Ci sono gruppi che di fronte alle domande di un intervistatore mettono il pilota automatico e rispondono con le solite due-tre frasi di pronto consumo, buone per ogni circostanza. Ce ne sono altri che, semplicemente, non hanno nulla da dire, e non si ricava niente qualsiasi cosa gli si chieda. C’è poi chi avrebbe un mucchio di cose da dire, ma preferisce non sbilanciarsi, stare sulle sue, essere circospetto. Ci sono, per fortuna, molte band che al contrario hanno un genuino piacere nel raccontarsi a chi si interessa a loro e comunicano con piacere la loro visione della musica e del mondo. In questa cerchia, vi è un sottoinsieme più ristretto, di personaggi che ti confessano TUTTO quello che li riguarda, a cuore aperto, svelando ogni più intimo dettaglio di se stessi, senza reticenze. A questo cerchia appartengono i KEN Mode, trio che nella sua carriera ha prodotto alcune delle migliori opere conosciute nel contesto noise-metal, tornato alla carica con il valoroso “Loved” dopo una piccola tregua che i tre musicisti si erano concessi nel 2016, a seguito di cinque anni vissuti a mille all’ora ovunque li chiamassero a suonare. Il chitarrista/cantante Jesse Matthewson è il generoso elargitore della fiumana di parole che segue; un’intervista indubbiamente lunga e impegnativa ma, crediamo, molto interessante per scoprire quanto sudore, passione, caparbietà e intelligenza si nascondano dietro una realtà così brillante dell’undeground internazionale.
DOPO “SUCCESS” AVETE INTERROTTO L’ATTIVITÀ PER QUALCHE TEMPO, PRENDENDOVI UN PERIODO DI RIFLESSIONE E CONCENTRANDOVI SU ALTRE ATTIVITÀ. COME AVETE TRASCORSO QUESTI ANNI E COSA VI HA AIUTATO A RIPARTIRE QUANDO AVETE RICOMINCIATO A PENSARE AI KEN MODE?
– La grossa differenza è che abbiamo passato un anno, il 2016, in cui sostanzialmente non eravamo più un band. Abbiamo suonato solo un paio di show per impegni già presi in precedenza, ma per il resto in quel periodo siamo rimasti inattivi, non provavamo nemmeno. Io e Shane abbiamo avviato la nostra società di consulenza manageriale, mentre Scott è tornato a lavorare a tempo pieno presso il Broadway Theatre di Saskatoon, mentre io e mio fratello siamo rimasti a Winnipeg. Mi sono anche concentrato sulla pratica del Muay Thai per oltre un anno, dal momento che non avevo alcuno sbocco creativo fuori dal lavoro. Tutto questo però ha finito per rivoltarmisi contro verso la fine del 2016, quando sono scivolato in uno stato depressivo, proprio perché sentivo la mancanza di potermi esprimere da un punto di vista artistico in qualche modo. A inizio 2017, ci siamo accorti che dovevamo uscire da quello stallo e abbiamo iniziato a scrivere nuovo materiale, assieme a Scott e al nostro amico Drew Johnston, che aveva suonato con noi nel 2006. Così da un lato potevamo scrivere nuovo materiale con Scott, dall’altro provavamo regolarmente ogni settimana assieme a Drew. Intanto la nostra compagnia si era sviluppata a sufficienza da garantirci buone entrate e una vita regolare, eravamo pronti a realizzare un nuovo disco. Siamo entranti in studio a gennaio 2018 con Andrew Schneider. Appena finiti registrazione e missaggio sono andato all’estero sei settimane, prima in Thailandia ad allenarmi nelle arti marziali alla Sitmonchai Gym, infine ho trascorso una settimana nel Vietnam del Nord. Sono stati abbastanza selvaggi gli ultimi anni!
“LOVED” È UN ALBUM CHE NON PORTA CON SÈ QUASI NULLA DI QUELLO CHE POTEVAMO SENTIRE IN “SUCCESS”: L’APPROCCIO INDIE DI QUEL DISCO È STATO SOSTITUITO DA ATMOSFERE CUPE, CLAUSTROFOBICHE, MINACCIOSE. “LOVED” È SICURAMENTE MOLTO PIÙ ‘METAL’ DEL SUO PREDECESSORE. QUALI TIPI DI ASCOLTI ED ESPERIENZE HANNO PORTATO AL RITORNO ALL’ESTREMISMO SONORO?
