KADAVAR – Orrore e plenilunio

Pubblicato il 06/11/2019 da

Retro rock? Vintage Rock? Semplice revival? Come chiamare il ritorno massiccio alle sonorità anni ’70? Dilemma che diventa assolutamente irrisorio quando si parla di gruppi come i Kadavar, all’attivo da ormai dieci anni, in costante crescita e capaci di sfornare un album come “For The Dead Travel Fast”: brani assolutamente riusciti, ideale colonna sonora per un film immaginario a base di atmosfere derivate direttamente dal decennio di cui già si è accennato. Christoph ‘Lupus’ Lindemann, chitarrista e cantante del trio tedesco, risponde alle nostre domande.

COME PRESENTERESTI IL NUOVO ALBUM DEI KADAVAR, “FOR THE DEAD TRAVEL FAST”?
– Penso innanzitutto che il nostro suono sia stato sempre abbastanza unico, come d’altronde la nostra immagine: un trio tedesco che fa rock ‘n’ roll fortemente influenzato dagli anni ’70 e dagli anni ’60. Forse questa volta siamo andati addirittura un gradino oltre perchè “For The Dead Travel Fast” è un disco che, seppur mantenendo la nostra impronta musicale si discosta dagli altri in una certa maniera…

COSA C’È DI DIVERSO QUESTA VOLTA NEL VOSTRO SOUND?
– Innanzitutto, le canzoni sono molto più lunghe rispetto al passato, tanto che “For The Dead Travel Fast” contiene soltanto nove brani; poi potrei dire che è un album più vero e sanguigno, dal punto di vista prettamente musicale, rispetto ai precedenti, perchè è stato suonato praticamente come una jam session. Strano, considerando il fatto che è un concept album, ma non lo è al cento per cento.

POTRESTI APPROFONDIRE MAGGIORMENTE QUESTA TUA ULTIMA AFFERMAZIONE, LUPUS?
– Certamente! Le canzoni sono un grande continuum su questo CD, e sono legate da un tema principale molto oscuro, che comincia fin dalla copertina, e che le fa quasi sembrare una colonna sonora per un film horror degli anni ’70: la prima vera e propria canzone, “The Devil’s Master” (seguito dell’intro “The End”), fa capire bene il suono che si sentirà attraverso tutto il lavoro e che volutamente cercato che uscisse così. Si tratta di un viaggio rappresentato in musica e si pone diversamente rispetto ai nostri CD precedenti, che invece potevano essere fruibili maggiormente come canzoni separate fra di loro.

QUESTO ALBUM AFFONDA LE PROPRIE RADICI NELL’EST EUROPA, IN SEGUITO AD UN VOSTRO VIAGGIO DA QUELLE PARTI: CE NE PUOI PARLARE?
– Sì, siamo stati in Romania ed in Transilvania, terre da sempre cariche di fascino e mistero, e proprio lì abbiamo deciso di scattare la foto che è diventata la copertina di “For The Dead Travel Fast”: sullo sfondo si vede il castello di Bran, presunta dimora di Vlad Tepes, più comunemente conosciuto da tutti come il conte Dracula. Ci sono tanti castelli stupendi in Europa ed abbiamo avuto spesso la possibilità di visitarli, ma questo è qualcosa di speciale, forse per tutta l’energia sottile che ha immagazzinato attraverso i secoli. Ci sembrava doveroso che fosse parte del nostro nuovo disco: è stato anche un tornare alle radici perchè siamo stati in queste zone fra il 2010 ed il 2012, quando eravamo praticamente agli esordi, dunque c’è anche una sorta di ‘revival di intenzioni’.

MI RIALLACCIO A QUESTO TUO RICORDO DEGLI ESORDI: COSA È CAMBIATO PER I KADAVAR DA ALLORA?
– Beh, sicuramente riusciamo a fare le cose in maniera più professionale raggiungendo un pubblico più vasto ed avendo più mezzi a disposizione ma dall’altro lato ora ci sono anche più pressioni, più aspettative da parte del pubblico e di tutto ciò che gravita attorno al gruppo. Noi non siamo cambiati e continuiamo a comporre e suonare come prima, però, e penso che questo sia un grandissimo vantaggio! Stavolta, proprio come ti dicevo prima, ci siamo rifugiati in quei posti che avevamo già visitato in precedenza per ritrovare un po’ di quello spirito magico e primigenio che non c’è più adesso. Non lo dico con dispiacere, ma solo rendendomi conto che sono cambiate le cose, di certo in meglio.

COM’È STATA LA REGISTRAZIONE PER “FOR THE DEAD TRAVEL FAST”?
– Abbiamo un nostro studio, quindi possiamo andarci quando vogliamo e già questo è un grosso punto a favore per noi: abbiamo investito un sacco ad inizio anno in termini di attrezzature nuove e poi ci siamo messi a scrivere quello che è diventato il nostro nuovo album. Abbiamo lavorato molto sui suoni visto che cercavamo qualcosa di speciale: ci siamo presi il nostro tempo perchè provenivamo da un tour di quasi un anno e mezzo. Poi devo dire che è bello stare a casa e poter impiegare tempo anche per qualcos’altro: in quattro mesi alla fine abbiamo fatto tutto e lavorato in maniera organica ed omogenea; man mano che arrivi alla data finale di consegna di materiale diventi più nervoso e anche se sei avanti coi lavori pensi di essere indietro. E comunque ci siamo divertiti anche stavolta come tutte le volte precedenti in cui siamo entrati in studio.

