Parlare con Anders Nyström, chitarrista e membro fondatore dei Katatonia, è sempre un piacere. Persona tanto disponibile quanto schietta, il musicista svedese ha attraversato e vissuto oltre trent’anni di storia del metal con la sua band principale, trovando al contempo il modo di lanciare progetti altrettanto fortunati come Bloodbath e Diabolical Masquerade. Per lungo tempo il compositore più in vista dei Katatonia, Nyström tuttavia ha da qualche anno preso le distanze da tale ruolo per concentrarsi su altre necessità del gruppo, assumendo le vesti di manager e coordinatore dietro le quinte. Il testimone, in sede di songwriting, è così passato allo storico partner Jonas Renkse, ormai diventato cantautore a tutto tondo e unico responsabile della musica della band da almeno un paio di dischi a questa parte, compreso ovviamente il nuovissimo “Sky Void of Stars”. Non avendo il nostro interlocutore effettivamente composto niente per la nuova opera della nota dark/progressive metal band, nell’intervista che segue ci siamo concentrati su altri argomenti, saltando dal presente al passato per una panoramica sull’evoluzione che ha portato i Katatonia a essere la realtà che sono oggi. Fra molti aneddoti e un continuo sguardo agli esordi, il chitarrista ha anche lasciato intendere di non essere completamente allineato con l’altro leader del gruppo negli ultimi tempi, almeno per quanto riguarda l’approccio alla composizione di nuova musica. Forse in questo lungo matrimonio oggi esiste qualche crepa – e il recente annuncio che Nyström non prenderà parte all’imminente tour europeo con i Solstafir di certo non aiuta a scacciare alcuni dubbi (l’intervista si è svolta un paio di settimane prima che la news venisse divulgata); ciononostante, nel suo impegnarsi nella narrazione, il Nostro continua a dare l’impressione di essere genuinamente innamorato della propria creatura musicale e di avere a cuore il futuro di questa ormai storica realtà.
L’ULTIMA VOLTA CHE VI ABBIAMO INTERVISTATO, I KATATONIA STAVANO PER PUBBLICARE “CITY BURIALS”. COME SONO STATI QUESTI ULTIMI ANNI PER LA BAND? OVVIAMENTE, C’È STATA UNA PANDEMIA NEL MEZZO E NESSUN TOUR FINO ALLO SCORSO ANNO.
– Beh, diciamo che abbiamo solo cercato di riempire gli spazi vuoti con qualunque cosa abbiamo ritenuto utile. “City Burials” è stato trascurato un bel po’, dato che non abbiamo potuto promuoverlo subito andando in tour, quindi la campagna attorno ad esso è svanita rapidamente. A pensarci, il tutto è un po’ triste e ironico, perché quella situazione ha fatto sì che l’album venisse considerato ‘vecchio’ quasi subito dopo la sua uscita. Abbiamo fatto un esperimento una tantum sotto forma di live streaming da uno studio, puramente come risposta alle restrizioni imposte per gli eventi dal vivo. La maggior parte dei fan ha dimostrato di gradire quell’esperienza piuttosto strana, quindi l’etichetta ha preso la registrazione e l’ha pubblicata in una versione fisica chiamata “Dead Air”. Poi abbiamo pubblicato una raccolta chiamata “Mnemosynean”, la quale è uscita principalmente per due motivi: in primo luogo, c’era una crescente richiesta di avere tutte le nostre canzoni extra-album degli ultimi anni finalmente riunite in un unico lavoro; in secondo luogo, era praticamente la nostra unica possibilità di celebrare il venticinquesimo anniversario dei Katatonia, avendo la pandemia bloccato tutte le altre alternative. Cos’altro? (Ci pensa, ndr) sì, siamo anche riusciti a fare un altro album dei Bloodbath chiamato “Survival Of The Sickest” durante i lockdown. È stata una vera impresa riunire tutti i membri nello stesso momento e nello stesso luogo, quindi abbiamo dovuto registrare a turni nell’arco di un anno, ma alla fine abbiamo tagliato il traguardo anche con quel progetto.
L’ALBUM È STATO INTERAMENTE COMPOSTO DA JONAS. È STATO COSÌ ANCHE PER ”CITY BURIALS”. SEMBRA CHE JONAS SIA DIVENTATO IL PRINCIPALE COMPOSITORE DELLA BAND NEGLI ULTIMI DIECI/QUINDICI ANNI. COME SPIEGHI QUESTO CAMBIO DI CONDOTTA?
