Dopo quasi trent’anni fianco a fianco, la separazione tra Jonas Renkse e lo storico chitarrista e membro fondatore Anders Nyström non è arrivata del tutto inaspettata. Da tempo, infatti, era evidente come Nyström si fosse progressivamente allontanato dal percorso creativo intrapreso dalla band: non partecipava più attivamente alla scrittura del materiale, né prendeva parte ai tour. Il divorzio artistico, dunque, era nell’aria, e il nuovo “Nightmares as Extensions of the Waking State” ne rappresenta la prima, concreta conseguenza.
Il tredicesimo album dei Katatonia nasce così sotto il segno di un cambiamento silenzioso ma significativo: Renkse ne è oggi l’unico membro fondatore rimasto attivo, e la sua impronta ovviamente qui domina come sempre. Il disco conferma la direzione stilistica degli ultimi anni, anche se a tratti si respira una ruvidità emotiva e sonora più accentuata, che emerge soprattutto in certi momenti di tensione e rilascio.
Non si tratta di una svolta, quanto piuttosto di un ulteriore passo in un’evoluzione ormai ben delineata, dove introspezione e un determinato tipo di costrutto ritmico, a volte anche particolarmente elaborato, restano al centro del linguaggio espressivo della band.
In occasione dell’uscita dell’album, abbiamo quindi avuto il piacere di scambiare due parole con Jonas Renkse, il quale si è mostrato disponibile e attento come sempre.
È doveroso però precisare che, per volontà dell’artista e dell’etichetta, ci è stato chiesto di limitare il più possibile le domande sulla separazione da Nyström e di non approfondire l’argomento in questa sede. Una richiesta che abbiamo rispettato, concentrandoci sulla musica e sul processo creativo dietro il nuovo disco; ma speriamo, in futuro, di poter tornare a discutere più apertamente anche di questo importante passaggio nella storia del gruppo svedese.
SIETE STATI MOLTO PROLIFICI NEGLI ULTIMI ANNI, MA CREDO CHE QUESTO SIA L’INTERVALLO PIÙ BREVE TRA UN DISCO E L’ALTRO DA UN PO’ DI TEMPO A QUESTA PARTE…
– Sì, credo che siano passati solo due anni dall’ultimo album, mentre di solito ne passano tre o quattro. Quindi sì, sorprende anche me.
Continuo a scrivere praticamente ogni giorno, o almeno ci provo. Non tutto finisce poi su un disco, ma per me è proprio il mio metodo di lavoro, perché amo ancora farlo: sedermi e pensare a nuova musica.
So per esperienza che non si ha mai troppo materiale da cui attingere. È utile avere una sorta di ‘scrigno del tesoro’ da cui pescare quando arriva il momento di fare un nuovo album. Probabilmente è anche per questo che questo disco è arrivato così in fretta: non ho mai smesso di scrivere, nemmeno durante il tour del disco precedente.
Così, quando l’etichetta ci ha chiesto di pensare a un nuovo album, ho detto: “Sì, ho già un sacco di roba pronta”. Mi sento nato per fare questo nella vita, è una bella sensazione.
IL DISCO, A LIVELLO STILISTICO, È GENERALMENTE IN LINEA CON I VOSTRI ULTIMI LAVORI, MA QUESTA VOLTA MI SEMBRA CHE LA PRODUZIONE SIA LEGGERMENTE MENO LEVIGATA – MI HA RICORDATO “THE FALL OF HEARTS” DA QUESTO PUNTO DI VISTA. INOLTRE, ANCHE PARTE DELLA MUSICA MI RISULTA UN PO’ PIÙ PESANTE, VEDI, AD ESEMPIO, LA PRIMA TRACCIA, “THRICE”, CHE HA UN RIFF CENTRALE DAVVERO POTENTE. POI C’È “WIND OF NO CHANGE”, CHE HA UN’ATMOSFERA GRAVE PIÙ MARCATA. INSOMMA, C’È UN PO’ DI TUTTO, MA NEL SUO INSIEME LO PERCEPISCO COME UN DISCO LEGGERMENTE PIÙ ‘DURO’ RISPETTO AGLI ULTIMI.
