KEN MODE – La relatività del successo

Pubblicato il 08/10/2015 da

Cambio di rotta inatteso quello compiuto dai noise-metaller Ken Mode con l’ultimo “Success”: dai lidi prettamente metal delle ultime fatiche in studio, i tre canadesi si sono rituffati nel brodo primordiale dell’indie rock che ne ha influenzato gli anni giovanili e li ha condotti alla realizzazione dei primi dischi. Come ci spiega il cantante/chitarrista Jesse Matthewson era un’idea che stava frullando nella loro testa già da qualche tempo quella di un parziale ritorno alle origini. La naturalezza con cui il trio si è (ri)appropriato di un certo modo di interpretare la musica ha consentito comunque di produrre un album all’altezza dei suoi immediati predecessori. Partendo quindi dalla genesi di “Success” eccovi il resoconto della nostra chiacchierata con la coraggiosa e infaticabile band canadese.

Ken Mode - foto band - 2015
TEMPO DI CAMBIAMENTI PER I KEN MODE. IN “SUCCESS” AVETE INTERROTTO IL PROCESSO EVOLUTIVO INTRAPRESO CON “VENERABLE” ED “ENTRENCH” PER GUARDARE AL PASSATO, ALL’ETÀ DELL’ORO DELL’INDIE ROCK A INIZIO ANNI ’90. COME SIETE GIUNTI A QUESTA DECISIONE? QUALI SONO GLI ASPETTI SUI QUALI AVETE LAVORATO MAGGIORMENTE PER GIUNGERE A QUESTO GROSSO CAMBIAMENTO NEL VOSTRO SOUND?
“Non è stata una decisione difficile da prendere: volevamo scrivere quanto ci sentivamo ci rappresentasse meglio in quel momento. Ci accorgevamo di essere un po’ esausti dal suonare e ascoltare metal (non è la prima volta che ci succede), ci siamo trovati tutti e tre a sentire molto punk e noise vicino alla cosiddetta scena indie, assieme a quelli che sono gli elementi cardine della nostra normale ‘dieta’ musicale, quelli che ci portiamo dietro dalla nostra giovinezza. Così è avvenuto che il lato noise rock della nostra musica prendesse il sopravvento. È un qualcosa che è stato sempre presente in quanto suonavamo, soltanto non ci si sono mai concentrati in molti, tra chi ci segue. Il noise rock non è molto popolare ed è meno facile da comprendere nella scena metal e hardcore. ‘Mennonite’ andava un po’ nella direzione dell’ultimo disco, ma non so in quanti tra i nostri fan sappiano perfino della sua esistenza (ride, ndR)”.

IL NUOVO ALBUM È STATO PRODOTTO DA STEVE ALBINI E IL SUO TIPICO TOCCO È BEN PERCEPIBILE IN “SUCCESS”. GLI AVETE FATTO QUALCHE RICHIESTA PARTICOLARE QUANDO SI È MESSO A LAVORARE SULLA VOSTRA MUSICA? QUANTO MARGINE DI DECISIONE HA AVUTO NELLA CREAZIONE DEL ‘NUOVO’ SOUND DEI KEN MODE?
“Ho sempre desiderato registrare un album con Steve Albini, il suo stile di registrazione è in assoluto il mio preferito in tutta la storia della musica, ha contribuito alla creazione di tanti dei miei dischi preferiti. Steve si è comportato come fa di solito, non ha lavorato in modo diverso con noi, tutti i cambiamenti rispetto al passato che puoi sentire a livello di songwriting provengono al 100% dalla band. Non è un produttore nel senso classico del termine; mette mano alla musica per catturare quanto la band sta suonando, ma non interferisce minimamente nella scrittura dei pezzi”.

