JUDAS PRIEST – Il futuro dell’heavy metal è forte e robusto

Pubblicato il 20/09/2021 da

Cinquant’anni di carriera, una storia punteggiata di album incredibili, uno stile copiato da migliaia di band, un’immagine ed un’attitudine che sono l’essenza stessa dell’heavy metal. Parliamo ovviamente dei Judas Priest che, pandemia permettendo, stanno festeggiando questo importante anniversario con un tour ed un nuovo album in cantiere. Per l’occasione abbiamo avuto la possibilità di fare una chiacchierata con Rob Halford, che si è dimostrato molto disponibile e sempre pronto a riconoscere come il successo della sua band non sia solo frutto di duro lavoro, ma sia strettamente legato all’affetto e al rapporto creatosi con i fan sparsi in tutto il mondo. Non avendo attività promozionali specifiche o uscite discografiche già fissate, ne abbiamo approfittato per ripercorrere con lui alcune tappe della carriera dei Judas Priest, con uno sguardo al passato, come è giusto che sia quando si celebra un anniversario così importante, ma senza dimenticare come la storia dei Priest, per nostra fortuna, non sia ancora finita.

CIAO ROB, BENTORNATO SULLE NOSTRE PAGINE. PRIMA DI TUTTO, COME STAI?
– Benissimo, grazie, sono ancora eccitato dalla serata al Bloodstock Festival! Siamo tornati sul palco dopo quasi due anni ed è stato fantastico vedere tutti questi metallari celebrare cinquant’anni di heavy metal assieme ai Judas Priest!

PROVIAMO A RIPERCORRERE VELOCEMENTE QUESTI CINQUANT’ANNI. PARTIAMO PROPRIO DALLE ORIGINI: I JUDAS PRIEST E I BLACK SABBATH, DUE BAND CHE HANNO PRATICAMENTE DATO VITA ALL’HEAVY METAL E CHE HANNO IN COMUNE UNA CITTA: BIRMINGHAM.
– Credo che ci sia un legame tra l’ambiente in cui uno si trova a vivere e la musica che finisce per suonare, a maggior ragione per l’heavy metal. Con questo non voglio dire che sia fondamentale essere nati in una città in cui l’aria è letteralmente appesantita da polvere di metallo, con il fumo e le scorie delle industrie proprio a due passi dalla casa in cui sei cresciuto, però è vero che dietro ad una band c’è sempre una storia di vita vissuta. Quando ero bambino e dovevo andare a scuola, mi trovavo a passare di fianco a queste incredibili fabbriche che lavoravano il metallo, l’heavy metal ancora non esisteva, eppure c’è una sorta di strano parallelismo tra queste due realtà. Accostare tutta questa potenza industriale al sound heavy metal è un’immagine potente. E’ un matrimonio perfetto. Ricordo non solo l’aria pesante, ma anche il rumore assordante che facevano queste acciaierie. A scuola i banchi tremavano letteralmente quando le fabbriche erano attive. Tutti questi ricordi d’infanzia inevitabilmente vanno a costituire le radici di quella che, a tutti gli effetti, possiamo considerare la mia prima esperienza di ‘metallo pesante’. Ora la città è molto diversa, ci sono meno industrie perché il mondo sta cambiando, ma resta una bella storia per noi e per i nostri amici dei Black Sabbath.

I PRIMI ANNI DI UNA BAND SONO SPESSO QUELLI IN CUI VENGONO FATTI PIU’ ERRORI, DOVUTI MAGARI ALL’INESPERIENZA. NEL TUO CASO C’E’ QUALCOSA CHE RIMPIANGI DI AVER FATTO O NON AVER FATTO?
– Vedi, la parola ‘rimpianto’ per me ha un valore troppo negativo. Personalmente preferisco pensare che anche i nostri errori del passato ci abbiano portato ad una riflessione, ci abbiano impartito degli insegnamenti di vita. La vita è così, è fatta di esperienze e talvolta è importante andare a sbattere contro qualcosa, perché hai preso la decisione sbagliata, o magari perché le circostanze non ti hanno dato le giuste sensazioni in quel momento. Ma sono proprio questi episodi che ti fanno crescere e che ti rafforzano. A posteriori non cambierei niente, a cosa servirebbe? Quello che importa è che nella nostra esperienza come giovane band abbiamo pian piano imparato la nostra professione. Certamente ci sono state molte opportunità per le quali abbiamo dovuto lottare. All’inizio ci trovavamo a viaggiare in un furgone tutta la notte tra un concerto e l’altro, senza avere niente da mangiare e senza dormire, ma si tratta di quel duro lavoro che ogni giovane band dovrebbe affrontare, perché in quel momento è necessario fare tutto ciò che è in tuo potere per raggiungere il tuo obiettivo. Quindi no, non ho rimorsi sul nostro passato: certo a quell’epoca tanti di questi episodi ci hanno reso furiosi, tristi, frustrati, ma con il passare del tempo ripenso a quegli anni con affetto e sono contento che siano accaduti perché questo, i Judas Priest e il nostro successo, è il risultato finale.