– Sì, lo penso anch’io. Non è stato del tutto intenzionale, ma questa volta ho scritto un po’ di più con la chitarra, e come hai notato, anche la produzione è più ruvida. Abbiamo cercato un suono più ‘live’, più da band che suona insieme, anziché da compositore solitario, nonostante la maggior parte della composizione arrivi da me.
Non volevamo un suono troppo pulito, ma trasmettere un’energia maggiormente avvolgente e trovare l’atmosfera giusta per ogni brano, sia nel modo di suonare che nei dettagli di produzione. Anche con le voci ho cercato di non esagerare: adoro mettere armonie, ma stavolta ho voluto mantenerle più semplici e dirette. Credo che anche questo contribuisca alla sensazione di maggiore durezza.
E ANCHE L’ARTWORK E I TITOLI MI SEMBRANO PIÙ CUPI STAVOLTA, VEDI APPUNTO “WIND OF NO CHANGE”. HAI UN EPISODIO PREFERITO ALL’INTERNO DEL DISCO?
– Sì, anche se queste impressioni cambiano sempre nel tempo, soprattutto quando ho modo di riascoltare il disco con più attenzione, qualche mese dopo che è stato completato.
“Wind of No Change” è un’ottima traccia, ma anche la canzone di chiusura, “In the Event of”, è tra le mie preferite: è molto pesante, con un’atmosfera minacciosa, ma allo stesso tempo ha qualcosa di bello, come un luccichio in lontananza. Però, appunto, tutto cambia con il tempo, e sicuramente cambierà ancora una volta che inizieremo a suonare questi pezzi dal vivo.
A volte pensi che un brano funzionerà bene dal vivo, e poi non succede, e viceversa. È sempre interessante vedere cosa succede sul palco. La dimensione live porta grandi rivelazioni assieme ad amare verità.
E OVVIAMENTE AVETE UNA NUOVA FORMAZIONE PER QUESTO DISCO. NICO ELGSTRAND, AD ESEMPIO, VI ACCOMPAGNA IN TOUR GIÀ DA UN PO’, E HA UN BACKGROUND LEGGERMENTE DIVERSO COME CHITARRISTA, AVENDO SUONATO IN ENTOMBED E TERRA FIRMA. I NUOVI MEMBRI HANNO CONTRIBUITO IN STUDIO, ANCHE SE SEI TU A SCRIVERE LE CANZONI?
– Sì, molti dei brani erano già completamente pronti, ma lascio spazio totale ai chitarristi per esprimersi. Sono entrambi molto capaci e conoscono lo strumento molto meglio di me. Io uso la chitarra solo per comporre, loro invece hanno libertà assoluta su effetti, suoni, approcci. Credo che sia giusto così.
Non voglio costringere nessuno a suonare in un certo modo. Hanno il loro stile ed è giusto che venga valorizzato. E penso che nell’album si senta: hanno portato energia e voglia di suonare con questa band.
Artista: Katatonia | Fotografo: Enrico Dal Boni | Data: 27 agosto 2023 | Evento: Ama Music Festival Città: Romano degli Ezzelini (VI)
SE PENSO AGLI INIZI DI KATATONIA, LA BAND NON ERA NOTA PER LA TECNICA, ANZI: ERAVATE SINONIMO DI MUSICA DECISAMENTE MINIMALE. POI, NEL TEMPO, SIETE DIVENTATI MOLTO PIÙ ELABORATI NELLA COMPOSIZIONE. COME È SUCCESSO? È STATO DIFFICILE TRADURRE IN MUSICA QUELLO CHE AVEVI IN MENTE? HAI PRESO LEZIONI?
