KAYO DOT – Alchimisti dell’occulto

Pubblicato il 29/11/2013 da

I Kayo Dot celebrano un decennio di onorata carriera nel quale hanno creato di tutto e distrutto ancor di più. Troppo strani per essere popolari, troppo geniali per essere trascurabili, ma sempre indiscutibilmente troppo avanti rispetto ai tempi per poterne capire la natura fino in fondo. In dieci anni Toby Driver e soci hanno preso il metal e ne hanno fatto uno scempio, lo hanno stuprato in ogni sua accezione, umiliandolo con la derisione del virtuosismo e dell’ecclettismo che derivano dagli ambiti accademici del jazz, dalla musica classica e dell’avanguardia pura. Sembra essere stato un rapporto di amore e odio quello tra i Kayo Dot e il metal. A volte componente indispensabile a materializzare la loro assurda visione musicale, a volte genere outsider, usato dai Nostri come semplice stucco musicale per tappare i buchi della loro scelleratezza compositiva a volte per fino ignorato e lasciato in disparte per gran parte della loro carriera. In dieci anni i Kayo Dot ne hanno combinate insomma davvero di tutti i colori, e infine, dopo aver lambito ogni confine musicale conosciuto, la band ha chiuso il cerchio e sono tornati da dove sono venuti, licenziando il loro lavoro più heavy e “metal” di sempre. Un monolite di oscurità musicale stortissimo, contorto, deforme e sbilenco, talmente immenso nella sua complessità compositiva e particolare nell’eviscerazione di emozioni da essere risultato infine quello che è senza dubbi il più grande album di avantgarde metal del 2013. Toby Driver ci ha spiegato la genesi del disco, i come e i perché della sua immonda creatura e il suo ruolo nella carriera decennale di questa band che va semplicemente accettata nella sua grandezza, poiché capirla non è qualcosa che compete alla carne dei comuni mortali come noi…

KAYO DOT - band - 2013

NONOSTANTE LA LUNGHEZZA E L’AMBIZIONE DEL PROGETTO, “HUBARDO” E’ ARRIVATO IN FRETTA, POCO PIU’ DI UN ANNO DOPO “GAMMA KNIFE”. COME MAI QUESTA VELOCITA’ IMPRESSIONANTE NEL PUBBLICARE UN SUCCESSORE DI “GAMMA KNIFE”?
“Un paio di motivi. Innanzitutto le ultime due uscite (‘Stained Glass’ e ‘Gamma Knife’) erano lavori abbastanza brevi, e ultimati quelli c’erano ancora tante idee che mi fluttuavano ancora in testa e stavo letteralmente strabordando di ispirazione, per cui dovevo assolutamente trovare un modo per esprimermi il prima possibile per mettere tutte le idee rimaste nero su bianco. ‘Stained Glass’ e ‘Gamma Knife’ sono arrivati uno di seguito all’altro per cui già sapevo che la band sarebbe stata limitata da problemi di budget visto che di recente abbiamo finanziato tutto da soli. Per questo quei progetti sono venuti brevi, per non rischiare di rimanere con lavori più grandi rimasti incompleti per mancanza di fondi. Con ‘Hubardo’ invece abbiamo stanziato i fondi prima, per cui sapevamo che le risorse per fare un lavoro più grande c’erano, e ci siamo dunque potuti permettere il lusso di lasciar scorrere la creatività liberamente. Inoltre ‘Hubardo’ sfrutta molto il concetto di ripetitività, nel senso che abbiamo potuto fare canzoni molto più lunghe ma basate sulla ripetizione degli stessi tre o quattro riff a differenza della nostra musica passata in cui niente si ripeteva mai e in cui dunque una canzone poteva anche consistere di dozzine di riff differenti che non si ripetevano mai che apparivano nel brano una volta sola per poi lasciare spazio al successivo. Infine credo che ‘Hubardo’ sia la manifestazione ultima del fatto che finalmente io riesco a vivere di musica ora, mentre prima tutti i miei progetti musicali dovevano lasciare sempre spazio a dei lavori normali con il quale finanziavo tutta la mia musica. Una cosa che mi ha sempre rallentato”.

