Per i fan che si nutrono di pane e progressive metal, il tastierista Jordan Rudess non ha bisogno di presentazioni: attivo dietro i tasti bicolore dal lontano 1981 ha cavalcato decine e decine di palchi con la sua band principale, i Dream Theater, e con innumerevoli artisti con cui ha collaborato, fino ad essere nominato, nel 2011, “miglior tastierista di tutti i tempi” dalla rivista Music Radar.
Da sempre attivo anche nel mondo solista, Rudess vanta ben venti album rilasciati a suo nome nelle ultime quattro decadi, l’ultimo dei quali, “Permission To Flight”, uscito a inizio settembre. Ed è proprio di questa ultima fatica discografica che il tastierista dal caratteristico pizzetto bianco ha parlato con Metalitalia.com, in un’intervista in cui il genio dell’artista rincorre la sua energia bambinesca e veritiera regalandoci una chiacchierata tanto autentica quanto piena di interessantissimi spunti, ottimi per quanti tra i nostir lettori sono anche musicisti.
Allacciatevi le cinture, il volo sta per iniziare.
INIZIAMO DAL TITOLO, “PERMISSION TO FLIGHT”: PUÒ DIRCI QUALCOSA DI PIÙ AL RIGUARDO? TI SENTI COME SE NON TI FOSSE STATO PERMESSO DI SPIEGARE LE TUE ALI DI RECENTE O C’È QUALCHE ALTRO SIGNIFICATO DIETRO QUESTA ESPRESSIONE?
– È buffo che sia stata interpretata in questo modo, ma, a dire il vero, non si tratta di me, io posso volare sempre (ride, ndr). Quello che ho pensato scrivendo questo titolo è che voglio offrire all’ascoltatore una possibilità, voglio offrire qualcosa al mondo di oggi; come un regalo, per tutti voi. Vi do il permesso di spiccare il volo e intraprendere un viaggio, di concedervi il tempo per fare un’esperienza musicale.
Mi sto rendendo conto che, al giorno d’oggi, sempre meno persone hanno la pazienza, lo stile di vita o, semplicemente, il desiderio di ascoltare la musica come piace a me, prendendosi del tempo per assaporare un album come fosse un’esperienza reale e fantastica nella sua interezza. Quindi il titolo dell’album fa parte di quell’offerta e di quel concetto, è più un suggerimento che altro, è come dire: rilassatevi, prendetevi del tempo, ora si vola!
TORNANDO INDIETRO NEL TEMPO E ASCOLTANDO LA TUA INTERA DISCOGRAFIA SEMBRA CHIARO CHE TU SIA SEMPRE STATO PIÙ FOCALIZZATO SU UNA COMPOSIZIONE DI STAMPO PRETTAMENTE STRUMENTALE, MA QUESTO NUOVO ALBUM È MOLTO DIVERSO, AVENDO UN CANTANTE E CONCENTRANDOSI MAGGIORMENTE SUI TESTI INTERPRETATI DA UNA VOCE. STIAMO FORSE ASSISTENDO ALL’INIZIO DI UNA NUOVA ERA PER JORDAN RUDESS?
– Beh, creare un album è sempre un’esperienza interessante e, al contempo, molto stressante (ride, ndr).
Sono sicuro che abbiate modo di intervistare molte persone che fanno della creatività il loro mestiere e sono convinto che tutti vi diranno che produrre un prodotto musicale non è sempre facile. Ci sono molte persone che hanno molte idee, dal punto di vista musicale, artistico o altro, e possono esprimerle in modi diversi, ma realizzare un prodotto nella sua interezza non è così facile, perché richiede molti tipi di abilità diverse, al di là della particolare abilità artistica in sé.
Quindi, la prima cosa da chiarire prima di iniziare un progetto così importante è riflettere su cosa si vuole creare, passare attraverso tutti i viaggi che ci facciamo nella nostra testa, tutti i dubbi che abbiamo su noi stessi, tutto ciò che blocca l’espressione ultima della nostra creatività.