– È interessante, perché non so esattamente quando sia avvenuto il cambiamento. Abbiamo mantenuto quello stile minimale anche dopo aver introdotto le voci pulite – vedi un album come “Discouraged Ones”, ad esempio – e in effetti quello per lungo tempo è stato il nostro modo di lavorare preferito.
Poi è arrivata l’influenza dei Tool, che ascoltavamo tanto a fine anni ‘90. Mi hanno aperto un nuovo universo, soprattutto per come lavoravano sul ritmo più che sui riff. È qualcosa che mi ha parlato profondamente: puoi anche definirla una rivelazione, tanto che ho voluto provare a inserire quell’approccio nello stile di Katatonia. Da lì si è evoluto tutto.
Ora, quando scrivo, non penso “voglio fare qualcosa di complicato”. Semplicemente succede. E magari per me non è difficile, ma quando lo suonano gli altri mi dicono: “Ma come hai pensato una cosa del genere? Come facciamo a suonarla?”. E io nemmeno me ne rendo conto.
È divertente cercare di spingere un po’ più in là i propri limiti creativi. Per me questa band ha sempre guardato avanti e sono felice di poter parlare di una continua evoluzione anche dopo decenni dal nostro primo lavoro.
OVVIAMENTE, SEI IL CANTANTE DELLA BAND DA SEMPRE, MA ERI ANCHE IL BATTERISTA ALL’INIZIO. OGGI LE LINEE VOCALI SONO MOLTO PIÙ SVILUPPATE, MA, COME DICEVAMO, ANCHE LA MUSICA È DIVENTATA PIÙ ELABORATA E RITMICA. PENSI CHE QUESTO DERIVI DAL TUO PASSATO DA BATTERISTA?
– Sì, assolutamente. Ci ho pensato spesso. Non mi considero una persona ‘musicale’ nel senso classico. Non riesco subito a dire che nota è quando ascolto qualcosa o a improvvisare su due piedi, la mia conoscenza a livello teorico è piuttosto limitata.
Mi considero uno che scrive in modo ritmico. Quando scrivo, tutto parte quasi sempre da un ritmo, da un groove. Le melodie e gli accordi vengono dopo. È un modo interessante di vedere la composizione, credo. Di certo è qualcosa che ci differenzia da altre band nel nostro campo.
A PROPOSITO, VORREI TORNARE SU “WIND OF NO CHANGE”, CHE HA UN ANDAMENTO MOLTO SOLENNE, QUASI RITUALE. PENSI CHE STAI ANDANDO VERSO ATMOSFERE PIÙ SPIRITUALI O CERIMONIALI NEI TUOI BRANI, O È STATO SOLO UN CASO?
– Me lo sono chiesto anch’io. Forse è qualcosa che arriva con l’età. Non nel senso religioso del termine – di certo non mi vedrai in chiesa da qui a poco – ma con il tempo cominci a vedere certe cose in modo diverso, più profondo.
Ultimamente mi ritrovo spesso a comporre musica che ha questo incedere più solenne, una flemma diversa. E “Wind of No Change” ne è un esempio, ha una carica spirituale, una vena marziale che non ho esplorato molto spesso in precedenza.
UN’ALTRA CANZONE CON UN’ATMOSFERA SIMILE, SECONDO ME, È “THE LIGHT WHICH I BLEED”. DETTO QUESTO, VORREI PARLARE ANCHE DI “EFTER SOLEN”, LA QUALE MI HA COLPITO SUBITO, FORSE PER VIA DEL TESTO IN SVEDESE. È STATA UNA SFIDA CANTARE NELLA TUA LINGUA MADRE?
– Sì, decisamente. Avevo fatto qualcosa in svedese in passato, ma mai su un brano così importante, all’interno di un nostro full-length. È stato strano rendermi conto che, pur essendo la mia lingua, non sono abituato a cantarla. Il suono, le vocali, la fonetica: cambia tutto, è stato difficile trovare la giusta interpretazione.