– In realtà, la cosa è abbastanza prevedibile e si riduce semplicemente agli impegni di tutti noi. Se diamo uno sguardo all’odierno assetto interno della band, Jonas è costantemente in modalità songwriting poiché raramente viene coinvolto in qualcos’altro; non ha le stesse distrazioni che gli impediscono di concentrarsi sulla scrittura di musica. Io, d’altra parte, ho le mani occupate praticamente con tutte le cose e i problemi che accadono al di fuori della scrittura delle canzoni. Sino a quando ho memoria, sono stato io a occuparmi dei negoziati con l’esterno e a fare in modo che questa band nel corso della sua carriera non perdesse mai il controllo artistico e commerciale. Serve una persona che curi gli interessi dei Katatonia, in ogni ambito, e questo rappresenta un impegno senza fine. È una cosa che mi tiene impegnato tutti i giorni della settimana: una volta aggiunti gli impegni personali e le faccende domestiche, alla fine della giornata è difficile sentirsi ispirati o mantenere una motivazione sufficiente per essere quell’artista creativo che può anche tuffarsi nella scrittura di canzoni. Quindi la situazione è più complessa del semplice ‘blocco dello scrittore’. Fortunatamente per tutti, Jonas ha fatto un buon lavoro finora, ma mi piacerebbe davvero vedere l’intera band collaborare di più alla composizione degli album. Un intero album non dovrebbe essere scritto e completato individualmente a casa. Penso che sarebbe più interessante fare delle jam con il gruppo mentre si sta ancora lavorando ai brani. Penso che questo scenario potrebbe portare la nostra musica ancora più vicina alla perfezione, prima che inizi la registrazione di un disco in studio. In realtà, quando proviamo le canzoni per gli show dal vivo, questo è più o meno quello che facciamo: riarrangiare alcuni pezzi, ‘speziandoli’ un po’. Penso quindi che sarebbe più vantaggioso per tutti avere la possibilità di migliorare le canzoni tutti insieme, già all’inizio della fase demo, e non dopo che l’album è finito e pubblicato.
TI CAPITA COMUNQUE DI COMPORRE NUOVA MUSICA OGNI TANTO? SO CHE CONTRIBUISCI SEMPRE A OGNI ALBUM DEI BLOODBATH, PER ESEMPIO, MA CHE PUOI DIRMI PER I KATATONIA O ALTRI PROGETTI? CREDI MAGARI CHE IL TUO STILE NON SI ADATTI PERFETTAMENTE AGLI ALBUM PIÙ RECENTI DELLA BAND? NEGLI ANNI NOVANTA E NEI PRIMI ANNI DUEMILA LA MAGGIOR PARTE DELLE CANZONI DEI KATATONIA ERANO FIRMATE DA TE.
– Sì e so che a Jonas non piace rivisitare le cose degli anni Novanta: questo è uno dei motivi per cui raramente vediamo qualcosa prima del 2003 nelle scalette dei concerti. Non sto dicendo che quel periodo sia ciò su cui la band dovrebbe attivamente concentrarsi anche oggi, ma innegabilmente esso fa parte della nostra storia, quindi dovrebbe essere riconosciuto con un po’ più di orgoglio invece di essere escluso del tutto. Scrivevo molta – se non tutta – la musica per gli album che abbiamo pubblicato negli anni Novanta e all’inizio dei Duemila, ma il clima era così diverso allora, in un’epoca prima che Internet diventasse realtà. Eravamo totalmente isolati senza social, c’era meno stress e la comunicazione era diversa. Il nostro approccio a tutto era davvero discreto: raramente suonavamo dal vivo, non avevamo un management o un’agenzia di booking, nessuna società di merchandising; avevamo un contratto con una piccola etichetta underground, non facevamo molta promozione e nessuno di noi aveva una famiglia, ecc. Quindi, immagino che mentre aspettavamo che accadesse qualcosa di più grande, il nostro unico obiettivo in quel momento era praticamente solo quello di comporre, registrare e pubblicare album. Era un periodo pieno di libertà per un giovane artista che esplorava la creatività, ma, rispetto ad adesso, eravamo anche molto più ingenui pnel lanciarci direttamente verso il successo.
