INFECTION CODE – Vecchia nuova matrice

Pubblicato il 11/02/2023 da

Compiuti ormai da qualche tempo i vent’anni di esistenza, gli alessandrini Infection Code pare stiano vivendo una seconda gioventù, soprattutto stilistica e attitudinale. Nonostante di recente abbiano avuto più di un ostacolo nel ritrovare una line-up stabile, la band nostrana sembra quasi sguazzare a piacimento tra le tante difficoltà, che, a dirla tutta, danno l’impressione addirittura di rinforzarla e di compattare ancor più il già solido guscio protettivo. Incazzati come non lo erano dai tempi degli esordi, Gabriele Oltracqua e compagni stanno approcciando l’età adulta ritrovando se stessi, in parte rinnegando il passato troppo industriale, in parte mettendo l’accento sui loro ultimi due lavori, caustici, corrosivi e arrabbiati come il vero underground richiede, ed infine componendo canzoni una via l’altra, tanto che c’è già all’orizzonte un album pronto. Ancora una volta, ad accompagnarci tra le spire di una carriera mai doma, da ‘die-hard’, e dentro il nuovo-ma-già-vecchio disco “Alea Iacta Est”, è proprio Gabriele, cantante del gruppo. Sentiamo cos’ha da dirci…

CIAO GABRIELE! FINALMENTE CI RITROVIAMO IN SEDE DI INTERVISTA DOPO DIVERSI ANNI E CON UNA PANDEMIA DI MEZZO. LA PRIMA DOMANDA E’ D’OBBLIGO: IL PRECEDENTE “IN.R.I.” USCI’ QUALCHE MESE PRIMA CHE IL MONDO (MUSICALE E NON SOLO) SI BLOCCASSE, MENTRE TROVIAMO FUORI IL NUOVO “ALEA IACTA EST” SULLA LUNGA SCIA TERMINANTE DI QUESTO BRUTTO PERIODO. PER GLI INFECTION CODE, TUTTO CIO’, COSA E’ VOLUTO DIRE? QUALI EMOZIONI AVETE PROVATO? AVETE MAI PENSATO DI GETTARE LA SPUGNA?
– Ciao Marco, innanzitutto grazie a te e a tutto lo staff di Metalitalia.com per lo spazio che da anni ci concedete. In questi ultimi due anni, oltre alla pandemia, è successo un po’ di tutto. Cambi di line-up, problemi familiari, la vita quotidiana che lascia sempre meno spazio alla band: insomma, abbiamo dovuto affrontare altri problemi che con la musica hanno poco a che fare. Immersi in tutto questo turbinio di casini siamo riusciti a venirne fuori in qualche modo. Con una nuova formazione e un nuovo disco. In questo periodo siamo riusciti a comporre un disco, a registrare e, prima che tutto il mondo si chiudesse su se stesso, abbiamo anche fatto qualche concerto. Siamo stati bravi a non perdere la testa e a volere fortemente tenere in vita la band, perché anche in mezzo alla pazzia globale ed a tutti i problemi che ci possono essere in una vita, la band resta una comfort-zone nella quale scaricare molte tensioni. Diciamo che anche nei momenti più bui non abbiamo mai pensato di gettare la spugna. Non avremmo composto un nuovo disco. Non saremmo qui a fare promozione, ad annoiarvi con della nuova musica. Nonostante tutto, ci abbiamo sempre creduto. Non ti nascondo che ci sono stati momenti frustranti. Scoraggianti. Ma la nostra passione e la nostra voglia hanno cancellato tutto il brutto e ci hanno permesso di andare avanti.

CIO’ CHE PIU’ TRASPARE DAI PRIMI ASCOLTI DI “ALEA IACTA EST”, COME HO ANCHE EVIDENZIATO NELLA RECENSIONE, E’ LA RABBIA. UNA RABBIA A TRATTI CLAUSTROFOBICA, BEN ESPRESSA ATTRAVERSO UNA PRODUZIONE RUVIDA E TORNATA IN PRATICA A QUELLA CHE USAVATE AD INIZIO CARRIERA, CORROSIVA, SCARTAVETRANTE. TI RITROVI IN QUESTA INTERPRETAZIONE, FORSE SUPERFICIALE MA CERTAMENTE QUELLA CHE EMERGE SUBITO?
– Non è assolutamente superficiale. È proprio quello che abbiamo voluto far arrivare all’ascoltatore. Soprattutto per quanto riguarda la produzione. Con “In.R.I.” abbiamo intrapreso un viaggio a ritroso verso i nostri primi anni di carriera, cercando di riportare alla luce il suono che avevamo nei primi album lasciando un poco da parte la sperimentazione, concentrandoci più su sonorità con cui siamo cresciuti anche come musicisti. Francesco Salvadeo, il nostro produttore, ha centrato in pieno questo nostro desiderio e con “Alea Iacta Est” ha perfezionato alla grande quanto aveva già imbastito con “In.R.I”. Un suono molto ruvido, con tanto groove se mi passi il termine. Un suono che si avvicina maggiormente a descrivere le nostre emozioni, che in questi ultimi anni si sono fatte sempre più estreme ed oscure. Come dicevo prima, la band è una sorta di terapia. Con la scrittura ci liberiamo delle tensioni, delle negatività emotive che ci circondano. Con la scrittura di “Alea Iacta Est” abbiamo, anche inconsciamente forse, convogliato tutte queste negatività. Per questo reputo “Alea Iacta Est” il nostro disco più estremo, sia per i contenuti che per il suono.