In inglese ho un modo consolidato di lavorare, in svedese ho dovuto quasi ricominciare da capo, mi sono sentito nudo. Ma è stata una bella sfida. Alla fine, credo che il risultato sia molto bello, anche se ci è voluto un po’ per arrivarci. Sì, puoi effettivamente dire che mi sia sentito più esposto, sicuramente.
QUESTO MI PORTA INEVITABILMENTE A UN’ALTRA DOMANDA: È IL PRIMO ALBUM SENZA ANDERS. NATURALMENTE SO CHE NON COMPONEVA PIÙ E NON SI ESIBIVA CON LA BAND DA TEMPO, MA L’ANNUNCIO DELLA VOSTRA SEPARAZIONE STA FACENDO MOLTO SCALPORE. QUANDO HAI SMESSO DI CONSIDERARLO PARTE INTEGRANTE DELLA BAND, TI SEI SENTITO ANCORA PIÙ LIBERO NEL COMPORRE?
– Forse sì. Anche se avevo già scritto tutta la musica degli ultimi dischi, forse adesso mi sono sentito più libero di proporre cose che prima magari non avrei nemmeno presentato, come appunto il brano in svedese. Non è che mi sono detto “ora posso fare tutto quello che voglio”, perché deve comunque suonare come Katatonia. Ma sì, un certo senso di libertà arriva automaticamente.
E ORA CHE LO SPLIT È UFFICIALE, TI SENTI IN QUALCHE MODO ANCHE PIÙ SOLLEVATO?
– Sì, e personalmente sono contento delle tempistiche che abbiamo avuto: avere un nuovo album pronto è la prova che andiamo avanti e che certe cose appartengono al passato. Se fosse successo tutto questo senza nuova musica, sarebbe stato diverso, la gente avrebbe continuato a farsi delle domande e a non capirci granché.
Io e Anders su tante cose non andavamo più d’accordo. Non siamo stati bravi nel comunicare tra di noi, ma in qualche modo ora siamo giunti a una risoluzione. Non so cosa lui abbia in mente di fare nei prossimi mesi, ma io ora posso andare avanti e posso dire: “Questo è ciò che faccio. Amo scrivere musica. È la mia vita”.
Certo, la separazione è triste, ma sento ancora di avere molto da offrire. La speranza ora è che le persone si connettano a questi nuovi brani.
DOPO COSÌ TANTI DISCHI, SENTI LA PRESSIONE DI DOVER SEMPRE ALZARE L’ASTICELLA? OPPURE, CON L’ESPERIENZA, SEI RIUSCITO A FARE PACE CON L’IDEA CHE L’ARTE POSSA ESSERE ANCHE EFFIMERA?
– Credo che, io per primo, non voglio mai rilassarmi troppo, avrebbe poco senso lasciarsi andare solo perché penso di aver trovato una formula che funziona. Sarebbe stupido.
Quindi sì, c’è una certa pressione, ma per me è salutare. Ho un mio ‘controllo qualità’, o almeno mi piace pensare di averlo. Ci sono tante cose che butto via durante il processo di scrittura, e penso che sia giusto così. Devi provare, sperimentare. Non puoi accontentarti della prima idea che ti viene: è pericoloso. Più cose scarto mentre scrivo un disco, più penso che il risultato finale sarà valido.
Ma anche gli altri ragazzi della band sono un ottimo filtro contro le idee che non funzionano. Quando mando dei demo, mi aspetto da loro totale onestà. E anche se magari ho lavorato tanto su un brano, se non convince, va rifatto, ed è giusto così.
Loro propongono anche ottime idee di arrangiamento, che a volte ti sbloccano da quella sensazione di essere troppo ‘a tuo agio’ nel modo in cui stai costruendo la canzone. Magari pensi che una parte funzioni bene, ma poi qualcuno dice: “E se qui facessimo qualcosa di completamente diverso?”. E provando, scopri che era proprio ciò che mancava. È bello confrontarsi con loro. Come dicevo, non voglio impigrirmi e procedere con il pilota automatico.