NEL CORSO DEGLI ANNI AVETE NOTEVOLMENTE AMPLIATO IL VOSTRO RAGGIO DI AZIONE COME MUSICISTI E COMPOSITORI. IL FASCINO DEL SUONO DELLA BAND NEI PRIMI TEMPI ERA SOPRATTUTTO NELLA SUA NATURA CRUDA ED ESSENZIALE. ANCHE I PRIMI ALBUM CON VOCI PULITE ERANO MOLTO MINIMALI, ALMENO DAL PUNTO DI VISTA DELLA PRODUZIONE – COSA CHE MI È SEMPRE PIACIUTA MOLTO. NEL CORSO DEGLI ANNI PERÒ SI SONO FATTE LARGO NUOVE INFLUENZE E POSSIBILITÀ, TANTO CHE ALCUNE DELLE ULTIME COMPOSIZIONI SONO DAVVERO VICINE A UNA FORMA DI PROGRESSIVE. A VOLTE È ASSURDO PENSARE SIATE LA STESSA BAND CHE HA SCRITTO “FOR FUNERALS TO COME” O ANCHE “DISCOURAGED ONES”. HAI LA STESSA SENSAZIONE QUANDO GUARDI INDIETRO E RIPENSI AL VOSTRO CATALOGO?
– Prima di tutto, devo dire che amo ancora tutte quelle prime uscite! Potrebbero non essere molto rilevanti per il suono e lo stile che rappresentiamo oggi, ma quelle vecchie opere sono stati passi importanti nella scala che ci ha aiutato a portarci dove siamo ora. Quando confronti “Jhva Elohim Meth” con “Sky Void Of Stars” e tutto ciò che c’è in mezzo, tutto questo materiale mostra sicuramente quale folle evoluzione abbiamo intrapreso, giusto? In pratica, in quel lasso di tempo è come se ci fossero state almeno tre band diverse, ma, del resto, è anche per questo che abbiamo avuto tre loghi diversi nel corso di tutti questi anni, per indicare le interruzioni e gli inizi di un nuovo capitolo. Venendo al modo di comporre, credo che in ogni contesto sia necessario avere equilibrio. Penso che sia molto facile cadere nella trappola di esagerare e continuare ad aggiungere una cosa dopo l’altra nell’illusione di stare facendo qualcosa di sempre migliore. Con un simile atteggiamento, perdi di vista il nocciolo del brano e non fai altro che aggiungere cose inutili. È altrettanto difficile rimanere minimalisti e sapere quando dire basta in quel senso. Quando componevamo così ai vecchi tempi, dietro quello stile vi erano anche problematiche legate al tempo, al nostro budget o, banalmente, a un talento ancora acerbo. Anche volendo, non saremmo forse stati capaci di esagerare con la produzione, quindi non avevamo altra scelta che mantenere le cose grezze ed essenziali.
QUANDO AVETE DECISO CHE CON I KATATONIA AVRESTE INIZIATO A CANTARE E AD ADOTTARE FORME CANZONE PIÙ STANDARD, NELLA SECONDA METÀ DEGLI ANNI ’90, QUESTO ERA QUALCOSA CHE SAPEVATE DI AVERE LA CAPACITÀ DI FARE O VI SIETE SEMPLICEMENTE ‘BUTTATI’?
– No, non avevamo alcuna esperienza in merito. Direi che è stata una sfida imparare ad adottare quello stile di scrittura. Ho dovuto davvero analizzare le strutture delle canzoni tradizionali del genere pop/rock e imparare come usare il mio istinto per dirmi cosa avrebbe separato una strofa da un ritornello. Tra il 1991 e il 1996, non conoscevamo alcun termine tecnico o parlavamo a malapena di qualsiasi analogia musicale: abbiamo semplicemente inventato le nostre metafore (per lo più paragonando degli spunti direttamente a nomi o a canzoni di altre band) per navigare negli stili e nelle soluzioni che volevamo raggiungere. All’epoca, nella mia testa, una canzone era un’avventura musicale senza regole. Non a caso, di solito i nostri primi pezzi iniziavano in un posto e finivano in un altro. Immagino che sia stato solo nel 1997, quando abbiamo lavorato a “Discouraged Ones”, che ho deciso di scrivere canzoni usando il modello tradizionale, optando per un’introduzione, strofa, ritornello, bridge, outro, che sarebbero poi stati ripetuti. Non tutti i brani seguivano necessariamente quello schema esatto, ma almeno ogni episodio aveva una strofa e un ritornello come spina dorsale, ed è quello che facciamo ancora in questi giorni, solo con più roba prog a decorare la struttura.