POSSIAMO DEDURRE DUNQUE CHE IL PROCESSO DI SCRITTURA E’ STATO SEMPLICE E INDOLORE PER “HUBARDO”, GIUSTO? LO DEFINIRESTI UN ALBUM CHE E’ STATO FACILE O DIFFICILE DA COMPLETARE?
“E’ stato sia facile che difficile. La parte più facile del disco è stato proprio il processo di scrittura. In questo disco la prima cosa ad essere stata fatta sono stati i testi, un’unità di misura indispensabile a prevedere e architettare la struttura della musica che avrei dovuto comporre attorno ad essi. Inoltre volevo comporre in un modo più vicino a quello che utilizzando ai tempi dei Maudlin of the Well, e simile a quello che usiamo nei Vaura, ovvero tenere le idee che sono estremamente intuitive e spontanee e usare quelle invece di studiare parti a tavolino. La parte difficile è stata dare un ordine alla spontaneità del tutto, usare le ripetizioni, piegare il libero scorrere delle idee a metriche e logiche convenzionali. Questa band ha una reputazione da difendere, il fatto che suoniamo nel regno del cosiddetto ‘avantgarde’ e che componiamo in maniera libera e impulsiva. Ci sarà sempre una componente del nostro pubblico che ci farà a pezzi se non siamo strani abbastanza o complessi o sperimentali. E’ stata dura far convivere la nostra indole sperimentatrice e il desiderio di strutturare il tutto sotto un unico tetto. A volte ci dimentichiamo che in realtà non stiamo facendo musica destinata solo agli eccentrici ma a tutti, e che dunque non è giusto vivere solo nel mondo della pazzia musicale e della totale e perenne inclassificabilità, imprevedibillità eccetera. Stavolta volevamo fare un lavoro che andasse oltre anche quegli aspetti”.

“HUBARDO” SIGNIFICA “LANTERNA” IN UN QUALCHE IDIOMA OCCULTO, SE NON SBAGLIO. CI SPIEGHI MEGLIO IL SIGNIFICATO DEL TITOLO E I CONTENUTI LIRICI DEL DISCO?
“Sì, significa ‘lanterna’ o ‘lampada’ in enochiano, una lingua occulta sviluppata dall’alchimista e e matematico (e ovviamente occultista) John Dee nel 1500. La persona che ha scritto i testi di ‘Hubardo’ è Jason Byron, uno dei cantanti dei Maudlin Of The Well, i quali, quando si trasformarono nei Kayo Dot, lasciò la musica per dedicarsi ai suoi studi sull’occultismo. In tutti questi anni ha fatto solo quello, oltre a scrivere poesia, ed è dunque estremamente calato in quel mondo e ossessionato con quella sfera dell’occulto. L’intero concetto del disco è stata una sua idea, incluse le tematiche e i messaggi subliminali. Sarebbe stato meglio se fosse stato lui a rispondere a questa domanda, perché lui conosce il tema del disco meglio di chiunque altro visto che lo ha prima concepito e poi sviluppato. In ogni caso, ecco cosa ha detto a me in proposito: ‘il disco è un’allegoria dell’insoddisfazione del proprio essere e come si trova la strada maestra della propria volontà (la lanterna o luce guida, appunto) per sovvertire le cose, e come, a volte, la nostra volontà, trovata questa strada, ci porti anche alla morte per realizzare ciò in cui crede’. Ma Byron è una vita che filtra tutta la sua esistenza attraverso la lente dell’occultismo, per cui in questa idea molto generale poi ci sono anche concetti alchemici, matematici, eccetera. Credo che chi ascolta il disco e ha familiarità con l’occultismo scorgerà tutti questi elementi molto facilmente, anche in elementi banali come il numero delle tracce del disco”.