– Non sono stato ispirato da nulla in particolare al di fuori di grandi dosi di death e black metal negli ultimi anni, che mi hanno suggerito le idee più oscure e soffocanti da sfogare nel nuovo album. Mi sembra non vi sia nulla di veramente ‘pericoloso’ in quello che circola nelle scene noise/indie/punk, a parte qualche raro caso. Sento maggiori affinità con tipologie di musica più estrema e dal taglio anti-sociale e disumano, piene di dissonanze e asperità. Band come Deathspell Omega, Altarage, Dodecahedron, Gorguts, The Ominous Circle, Cattle Press mi hanno guidato nel songwriting di “Loved”. In più, non è un segreto che abbiamo sentito una fortissima affinità con l’immagine scelta per la copertina, ci ha influenzato tantissimo. È stata completata sul finire del 2016, da subito abbiamo sentito che avremmo dovuto rappresentarla in qualche maniera nel sound del nuovo album, un suono che rappresentasse alienazione, ansia, in generale la paura che tante persone sentono addosso durante le loro giornate.
LA TRACKLIST A MIO AVVISO PUÒ ESSERE DIVISA IN DUE PARTI: UNA FORMATA DA TRACCE PIÙ CONCISE, ‘CLASSICHE’ SE RAPPORTATE AL VOSTRO CONSOLIDATO STILE (“DOESN’T FEEL PAIN LIKE HE SHOULD”, “NOT SOULMATES”, “VERY SMALL MEN”), E UNA DOVE DATE RISALTO ALLA VOSTRA VENA SPERIMENTALE (“THE ILLUSION OF DIGNITY”, “THIS IS A LOVE TEST” E SPECIALMENTE LA CONCLUSIVA “NO GENTLE ART”). QUALE METODO DI LAVORO AVETE PORTATO AVANTI NEL COMPORRE IL NUOVO MATERIALE?
– Volevamo un album che tu possa ascoltare ripetutamente mentre ti stai esercitando in qualcosa fino al punto di massimo esaurimento, mentre stai esercitando ogni parte di te stesso (in senso fisico e mentale) al limite nello sforzo. Abbiamo inserito riff atonali e alienanti, nonostante ciò abbiamo perseguito il nostro desiderio di creare, come in passato, un album dallo sviluppo fluido, dove ogni elemento riuscisse a tessersi assieme per raccontare una storia di senso compiuto. Eravamo annoiati all’idea di suonare veloci, intransigenti e sempre focalizzati sulla forza dei riff, quindi abbiamo cercato di mischiare diversi aspetti, mettendo molta attenzione al feeling e alle dinamiche. Ciò che rende speciale le nostre canzoni più sperimentali lo si deve al tono che abbiamo scelto di dargli, unito alle parti di sassofono scritte da Kathryn Kerr. All’inizio avevamo grandi piani, volevamo avere parti sperimentali in ogni traccia, ma ci siamo resi conto che non avrebbero funzionato nelle partiture più dirette e, appunto, ‘classiche’ del nostro sound.
L’AGGIUNTA PIÙ IMPORTANTE È IL SASSOFONO DI KATHRYN KERR. COM’È NATA QUESTA COLLABORAZIONE E CHE TIPO DI CONTRIBUTO HA DATO ALLO STILE DEI KEN MODE? SENTENDO IL TOCCO PAZZOIDE CHE VI HA PORTATO, SPERO CHE QUESTA COLLABORAZIONE PROSEGUA ANCHE IN FUTURO!
– Negli ultimi anni ho ascoltato tantissima no-wave e noise rock sperimentale, il sassofono era centrale in alcuni album che mi hanno particolarmente colpito. Allora ho tentato di incorporare quel tipo di estetica nel clima plumbeo che stava assumendo “Loved”. Ho fatto una specie di ‘chiamata’ via Facebook per sapere se qualcuno poteva aiutarci in tal senso e Kathryn è stata una di quelle che ha risposto. L’avevo già conosciuta ad un incontro di lavoro, per la sua azienda On Screen Manitoba era interessata a conoscere me e Shane e le nostre attività all’interno di MKM Management Services. Parlando è saltato fuori che aveva conseguito un diploma di laurea in sassofono jazz presso l’Università di Brandon, a Manitoba. Mi sono accorto che era una ragazza intraprendente, che aveva intenzione di mettersi in gioco e vedere cosa poteva fare all’interno della scena. Ho pensato che sarebbe stato abbastanza semplice lavorare assieme e unire le sue competenze alle nostre. Sui primi demo realizzati in pre-produzione avevamo tentato l’introduzione di alcune parti di violoncello, suonate da un’altra ragazza che ha collaborato con noi su alcuni album, Natanielle Felicitas. Però ci siamo accorti che quello strumento non si intonava alla musica che avevamo scritto. Mentre il sax interagiva benissimo con quanto avevamo scritto. In futuro spero che possiamo usufruire della collaborazione di Kathryn in maniera più ampia, sfruttando magari le sue doti nel suonare altri strumenti. Nel caso questi dialogassero bene con quanto suoniamo, potremmo pensare di averla con noi regolarmente in tour.