QUALI FURONO LE PRINCIPALI SFIDE A LIVELLO DI COMPOSIZIONE E PRODUZIONE ALL’INIZIO E COME SONO CAMBIATE NEL TEMPO?
– Nel corso del tempo, immagino che siamo semplicemente diventati musicisti migliori e curiosi di imparare a produrre, ritoccare e registrare musica da soli. Tutto ciò a cui ho accennato è stato impegnativo all’inizio, quando le nostre menti e le nostre visioni correvano ambiziosamente più avanti di quanto le nostre capacità manuali ci permettessero. Inoltre, allora non avevamo a disposizione i mezzi di oggi. Nei primi anni possedevamo a malapena uno strumento o l’attrezzatura necessaria per suonare e dovevamo prendere in prestito tutto. Inoltre, ci mancavano le apparecchiature per registrare. Ricordo di avere composto “Dance Of December Souls” puramente nella mia testa, quando mi sdraiavo a letto, e di averlo memorizzato tutto nella mia mente prima di essere stato effettivamente in grado di suonarlo e registrarlo. Ricordo di aver scritto “For Funerals To Come” mentre canticchiavo riff e melodie, registrando tutto su una cassetta con un walkman. Nella mia testa cercavo poi di immaginare un altro chitarrista nella stanza e di pensare a cosa avrebbe suonato lui. Niente batteria, basso o voce: solo i riff, battendo il piede per il ritmo. Tutto molto primitivo! La storia di “Brave Murder Day” è quindi stata raccontata molte volte: abbiamo scritto quell’album al volo in studio, totalmente improvvisato. Intorno alla lavorazione per “Discouraged Ones” siamo finalmente entrati in possesso di un registratore analogico Yamaha a 8 tracce e di una drum machine Boss Dr Drythm ed è stato allora che abbiamo iniziato a fare dei veri e propri demo (dal suono di merda) prima di un album. Presto siamo passati a una macchina digitale Roland a 8 tracce che aveva molti effetti incorporati che rendevano più facile ‘produrre’ dei demo un po’ più vicini alla nostra visione: questa è stata usata per “Tonight’s Decision” e “Last Fair Deal Gone Down”. Poi, al momento di “Viva Emptiness”, siamo finalmente passati completamente al nuovo standard del settore, utilizzando una DAW (digital audio workstation) utilizzando software per computer e schede audio per occuparci dell’intero processo e questo è ciò che ha davvero cambiato le regole del gioco e reso è molto più facile il tutto da lì in poi.
L’AGGIUNTA DI UN BATTERISTA DI LIVELLO PRIMA DELL’USCITA DI “LAST FAIR DEAL GONE DOWN” HA DAVVERO POTENZIATO IL SUONO E LA DIREZIONE GENERALE DELLA BAND, SECONDO ME. GUARDANDO AL PRESENTE, CREDO CHE AVERE UN BATTERISTA COME DANIEL MOILANEN DI QUESTI TEMPI VI PERMETTA DI PROVARE PRATICAMENTE QUALSIASI COSA.
– Sì, a livello tecnico, Moilanen è un batterista molto competente a cui puoi lanciare quasi tutto quello che vuoi e lui capirà come suonarlo. Tuttavia, non apprezza i cambiamenti improvvisi: gli piace essere completamente preparato e sapere esattamente cosa deve fare. Se lo accontenti, allora diventa veramente una macchina. Il nostro vecchio batterista, Liljekvist, forse non era tecnicamente preparato come Moilanen, ma era un grande batterista con cui suonare e forse metteva più enfasi sul groove e su quel feeling ‘grezzo’ che si adattava così bene al nostro vecchio repertorio. Con lui era anche molto facile gestire i cambiamenti dell’ultimo minuto e sperimentare gli arrangiamenti al volo. Siamo stati fortunati ad avere grandi batteristi da quando Jonas ha messo via le sue bacchette.