MIA MATSUMYA APPARE SEMPRE PIU’ DEFILATA DALLA BAND ORMAI. SAPPIAMO CHE HA PARTECIPATO ALLE REGISTRAZIONI MA POI NON APPARE UN ALCUN MATERIALE PROMOZIONALE O NELLA LINEUP DELLA BAND…
“Sì, Mia ormai vive a Los Angeles, dall’altro lato del continente, mentre noi siamo a New York. La sua capacità di essere nella band è ormai prossima allo zero, ma siccome questo è il disco del nostro decimo anniversario, ho deciso che sarebbe stato importante coinvolgerla quanto più possibile e lei ha accettato di suonare delle parti di violino”.

DEL RESTO DELLA LINEUP INVECE CHE CI DICI? SEI RIUSCITO A MANTENERLA STABILE NEGLI ULTIMI ANNI?
“Sì e no. Sembra che ogni paio d’anni qualcuno lascia e devo rimpiazzarli. Misteriosamente i Kayo Dot sono stati così fin dall’inizio”.

IN “HUBARDO” LE COMPONENTI EXTREME METAL SONO BEN PIU’ PRESENTI CHE IN PASSATO. DAL DOOM AL DEATH METAL AL BLACK METAL, QUESTI GENERI ESTREMI SONO TUTTI PRESENTI IN GRAN QUANTITA’ E SEMBRANO AVER INFINE MATERIALIZZATO QUELLO CHE APPARE ESSERE IL VOSTRO ALBUM PIU’ “PESANTE” DI SEMPRE. SCELTA FATTA A TAVOLINO O RISULTATO CASUALE?
“In realtà volevo fare un disco molto pesante e molto ‘metal’ già con ‘Gamma Knife’, ma la qualità lo-fi di quella registrazione live ha di fatto limitato questo intento. Allora ho deciso di continuare per quella strada per finalmente fare un album pesante e aggressivo in maniera indiscutibile e ovvia, visto che con ‘Gamma Knife’ non mi è riuscito a pieno. ‘Gamma Knife’ inoltre era heavy in maniera diversa, ovvero sfruttava il rumore della sezione ritmica e i cori per creare densità nel sound, come era per l’uscita precedente, ‘Coyote’. ‘Hubardo’ invece ha un suono molto metal in senso tradizionale, nel senso che non abbiamo dato l’impressione della pesantezza come in passato con questo lavoro, ma abbiamo proprio suonato metal, con distorsori, overdrive eccetera nelle chitarre. C’erano molto più basso e archi in primo piano in ‘Gamma Knife’, mentre ‘Hubardo’ ha le chitarre sparate davanti a tutto. Per me non è stata una scelta facile, visto che sono un bassista prima di tutto, ma per raggiungere questo obiettivo heavy che avevo in mente non avevo scelta”.

CI SI SENTONO MOLTI ELEMENTI DEI GORGUTS E DEI DEATHSPELL OMEGA IN QUESTO ALBUM, CHE NE DICI?
“Be’, io adoro entrambe quelle band!”.

….PERO’ IN ULTIMA ANALISI NOI CI SENTIAMO DI DIRE CHE L’ASPETTO DELLA MUSICA CHE SEMBRA MAGGIORMENTE DINAMICO E CURATO SONO LE VOCI. HAI USATO TANTISSIMI STILI VOCALI DIVERSI NEL DISCO E SEMBRA CHE VOCALMENTE HAI DAVVERO CERCATO DI SPINGERTI OLTRE, SEI D’ACCORDO?
“Intanto vi ringrazio per averlo notato. Devo dire che a livello compositivo nessuno strumento ha ricevuto più attenzione rispetto ad un altro. In fase di registrazione però è stata la batteria a necessitare più attenzioni. Ci sono voluti quattro giorni a registrare le parti di batteria, con vari take per ogni canzone. Una eternità. Le voci invece le ho praticamente fatte tutte al primo tentativo e nell’arco di un solo giorno, anche se le parti corali sono state fatte in un altro giorno. Inoltre devo dire che mi sono distrutto le corde vocali per registrare il disco, e la cosa non ha fatto che aggiungere un tocco di particolarità al risultato finale. Quello che vedo in giro nelle altre band a noi affini o della nostra scena, è che nessuno secondo me mette nelle voci il lavoro e la passione che necessitano. Tante band compongono musica incredibile e poi o sono del tutto strumentali o ci mettono sopra delle voci urlate allo stesso modo dall’inizio alla fine. Ecco, una delle cose di cui sono fiero dei Kayo Dot è che cerchiamo di spingerci oltre in tutto, e questo include anche le voci, con le quali cerchiamo sempre di creare un elemento di novità o particolarità. Nella scena ‘brutal prog’ di New York di cui siamo parte, nessun usa questo approccio, anche se devo dire che nei suoi progetti recenti Charlie Looker sembra aver adottato questo approccio ultimamente”.