E ALLORA ARRIVIAMO PROPRIO AGLI ANNI DEL SUCCESSO, QUEGLI ANNI OTTANTA IN CUI I PRIEST SONO ESPLOSI DIVENTANDO UN FENOMENO MONDIALE. C’E’ STATO UN MOMENTO IN CUI HAI CAPITO DI ESSERE DIVENTATO UNA ROCKSTAR, O MEGLIO, IL ‘METAL GOD’?
(ridacchia, ndR) – Beh, a dire la verità non mi considero nemmeno adesso una rockstar! I nostri meravigliosi fan hanno iniziato a chiamarmi il ‘Metal God’, tanti anni fa. Ho amato questo appellativo e da allora l’ho custodito con una tale cura da arrivare a depositarne il marchio, perché volevo tenerlo al sicuro, per me stesso e per i fan dei Judas Priest. Per quanto riguarda il successo, sono convinto che raggiungerlo un poco per volta, come è successo noi, aiuti a gestirlo, perché hai vissuto lentamente tutti i passaggi, crescendo contemporaneamente come band. Senza dubbio quando un’etichetta ti chiama per dirti che il tuo album ha raggiunto il disco d’oro o il disco di platino, si tratta di una grande soddisfazione, ma questo non ti rende automaticamente una rockstar. E’ una benedizione donata dai fan, sono loro che ti rendono un artista di successo. Per quanto uno possa lavorare duramente in una band, sotto il cappello del successo ci sono tanti fattori: registrare grandi dischi e scrivere grandi canzoni, certo, ma anche la pura e semplice popolarità diventa una misura del successo e questa deriva solo ed esclusivamente dai fan.

L’INFLUENZA DEI JUDAS PRIEST E’ DAVVERO ENORME, LA VOSTRA MUSICA HA GETTATO LE BASI PER UN GENERE DIVENTATO NEL TEMPO UN FENOMENO MONDIALE. COME TI SENTI DI FRONTE AD UN’EREDITA’ DI QUESTO CALIBRO?
– E’ una cosa che ti rende più umile, per la quale siamo estremamente grati e che noi per primi abbiamo vissuto direttamente, dato che ci ispiravamo e ammiravamo le band che ascoltavamo quando eravamo giovani. Credo valga per qualunque professione, abbiamo bisogno di eroi da cui trarre ispirazione, che ci aiutano ad avere obiettivi, ambizioni. Con i Priest è successo e lo vediamo anche da tutte queste fantastiche tribute band che ci sono in tutto il mondo e che contribuiscono ad onorare la nostra musica ogni volta che salgono sul palco, restituendoci quel dono di amore e di affetto che a loro volta hanno ricevuto. E’ una sensazione meravigliosa.

CONTINUIAMO IL NOSTRO BREVE EXCURSUS DELLA CARRIERA DEI JUDAS PRIEST E ARRIVIAMO AL TUO ABBANDONO NEGLI ANNI NOVANTA. LEGGENDO LA TUA AUTOBIOGRAFIA, “CONFESS”, DALLE TUE PAROLE TRASPARE UN FATTO CURIOSO. SEMBREREBBE, INFATTI, CHE TU ABBIA LASCIATO I PRIEST SENZA VOLERLO, QUASI PER UN FRAINTENDIMENTO.
– Sì, è stato un classico esempio di comunicazione interrotta: una band è come una famiglia, a volte le nostre intenzioni vengono mal interpretate, c’è confusione e tutto quel periodo è stato piuttosto buio, un periodo che fa riaffiorare tante emozioni diverse, non solo per me, credo, ma anche per la band e i fan. Io volevo fare un passo indietro per dare vita ad una carriera solista, pur rimanendo concentrato e dedicato alla carriera dei Judas Priest, una cosa che ho sempre fatto fin dagli inizi, ma poi le cose sono andate diversamente. E’ quello che ti dicevo poco fa, sul guardare indietro al passato: bisogna sbatterci il muso, ma sono situazioni che ti fanno riflettere, in modo da far sì che queste cose non riaccadano in futuro. All’epoca il ponte che c’era tra me e la band si era spezzato e ci è voluto tanto lavoro per ricostruirlo. Al tempo stesso, però, il periodo passato lontano dai Priest mi ha permesso di raggiungere tanti altri obiettivi, un percorso che poi mi ha portato a capire come tutto quello di cui avevo bisogno, musicalmente parlando, fosse stare con i Judas Priest. E’ la mia essenza, io sono il cantante heavy metal di una band chiamata Judas Priest, questo è ciò per cui voglio essere ricordato. Sono contento di avere avuto l’opportunità di dare sfogo alla mia creatività anche con i Fight o con il progetto Two, assieme a John 5 e Trent Reznor, fino agli stessi Halford, ma tutte queste ‘avventure’, mi hanno aiutato a dare ancora più valore a ciò che sono, cioè il cantante dei Judas Priest.