PENSI CHE ANCHE LA TUA VOCE POSSA FUNZIONARE COME UNA SORTA DI FILTRO? INTENDO DIRE: È MOLTO PARTICOLARE E SI ADATTA PERFETTAMENTE ALLA VOSTRA MUSICA, MA FORSE NON FUNZIONEREBBE ALLO STESSO MODO CON SUONI PIÙ AGGRESSIVI O DIVERSI. O MAGARI TI PIACEREBBE GIOCARE PROPRIO SU QUEL CONTRASTO?
– Sì, penso che anche questo influenzi il modo in cui scrivo. Come dici tu, non mi verrebbe mai in mente di scrivere una parte alla Slayer e poi cantarci sopra con la mia voce: non suonerebbe bene.
E non voglio nemmeno cercare di imitare altri stili quando si tratta di Katatonia, perché le nostre canzoni hanno per me un grande valore emotivo, e voglio cantarle nel modo che sento più autentico. Le parole, la musica: tutto è connesso. Quindi sì, la voce deve funzionare con il brano, altrimenti il risultato sarebbe molto strano. Hai perfettamente ragione: il modo in cui canto e lo stile che ho sviluppato negli anni sono qualcosa che fa da fondamenta per quello che poi vado a comporre a livello musicale, più o meno inconsciamente.
Artista: Katatonia | Fotografo: David Scatigna | Data: 8 giugno 2023 | Venue: Sweden Rock Festival | Città: Norje
PER CONCLUDERE, IN UNO DEI SUOI POST SUI SOCIAL MEDIA, ANDERS HA ANCHE DETTO CHE NON FAI PIÙ PARTE DEI BLOODBATH. HAI ANCORA QUELLA MUSICA DENTRO DI TE? PENSI CHE IN FUTURO, MAGARI NON SUBITO, POTRESTI TORNARE A SUONARE QUALCOSA DI PIÙ ESTREMO?
– Senz’altro. Il death metal è nel mio DNA, lo amo ancora tantissimo. Quindi non escludo affatto che possa succedere di nuovo, prima o poi. È stato importantissimo per me, fin dai primi anni, quando abbiamo cominciato a suonare. È stato proprio il death metal a farci venire voglia di imparare a suonare uno strumento, a voler far parte di quella scena. Ed è grazie a quella passione che sono poi nati i Katatonia. Ancora oggi, se faccio quello che faccio, è anche grazie a quella musica. L’amore per il death metal non sparirà mai. Si tratterà solo di trovare il momento giusto per concretizzarlo.
IL VOSTRO PROGRAMMA PER I PROSSIMI MESI È COMUNQUE GIÀ PIUTTOSTO FITTO. CI SARÀ UN TOUR EUROPEO CON GLI EVERGREY, AD ESEMPIO. È UN ABBINAMENTO PARTICOLARE, ANCHE SE BISOGNA DIRE CHE NON AVETE PIÙ MOLTO IN COMUNE CON BAND PIÙ VICINE ALL’AMBITO DEATH-DOOM ORMAI. HAI LA SENSAZIONE CHE KATATONIA OGGI APPARTENGA A UNA SCENA SPECIFICA? O SIETE UN PO’ FUORI DA OGNI ETICHETTA?
– È una buona domanda. Penso che siamo in una posizione unica. Abbiamo le radici nel metal, ma oggi ci muoviamo tra scene diverse: possiamo suonare al Wacken come a un festival prog o alternative. E sono grato per questo, è un lusso che non molti gruppi possono dire di avere.