KAYO DOT - band 2 - 2013

SCRIVETE SEMPRE MUSICA MOLTO ASTRATTA E CEREBRALE E STAVOLTA AVETE ANCHE FATTO UN LAVORO LUNGO UN’ORA E MEZZA. IL TUTTO ALLA FINE E’ VENUTO FUORI IN MANIERA SPLENDIDA MA NON AVEVI PAURA DI PECCARE DI PRESUNZIONE E RISCHIARE DI ANNOIARE GLI ASCOLTATORI?
“Be’, certo, quella paranoia ti viene quando scrivi roba così ambiziosa. La paranoia che sarai l’unico a capire e apprezzare ciò che hai scritto. C’è sempre la paura di scrivere qualcosa sempre troppo mallopposo da poter digerire per l’ascoltatore. Ma noi facciamo questo tipo di musica, non possiamo semplificarci per rendere la vita più facile all’ascoltatore distratto. Noi vogliamo creare musica complessa e contorta che faccia sentire minuscolo e impotente chi ci ascolta. Vogliamo scrivere musica distruttiva che veicoli la percezione di essere demoliti dall’interno. Il disco è stato progettato per il formato in vinile, e i due dischi rendono l’ascolto più facile perché costringono ad una interruzione o comunque offrono una tregua grazie alla possibilità di una pausa. E’ un disco ‘seriale’ in un certo senso, può essere fruito a spezzoni, per cui alla fine non è così forzatamente indigeribile come si potrebbe pensare per via della sua durata”.

ECCO A PROPOSITO DELLA DURATA, COSA HA PORTATO AD UN LAVORO TANTO LUNGO E CORPOSO?
“Io volevo fare un doppio album. Era un progetto prefissato da tempo ancor prima che fosse stata scritta una sola nota del disco. Volevo fare un lavoro lungo almeno ottanta minuti. Quando ne ho parlato con Byron, lui inizialmente voleva scrivere sette poesie per il disco, ma gli ho detto che nel formato vinile non avrei potuto creare una interruzione sensata con un format simile. Così gli ho ‘commissionato’ più poesie e lui alla fine ne ha fatte undici. Un numero comunque fedele ai temi occulti delle liriche. Con undici tracce sono riuscito a fare un lavoro molto più fruibile: tracce più corte da poter suddividere meglio sul doppio vinile eccetera. Inoltre non si poteva far di meno perché l’intera storia ideata da Byron andava raccontata per intero e per sostenere tutto questo materiale lirico abbiamo dovuto scrivere tantissima musica e questo alla fine ha generato un album molto vasto e corposo. Ma come ti dicevo era un obiettivo prefissato, tutto era già stato ideato per essere così”.