Per questo volevo trovare un concetto che sentissi davvero forte dentro di me, cercavo un obiettivo per cui valesse la pena di dedicare tempo e fatica alla realizzazione di un grande album. Così, dopo aver fatto un po’ di ricerca interiore e dopo aver parlato con molte persone riguardo il modo migliore di procedere, le idee mi si sono schiarite.
Ho capito che la cosa da fare sarebbe stata produrre un album che non rappresentasse solo il lato strumentale e selvaggio di Jordan: veloce, tecnico, con molte ritmiche diverse e tutto il resto per cui sono conosciuto, ma che avesse anche alcuni elementi nel formato di canzone.
Ho fatto questa scelta perché volevo dare agli ascoltatori la possibilità di entrare profondamente e più rapidamente in sintonia con l’album stesso; la voce è uno strumento molto intimo e personale e ascoltarla ci permette di entrare in sintonia con l’artista un po’ più rapidamente.
Quindi si trattava di una questione personale: questo album è esattamente qualcosa di cui vorrei fruire come ascoltatore. Non volevo usare questa opportunità per fare l’ennesimo album folle, pieno di complessità tecniche e ritmiche, volevo creare qualcosa che fosse davvero un’esperienza d’ascolto di alto livello.
Il secondo motivo è che sentivo che se avessi messo insieme una band come questa, avrei potuto creare un ensemble con cui intraprendere un percorso. Mi piacerebbe che i miei fan riuscissero a definirmi in maniera più chiara e meno sperimentale e che possano, in qualche modo, immaginare lo stile del mio prossimo album.
Naturalmente, non è facile trovare qualcuno che abbia una voce che si adatti alla mia espressione musicale e che possa essere parte integrante della mia produzione: così ho passato un sacco di tempo a pensarci, a parlare con diversi cantanti e a considerare che tipo di timbro vocale volevo avere nel mio album. Quindi, l’obiettivo era quello di produrre una sorta di ‘concept band’ e sono contento che tutti abbiano ascoltato e percepito l’album in questo modo, perché era proprio quello che mi ero prefissato di fare.
SEGUENDO I TESTI DEL NUOVO ALBUM È ABBASTANZA CHIARO CHE IL TEMA RICORRENTE SIA LA CONDIZIONE UMANA E L’IMPORTANZA CHE DOVREBBE ESSERE DATA ALLA PACE. SEMBRA QUASI CHE TU ABBIA VOLUTO SCRIVERE, APPUNTO, UN CONCEPT ALBUM; PUOI DIRCI QUALCOSA DI PIÙ SU QUESTA SCELTA?
– Sì, come avrete capito, mia figlia Ariana ha scritto tutti i testi. Volevo assicurarmi che, trattandosi di un album vocale, i testi ricevessero l’attenzione e il rispetto che meritavano e che dessero all’ascoltatore qualcosa da apprezzare e su cui riflettere riuscendo, al contempo, a toccarlo nel profondo; così le ho affidato il lavoro.
Una volta finito di scrivere la musica ho realizzato che potevo scrivere i testi e mi piace farlo, specialmente perché non mi capita spesso di scrivere testi con i Dream Theater, ma nel corso degli anni ho scritto testi per i miei album da solista sentivo che mia figlia Ari avrebbe fatto meglio di me. Sentivo che Ari avrebbe fatto un lavoro migliore perché è una linguista, si è laureata in inglese ed è una scrittrice estremamente creativa; inoltre conosce bene me e la mia musica, essendo cresciuta a casa mia e avendo imparato a usare i tempi dispari mentre andava all’asilo (ride, ndr). Quindi ho pensato che sarebbe stata una buona mossa, e lei è stata felice di accettare quell’incarico, l’ha preso molto sul serio e ha fatto un ottimo lavoro.
Una delle cose a cui tenevo molto è la relazione tra i testi e la musica, tra la frase cantata e lo stile vocale, e a volte mi accorgo che i testi sono forzati dalla musica e una data parola può risultare fuori luogo, quando accompagnata dall’accordo sbagliato o cantata in una particolare nota.
