INFECTION CODE – Codice primitivo

Pubblicato il 28/01/2020 da

L’ultimo anno e mezzo, per i piemontesi Infection Code, è stato un vero frullatore di scossoni, situazioni in divenire, cambiamenti radicali e novità in arrivo, in seno ad una band che, già di suo, ha il dono di sapersi adattare e plasmare, mutando faccia in modo graduale e coraggioso, ad ogni rivoluzione, interiore o di lineup che sia, accadutale nel corso di una carriera ormai andata oltre il ventennio d’esistenza. Potreste fraintendere tali affermazioni, travisando la viscerale sincerità espressiva che traspare dai lavori del gruppo con un poco delicato opportunismo stilistico, ma davvero, nel loro caso, non è assolutamente così. “In.R.I.” è sicuramente un grosso passo avanti (o indietro) verso un approccio più classicamente metallico ed estremo all’industrial contaminato della formazione di Alessandria, tanto che si deve per forza parlare di industrial-thrash metal nel descrivere le sonorità edite di recente con il nuovo nato; ma è altresì vero che il concetto di accessibilità, applicato ai Nostri, resta ancora un po’ fuori posto. E’ proprio Gabriele, frontman del gruppo, ancora una volta, ad aprirsi al pubblico e spiegarci cosa è successo negli ultimi tempi dalle loro parti…

 

CIAO GABRIELE, CI RISENTIAMO A PIUTTOSTO BREVE DISTANZA DALL’ULTIMA VOLTA IN QUANTO IL VOSTRO NUOVO DISCO, “IN.R.I.”, ESCE A SOLO UN ANNO E MEZZO DI TEMPO DAL PRECEDENTE “DISSENSO”. E, SEMPRE IN QUESTO PERIODO, IN CASA INFECTION CODE SONO SUCCESSE DAVVERO TANTE COSE. PRIMA DI TUTTO, PERO’, QUALI SONO GLI STRASCICHI (POSITIVI E NEGATIVI) CHE VI HA LASCIATO DIETRO LA STESURA DI “DISSENSO”?
Gabriele – Ciao Marco, prima di iniziare vorrei ringraziarti e ringraziare tutta la redazione di Metalitalia.com per il continuo supporto che date agli Infection Code. Sì, torniamo dopo poco più di un anno dall’uscita di “Dissenso”. Un lasso di tempo così breve tra un disco e l’altro non era mai accaduto. Sembra incredibile e siamo increduli anche noi che in così poco tempo potessimo riuscire a comporre e registrare un altro album dopo tutti i casini che sono accaduti. “Dissenso” ci ha lasciato innumerevoli strascichi. Diciamo che, a posteriori, può essere considerato lo spartiacque tra il passato ed il presente che stiamo affrontando. Dopo la pubblicazione di quell’album abbiamo avuto un terremoto in seno alla line-up. Già durante la fase di composizione ci furono delle discussioni che riguardavano il lato artistico. Qualcuno voleva inasprire il sound tornando a radici più metal, altri volevano continuare a portare la band verso lidi più sperimentali. Siamo andati avanti per un po’ di tempo in questo limbo continuando a comporre, e “Dissenso” è stato il risultato di questa stasi. Un disco necessario per la nostra genesi, ma incompiuto. Né troppo metal, né tantomeno sperimentale. Quindi non ha accontentato nessuno di noi. Forse è stato da questa situazione che Enrico (Cerrato, ex bassista e ‘rumorista’, ndR) ha deciso di dedicarsi interamente a Petrolio. Non trovava più stimoli nella scena rock e metal, mentre Ricky (Porzio, batterista, ndR) ed io volevamo tornare a fare quello per cui la band è nata: un crossover tra thrash metal ed industrial metal. Non fraintendere, siamo molto contenti di avere creato “Dissenso”. E’ stato necessario, ci sono buone canzoni che hanno lanciato il germe da cui si è generato il virus di “In.R.I”.