PER PESANTEZZA, OSCURITA’ E STRAMBERIE, “HUBARDO” E’ IL DISCO CHE MAGGIORMENTE CI RICORDA “CHOIRS OF THE EYE” O COMUNQUE LA VOSTRA AGGRESSIVITA’ DEGLI ESORDI. TU COME VEDI LA FACCENDA? PIU’ COME UN RITORNO NOSTALGICO ALLE ORIGINI FILTRATO ATTRAVERSO LE VOSTRE CAPACITA’ ATTUALI O PIUTTOSTO COME UN ULTERIORE PASSO AVANTI SLEGATO DAL VOSTRO PASSATO?
“Non credo che ‘Hubardo’ sia simile a ‘Choirs of the Eye’ in alcun altro modo a parte il fatto di essere entrambi due album molto heavy. L’architettura compositiva in entrambi i lavori è completamente diversa. ‘Hubardo’ in realtà è più vicino ai Maudlin of the Well che a ‘Choirs of the Eye’, e anche in maniera premeditata visto che che è una sorta di album retrospettivo. Il fatto che Byron abbia ideato liriche e testi è una cosa che abbiamo fatto per i fan dei Maudlin of the Well e per nessun altro. Noi cerchiamo sempre di esplorare con la nostra musica, ma quando ti autoproduci hai limiti logistici, economici e temporali, e non puoi esplorare ogni area che vorresti e devi invece fare scelte dolorose e tagli di ogni sorta. Ad un certo punto ci eravamo messi in testa di fare un disco simile al periodo più prog di Joni Mitchell, quando suonava con Pastorius e Metheny. Credo che sarebbe stata una esperienza fantastica artisticamente ma un disastro se si pensa al lato economico. Alla fine dipende tutto dal pubblico, cosa vuole e cosa gli interessa del nostro output. Se ci viene offerto di suonare a festival metal eccetera allora siamo più che felici di far respirare la nostra anima brutale. Ma se a nessuno frega un cazzo allora cosa ci impedisce di fare un disco smooth jazz la prossima volta giusto per il nostro cazzeggio personale?”.

“HUBARDO” E’ ANCORA UNA VOLTA UN ALTRO VOSTRO ALBUM COMPLETAMENTE AUTOPRODOTTO. SCELTA O NECESSITA’?”
“Necessità. Il mondo delle label è brutale, una vita di sacrifici che non auguro a nessuno”.

“HUBARDO” RAPPRESENTA DIECI ANNI DI VITA PER I KAYO DOT. COME TI SENTI A GUARDARE INDIETRO SU TUTTO CIO’ CHE HAI FATTO?
“Bella domanda e sentimenti contrastanti (ride, ndR). C’è un bel mix di sensazioni, dalle più euforiche alle più negative. Intanto va detto che non ce l’avremmo mai fatta senza l’aiuto di produttori, label, stampa, promoter, booker, musicisti coinvolti nella band eccetera. La cosa che però mi fa paura a pensarci è che forse siamo ancora lontani da qualunque obiettivo e che forse non abbiamo ancora combinato nulla che ci soddisfi. Certo abbiamo fatto dei dischi che poi qualcuno ha comprato, è questo è fottutamente meraviglioso, ma alla fine io non riesco che a pensare a ciò che non abbiamo fatto piuttosto a ciò che abbiamo fatto. Non voglio fare una lista o sembrare una persona incontentabile, ma guardare al passato dei Kayo Dot mi fa sentire come se voglio essere più intransigente e severo con il nostro futuro. Voglio che sia una band più minacciosa e disturbatrice. Siamo sempre stati una band che non è mai riuscita ad appartenere ad alcuna scena o tradizione, una cosa che mi lusinga e mi scoraggia allo stesso tempo…”.

HAI SEMPRE TANTI PROGETTI ATTIVI A PARTE I KAYO DOT, A CHE ALTRO STAI LAVORANDO IN QUESTI GIORNI?
“C’è un uscita un nuovo disco dei Vaura, un album solista intitolato ‘Ichneumonidae’ al quale lavoro da un po’ e che non riesco a finire per vari motivi, ma che credo uscirà presto. Inoltre c’è una collaborazione live tra Kayo Dot e Tartar Lamb in arrivo tramite una etichetta polacca. Inoltre sono spesso in tour con i Secret Chiefs 3, sto cercando di organizzare un tour con i Kayo Dot, e poi appena passa questo inverno ci metteremo al lavoro per dare vita al prossimo album dei Kayo Dot”.

DELLE TUE INFLUENZE CHE CI DICI? QUALI ALTRI MUSICISTI O BAND HANNO DETERMINATO COME SUONI E COMPONI OGGI?
“Scusate ragazzi, ma delle mie influenze non parlo! Sono davvero troppe e non vorrei fare la cazzata di dimenticare qualcuno che mi ha cambiato la vita (ride, ndR)”.

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