi è uno sfogo. E’ una seduta psicoanalitica. Una terapia d’urto per respirare un po’ d’aria e non soccombere nella totale inutilità della vita quotidiana da bipede, che come un’automa espleta solo i suoi bisogni fisiologici. Gl’input sono arrivati da moltissime idee di elettronica che Enrico, come un forsennato in preda a delirio compulsivo-compositivo, ci portava in saletta o ci mandava via mail. Le idee maggiori per i pezzi sono arrivate dalla sua mente. Un continuo lavorio di tasti, volumi, sintetizzatori ed aggeggi infernali. Poi, tutti insieme, abbiamo sviluppato il tutto e, in un clima piuttosto carico di emotività fuorviante la positività, abbiamo dato vita alla decomposizione del rumore, del nostro rumore, puzzolente, marcio, drogato, bastardo rumore”.
CI SONO ALCUNI EPISODI, NELLA TOTALITA’ DELLA FRUIZIONE, CHE RITENETE GIUSTO PORRE IN RISALTO? AVETE FILMATO UN VIDEO PER “VUOTAVERTIGINE”, CHE A QUESTO PUNTO POTREBBE PRENDERE LE ‘SEMBIANZE’ DI SINGOLO… IO HO TROVATO PARTICOLARMENTE AVVINCENTE “LOTTACONTINUA”, AD ESEMPIO.
“Non esistono singoli in ‘La Dittatura Del Rumore’, né una canzone che prevalga sulle altre quando lo si ascolta. Il disco va ascoltato, per chi ha il coraggio ed una certa predisposizione al masochismo acustico, in tutta la sua interezza. Non è bello, ma non parlo solo per il nostro disco, saltare da una canzone all’altra, oppure ascoltare un album a tratti. Personalmente è una cosa che non sopporto. Le canzoni, pur avendo vita propria, hanno uno sviluppo che preclude una concatenazione rumoristico-sonora. ‘Vuotavertigine’ è stata scelta come video perché rappresenta in una sintesi di pochi minuti tutto il nostro mondo attualmente. Musicalmente può essere un riassunto molto stringato di cosa siamo in questo periodo. Il video, curato, diretto ed ideato da Ivan Ferrera, nostro amico nonché talentuoso video maker un po’ visionario ed anarchico, vi mostra tutta la nostra attitudine nichilista e un po’ punk, legata ad un mondo che forse ora non c’è più, ma del quale noi testardamente andiamo alla ricerca. Siamo dei musicisti disadattati che vestiamo abiti di persone normali. ‘Lottacontinua’ è il manifesto della nostra strenua resistenza contro un mondo che non ci appartiene, ma è, come ho accennato prima, un tassello del disco”.
A DISCO FINITO E (PIU’ VOLTE) ASCOLTATO, DEVO AMMETTERE CHE SI RESTA COLPITI DA QUANTO SENTITO. NON TANTO NEL RICORDARE UN PASSAGGIO PARTICOLARE, O UN RIFF, MA SOPRATTUTTO DALL’ATMOSFERA COMPLESSIVA DEL LAVORO, DAL SUO MOOD OPPRIMENTE, SIMIL-CINEMATOGRAFICO E ASSORDANTE. E’ UN OBIETTIVO CHE VI SODDISFA, IL NON LASCIARE INDIFFERENTI, OPPURE C’E’ QUALCOS’ALTRO A CUI ASPIRATE?
“Mi riallaccio alla domanda precedente. Il disco va ascoltato nella sua completa interezza, altrimenti si perderebbe quell’atmosfera che hai colto. L’album è un viaggio che non ha soste. Un viaggio dove devi stare attento, perché incontrerai tanti ostacoli, molte insidie e la strada che porterà alla Torre Nera sarà funestata da pericoli ed oscure presenze… A parte gli scherzi, é quello che poi volevamo ottenere. Cercare di mantenere alta la concentrazione durante l’ascolto con un costante disturbo sonoro. Che poi infastidisca, non importa. Anzi, comunque non ha lasciato indifferente l’ascoltatore. Non aspiriamo a nulla in particolar modo. Cerchiamo di essere sinceri e trasparenti con noi stessi e cerchiamo di mettere in musica le nostre emozioni. Se è assordante ed opprimente, allora abbiamo raggiunto il nostro obbiettivo, che poi è l’unico che veramente c’importa”.
VOI SIETE ATTIVI ORMAI DA PIU’ O MENO QUINDICI ANNI, QUINDI AVETE VISTO BENE E PROVATO SULLA VOSTRA PELLE TUTTI I GROSSI CAMBIAMENTI MUSICALI, IN CAMPO ESTREMO S’INTENDE: DAL MODO DI PROMUOVERSI AL FORMATO DI PUBBLICAZIONE DELLA MUSICA, DALL’AVVENTO DELLA RETE AI VARI TREND METALLICI INTERCORSI… A DISTANZA DI TRE LUSTRI, PUOI DARCI LA VOSTRA VISIONE DELLE COSE IN MERITO O, COMUNQUE, SPAZIARE UN PO’ A PIACERE SU QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE?