VENIAMO AL RIBALTONE DI LINE-UP, PER CAPIRE MEGLIO I PERCHE’ E I PERCOME SI E’ GIUNTI ALL’ATTUALE INCARNAZIONE DEGLI INFECTION CODE: NELL’ARCO DI POCHI MESI AVETE PERSO PAOLO ALLA CHITARRA, ENRICO A BASSO ED ELETTRONICA E POI ANCORA RUST ALLA CHITARRA, CON QUEST’ULTIMO CHE HA CERTAMENTE CONTRIBUITO A PLASMARE IL NUOVO DISCO; E AVETE GUADAGNATO DAVIDE AL BASSO E INFINE MAX ALLA CHITARRA. CI RACCONTI COM’E’ ANDATA?
Gabriele – In un anno e mezzo sono accadute moltissime cose che se fossero successe ad una band normale, questa si sarebbe sciolta. Ma noi siamo dei pazzi incoscienti e siamo ancora qui. Dalla composizione di “Dissenso” si percepiva che alcuni di noi non fossero più soddisfatti dell’andamento della band. Alcuni volevano intraprendere una strada ancora più sperimentale e lontana dagli stilemi classici del metal, altri avrebbero voluto tornare alle proprie radici. “Dissenso” è dunque nato in un contesto non troppo rilassato. Non che ci fosse qualcosa tra noi a livello umano, ma si percepiva che qualcosa si era rotto. Abbiamo portato avanti la composizione del disco, lo abbiamo registrato e nel frattempo Enrico ha coltivato la sua passione per l’elettronica con Petrolio e, visti gli impegni con il suo nuovo progetto, ha deciso di non seguirci con i live di supporto alla promozione di “Dissenso”. Era conscio che noi avremmo voluto andare avanti, perciò si è reso disponibile nel cercare un sostituto per le date live trovando l’apporto di Davide. Abbiamo fatto qualche concerto ma poi anche Paolo, chitarrista con noi da sei anni, ha deciso di lasciare la band per impegni lavorativi, ed Enrico, troppo preso con Petrolio, ha definitivamente ceduto il passo. Ricky ed io non ci siamo dati per vinti ed insieme a Davide, ormai nella line-up stabilmente da qualche mese, ci siamo messi alla ricerca di un chitarrista. Stavamo pensando già al nuovo album. Doveva suonare come i nostri primi lavori, un ritorno alle origini. Un ritorno a sonorità prettamente metal con arrangiamenti di elettronica. Cercavamo quindi un chitarrista che conoscesse bene il genere. Abbiamo trovato in poco tempo Rust. Ricky, altrettanto velocemente, ha imparato ad armeggiare aggeggi infernali quali synth, programmi, tastiere, per scrivere e suonare tutta l’elettronica che sarebbe stata incisa in futuro in un disco degli Infection Code. In cinque mesi, con una line-up finalmente coesa e l’entusiasmo alle stelle, abbiamo composto e registrato “In.R.I”. Dopo il mixaggio e la masterizzazione, Rust ha però deciso di lasciare la band. E’ stata una bella mazzata; dovevamo promuovere l’album, preparare i live. Non è stato semplice riprendere tutto in mano e iniziare da capo. Ma, ripeto, siamo dei pazzi, ed amiamo troppo quello che abbiamo fatto, che stiamo facendo e che faremo. In ogni caso, forse con un po’ di fortuna, nel giro di un paio di settimane siamo riusciti ad avere un nuovo chitarrista: Max è giovane e talentuoso, ha un sacco di idee e molta voglia di mettersi in gioco. Siamo ripartiti nuovamente più carichi che mai, con rinnovato entusiasmo.

PARLIAMO ORA, FINALMENTE, DEL NUOVO DISCO, CHE TRANCIA DI NETTO ALCUNE PREROGATIVE DEL GRUPPO PORTATE AVANTI DA QUALCHE ANNO FINO A “DISSENSO”. DOMANDA MOLTO ‘LARGA’: DA DOVE E DA COSA NASCE “IN.R.I”?
Gabriele – Potrei riallacciarmi alla domanda precedente. Tutto è nato dopo la pubblicazione di “Dissenso” ed il conseguente trambusto successo in seno alla band. Io e Ricky volevamo tornare alle nostre radici musicali. Era nostro desiderio continuare ripercorrendo la strada a ritroso. Non si trattava però solo di tornare indietro, ma di riappropriarci delle nostre influenze e filtrarle nuovamente attraverso le nostre emozioni. Riprendere un discorso musicale che magari avevamo lasciato da parte per approfondire in alcuni anni una ricerca sonora che andava a lambire territori sonici distanti dal thrash e dall’hardcore. “In.R.I.” nasce prevalentemente da questo desiderio. Lasciare da parte la sperimentazione per comporre e creare un disco più vicino a certe sonorità metal, che si accompagni agli ascolti con cui siamo cresciuti. Tutto questo lo abbiamo elaborato ancora prima di scrivere la prima nota che sarebbe andata a finire sul nuovo disco. Ci siamo ripromessi che, se album nuovo fosse stato, sarebbe stato un ritorno alle origini.