E ARRIVIAMO COSI’ ALLA TANTO SOSPIRATA REUNION. ERAVATE TORNATI IN TOUR E AVEVATE SUONATO UNA DATA ANCHE IN ITALIA, AL NOSTRO GODS OF METAL. FORSE RICORDERAI QUALCOSA DI QUELLA GIORNATA, PERCHE’ AD UN CERTO PUNTO C’E’ STATO UN NUBIFRAGIO E TUTTA L’AREA, PALCO COMPRESO, ERA FRADICIA. SIAMO RIMASTI NON SO QUANTO TEMPO IN ATTESA PERCHE’ SEMBRAVA CHE IL FESTIVAL NON POTESSE PIU’ CONTINUARE, INVECE ALLA FINE RIUSCISTE COMUNQUE A SUONARE E FU UN CONCERTO MEMORABILE.
– Certo, lo ricordo perfettamente. Il tour di reunion, come succede sempre in questi casi, è un momento particolarmente importante, non solo per la band ma anche per i fan. Era eccitante l’idea di poter tornare in Italia in quel contesto e ricordo molto bene quella giornata. I Judas Priest hanno suonato migliaia di show, ma ce ne sono alcuni che riescono a rimanerti impressi nella memoria. I festival in particolare hanno questa capacità: è stato un sollievo riuscire a suonare nonostante tutto. Puoi fare di tutto, ma con i festival estivi è così: alla fine comanda il tempo! Puoi solo guardare il cielo e il resto è nelle mani di Dio. E se decide di darci dentro con tuoni e fulmini, c’è poco da fare (ride, ndR).

HAI PROVATO QUALCHE SENSAZIONE STRANA NEL TORNARE NELLA BAND DOPO ANNI?
– No, nessuna sensazione strana, è il bello di aver condiviso tanta strada assieme. E’ difficile da spiegare, ma possono essere cinque, dieci, vent’anni di separazione, non importa, il passare del tempo non ha alcuna conseguenza, perché la tua musica resta lì. Anche nel periodo in cui sono stato lontano dalla band, quella era una costante. Ti parlo dalla cucina di casa mia, in Inghilterra, ed è stato proprio in questa stanza che eravamo riuniti per parlare di un boxset che stavamo realizzando. Come conseguenza di questo incontro ci siamo trovati e ci siamo detti: “dovremmo tornare assieme”. Io ho risposto: “ok, facciamolo!”. Tutto qui, i ragazzi sono andati via e ho pensato: “Grande, sono di nuovo nei Priest!”. Noi siamo così, molto semplici, a posto. Le pressioni sono utili, in certi momenti, ma prima di tutto quello che abbiamo provato è stato il sollievo per il fatto che tutto fosse tornato al suo posto.

DA UN PO’ DI TEMPO A QUESTA PARTE CI SIAMO RESI CONTO DI COME LA VOSTRA SEPARAZIONE DA KK DOWNING NON SIA STATA COSI’ AMICHEVOLE COME CI ERA SEMBRATO IN PRINCIPIO. ABBIAMO LETTO LA SUA AUTOBIOGRAFIA E MOLTE SUE DICHIARAZIONI, IN CUI SOSTANZIALMENTE VI ACCUSA DI AVERLO TAGLIATO FUORI, DI NON AVERLO INVITATO PER LE CELEBRAZIONI DEL CINQUANTENNALE E VIA DICENDO… C’E’ QUALCOSA CHE VUOI DIRE IN RISPOSTA?
– Pur rispettando questa tua domanda, devo dirti che preferisco accantonarla, per diverse ragioni. Preferisco concentrarmi piuttosto sulle grandi celebrazioni che sono in atto adesso con i Judas Priest. Essere nuovamente sul palco, come successo al Bloodstock Festival, con davanti ventimila metallari, quella è stata una delle sensazioni più belle del mondo. In questa band guardiamo sempre avanti, non al passato. Tutto il resto ce lo lasciamo alle spalle. Ora ci concentriamo sul tornare in tour e non vediamo l’ora di tornare al più presto in Italia, un Paese con il quale abbiamo un rapporto speciale. Questo anniversario sarà un modo per rafforzare questo rapporto, visto che ormai manchiamo da un po’. Vogliamo tornare e celebrare un’altra folle notte di heavy metal con i Judas Priest.