“Quindici anni, per una band che ha sempre fatto del DIY la propria bandiera, non scendendo a compromessi stilistici né commerciali, sono un buon traguardo. Non abbiamo alle spalle nulla se non la nostra passione e quella di qualcuno che sta credendo in noi, come Argonauta Records, che ci ha dato la possibilità di vomitare sul mercato ‘La Dittatura Del Rumore’. Reputo che questi quindici anni siano stati pieni di soddisfazioni a livello artistico e anche come risposta da parte di chi segue un certo tipo di musica. Certo, sono cambiati i modi e le tempistiche nel fruire la musica. Oggi l’offerta è sproporzionata alla domanda e fare un disco, o produrre comunque musica a livello professionale, non comporta molta fatica e sacrificio. Questo è negativo. Ricordo che quando iniziammo, già fare una demo di tre-quattro pezzi, registrata in uno studio professionale, era un ottimo punto di partenza e non tutti potevano permettersi di farlo. Non perché mancava l’attitudine o la passione, ma perché essere musicisti era un ruolo a cui aspiravano pochi. Quello che più m’infastidisce ora, forse a causa dei social network, a causa di questa de-compartimentazione di generi e settori, è la mancanza di ruoli. Per sopravvivere in questo marasma cacofonico bisogna essere tutto. Musicisti, discografici, gestori di locali, scribacchini e molto leccaculo. Devi per forza essere amico virtuale di tutti, mettere ‘sto cazzo di pollice blu sulla pagina di quello, sperando che poi magari ti faccia suonare nel locale del suo amico; affermare che tutti i dischi delle band italiane underground sono fighi, quando la metà fa davvero cagare… Dischi senza personalità che cercano di scimmiottare il coglione di turno che ha un po’ più di visibilità. Ecco, tutto questo sistema sinceramente fa un po’ venire il voltastomaco e la meritocrazia si è fottuta, o meglio l’abbiamo fottuta e fistata. Il mondo dell’underground è sparito. O per lo meno, il culto dell’undeground è sparito. O si è smarrito e le scene musicali insieme a lui. Amiamo l’eterogeneità, ma a livello culturale ed artistico. Quando ci si scambiano ruoli e tutti sono tutto, allora si cade in un caos incontrollato dove raccapezzarsi per organizzare, per esempio, un concerto diventa quasi impresa titanica. Musicalmente penso ci siamo fermati al crossover degli anni Novanta. Forse questa è stata l’ultima corrente musicale in ambito rock-metal con qualcosa di originale da dire. Ora è un ripetersi di stili che vengono un po’ infinocchiati ed accostati ad altri. Il black metal con il doom/sludge (non ho mai visto tante band che fanno questo genere come in questo momento); oppure il post hardcore dei Neurosis, che ha una certa età (e che poi è riduttivo definirlo post hardcore), oggi viene scimmiottato da mille band e tutte si sentono in dovere di citarli come loro influenze imprescindibili (quando ricordo, nel 1994 in Italia, che se l’inculavano sì e no dieci persone). Questi fenomeni temporanei fanno parte di mode e cicli che si ripeteranno nel corso del tempo, perché oggi è quasi impossibile inventare o essere personali e proporre qualcosa di convincente ed originale. Non sappiamo cosa potrebbe succedere da qui a dieci anni, ma vorremmo che questa sfrenata produzione di musica cessasse e ci fosse davvero più selezione e si rispettassero di più determinati ruoli. Senza paraculismi e lingue che lavano buchi di culo. La figura, per esempio, dell’ascoltatore ed appassionato di musica che frequenta concerti è quasi in via d’estinzione. A questo punto che si estingua tutto il movimento. Non ci faremo più problemi e potremmo dedicarci, tutti allegramente, ad attività onanistiche”.
IL 2014 HA VISTO IL RITORNO, CON DEL MATERIALE INEDITO, DEI GODFLESH, FRA I PADRI, SE NON ‘I’ PADRI DELL’INDUSTRIAL METAL. COME AVETE VISTO QUESTA RENTREE? E, SECONDA PARTE DELLA DOMANDA, FINO A DOVE SI SPINGONO I VOSTRI ASCOLTI OGGIGIORNO?
“Gli ascolti sono molto eterogenei all’interno della band. Alcuni ascoltano ancora tanto metal di vario genere ed altri sono più orientati verso sonorità elettroniche e sperimentali. Tutti, in ugual misura, amiamo molto quelle band o quegli artisti che hanno voglia di osare e di spingersi oltre, mettendosi in discussione. I Godflesh sono stati una grossa fonte d’ispirazione per noi, soprattutto con i primi lavori, al pari di Neurosis, Ministry, Skullflower ed alcune band della Relapse in ambito metal; come in ambito rock King Crimson, Massive Attack, Depeche Mode. Tornando ai Godflesh…be’, la loro reunion e l’uscita di ‘Decline And Fall’ ci hanno un po’ stupito. Non pensavamo che una band così personale ed elitaria potesse scendere così nel banale. Pensiamo che le minestre riscaldate sappiano appunto di stantio e tolgano quell’alone di genio che solo pochi possono avere e che possono permettersi di perpetrare nei secoli. I Godlfesh, con la loro unicità musicale contestualizzata in un certo periodo storico-culturale, erano una formazione di questo tipo. Con una tale mossa hanno perso, secondo noi, molto credito e pure l’EP non dice nulla di quanto abbiano già fatto in passato. Non ci sono spunti interessanti, mi pare tutto molto già sentito in altri album molto più stimolanti e carichi di fascino. Il re doveva rimanere nudo e non vestirsi comprando abiti in un negozio dell’usato”.
OK, E’ TUTTO, GABRIELE! GRAZIE MILLE PER LA CONSUETA DISPONIBILITA’, LASCIO A TE TERMINARE L’INTERVISTA…
“Ti ringraziamo molto per l’opportunità che ci avete dato. Ringraziamo la redazione di Metalitalia,com che come sempre supporta i nostri deliri. Ringraziamo il Mossad, la CIA, Propaganda 2, Gladio, Scelba, le Brigate Rosse, Potere Operaio, la Volante Rossa, i Nar, l’Olp, la RAF…senza tutto questo probabilmente non esisteremmo…e voi magari vivreste meglio. O non ve ne fregherebbe un cazzo”.