ANCHE PER QUESTO LAVORO AVETE DOVUTO AFFRONTARE UN PROBLEMA DI LINE-UP CONCERNENTE IL CHITARRISTA. CE NE VUOI PARLARE? E QUANTO QUESTI SCOSSONI IN FORMAZIONE, SOPRATTUTTO AVVENUTI IN UNA POSIZIONE, LA CHITARRA, TORNATA AD ESSERE PROTAGONISTA NEL VOSTRO STILE, HANNO CONDIZIONATO IL VOSTRO ITER COMPOSITIVO ED IL VOSTRO APPROCCIO IN GENERALE?
– In quattro anni, dal 2018 ad oggi, abbiamo cambiato quattro chitarristi. Sembra paradossale, strano, assurdo, ma è la triste verità. Non siamo riusciti, fino ad oggi, a trovare, non un musicista, ma una persona equilibrata. Con tutti quelli passati sono sorti problemi di ogni tipo. Infatti, ad un certo punto ci siamo chiesti se fossimo noi quelli che sbagliavamo nel rapportarsi. Ma non era questo che faceva scappare le persone. E neppure il troppo impegno. Chiedevamo serietà, passione ed un po’ di sacrificio nel fare una prova alla settimana e qualche concerto. Nulla di più. A livello compositivo questo ha un po’ influito in “In.R.I.”, perché chi aveva composto quell’album aveva una forte personalità compositiva; mentre per “Alea Iacta Est”, dopo la dipartita del chitarrista che ha scritto le parti, Ricky, Davide e Francesco (Porzio, Peglia e Salvadeo, rispettivamente batterista, bassista e produttore, ndR) in studio hanno rivisto le parti. In ogni caso ora con Chris (Perosino, ndR) abbiamo trovato finalmente una persona che ha la testa sulle spalle, conscio di quello che si può fare e non fare all’interno di una band metal underground, che ha entusiasmo e voglia di suonare. Chris è entrato a dicembre dello scorso anno, a registrazioni avvenute, e in questo anno ha imparato alcuni brani dei dischi precedenti per i live, ma soprattutto con lui abbiamo composto nuove canzoni per un nuovo album. Le cose stanno andando bene.

SIETE SEMPRE STATI UNA FORMAZIONE CON ZERO PAURA DI SPERIMENTARE COSE NUOVE E TOTALMENTE LONTANE DA DOVE PORTANO LE TENDENZE METALLICHE DI VOLTA IN VOLTA. ANCHE PER “IN.R.I.”, DIFATTI, PUR ESSENDO TORNATI A MACINARE THRASH-DEATH METAL, AVEVATE INSERITO AD ESEMPIO ARCHI E VOCI PULITE IN UN PAIO DI PEZZI. PER IL NUOVO LAVORO, ANCOR PIU’ DIRETTO E SCARNO, DOVE VI SIETE CONCENTRATI PER ALIMENTARE TALE ISTINTO EVOLUTIVO CHE AVETE NEL DNA? VOGLIO DIRE, RIPULENDO E SNELLENDO IL SUONO SI DIREBBE CHE LA SPERIMENTAZIONE NON DEBBA ESISTERE PIU’…MA INVECE?
– Non abbiamo mai avuto paura di sperimentare, verissimo. Ma ultimamente, fino a “Dissenso” almeno, questo lato stava prendendo una piega troppo estrema. Stavamo perdendo la bussola e ci stavamo snaturando, sia come suono, sia come identità artistica. Ciò è stato la causa della dipartita di Enrico (Cerrato, ex bassista e ed elettronica, ndR) dopo diciotto anni: divergenze artistiche. Volevamo ritornare alle radici del nostro suono, lasciando da parte, come ho già scritto prima, la sperimentazione e concentrandoci maggiormente su ciò che ci ha fatto crescere come musicisti, prendendo quei generi, come thrash e death metal, che ci hanno forgiato in un’identità ben definita. Con “In.R.I.” ci siamo ripuliti da quelle derive sperimentali troppo lontane dal metal, mentre con il nuovo disco abbiamo sperimentato al contrario. Cercando di scrivere un disco più radicato possibile nell’ambito estremo. In quel contesto da cui gli Infection Code sono nati: thrash metal, death metal e hardcore. Anche questa è sperimentazione. È ricerca delle nostre radici. E ti assicuro che d’ora in poi non ci discosteremo molto da quanto fatto su “Alea Iacta Est”.