I KATATONIA SONO NOTI PER SCRIVERE MUSICA OSCURA, MA NEGLI ULTIMI ANNI ALCUNE CANZONI HANNO MOSTRATO UNO STATO D’ANIMO DIVERSO. “BEHIND THE BLOOD”, AD ESEMPIO, HA UN FORTE FEELING HARD ROCK, QUALCOSA DI ABBASTANZA INSOLITO PER VOI. IN CHE TIPO DI STATO MENTALE SIETE SOLITI TROVARVI QUANDO COMPONETE NUOVI ALBUM OGGI? TUTTO È PERMESSO?
– A quanto pare è così. Non direi però che “Behind The Blood” sia la classica canzone dei Katatonia, ma piuttosto un jolly per mostrare la versatilità della moderna versione di questa band. A prescindere da come tu voglia considerarla, è una traccia molto divertente da suonare, ma non credo che un pezzo del genere sarebbe stato approvato dieci anni fa. Anzi, probabilmente sarebbe stato persino detestato, specialmente da Jonas, se andiamo indietro di vent’anni, quando era davvero di mentalità ristretta (ride, ndR)! Abbiamo sempre avuto questo filtro e una barra impostata per ciò che ritenevamo appropriato per il gruppo, ma immagino sia una cosa positiva vedere tutti espandere i propri confini e cercare nuovi modi di espressione. Tutto cambia con l’età, nel bene e nel male.
CIÒ CHE È ANCHE INTERESSANTE È CHE IL CONTENUTO DEI TESTI DI KATATONIA È OSCURO, MA QUESTO NON SIGNIFICA NECESSARIAMENTE CHE VIVIATE NELL’OSCURITÀ. LA MUSICA È UNA FORMA DI ESPRESSIONE ARTISTICA. ALCUNI DIREBBERO CHE È LA LORO TERAPIA E CHE SONO GENERALMENTE PERSONE FELICI NELLA VITA. È UNA SITUAZIONE SIMILE PER VOI, ALMENO ULTIMAMENTE?
– Tutto è relativo. A volte le nostre menti possono ancora diventare nere come la pece, ma non abbiamo mai cercato deliberatamente di essere depressi. È solo una miserabile maledizione con cui siamo cresciuti, insita nel nostro DNA. Il dolore ci troverà ovunque andremo ed è per questo che i Katatonia si sono rivelati un’espressione musicale che è anche una terapia di una vita.
TUTTI CAMBIAMO NEL TEMPO. ANCHE I NOSTRI GUSTI CAMBIANO. DETTO QUESTO, C’È QUALCOSA ALL’INTERNO DEL CATALOGO KATATONIA CHE STAI RISCOPRENDO E RIAPPREZZANDO? O FORSE QUALCOSA CHE NON SOPPORTI PIÙ? RICORDO CHE UNA VOLTA MI DICESTI CHE NON TI È MAI PIACIUTO IL BRANO “RELENTION” SU “DISCOURAGED ONES”, PER ESEMPIO.
– Forse quella canzone non è davvero così brutta come la ricordavo? Non l’ho sentita per anni, ma oggi penso che sia il testo a infastidirmi un pochino, più che la canzone vera e propria. Posso ancora canticchiare quel ritornello di chitarra con il suono a sirena. Ingenuo ma accattivante, classici Katatonia!
L’ANNO SCORSO SONO RIUSCITO A OTTENERE UNA COPIA DEL COFANETTO “MELANCHOLIUM”, NEL QUALE È STATO RACCOLTO TUTTO IL VOSTRO PRIMO REPERTORIO IN FORMATO CASSETTA. PER QUESTA PUBBLICAZIONE AVETE ANCHE RI-REGISTRATO LE CANZONI DEL MISCONOSCIUTO DEMO DEL 1992. COME VI SIETE APPROCCIATI A QUEL MATERIALE DOPO TUTTI QUESTI ANNI? È STATA UNA COSA DIVERTENTE DA FARE? HO SEMPRE PENSATO CHE AVRESTE DOVUTO REGISTRARE PROPRIAMENTE I PEZZI DI QUEL DEMO E PUBBLICARLI UFFICIALMENTE DA QUALCHE PARTE NEGLI ANNI NOVANTA.