Questo è stato un altro lavoro che ho affidato ad Ari, sapendo che sarebbe stata in grado di farlo. Quindi, per quanto riguarda le tematiche più concettuali, è stata lei a occuparsene; ha sviluppato questi temi e ha deciso che ci sarebbe stato un filo conduttore all’interno dell’intero album in grado di influenzare ogni brano.
AVENDOTI SEGUITO NEGLI ULTIMI DECENNI ABBIAMO NOTATO CHE, OLTRE AD ESSERE UN MAGO DELLA TASTIERA, SEI DIVENTATO ANCHE UN OTTIMO CHITARRISTA. ASCOLTEREMO MAI UN TUO ALBUM SOLISTA IN CUI SUONI SIA LA CHITARRA CHE LE TASTIERE?
– Vero, negli ultimi anni ho iniziato a suonare la chitarra e, a questo punto, lo considero un hobby piuttosto serio, tanto da aver suonato tre assoli di nel mio nuovo album. Quindi si, possiamo dire che “Permission To Flight” è stato il mio battesimo del fuoco.
La cosa divertente è che volevo suonare di più la chitarra su questo ultimo lavoro ma mi sono reso conto che – con la vita che conduco e gli impegni che ho – non sarei riuscito a dare a questo strumento il giusto tempo e la giusta importanza perché io ho modo di lavorare su un album solista solo all’interno di un determinato arco temporale; magari riesco a ritagliarmi un po’ di tempo quando la mia band principale ha appena finito un tour e ci sono dei momenti di pausa.
Appena questa piccola finestrella temporale si è aperta mi sono detto: “Ok, è fantastico, è proprio quello che volevo fare prima di iniziare a lavorare di nuovo con i Dream Theater. Posso registrare questo disco, andare nel mio studio e fare tutto quello che voglio in totale libertà!“. Così sono entrato nel mio studio pensando: “Oh sì, suonerò un po’ di chitarra elettrica nell’album e poi un paio di soli, poi magari passerò all’acustica”. E poi mi sono reso conto che, udite udite, non sono capace a registrare un audio di chitarra (ride, ndr)!
Io sono un tastierista, quindi uso i MIDI e suonare e registrare le tastiere è tutto quello che faccio solitamente in un gruppo; una volta registrato un pezzo di tastiera, mando l’audio a qualcun altro per registrare la batteria o la chitarra. Quindi sono riuscito a registrare un paio di soli nel mio studio ma non ho avuto tempo per imparare a lavorare su tutte le parti di chitarra all’interno di un album come avrei voluto.
Una volta che ho realizzato che le mie risorse chitarristiche erano alquanto limitate ho dovuto trovare una differente soluzione, soluzione che mi è stata proposta da un amico di lunga data chiamato Steve Dadaian; lui fa il dentista a tempo pieno ma è anche un eccellente chitarrista elettrico ed acustico. Non ho dovuto fare altro che invitarlo nel mio studio e fargli sentire le parti di chitarra che avrei voluto registrare, e lui si è subito proposto di aiutarmi, visto che ha una grande esperienza nella registrazione di questo strumento.
Steve ha fatto un lavoro eccellente, ha preso le mie idee musicali e le ha rimandate indietro migliorate e suonate da un ‘vero’ chitarrista e, diciamocelo, non avrei potuto chiedere di meglio. Oltre al supporto di Steve ho anche avuto modo di collaborare su due brani con un altro eccellente chitarrista chiamato Bastian Martinez. Bastian è un giovane talento, fenomenale alle sei corde, e devo dire che ha davvero spaccato di brutto; sono contento di aver supportato artisti meno conosciuti dando loro un po’ di visibilità.
Prima che mi dimentichi, visto che siamo parlando delle mie abilità chitarristiche, tra un mese o poco più ci saranno alcune interessanti novità relative al Jordan Rudess chitarrista, rimanete sintonizzati, mi raccomando (ride sotto i baffi, ndr)!