L’USO DELLA TUA VOCE E’ SEMPRE PIU’ ESTREMO E VISCERALE. SEI PASSATO SENZA APPARENTE DIFFICOLTA’ DALLA RECITA DI TESTI-SLOGAN IN ITALIANO (IN “LA DITTATURA DEL RUMORE”, PER ESEMPIO) A PIU’ CANONICHE LYRICS IN INGLESE, PERO’ URLATE NEL MICROFONO CON DOLORE. QUANTO CI E’ VOLUTO PER RI-SETTARSI FISICAMENTE E MENTALMENTE SULLE VECCHIE-NUOVE COORDINATE?
– Sinceramente non ho impiegato molto tempo a riprendere il growl e lo scream, forse perché non le ho mai abbandonate come tecniche, o forse perché fanno parte del mio modo naturale di urlare e ‘cantare’. Ho fatto più fatica ad usare l’italiano a livello di metrica e conseguentemente cercare un modo meno estremo di interpretare su sonorità meno metal e più sperimentali. In “La Dittatura del Rumore” ed in “Dissenso” ho trovato qualche difficoltà. Su “Alea Iacta Est” ho ritrovato me stesso. E‘ stato tutto naturale, senza nessuna forzatura. Ho affinato la tecnica del growl ed ho scoperto nuove sfumature vocali che prima non sapevo neppure di avere. Forse, lasciandomi libero di interpretare, mi sono sentito di distruggere alcuni paletti e remore. C’è stato un periodo in cui il growl all’interno della band era visto come un fattore molto negativo. Non sicuramente da parte mia. In ogni caso quella fase è passata ed ora non è più un condizionamento. Diciamo che l’uso del growl e delle scream va di pari passo con il ritorno a sonorità più death e thrash.

QUALE SENSO HA UN TITOLO PIUTTOSTO ENIGMATICO ED INTERPRETABILE QUALE “ALEA IACTA EST”, ‘IL DADO E’ TRATTO’? E COME SI CONNETTE AI TESTI DEL LAVORO?
– Principalmente il titolo è nato da un’idea di Ricky, dopo un suo periodo piuttosto buio e tormentato. ‘Il dado è tratto’ perché, dopo quello che è accaduto e dopo aver passato un periodo non troppo sereno, ha tracciato una linea di demarcazione ben precisa da quello che ha trascorso e poi superato. Il titolo quindi ha un significato più profondo ed intimo. Nel corso di questi due anni ci sono stati avvenimenti piuttosto pesanti nelle nostre vite che hanno minato, ma anche fortificato, il nostro carattere e messo in discussione alcune certezze che pensavamo fossero ben cementate nel vivere quotidiano.

MUSICALMENTE PARLANDO, COME GIA’ ACCENNATO, SIETE PASSATI DAL THRASH-DEATH METAL DI “IN.R.I.” AD UN QUALCOSA DI ANCOR POCO DEFINIBILE MA CHE VIRA ANCORA DI PIU’ VERSO LIDI DEATH METAL, INCORPORANDO DISPARATE INFLUENZE TUTTE DI CARATTERE ESTREMO. MA A QUALE SCENA D’APPARTENENZA, SE VE NE E’ UNA, VI SENTITE PIU’ VICINI ATTUALMENTE A LIVELLO ATTITUDINALE?
– Siamo passati ad una sorta di death metal contaminato con l’industrial nelle ritmiche ipnotiche e serrate, ma anche con l’inserto dell’elettronica che non è invasiva come in passato, che comunque è sempre presente nella nostra identità musicale. L’aver passato un periodo piuttosto cupo e travagliato ha fatto aumentare il nostro livello di rabbia e frustrazione che solo un genere come il death riesce a descrivere in modo accurato e dettagliato. È un genere che fa parte del nostro genoma musicale, con cui siamo cresciuti, così come l’industrial ed il thrash. Ci sentiamo liberi – anche se non vogliamo per forza affrontare discorsi come la libera sperimentazione e quindi abbandonarci a voli pindarici che non potremmo supportare – di scrivere canzoni ed album che partono dalle nostre influenze più radicate, per poi cercare di personalizzarle e renderle più originali possibili senza cadere in forzature che stonerebbero oltremodo. La scena a cui apparteniamo è quella metal. Lo so, è un’affermazione che dice poco e forse nulla, ma sicuramente identifica la nostra personalità molto eterogenea e poco incline alla stagnazione compositiva.