DAL PUNTO DI VISTA SONORO, C’È UN FORTE CONTRASTO TRA ALCUNE CANZONI MOLTO METALLICHE E AFFINI AI DISCHI PIÙ RECENTI (“BLESSED”, “A PASSIVE DISASTER”) E ALTRE MOLTO DIFFERENTI DA QUANTO ORMAI CI AVETE ABITUATI A PROPORRE, COME “THESE TIGHT JEANS” O “DEAD ACTORS”. HO TROVATO INTERESSANTE QUESTA ALTERNANZA E QUINDI VOLEVO SAPERE COME AVETE SCELTO L’ORDINE DELLA TRACKLIST E COME CAMBIA IL FEELING ESPRESSO DALLA MUSICA IN BASE ALLE LIRICHE.
“La disposizione delle singole tracce gioca un ruolo strategico in ‘Success’, perché è importante che una dopo l’altra esse raccontino un’unica storia. Le velocità, le intensità di ogni brano creano la loro propria narrativa, completamente separate dal contenuto lirico in sé, che racconta una determinata storia man mano che l’album va avanti. Nella composizione e nella disposizione delle canzoni nell’ordine che puoi sentire non è emerso un unico, specifico, mood; abbiamo seguito il nostro istinto e abbiamo posizionato ogni brano nella maniera che ci sembrava più corretta. Abbiamo registrato in tutto tredici tracce, avevamo quindi anche del materiale extra su cui lavorare e ci siamo stati sopra finché non è stato chiaro quali fossero le migliori canzoni per raccontare la storia che avevamo in mente”.

IN QUEST’ALBUM AFFRONTATE L’IDEA DI ‘SUCCESSO’ SECONDO ALCUNI DEI PARAMETRI TIPICI DELLA SOCIETÀ OCCIDENTALE: DENARO, LAVORO, ASPETTI SOCIOECONOMICI, SESSO, ECC. COME È NATA L’IDEA DI DEDICARE UN INTERO DISCO A QUESTO ARGOMENTO? CI SONO SPECIFICHE RAGIONI PERSONALI CHE VI HANNO CONDOTTO A TRATTARE QUESTO TEMA?
“Abbiamo avuto quest’idea nel momento stesso in cui ci siamo messi a scrivere il disco. Avevamo il titolo prima di cominciare a mettere assieme la musica. La ragione per cui parliamo del successo e delle sue implicazioni è che questo tema porta con sé una forte carica di umorismo, connesso alla relatività del concetto di successo in sé e per sé. Il successo è qualcosa di molto soggettivo, uno scenario che per qualcuno potrebbe essere considerato pura spazzatura per un’altra persona potrebbe essere un vero tesoro”.

RIGUARDO AI SINGOLI TESTI, A LEGGERE I TITOLI DUE DI QUELLI CHE MI PAIONO PIÙ INTERESSANTI SONO QUELLI DI “MANAGEMENT CONTROL” E “FAILING AT FUN SINCE 1981”. DI COSA PARLATE IN QUESTE CANZONI?
“Alcuni dei testi contengono una serie di intricati giochi di parole, allusioni, che non mi aspetto nemmeno che qualcuno sia in grado di capirli. C’è un umorismo strisciante che scorre un po’ in tutto l’album; ogni tanto le persone riescono a coglierlo, molto spesso non ce la fanno. Sarebbe interessante guardarle per capire le loro reazioni di fronte a certe frasi! Non ho intenzione di spaccare il capello in quattro analizzando dettagliatamente cosa contenga ognuna delle lyrics, ma ‘Management Control” riguarda vagamente le condizioni di vita nella moderna società occidentale, descritte secondo la prospettiva di una persona che vive in essa in modo consapevole e realizza quali siano le sue storture; “Failing At Fun Since 1981” è un’ode umoristica a casa mia, alla mia condizione, all’idea di ‘cogliere il sogno’ che mi pervade tutte le volte che mi fermo anch’io a seguire le convenzioni”.

ASCOLTANDO “SUCCESS” HO AVUTO MOLTE VOLTE UN DEJA-VU DEI REFUSED DI “A SHAPE OF PUNK TO COME”. SIETE STATI MOLTO INFLUENZATI PER QUESTO DISCO DALLA BAND DI DENNIS LYXZÉN?
“Non ci è mai stata fatta notare prima la somiglianza coi Refused. Shane (Matthewson, il batterista dei Ken Mode, ndR) è un grande fan dello stile di David Sandström (batterista dei Refused, ndR), ma in termini di riff le similitudini che senti sono solo coincidenze, dovute penso all’avere sia noi che i Refused molte influenze in comune. Nonostante li apprezzi molto, non li metterei tra i gruppi che ci hanno ispirato per ‘Success’”.