QUESTO NUOVO ALBUM È STATO REALIZZATO DA UNA SQUADRA DI GRANDI MUSICISTI.
COME CI SI SENTE A COMPORRE CON UNA BAND DIVERSA DAI DREAM THEATER? QUANTO SPAZIO LASCI AGLI ALTRI ARTISTI CHE INVITI A COLLABORARE CON TE?
– Beh, dovremmo decisamente iniziare dal cantante, Joe Payne: è stato davvero un piacere lavorare con lui perché ha un timbro molto bello e melodico oltre ad essere estremamente preparato musicalmente ed essere esperto nel registrare la sua stessa voce. Una cosa che ho apprezzato molto di Joe è la sua abilità di andare oltre e non limitarsi a cantare quello che gli avevo proposto, ma essere capace di proporre arrangiamenti vocali personali e molto azzeccati che gli sono venuti in mente in corso d’opera.
All’inizio mi ha preso alla sprovvista perché avevo paura che sarei finito per seguire una direzione stilistica lontana da quello che volevo proporre ma, ascolto dopo ascolto, mi ha convinto e gli ho dato carta bianca. All’improvviso non si trattava solo del cervello di Jordan Rudess, si trattava della musicalità di qualcun altro mescolata alla mia. Per me questo ha reso il progetto magico, lo ha reso più grande, lo ha reso un gruppo vero e proprio.
Tutto ad un tratto ho ascoltato l’album e ho pensato: “Sì, questo è quello che voglio. Questo è esattamente ciò che voglio. Non voglio che si tratti solo di me. Voglio utilizzare i talenti di queste persone e accogliere i loro contributi“. È stato fantastico lavorare con Joe, ha fatto un ottimo lavoro senza farsi scoraggiare da nessuno dei ritmi strambi che solitamente suono, è riuscito a cantare anche quando il tempo cambiava in modo inaspettato.
Dal punto di vista delle batterie dobbiamo per forza citare il grandissimo contributo di Darby Todd, che ho conosciuto perché suona la batteria con Devin Townsend, che ha aperto alcuni dei nostri concerti. Darby è un batterista davvero fantastico e durante il tour siamo diventati subito amici, quindi ho pensato immediatamente a lui quando ho iniziato a cercare un batterista per questo progetto.
La cosa che ho apprezzato di Derby è stata la sua passione per il progetto e la velocità con cui è riuscito ad imparare la mia musica suonandola in un modo che trasmettesse, allo steso tempo, la sua personalità, ha capito immediatamente lo stile che volevo dare all’album e ha fatto un lavoro fantastico.
QUANTO DEL ‘GUSTO’ DEI DREAM THEATER PORTI CON TE NELLA TUA MUSICA SOLISTA E QUANTO DELLA TUA CARRIERA SOLISTA INFLUENZA LA TUA BAND PRINCIPALE?
CERCHI DI TENERE SEPARATI QUESTI MONDI OPPURE VEDI DI BUON OCCHIO UNA SORTA IMPOLLINAZIONE?
– A dire il vero, non devo sforzarmi troppo nel creare compartimenti stagni perché quando lavoro ai miei album solisti sono in ‘quello’ spazio mentale e in ‘quella’ modalità creativa, che è molto diversa da quella dei Dream Theater.
Per darvi un’idea, immaginatemi mentre compongo i miei lavori solisti, seduto nel mio studio tra i diffusori stereo e gli amplificatori e sto lavorando quasi come un pittore con questa tavolozza di suoni, diciamo infinita, e sto mettendo tutti questi colori sulla tela e creando questo dipinto musicale proprio lì e in quel momento. Questo è un modo diverso di lavorare rispetto a quando sono con i Dream Theater, dove siamo tutti in una stanza a scrivere e io sono alla mia postazione; scriviamo la musica insieme e poi la proviamo cercando una parte che vada bene per tutti.