INFATTI L’ALBUM, FRA LE ALTRE COSE, VEDE IL TUO RITORNO AL CANTATO IN INGLESE, COME SUCCEDEVA NELLA PRIMA META’ DELLA VOSTRA CARRIERA. QUESTA SCELTA A COSA E’ DOVUTA? E’ STATA DETTATA DALLA NUOVA MUSICA IN ESSERE O LA DECISIONE E’ STATA PRESA PRIMA, ‘A TAVOLINO’?
Gabriele – Il nostro ritorno alle origini musicali doveva comprendere anche un ritorno al cantato in inglese. Nella nostra carriera abbiamo sperimentato cercando, con il nostro stile, di fare confluire svariati generi in un’unica visione sonora. In tutto questo c’è stato anche il provare a fare qualcosa con il cantato in italiano. Per due album abbiamo usato la nostra lingua perché si adattava meglio al contesto musicale che stavamo affrontando. “La Dittatura Del Rumore” e “Dissenso” sono album sperimentali dove la matrice più metal si accompagna a forti dosi di industrial e psichedelia molto all’avanguardia, e anche i temi trattati nei testi hanno richiesto l’italiano; soprattutto perché il messaggio doveva arrivare chiaro all’ascoltatore e tradurlo in inglese avrebbe voluto dire perdere il significato fondamentale. Con il nuovo album, forte di una struttura ritmica molto vicina al thrash metal ed all’hardcore, le metriche in italiano sarebbero state forzate, quindi abbiamo optato per l’inglese, che rimane la lingua primaria per fare metal. Non abbiamo scelto di passare nuovamente all’inglese per raggiungere più fan all’estero. Saremmo degli ipocriti se lo affermassimo. E’ semplicemente una scelta artistica che non abbandoneremo nei prossimi album.

ABBIAMO CAPITO, DUNQUE, CHE “IN.R.I.” E’ UN DECISO RITORNO A SONORITA’ NETTAMENTE METALLICHE. IL RIFFRAMA E’ INTENSISSIMO, LA VOCALITA’ SEMPRE ESTREMA E NON PIU’ DOGMATICA E RITUALE, SI PERCEPISCE A PELLE UN’URGENZA ESPRESSIVA VERAMENTE POTENTE. EPPURE I BRANI, ESSENDO COMUNQUE LUNGHINI, NON SONO FACILMENTE ASSIMILABILI E NEPPURE SEMPLICEMENTE ETICHETTABILI COME THRASH METAL. C’E’ SI’ MOLTO THRASH, MA CONDITO DA INDUSTRIAL, NOISE, DEATH E HARDCORE. QUAL E’ DUNQUE IL VOSTRO OBIETTIVO NEL RENDERE PUBBLICO “IN.R.I.”?
Gabriele – “In.R.I” per gli Infection Code è un nuovo inizio. E’ una buona base di partenza per riprendere a fare metal estremo con il nostro stile e la nostra personalità. Abbiamo scritto l’album in quattro mesi, in un mese lo abbiamo registrato, mixato e masterizzato, grazie anche al superlavoro di Francesco Salvadeo, ai The Cats’ Cage Studios. Un lasso di tempo molto esiguo nella gestazione di un disco. Abbiamo lavorato molto intensamente , in tempi serrati, perché ce lo siamo imposti. Volevamo uscire con una certa urgenza. Proprio perché volevamo buttarci dietro quell’instabilità che si è venuta a creare negli ultimi tempi. Ed appunto, come accennato in precedenza, volevamo farlo tornando con il discorso musicale con cui abbiamo iniziato. Tempi serrati, molti riff di chitarra, voce molto arrabbiata, una buona dose d’industrial non troppo invasivo. Sono i codici che sono sempre stati presenti nei nostri album. A volte in modo preponderante, a tratti solo di contorno. D’ora in poi comunque saranno le basi per continuare a fare ciò che più ci appaga. Ed “In.R.I” ci ha appagato. Anche molto. Siamo molto soddisfatti. Non abbiamo un obiettivo preciso. Solo quello di continuare a fare musica che ci dia ancora emozione, ed “In.R.I” non potrà che essere solo l’inizio.