UN’ALTRA CANZONE CHE HA CATTURATO LA MIA ATTENZIONE È “THE OWL”, CHE HA UN TOCCO ATMOSFERICO SIMILE A QUELLO DI “ROMEO MUST NEVER KNOW”. QUAL È IL SENSO DI QUESTO MOMENTO DI ‘GENTILEZZA’ NEL MEZZO DEL CAOS CREATO NORMALMENTE DALLA VOSTRA MUSICA?
“Non sono sicuro sia un momento di ‘gentilezza’, ma è sicuramente una song con un po’ più di melodia della nostra abituale media. Comunque ‘The Owl’ non è la sola traccia a flirtare con certi suoni più calmi o ad utilizzare un certo tipo di dinamiche. Ritengo ‘Success’ di gran lunga il nostro disco più melodico, anche se le persone si ostinano a ritenerlo un altro concentrato di noise selvaggio e caotico. Mi sa che ho una concezione del noise molto diversa da quella della maggior parte degli individui che ci ascoltano!”

L’ARTWORK È RADICALMENTE DIVERSO DA QUELLI CHE SIETE SOLITI PROPORRE. PENSO ESPRIMA MOLTO BENE IL SENSO DI SCONFITTA, SCORAGGIAMENTO, FRUSTRAZIONE. DISAPPUNTO SOFFERTO DALLA GRAN PARTE DI COLORO CHE CERCANO DI SCALARE LA PIRAMIDE DEL SUCCESSO AD OGNI COSTO. CHI È L’AUTORE DELL’ARTWORK? C’ERANO ALTRE IMMAGINI CHE AVRESTE VOLUTO METTERE IN COPERTINA E POI AVETE SCARTATO?
“L’illustratore si chiama Randy Ortiz, è un nostro caro amico di Winnipeg. La cover è l’immagine più cupa fra quelle utilizzate per ‘Success’, tratteggiata con colori molto pop; il resto delle tavole hanno una natura più ambigua e descrivono meglio il concept dell’album. Tutti i disegni presenti nel libretto sono scenari visti con gli occhi del personaggio ritratto in quell’immagine: c’è quindi un’immedesimazione con quello che vede lui. Quello che guarda di positivo o negativo, noi lo percepiamo col suo sguardo. Per queste immagini ho sentito interpretazioni diametralmente opposte ed è quasi commuovente a volte sentire descrizioni tanto diverse una dall’altra della stessa scena. Il concept artistico è pensato in modo tale che la stessa sequenza dei disegni abbia un suo preciso significato, l’ordine in cui sono stati posti non è affatto casuale”.

QUANDO COMPONETE UN NUOVO ALBUM, QUALI SONO I SEGNALI PER CAPIRE CHE UNA CANZONE È FINALMENTE GIUNTA ALLA SUA FORMA DEFINITIVA?
“È tutta una questione di feeling; arbitrario, consumante feeling. Non te lo saprei spiegare, è qualcosa che senti o non senti e devi lavorare fino al punto in cui la sensazione che sia tutto a posto e in ordine diventa palese. Qualunque artista conosce questa fase, dove la loro visione ha assunto la forma in cui andrebbe fruita così come è stata pensata ed è il momento di passare ad altro, perché il progetto precedente è stato concluso”.

L’ANNO SCORSO VI HO VISTO IN CONCERTO A MILANO, DOVE C’ERANO QUALCOSA COME DIECI SPETTATORI. AD UN ARTISTA, COSA PASSA PER LA TESTA QUANDO DEVE ESIBIRSI DI FRONTE A UN PUBBLICO TANTO ESIGUO?
“In questi casi cerchi di suonare al massimo per quelle dieci persone come se ti trovassi davanti a una folla cento volte più numerosa. Sappiamo benissimo che probabilmente non suoneremo più in quella città perché non è finanziariamente sostenibile una situazione del genere: quando la domanda è inferiore ai costi di gestione, l’offerta di qualsiasi prodotto viene fermata”.