Dopo questa fase iniziale ne segue una più personale in cui aggiusto le mie parti di tastiera supportato da un fonico che mi aiuta a trovare un suono che si amalgami bene con l’insieme. Come potete immaginare, sono due contesti molto diversi.
Con il mio progetto solista è tutta un’altra storia, anche a causa del mio percorso musicale e della mia età: io sono un po’ più grande degli altri ragazzi, ho studiato musica classica alla Julliard e quando compongo con il mio progetto solista ho tante idee e influenze che voglio far emergere quasi fisiologicamente.
Insomma, la separazione è molto naturale e mi viene piuttosto facile, diciamo che non è che io prenda le idee dei Dream Theater e le porti nei miei progetti solisti o viceversa, le idee non mancano mai e il linguaggio musicale è un idioma che parlo con estrema naturalezza e facilità.
A tutti gli effetti, per me è più facile sedermi al pianoforte e improvvisare o suonare qualcosa, che usare le parole. Faccio più fatica ad esprimermi a parole che con la musica, ecco perché quello che compongo è quasi sempre un’improvvisazione estemporanea, questo è il modo in cui creo la mia arte.
CONSIDERANDO CHE HAI CALCATO PALCHI E FATTO TOURNÉE PER GLI ULTIMI QUARANT’ANNI, QUAL È LA TUA OPINIONE SULLE NUOVE GENERAZIONI DI MUSICISTI CHE SI SONO ISPIRATE IN MODO SIGNIFICATIVO A PROTAGONISTI DELLA SCENA PROGRESSIVE METAL COME TE?
– È sempre incredibile sentire parlare di musicisti che sono stati influenzati da me o dai Dream Theater, mi emoziona sempre tantissimo e lo considero un grande onore. Credo che la mia principale missione nella vita sia fare della buona musica, essere una brava persona e, alla fine dei giochi, cercare di andare avanti come facciamo un po’ tutti.
Quindi, quando si tratta di fare un album o di suonare con i Dream Theater non penso mai ad essere quello figo che deve ispirare gli altri, non è mai il mio primo obiettivo. Mi focalizzo di più sul fare della buona musica che ci renda felici, appagati ed orgogliosi.
Per quanto riguarda i giovani musicisti e le nuove generazioni, adoro il fatto di essere aperto e interessato a coinvolgere musicisti più giovani e meno famosi, per me questo è fondamentale. Ma, ad essere onesto, questo non accade solo nel mondo della musica; in questo momento, ad esempio, sto seguendo un progetto al MIT (Massachusetts Institute of Technology, ndr), lavorando con alcuni programmatori molto giovani e di grande talento che si occupano di reti neurali ed intelligenza artificiale, ed è fantastico.
Lavorare con le nuove generazioni mi ispira molto e mi permette di vedere il mio lavoro da un’altra prospettiva.
ESSENDO METALITALIA.COM UN PORTALE ITALIANO, LA DOMANDA SEGUENTE È D’OBBLIGO: C’È QUALCHE BAND O ARTISTA ITALIANO CHE ACCENDE IL TUO INTERESSE? QUALCUNO CON CUI VORRESTI COLLABORARE IN FUTURO?
– Oh, il primo nome che mi viene in mente è quello del mio amico chitarrista Marco Sfogli, che ha lavorato con James LaBrie. Marco è un ragazzo meraviglioso e pieno di talento, che ha già suonato con me in passato e spero di avere modo di incontrarlo ancora.
Un altro talento che viene dal Bel Paese è sicuramente Matteo Mancuso, quel ragazzo è fantastico, ha un talento straordinario, nonostante la sua giovanissima età. Abbiamo avuto modo di fare una jam session al campus musicale di Steve Vai ed è stato divertente davvero. Quello che mi piace di Matteo è che non solo è un brillante chitarrista, ma è anche un ragazzo adorabile; un paio di anni fa mi ha insegnato qualche fraseggio di chitarra che posso suonare con le dita, senza plettro, come fa lui e da quel momento ho provato a praticarlo per migliorare questa tecnica, spero di rivederlo per fargli vedere i miei progressi (ride, ndr).