QUALI TEMATICHE HAI AFFRONTATO A LIVELLO LIRICO? NEI DISCHI IMMEDIATAMENTE PRECEDENTI C’ERA MOLTA DENUNCIA SOCIALE, NEGATIVA, CAUSTICA, CORROSIVA. OGGI, CHE VIVIAMO IN UN’EPOCA SOCIALMENTE ANCORA PEGGIORE, IN CUI IL FUTURO PARE ESSERE ROSEO ESATTAMENTE COME LA COPERTINA DI “IN.R.I.”, QUALE MESSAGGIO VOLEVI TRASMETTERE?
Gabriele – Le tematiche non possono che essere sempre più negative e caustiche. Visto appunto come stanno andando le cose nella nostra società. Dove i diritti sociali sono sempre più un miraggio per le classi meno abbienti, che stanno diventando sempre più povere. Spinte ai margini di una società che ha perso ogni parvenza di emotività. I temi trattati sono sempre simili a quelli trattati nei dischi precedenti. Forse in “In.R.I.” ho cercato di dare un taglio meno di denuncia, come accadeva in “Dissenso”, per creare delle piccole storie oppure delle riflessioni che non hanno un riferimento specifico ad un fatto storico accaduto nel recente passato (come ho fatto ad esempio ne “La Dittatura Del Rumore”). Diciamo che i testi di “In.R.I.” hanno, passami il termine, un significato più poetico, rimanendo comunque sempre caustici e diretti. Una descrizione molto personale, attraverso delle piccole storie, dello stato di salute del nostro quotidiano, costituto da ombre oscure che sorvolano ed aleggiano sulle nostre fragili esistenze.

COM’E’ CAMBIATO IL PROCESSO DI SONGWRITING ALL’INTERNO DELLA BAND? E COME/DOVE/QUANDO PENSATE SIA ORA GIUSTO UTILIZZARE L’ELETTRONICA, TORNATA RIDIMENSIONATA NEL VOSTRO SUONO MA COMUNQUE ANCORA PRESENTE?
Gabriele – Con il nuovo album l’approccio compositivo è cambiato rispetto al passato. Ciò è stato dovuto ai vari sconvolgimenti avvenuti nella line-up. Con l’abbandono di Enrico, principale compositore in ambito elettronico, Ricky si è preso carico di questa parte. In pochi mesi ha acquistato molti strumenti, campionatori, sequencer, programmi e si è buttato in questa affascinante e nuova avventura. Tutta l’elettronica presente in “In.R.I.” è opera sua e lo sarà anche per il nuovo disco che stiamo già creando. Non abbiamo mai pensato di abbandonare l’elettronica, ma di cambiare approccio. Enrico aveva un altro modo di pensare a come l’elettronica doveva funzionare in un brano degli Infection Code. Ora, con un ritorno a sonorità più metal ed estreme, l’elettronica avrà un ruolo, sì importante, ma non sarà predominante. Vorremmo che si avvicinasse ad un discorso musicale usato da band come Ministry e Fear Factory. Il processo di songwriting è quindi per forza cambiato. Tutti i pezzi nascono da un’idea di Ricky che, aiutato da Rust in precedenza, ed ora da Max, assembla lo scheletro della canzone. Poi in sala prove la suoniamo apportando qualche modifica quando c’è necessità e facendo i vari arrangiamenti.