Credo che sia il risultato di cambiamenti lenti nel tempo, che il nostro pubblico ha seguito gradualmente. Certamente qualcuno ci ha abbandonato negli anni, ma abbiamo anche guadagnato nuovi ascoltatori, tanto che oggigiorno il pubblico ai nostri concerti è piuttosto variegato.
Sarà interessante suonare con gli Evergrey, così come anni fa fu una bella esperienza condividere il palco con i Porcupine Tree. Come dicevo, per me è importante provare cose diverse e guardare avanti. La nostra storia recente lo dimostra.
C’È SPESSO UNA SORTA DI DIVISIONE TRA GLI APPASSIONATI DI MUSICA HEAVY: DA UNA PARTE CI SONO QUELLI CHE APPREZZANO LA FUSIONE TRA GENERI, CHE AMANO LE BAND CAPACI DI MUOVERSI TRA DIVERSI STILI E CHE NON SI LIMITANO A UN’UNICA DIREZIONE. DALL’ALTRA, CI SONO INVECE COLORO CHE PREFERISCONO CHE OGNI GENERE RESTI BEN DISTINTO.
NESSUNO DEI DUE APPROCCI È GIUSTO O SBAGLIATO, SECONDO ME. TUTTAVIA VIENE NATURALE CHIEDERSI: PERCHÉ ALCUNE PERSONE AMANO LA CONTAMINAZIONE E ALTRE LA RIFUGGONO?
– La verità è che non lo so, ed è difficile rispondere. Credo di appartenere un po’ a entrambe le categorie. Amo il death metal, ad esempio, ma quando si mescola troppo con altri generi, mi infastidisce. In quel caso mi sento più conservatore. Il death metal deve restare puro per interessarmi veramente.
Però, per quanto riguarda la musica che facciamo con i Katatonia, sono ovviamente favorevole alla contaminazione. Mischiare gli elementi rende il processo creativo più interessante, più stimolante anche per chi ascolta. Penso che a molte persone piaccia essere messe alla prova dalla musica, lasciarsi trasportare, perdersi nei meandri della composizione.
Insomma, non tutte le band devono sperimentare, ma ci sono delle realtà che invece sembrano nate per farlo. Quindi sì, la tua domanda è interessante, ma non è affatto semplice trovare una risposta univoca.
COME BAND VI SIETE EVOLUTI MOLTO A LIVELLO MUSICALE NEL CORSO DEGLI ANNI, MENTRE SUL FRONTE LIRICO AVETE SEMPRE MANTENUTO UN TONO TUTTO SOMMATO MESTO E INTROSPETTIVO. DA DOVE CONTINUA AD ARRIVARE QUESTA MALINCONIA? COME FAI A MANTENERE AUTENTICA E CREDIBILE QUELL’EMOZIONE?
– La mia vita non è così triste da fornirmi continuamente spunti per alimentare l’immaginario della band. Anzi, mi reputo una persona mediamente soddisfatta di ciò che ha.
Ad esempio, mi sento assai fortunato a essere un musicista di professione. Tuttavia, penso di essere sempre stato, come tanti altri, una persona un po’ introversa e riflessiva. Capita anche a me di avere giornate no, come a chiunque, ed è in quei momenti che probabilmente raccolgo materiale che finisce poi nei testi.
Come ti dicevo, compongo musica regolarmente, però non scrivo testi per i Katatonia tutti i giorni, proprio perché fortunatamente non mi sento ispirato in quel modo ogni giorno.
C’è poi anche un elemento di esperienza: per fortuna non mi sento depresso ogni giorno, ma so bene cosa significa esserlo. Cerco di ricordare certe sensazioni, certi momenti del passato, e da lì parto per costruire qualcosa. E poi provo anche ad ampliare i temi, a non scrivere sempre le stesse cose. Non è semplice, soprattutto quando ti muovi in un genere che, come dicevi, è legato a una certa atmosfera malinconica. Ma cerco comunque di renderlo interessante, per quanto possibile, in un modo che vada di pari passo con la musica.