Negli ultimi dieci anni, dopo il successo di “Pisces”, i Jinjer sono passati da sconosciuti a band di punta della scena progressive groove metal, in un crescendo mediatico che li ha visti conquistare sempre più copertine grazie a dischi come “Macro” e “Wallflowers”, oltre a diventare involontari simboli della resistenza ucraina nella scena metal.
Nei quattro anni dall’uscita di “Wallflowers” il quartetto del Donetsk – ormai logisticamente diviso tra l’Est Europa e la costa Est degli Stati Uniti – ha macinato centinaia di show in giro per il mondo, trovando il modo nel frattempo di lavorare al proprio quinto album, chiamato al non facile compito di confermare lo status di culto acquisito a fronte di una concorrenza sempre più agguerrita.
“Duél”, probabilmente per la prima volta nella storia della band, non aggiunge nulla di nuovo a quanto fatto sentire finora, ma lavora di cesello su un sound ormai riconoscibile e che, soprattutto dal vivo, acquisisce ancora più potenza. A parlarcene è il batterista Vlad, un uomo ‘in missione per conto di Dio’ nel comporre musica senza sosta…
ARRIVATI AL QUINTO ALBUM ORMAI SIETE UN NOME AFFERMATO: SENTITE LA PRESSIONE DI DOVER STUPIRE IL PUBBLICO?
– Quando mi trovo a comporre non penso mai a scrivere qualcosa di più pesante o malinconico o progressive, ma seguo l’ispirazione del momento. Per me comporre musica è prima di tutto un piacere, lo definirei quasi un hobby: mentre altri magari sono appassionati di videogiochi, io passo tutto il mio tempo libero ad esercitarmi o comporre con una chitarra in mano, e così nascono le idee.
Nel nuovo disco ad esempio ci sono un paio di canzoni aggressive dall’inizio alla fine, in cui non c’è il cantato pulito di Tatiana nonostante sia uno dei punti di forza del sound dei Jinjer.
LA COMPOSIZIONE HA RICHIESTO PARECCHIO TEMPO…
– Il primo demo di “Someone’s Daughter” credo risalga al 2021, a ridosso dell’uscita di “Wallflowers”. Nel corso degli anni abbiamo lavorato una canzone alla volta tra un tour e l’altro, cercando di mantenere un tratto distintivo senza però copiare noi stessi: molta della musica che ho composto alla fine è finita nel cestino proprio perchè troppo simile a quanto già fatto in passato; per questo abbiamo bisogno di parecchio tempo per comporre, oltre al fatto che la nostra musica è complessa e quindi difficilmente riusciremmo a scrivere e registrare in una sola sessione.
SCRIVENDO COSI’ TANTA MUSICA, HAI DEL MATERIALE PER QUALCHE PROGETTO PARALLELO?
– Non ho tempo per nient’altro che i Jinjer, il poco tempo che mi resta fuori da tour e studio con la band è per fare qualche viaggio con la mia ragazza e riposare un po’. Non so come facciano persone come Corey Taylor o Jonathan Davis a portare avanti progetti paralleli oltre a Slipknot e Korn, ma per quanto mi riguarda tutte le energie sono per i Jinjer.
LE VOSTRE PARTI STRUMENTALI SONO MOLTO INTRICATE: COME COMPONETE/REGISTRATE DI SOLITO?
– Quando componiamo in genere mettiamo prima le chitarre, poi le linee di basso e infine la batteria a complemento, anche se a volte si parte dalla batteria e poi aggiungiamo le linee di basso. Per le registrazioni in genere partiamo dalla batteria, ma in questo disco abbiamo registrato prima le chitarre perchè volevamo un sound più ‘guitar oriented’. A queste abbiamo poi aggiunto il basso, registrato con un forte ovedrive, e infine la batteria, che quindi è più ‘prodotta’ rispetto al solito.
QUAL E’ LA PRIMA CANZONE CHE HAI IMPARATO A SUONARE ALLA BATTERIA?
– In realtà non ho mai suonato niente che non fosse musica originale. All’epoca, quando avevo quattordici anni, suonavo la chitarra in una band chiamata Slam, ma un paio d’anni dopo abbiamo perso il batterista e allora ho deciso, in accordo con il cantante e il bassista, di passare io alla batteria, dato che era difficile trovare batteristi validi in Ucraina. Per fortuna avevo studiato musica a scuola e sapevo già suonare fin da piccolo bene il piano, quindi è stato relativamente semplice imparare gli altri strumenti.