MENTRE IN “IN.R.I.” SI SENTIVA PARECCHIO COME FOSSE UN DISCO SCRITTO E PENSATO PARTENDO DA RIFF DI CHITARRA, L’IMPRESSIONE CHE HO AVUTO CON “ALEA IACTA EST” E’ STATA INVECE QUELLA CHE ABBIATE AVUTO GROOVE E SEZIONE RITMICA COME BASE PER LA COMPOSIZIONE. I RIFF CI SONO, SIA CHIARO, MA SONO PIU’ MESSI AL SERVIZIO DEL RESTO CHE VICEVERSA. TI TROVI D’ACCORDO?
– Sì, sono d’accordo. “In.R.I” è stato scritto da un chitarrista che aveva un certo modo di comporre e suonare molto personale e sapeva dove arrangiare e come far rendere una canzone. Quindi un ‘chitarrismo’, passami il termine, un poco sopra le righe; ma è stato giusto così, perché le canzoni richiedevano questo. “Alea Iacta Est” è un disco composto interamente da Ricky, quindi ha un taglio molto ritmico, una prospettiva più ‘groovosa’. E’ stata un’idea vincente, perché il disco ha un tiro micidiale, con molta dinamica, e quindi molto più divertente all’ascolto. E ti posso assicurare quanto anche in sala prove o durante un concerto sia molto divertente da suonare.

GLI INFECTION CODE, PUR ESSENDO SULLA SCENA DA TANTISSIMO TEMPO ED ESSENDO UNA BAND ITALIANA ORMAI MOLTO LONGEVA E ANCORA DEL TUTTO ARTISTICAMENTE VIVA, NON SONO CERTO STATI BACIATI DALLA FORTUNA NEL CORSO DEGLI ANNI. DOVE, QUANDO E IN COSA CREDI AVRESTE POTUTO FARE MEGLIO LUNGO LA VOSTRA CARRIERA? RIMPIANTI, RECRIMINAZIONI, SCELTE CHE NON RIFARESTE?
– Non so dirti se siamo stati sfortunati o se abbiamo fatto scelte alcune volte troppo avventate. Ma eravamo agli inizi e molto giovani. E questo non vuole essere assolutamente una giustificazione. Abbiamo fatto molto, poco, o il giusto per andare avanti? Per progredire? Per crescere artisticamente? Non possiamo saperlo. Siamo una band underground. Di nicchia. Che ha sempre fatto un po’ quello che ha voluto. Legata poco al lato ‘business’ che, soprattutto negli ultimi anni, pervade il panorama metal anche underground. Certo, prima potevamo pianificare meglio le nostre mosse e cercare di incanalare le nostre forze ed energie in un percorso ben preciso. Mi spiego: una decina di anni fa con l’uscita de “La Dittatura del Rumore” abbiamo cercato di cambiare strada, non solo artisticamente ma anche a livello di appartenenza ad una scena. Forse in modo un po’ avventato abbiamo abbandonato la scena metal nella quale siamo nati per abbracciare altri panorami e altre situazioni. Ma quali? Sinceramente non lo sappiamo neppure noi. Forse la scena indie, quella post-hardcore e più sperimentale. Ma eravamo come pesci fuor d’acqua. Eravamo troppo estremi e pesanti per questo tipo di pubblico ed eravamo troppo strani e sperimentali per il pubblico metal. Quindi? Non sapevamo davvero che cosa fare. E’ stato un grande errore di valutazione, che ha portato la band per un bel periodo fuori dai radar del pubblico metal e questo sicuramente non ha giovato per la nostra carriera. State certi che, da qualche anno a questa parte, con l’uscita di “In.R.I”, ci siamo rimessi in carreggiata e quell’errore non sarà più commesso. Siamo una band di metal estremo ed il nostro pubblico sarà composto da gente che ascolta metal estremo. Dobbiamo e vogliamo rivolgerci essenzialmente a questo tipo di pubblico.

UNA DOMANDA BANALE, MA NEANCHE TANTO, PER CHIUDERE L’INTERVISTA: SIAMO A FINE 2022 (L’INTERVISTA E’ STATA RACCOLTA NEL DICEMBRE SCORSO, ndr), DOVE VEDI GLI INFECTION CODE TRA UN ANNO, A FINE 2023?
– Abbiamo un po’ di piani per il 2023. Innanzitutto stiamo finendo di arrangiare nuovi brani che andranno a comporre un nuovo album. Abbiamo fatto un po’ di date per promuovere “Alea Iacta Est”, ma con Chris, il nuovo chitarrista, abbiamo trovato subito un’intesa pazzesca e sono usciti fuori in fretta una manciata di brani molto interessanti. Quindi il prossimo anno… studio di registrazione e palchi! Ecco, questo sarà il nostro 2023.

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