DESCRIVICI TRE BRANI A PIACIMENTO DI “IN.R.I.”, IN MODO DA FAR CAPIRE AL LETTORE COSA SI PUO’ ASPETTARE ALL’ASCOLTO DELL’ALBUM.
Gabriele – “Slowly We Suffer”, che apre il disco, può essere il brano che descrive il nostro ritorno a certe sonorità. Un pezzo industrial-thrash metal dall’incedere molto minimale nelle strofe, con una parte centrale quasi gothic-black impreziosita dall’apporto del violino di Katia Di Giulio per dare un tocco di eccentricità ed eleganza all’interno di un ambiente sulfureo ed aggressivo. “Unholy Demo(n)cracy” penso sia il pezzo più veloce che abbiamo mai scritto. Una canzone dal forte approccio hardcore, quasi grindcore. Sono molto legato a questa traccia perché ha un’energia pazzesca e ci dà una carica incredibile mentre la eseguiamo. Di solito apre i nostri concerti ed è un buon biglietto da visita per il pubblico. “The Cage” è un’altra canzone molto veloce, con una parte centrale che rallenta e si avvicina all’industrial dei Ministry per poi sfociare in un finale dove quasi inaspettatamente confluiscono un sacco di stili. C’è una parte vocale veramente da delirio puro. Urla e declamazioni che vanno ad infrangersi contro la maestosità interpretativa delle parti vocali in pulito create da Andrea Marchisio degli Highlord.

GIA’ “DISSENSO” VI AVEVA VISTI TORNARE ON STAGE PER UNA DISCRETA SERIE DI DATE UNDERGROUND. ORA, CON IL FORTE APPROCCIO LIVE DI “IN.R.I.”, PENSATE DI POTER/DOVER INCREMENTARE LE VOSTRE APPARIZIONI DAL VIVO?
Gabriele – Potersi esibire dal vivo per una realtà molto underground come la nostra è sempre difficile. Lo è sempre stato, anche agli inizi della nostra storia, quando comunque esisteva un reale interesse per realtà più piccole che si muovevano nel sottobosco della scena metal italiana ed estera. Ora, che questo interesse è un poco scemato, dovuto soprattutto ad un ricambio generazionale che sta mancando, poter suonare dal vivo diventa quasi impresa titanica. Trovare dei promoter seri che siano interessati alla musica e non a scucire denaro senza una reale collaborazione artistica e lavorativa è davvero difficile. Ci siamo sempre mossi autonomamente per quanto riguarda i live, grazie anche al supporto di Argonauta Records, la nostra casa discografica, che nonostante le mille difficoltà oggettive del mercato sta facendo un grande lavoro di promozione. Abbiamo da poco iniziato una collaborazione con Leynir Booking per poter organizzare qualche data anche fuori dai confini italici. Insomma, tra il nostro lavoro prevalentemente do-it-yourself e varie collaborazioni, stiamo pianificando un po’ di concerti. Senza tralasciare ovviamente i piani futuri riguardo al nuovo album.

DICCI I CINQUE ALBUM PRINCIPALI CHE SONO ALLA BASE DEL SUONO DEGLI INFECTION CODE, I DISCHI CHE, IN OGNI VOSTRA INCARNAZIONE, SONO STATI SEMPRE LI’, COME ESEMPIO DA SEGUIRE…
Gabriele – Posso parlare a nome di tutti i componenti della band. Ci sono stati album e gruppi che ci hanno sicuramente influenzato e che, riallacciandomi agli argomenti trattati nelle precedenti domande, ci hanno fatto tornare la voglia di riesumare le nostre radici musicali. Non è semplice individuare cinque dischi. Perché gli album con cui siamo cresciuti e ci hanno fatto innamorare di questa stupenda passione sono davvero tanti. Condensando e scremando, posso citare: “City” degli Strapping Young Lad, “The Fat Of The Land” dei Prodigy, “Psalm 69” dei Ministry, “Need To Control” dei Brutal Truth e “Through Silver In Blood” dei Neurosis. Penso che questi cinque album possano racchiudere l’essenza di influenze che hanno forgiato il sound degli Infection Code. Nonostante ce ne siano molti altri ugualmente per noi importanti.

GABRIELE, TI LASCIO L’ULTIMA DOMANDA LIBERA: CONCLUDI A PIACIMENTO CON TUE PAROLE L’INTERVISTA. GRAZIE MILLE!
Gabriele – Innanzitutto vorremmo ringraziare, per la pazienza e soprattutto per il supporto che ci avete regalato nel corso degli anni, la redazione di Metalitalia.com. E’ sempre una bella sensazione vedere il nome degli Infection Code, che sia per una news, una recensione o un’intervista, inserito nel portale più importante d’Italia. Non ti nascondo che è per noi motivo d’orgoglio e che bene o male è testimonianza che qualcosa di buono gli Infection Code lo hanno combinato. Grazie.

 

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