IL TUO SET E’ MOLTO BASSO, CON I PIATTI PRATICAMENTE AD ALTEZZA DEI TAMBURI…
– E’ semplicemente una questione di praticità: non avendo mai preso lezioni di batteria mi sono autogestito nella regolazione del set come mi veniva più comodo, ma la cosa divertente è che molti batteristi quando provano il mio assetto ne riconoscono anche loro la comodità, anche se è abbastanza inusuale come regolazione. Poi certamente c’è anche un effetto collaterale positivo, ovvero che sono più visibile dal pubblico rispetto alla media dei batteristi metal.
C’E’ UNO SHOW IN ITALIA CHE TI RICORDI IN PARTICOLARE?
– Siamo venuti un paio di volte a suonare vicino a Bergamo insieme al mio amico Federico Leone (batterista di The Modern Age Slavery e Ultra-Violence, ndr), e in quell’occasione ho mangiato le migliori costolette d’agnello della mia vita. Ovviamente nella mia mente sono più impressi i primi concerti con la band, in questo caso parliamo del 2016-2017, dato che all’epoca magari un tour durava venti date, mentre ora ne facciamo dieci volte tanti, quindi diventa più difficile ricordarsi il singolo show a meno che non sia successo qualcosa di particolare.
POSSIAMO CONSIDERARE MAX MORTON, IL VOSTRO PRODUTTORE, COME IL QUINTO MEMBRO DEI JINJER?
– In realtà il quinto sarebbe il nostro ingegnere del suono Sasha, mentre Max possiamo dire che è il sesto (risate, ndr).
LOGISTICAMENTE COME SIETE ORGANIZZATI?
– Io e Roman, il chitarrista, viviamo entrambi a Varsavia ed abbiamo una nostra sala prova vicino a casa mia. Eugen, il bassista, vive in Bulgaria e quindi ci raggiunge facilmente con un volo low cost quando c’è bisogno di provare insieme. Tati invece vive a Los Angeles, ma lei è estremamente professionale e non ha bisogno di provare (risate, ndr).
NEL FUTURO TI VEDI CON UN RUOLO DA PRODUTTORE?
– In realtà non so nulla di registrazione, dato che di questi aspetti si occupa Roman, mentre io sono concentrato solo sulla composizione. Per la verità prima che scoppiasse la guerra in Ucraina avevamo pensato di aprire un nostro studio di registrazione a Kiev, ma poi è saltato tutto e ora non ne vedo la necessità, oltre al fatto che siamo costantemente in tour.
SUONANDO PRATICAMENTE OGNI GIORNO, COME FAI A TROVARE LA GIUSTA ENERGIA PRIMA DELLO SHOW?
– In genere cerco di dormire un paio d’ore prima di ogni concerto, così arrivo bello fresco e pieno di energie. Poi dipende anche dal tour bus con cui viaggiamo: nell’ultimo tour europeo con i Sepultura ad esempio avevamo un bus fantastico, quindi ho dormito ogni notte tra due guanciali come un bambino.
QUAL E’ LA TUA BAND PREFERITA IN AMBITO PROGRESSIVE?
– Sicuramente i Meshuggah. Sono una delle mie band preferite da sempre e considero Tomas Haake come il ‘padrino’ di tutti i batteristi prog moderni. Tra le band più ‘recenti’ mi piacciono molto gli Acacia Strain e i Kublai Khan, una formazione del Texas in giro da un po’ di tempo ma il cui ultimo disco merita veramente tanto.
E IL TUO BATTERISTA PREFERITO, QUANDO HAI INIZIATO?
– Beh, all’epoca adoravo Joey Jordison degli Slipknot, ma devo dire che anche Casagrande è impressionante per l’energia con cui suona per tutto il set. Lo ritengo uno dei migliori batteristi in circolazione, oltre che un amico, e pur avendo assistito ad un sacco di suoi show con i Sepultura quando l’ho visto in azione con gli Slipknot la prima volta al Sick New World sono rimasto davvero impressionato.
SIETE STATI TRA GLI ULTIMI A SUONARE AL SICK NEW WORLD, QUEST’ANNO CANCELLATO PER I TROPPI COSTI…
– Sì, è stata una bella esperienza in termini di pubblico e devo dire di essermi divertito moltissimo anche durante lo show dei System Of A Down: non posso dire di essere un loro grande fan, ma la scaletta era piena di hit e l’energia del pubblico era pazzesca… Uno degli show più divertenti della mia vita!.