– Sì, è stato magico! Probabilmente sono l’unico rimasto a pensare ai vecchi tempi, quindi ho vissuto un enorme trip nostalgico compilando quel box tutto da solo. Ho davvero cercato in ogni angolo di soffitte e scantinati, solo per portare alla luce qualcosa di rilevante del passato. Sentivo che se volevo davvero pubblicare quel cofanetto, allora esso avrebbe dovuto rappresentare in tutto il manifesto definitivo della vecchia scuola. Voglio dire, abbiamo a che fare con fottute cassette! La ‘generazione TikTok’ sa almeno di cosa sto parlando? “Melancholium” è per tutti coloro che condividono l’amore e l’apprezzamento per gli esordi dei Katatonia, nella forma più underground, quindi fatevi un favore e andate a prenderlo!
MOLTO PRESTO ANDRETE IN TOUR IN EUROPA CON I SOLSTAFIR. SARÀ UN GRANDE TOUR E I FAN SEMBRANO ESSERE MOLTO ENTUSIASTI. SCOMMETTO CHE STA DIVENTANDO DIFFICILE METTERE INSIEME UNA SCALETTA. COME SCEGLIETE LE CANZONI DI QUESTI TEMPI?
– Personalmente, penso che quando sei in tour a supporto di un nuovo album, dovresti presentare un numero decente di canzoni dalla nuova fatica, al fine di rendere quegli show affiliati e ricordati con quel particolare album, senza farli diventare un altro ‘best of’ (che puoi sempre fare più avanti o comunque tra un album e l’altro). Per la band è sempre un’eterna lotta ottenere una scaletta bella e interessante per tutti. Cerchiamo di concentrarci in particolare sulle canzoni che non abbiamo ancora suonato dal vivo o che forse non abbiamo nemmeno toccato durante le vecchie prove, quindi cerchiamo sempre di scovare quei brani e provarli. Poi abbiamo i cosiddetti classici, i pezzi che i fan chiedono sempre, perché ‘devono essere suonati’: sono brani che non possiamo davvero sacrificare. Diventa insomma complicato scendere a compromessi e trovare spazio per tutto: la setlist diventa un puzzle veramente difficile da risolvere. Detto questo, la nostra scaletta non è mai fissa: anche nel corso del tour, cerchiamo di cambiare e introdurre canzoni diverse, quando ne abbiamo voglia.
RESTANDO IN TEMA TOUR, SIETE DEI VETERANI ANCHE IN QUESTO SENSO ORMAI. COME SONO CAMBIATE LE COSE PER VOI SUL FRONTE LIVE IN TUTTI QUESTI ANNI?
– Beh, c’è una cosa che amo assolutamente del tour… Sono quegli incredibili quarantacinque o novanta minuti sul palco! L’interazione tra la band e il pubblico, la musica ad alto volume e l’atmosfera appassionata: questo è ciò per cui vivo! Tutto il resto si riduce soltanto ai trasporti da e verso quel palco, o a trovare metodi su come ammazzare il tempo. Detesto davvero i viaggi che derivano dai tour e non intendo solo i noiosi aeroporti e i tempi di attesa. Alla fine dei conti, non sei mai veramente libero di andare a fare le tue cose. So che siamo lì per lavorare e portare a termine un compito, ma, quando hai l’opportunità di andare a visitare tutti questi paesi stranieri e nuove città, è triste poi non avere ricordi, oltre alla strada dove hai parcheggiato il bus, forse una camera d’albergo o l’interno del locale. C’è sempre questo programma serrato che ti tiene legato al perimetro del locale con carico attrezzature, soundcheck, interviste, cena e così via, quindi non puoi davvero allontanarti. Inoltre, sono una persona che apprezza la propria privacy e l’avere dei momenti di pace e tranquillità, ma la realtà è che puoi dire addio a tutto quello quando sei sempre bloccato in uno spazio così piccolo su ruote, insieme a tutte queste persone, giorno e notte, dentro e fuori. Infine, ti manca la tua famiglia e spesso non puoi essere lì per loro quando hanno bisogno di te, quindi il tour può essere mentalmente estenuante quando è fatto per troppo tempo e troppo spesso. Sto ancora aspettando che il teletrasporto diventi una cosa reale. Elon Musk, sbrigati!