MI PIACCIONO MOLTO LE DIFFERENTI TONALITÀ E INTERPRETAZIONI DEL TUO CANTATO, JESSE: COME HAI LAVORATO SU QUESTO ASPETTO? CI SONO INFLUENZE RECENTI CHE HANNO PLASMATO IL TUO MODO DI CANTARE, E HANNO PORTATO AD ESEMPIO ALLE LINEE PSICOTICHE DI “NO GENTLE ART”?
– Ho sempre trovato noioso il ruolo del semplice urlatore, usare sempre lo stesso tono per l’intero disco non mi dice molto, vuoi anche perché tramite il noise rock ho potuto avvicinarmi a forme di musica più estreme, che contemplavano ampie gamme vocali. Un cantato monocorde fa passare poche emozioni ed è poco coinvolgente. Alcune delle differenti tonalità utilizzate nel disco sono semplicemente dovute al ‘soffio’ che ho cercato di dare alla voce in alcune parti. Quando senti distintamente il mio respiro nella voce, non è un caso, sono situazioni che abbiamo cercato appositamente di ottenere. “No Gentle Art”, che mi hai citato, doveva suonare disperata, intrisa di panico, isterica. Ci sono alcune cose su “Loved”, a livello vocale, che in passato non ero riuscito a mettere, un po’ per mancanza di resistenza fisica, un po’ per un non sufficiente controllo delle mie corde vocali. Stavolta ce l’ho fatta, non sono mai stato così contento come in questo caso della mia performance vocale in studio!
QUAL È L’IDEA DIETRO UN TITOLO COME “LOVED”? SUPPONGO VI SIA UNA CERTA DOSE DI IRONIA A SUPPORTO, COME AVVENUTO ANCHE IN PASSATO DEL RESTO…
– Abbiamo pensato a questo titolo poco dopo “Success”, semplicemente perché suona divertente la parola di per sé. Leggendola, le persone penseranno ad essa al presente o al passato, si può interpretare in entrambi i significati. Quindi non dateci alcuna colpa se leggendo il titolo penserete al passato e vi sentirete depressi!
IN STUDIO DI REGISTRAZIONE AVETE LAVORATO CON ANDREW SCHNEIDER, CHE IN PASSATO HA COLLAORATO CON UNSANE, CAVE IN, DAUGHTERS. CHE CONTRIBUTO HA DATO AL VOSTRO SOUND?
– Ha catturato la nostra visione, si è speso per noi anche più di quello che sarebbe stato necessario. Conosciamo Andrew da anni, più volte abbiamo parlato della possibilità di lavorare assieme sulla registrazione di un nostro album, e ora è finalmente accaduto. Mentre stavamo ancora provando il materiale nuovo e registravamo le prime versioni demo, Andrew si è mantenuto aggiornato su quello che stavamo facendo, così si è potuto sincronizzare al meglio sul tipo di suono che il disco richiedeva. Essendo un esperto del versante più rumoroso e disturbato del metal, che conosce da decenni, sapeva esattamente come i nostri pezzi andassero maneggiati. La cosa più impressionante del suo lavoro di produzione, per conto mio, è la velocità con cui ha portato a termine il lavoro. Per quasi ogni riff contenuto nel disco abbiamo utilizzato setup differenti delle chitarre, nonostante ciò ha completato tutto quello che doveva fare in soli sette giorni!
NELLA VOSTRA MUSICA E NEI TESTI VI È UN PERENNE CONFLITTO FRA LA RAGIONE, LA PARTE LOGICA DELLA MENTE UMANA, E L’ISTINTIVITÀ, LA RABBIA, IL CAOS. COME GESTITE QUESTI ASPETTI DELLA VOSTRA PERSONALITÀ NELLA MUSICA E NELLA VOSTRA VITA DI TUTTI I GIORNI?