PARLANDO ANCORA DI CONCERTI, QUALI SONO GLI ASPETTI CHE PREFERITE DEI LIVE? COSA VI SPINGE A VIAGGIARE IN GIRO PER IL MONDO PER PORTARE LA VOSTRA MUSICA A QUANTE PIÙ PERSONE POSSIBILI?
“Abbiamo iniziato a intraprendere tour con la cadenza e la lunghezza degli ultimi anni perché volevamo far conoscere la nostra musica a più persone: sentivamo che stavamo suonando qualcosa che valesse la pena di essere ascoltato e volevamo diffonderlo. Stiamo arrivando alla fine del viaggio, inteso come il modo di concepire i tour avuto negli ultimi cinque anni. Abbiamo lavorato tantissimo in questo periodo e ora è arrivato il momento di cambiare qualcosa: intendiamo prendere le cose con un po’ più di calma, siamo anche diventati abbastanza vecchi per trovare ormai più elementi a sfavore nello stare in viaggio così a lungo di quanti aspetti positivi vi possano essere in questo tipo di vita. Mi piacerebbe viaggiare su di un grosso bus dotato di tutti i comfort, esercitarmi ogni giorno il tempo necessario e alimentarmi secondo una dieta regolare come mi accade quando sono a casa mia, ma le nostre finanze non ci consentono di vivere i tour così comodamente”.

QUAL È LA BAND MIGLIORE CON CUI SIETE STATI IN TOUR? INTENDO SIA DA UN PUNTO DI VISTA MUSICALE CHE UMANO.
“Abbiamo trascorso del tempo in tour con molti gruppi di valore, mi viene difficile scegliere. Considerando che era una band di cui tutti e tre eravamo grandi fan ancora prima di affrontare un tour assieme, posso dirti che il tour americano coi Torche è stata un’esperienza speciale, diversa dalle altre. Perché? Primo, sono i Torche. Secondo, in quel periodo suonavano brani dai loro due dischi più recenti, che sono i miei preferiti della loro discografia, e quindi ogni notte era come se proponessero una collezione di hit. Il massimo per un loro grande fan qual è il sottoscritto”.

QUALI CONSEGUENZE DERIVANO DALL’AVERE DUE FRATELLI NELLA LINE-UP PER LA VISIONE ARTISTICA DEI KEN MODE? QUANTO CONTA QUESTA RELAZIONE FAMILIARE NELLA VOSTRA MUSICA?
“Shane è il mio migliore amico e lo è sempre stato da quando è nato. Senza di lui questa band non sarebbe mai potuta esistere e, parlando di musica, lui cerca costantemente di spingermi un po’ più in là, a osare e scrivere materiale sempre più interessante. Ci sproniamo l’uno con l’altro a progredire. Senza questa forte relazione che ci unisce, i Ken Mode non ci sarebbero”.

È DIFFICILE AFFERMARE CHE I KEN MODE APPARTENGANO A UNA DETERMINATA SCENA MUSICALE. QUESTO SECONDO TE È UN VANTAGGIO O UNO SVANTAGGIO?
“Per come è strutturata oggi la scena musicale, questo è un punto a sfavore. I consumatori di musica al giorno d’oggi pretendono di categorizzare tutto con estrema facilità. Noi non cadiamo in alcuna categoria predefinita, abbiamo da offrire più varietà di quella che le persone stanno cercando e non abbiamo mai tentato di essere ‘cool’ per guadagnarci maggiori interessi”.

GUARDANDOTI INDIETRO, QUALI PENSI SIA STATO IL MOMENTO PIÙ IMPORTANTE DELLA VOSTRA CARRIERA? QUALE È STATA LA DECISIONE CHE HA DATO IL PIÙ GROSSO CONTRIBUTO A FAR CRESCERE LA BAND?
“Decidere di abbandonare i nostri lavori regolari e restare in tour a tempo pieno è stato il momento di svolta per l’esistenza del gruppo. Nessuna delle selvagge esperienze vissute negli ultimi cinque anni sarebbe stata possibile se non avessimo deciso di mollare tutti i comfort e buttarci in questa esperienza così dura e totalizzante. Non mi pentirò mai di aver preso questa decisione”.

RISPETTO AI PRIMI ANNI DELLA VOSTRA CARRIERA, QUALI SONO I MIGLIORAMENTI OTTENUTI?
“Siamo cresciuti in questa band. Ognuno di noi è migliorato ogni giorno in tutti gli ambiti connessi al suo lavoro, che siano quelli legati al gestire il gruppo, tutto il business legato ai Ken Mode o all’essere creativi. Cerchiamo di spingerci continuamente al miglioramento, nel momento in cui dovessimo fermarci sarebbe anche ora di porre fine alla nostra storia”.

 

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