ABBIAMO AVUTO MODO DI VEDERE QUALCHE VIDEO DAL BLOODSTOCK FESTIVAL, LA PRIMA DATA DI QUESTO TOUR, E CI SIAMO STUPITI DI VEDERE IN SCALETTA ANCHE DEI BRANI CHE NON VENIVANO SUONATI DA TANTISSIMO TEMPO. INOLTRE CI HA FATTO PIACERE VEDERE SUL PALCO DI NUOVO GLENN TIPTON, ANCHE SE SOLO PER QUALCHE CANZONE. SAPPIAMO CHE STA COMBATTENDO UNA BATTAGLIA MOLTO DURA, COME STA?
– Ti ringrazio per l’interesse, è sempre bello quando qualcuno mi chiede del suo stato di salute. L’hai visto sul palco (sorride, ndR), su YouTube: lui è così, come lo vedi. Sale sul palco e suona con grande coraggio, come un guerriero. La canzone “No Surrender” (da “Firepower”, ndR) parla proprio di questo. E’ molto dura nelle sue condizioni ma volevo che ci fosse anche lui per questa celebrazione e hai visto la reazione dei fan, sono tutti impazziti quando è salito sul palco. Tutti urlavano e cantavano per lui. Il fatto che Glenn abbia ancora la forza di salire sul palco è una dimostrazione di eroismo. Le gente non sa tutta la storia nei dettagli e non è nemmeno necessario raccontarla, perché quello che conta è questo, avere ancora Glenn Tipton lì sul palco. Lui riesce a creare questo momento così potente, emozionante e speciale per tutti noi. Quando l’ho visto salire dal lato del palco mi sono sentito orgoglioso e felice, per lui e per il pubblico là fuori. E’ stato davvero speciale.

OLTRE AL TOUR, CI SONO PARECCHIE COSE CHE BOLLONO IN PENTOLA PER I PRIEST: SAPPIAMO CHE VERRA’ PUBBLICATO UN MEGA BOXSET CON DENTRO TUTTA LA DISCOGRAFIA DELLA BAND E ANCHE UN NUOVO ALBUM. COSA PUOI DIRCI A RIGUARDO?
– Il nuovo album sta venendo davvero bene, sono molto contento di come stiano procedendo i lavori. E’ potente, puro heavy metal, ma ha una sua identità precisa, come ogni album dei Judas Priest. E’ stato difficile lavorare in queste condizioni: a causa della pandemia, siamo riusciti a lavorare ad una grossa sessione di composizioni intorno allo scorso marzo, poi siamo rimasti in contatto costantemente, riuscendo anche a trovarci di tanto in tanto per le prove. Il materiale è fantastico, ho delle bellissime sensazioni. Sono convinto che sarà un album all’altezza dei nostri standard. Nel mentre stiamo lavorando a questo boxset, un vero scrigno del tesoro, che contiene tutta la nostra musica, anche delle cose di cui mi ero completamente dimenticato! E’ dedicato ai fan più sfegatati dei Priest, coloro che vorranno immergersi davvero nella nostra musica, come un viaggio in una macchina del tempo. E’ enorme, ci vuole un’eternità per ascoltarlo tutto! Non so se ne hai già visto uno dal vivo, ma ti assicuro, peserà venti chili, non riesco nemmeno a sollevarlo! (ride, ndR)

UN’ULTIMA DOMANDA, ROB. C’E’ DA QUALCHE PARTE UNA BAND CHE SECONDO TE POTREBBE RACCOGLIERE IL TESTIMONE DEI PRIEST PER I PROSSIMI CINQUANT’ANNI?
– Certo, la musica è così, c’è sempre una band ancora sconosciuta che potrà diventare la prossima grande formazione del metal. Magari non è ancora arrivata, chi lo sa, ma è il bello del metal, continuerà ad esistere per altri cinquant’anni e poi ancora di più. L’abbiamo visto crescere fino a diventare un fenomeno globale, con tutti questi generi e stili diversi. E’ una benedizione. E magari la prossima grande band non verrà più dal Regno Unito ma magari dall’Italia. E’ il bello di aspettare, non perdere l’entusiasmo e scoprire quale sarà. Il futuro dell’heavy metal è forte e robusto!

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