QUALCHE CANZONE A CUI SEI AFFEZIONATO IN PARTICOLARE SU QUESTO NUOVO LAVORO?
– Sinceramente di solito ho un paio di canzoni per album che preferisco, ma stavolta per noi è come un’unica canzone e quasi inscindibile in parti più piccole. Diciamo che trovo momenti migliori in “The Devil’s Master” e la finale “Long Forgotten Song”, ma penso che funzioni tutto come una storia, come un film, e mi piacerebbe che anche gli ascoltatori vi si approcciassero in questo modo.

A QUESTO PROPOSITO, LUPUS, VOLEVO CHIEDERTI DA DOVE AVETE PRESO ISPIRAZIONE PER COMPORRE E REGISTRARE UN LAVORO COME QUESTO.
– Ti dirò due nomi: “Suspiria” e Goblin. “Suspiria” come il film di Dario Argento e Goblin, ovviamente, come il gruppo che ne ha scritto la colonna sonora. La bravura del gruppo nell’accompagnare le immagini di un regista visionario e sempre moderno come Dario Argento è assolutamente grandiosa: se riuscissimo ad essere evocativi anche solo un decimo di quello che lo sono loro, beh, per noi sarebbe una grandissima vittoria e te lo dico senza falsa umiltà. La musica composta dai Goblin è così diversa dagli horror, anche quelli classici, che vengono dall’altra parte dell’oceano: c’è una sensibilità assolutamente diversa, un potere di essere assolutamente vividi ed ispirati nella semplicità che oggi come oggi si è un po’ perso. La stessa cosa che si può notare anche nel mondo della musica ‘dura’: anche noi avremmo potuto benissimo accordare i nostri strumenti più bassi ed avere una produzione iperpompata, ma non sarebbe stato credibile e saremmo finiti in un calderone di gruppi che si assomigliano tutti gli uni agli altri.

E COME AVETE VOLUTO DISTINGUERVI QUESTA VOLTA?
– Abbiamo voluto sembrare più eleganti e demodè. Non doom, ma più eleganti, aggraziati e gentili, quasi una mosca bianca nel panorama odierno.

VISTA LA CITAZIONE AI GOBLIN E CONSIDERATO COME SI PONE “FOR THE DEAD TRAVEL FAST”, AVETE PENSATO ANCHE MAGARI A GIRARE UN FILM A CORREDO DI QUESTE CANZONI?
– L’idea c’è stata, ma sarebbero necessari un sacco di tempo e di risorse, non ultime quelle economiche, che andrebbero a minare pure il nostro lavoro di gruppo: non si parlerebbe più di nuovi album o concerti per un po’ di tempo e dovremmo coinvolgere parecchie persone. Cerchiamo di fare al meglio ciò che sappiamo fare, cioè suonare, e lasciamo fare i film a chi riesce veramente ed ha gli strumenti tecnici e creativi che glielo consentono! Ci è bastato fare il video per “The Devil’s Master”, che comunque ha un’impronta decisamente cinematografica. Per il film magari aspettiamo quando saremo in pensione!

VISTO CHE HAI CITATO INFLUENZE CARE UN PO’ A TUTTI NEL MONDO DELLA MUSICA PESANTE, POSSO CHIEDERTI COSA ALTRO HA CONTRIBUITO A FORMARE IL MODO DI COMPORRE E SUONARE DEI KADAVAR?
– Posso dirti sicuramente un film tedesco degli anni ’70 che si chiama “Deadlock”, il cui regista è Roland Click, e la cui colonna sonora è ad opera dei Can: è una specie di spaghetti western in salsa tedesca, quindi ci sentiamo proprio di confermare la nostra identità attraverso l’ispirazione data da questo film.

LUPUS, SIETE SICURAMENTE STATI FRA I PRIMI A PROPORRE QUESTO MODO DI SUONARE CHE RICHIAMA GLI ANNI SETTANTA: COSA NE PENSI, ORA COME ORA, DI CIÒ CHE È DIVENTATO?
– Di sicuro c’è stata un’inflazione, ma questo è normale ogni volta che viene alla ribalta qualcosa di nuovo rispetto a ciò che è la proposta musicale imperante. Posso anche dirti che all’inizio si pensava che sarebbe stato un momento, lungo al massimo un paio d’anni, dopo il quale tutto sarebbe tornato come prima. Beh, mi sembra che alla distanza il tutto stia reggendo abbastanza bene, che ne dici? Anche perchè non si tratta di copiare e basta, ma cercare di proporre qualcosa che suona in maniera diversa, seppur basandosi su cose già fatte.

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