– Nella musica, non cerchi di tenere tutto sotto controllo, almeno, non all’inizio. Fai uscire tutto quello che hai dentro, ti sfoghi, fino ad esaurirti; solo in un secondo tempo cerchi di trovare un ordine nel caos che hai generato. Mi è sempre piaciuto perfezionare e riordinare del materiale in forma ‘grezza’. Fin da quando all’università mettevo a posto i lavori di gruppo e gli davo una forma definitiva, mi sono sempre sentito a mio agio nel prendere un insieme di idee sparse, metterle assieme e dargli coesione e fluidità. Il grosso delle liriche di “Loved” sono state prodotte in questo modo. Questo disco, molto più che i precedenti, è stato il frutto di una forte collaborazione, dentro e fuori la band. Abbiamo preso spunti per le i testi da diverse persone attorno a noi, da mio padre, la moglie di Scott, il nostro amico comico Garrett, il bassista con cui proviamo di solito Drew… Io stesso mi sono impegnato in una scrittura molto libera, ho mescolato quello che ho scritto con il materiale che mi hanno passato gli altri, infine ho messo tutto in ordine e l’ho adattato alla musica. Questo metodo ha rafforzato una forte idea di famiglia all’interno della band, sentiamo quello che abbiamo fatto ancora più nostro. Per quanto riguarda la gestione di certi stati d’animo nella vita quotidiana, l’unico metodo che conosco è tenermi sempre impegnato. Scrivere e suonare musica, lavorare, allenarmi. Raramente me ne sto senza far niente, e sono contento così.
TU E SHANE AVETE FONDATO LA MKM MANAGEMENT: QUAL È LA SUA ATTIVITÀ PRINCIPALE E QUALI SONO GLI ASPETTI DI BUSINESS SU CUI SIETE MAGGIORMENTE CONCENTRATI?
– L’attività principale è fornire consulenza manageriale alle band che sono sempre in tour, per cui il suonare dal vivo rappresenta il loro lavoro principale e passano la maggior parte dell’anno in giro a suonare. Abbiamo tre lauree in business management fra noi due (Shane ha il titolo di revisore contabile e una laurea in economia, mentre io ho solo la laurea in economia), ottenute prima che diventassimo una touring band. Ora che abbiamo fatto un passo indietro e non siamo perennemente in giro a suonare, abbiamo deciso di sfruttare i nostri studi nell’unico settore economico che ci interessasse realmente, quindi ci siamo orientati a dare dei servizi ai gruppi che svolgono attività live intensa e continuativa. Conosciamo bene la loro situazione, l’abbiamo vissuta sulla nostra pelle: abbiamo dormito per terra, battagliato coi promoter per avere garanzie, sappiamo cosa voglia dire lottare con le unghie per ottenere abbastanza denaro che ti consenta di nutrirti almeno per la settimana successiva. Adesso lavoriamo con una cerchia di formazioni abbastanza conosciute nella scena canadese, di estrazione punk, hardcore e metal e finora questo tipo di lavoro è stato estremamente gratificante.
SO CHE SEI UN ESPERTO DI DIVERSE ARTI MARZIALI. È UN’ATTIVITÀ CHE TI AIUTA IN QUALCHE MANIERA A TROVARE L’ISPIRAZIONE PER LA MUSICA DEI KEN MODE, O ALMENO DÀ UNA MANO IN ALTRI ASPETTI LEGATI ALL’ESSERE UN ARTISTA?
– Pratico Muay Thai kickboxe da undici anni, finite le registrazioni di “Loved”, come ti ho detto, sono andato in Thailandia ad allenarmi. È qualcosa che ho sempre voluto fare, il mio amico e compagno di allenamenti Alex doveva già andare là per allenarsi e ho deciso di accompagnarlo, in più avevo anche accumulato abbastanza miglia aeree da poter volare gratis fin là. Le stelle sembravano essersi allineate per concretizzare questo sogno, e allora perché rinunciarci, no? Allenarmi nella Muay Thai ha aiutato molto le mie corde vocali, ho ottenuto più resistenza e posso permettermi linee vocali più intense e concitate. La potenza vocale tende ad affievolirsi con il crescere dell’età, la mia invece è migliorata nel tempo, ho il tono vocale più selvaggio e disperato di sempre ora che sono nella fascia alta dei trent’anni. Allenarmi mi aiuta a stare meglio e ad avere un umore più regolare. Ho combattuto con la depressione sin da quando ero un teenager, l’allenamento è il modo migliore che conosco per combattere questo problema. Forme estreme di esercizio cardiovascolare agiscono come una forme naturale di antidepressivo.
INTERROMPERE I TOUR E DEDICARVI AD ALTRO PENSO VI ABBIA AIUTATO A GUARDARE ALL’INTENSA ATTIVITÀ DEGLI ANNI SCORSI SOTTO UNA DIVERSA PROSPETTIVA. QUALI SIANO STATI, MAGARI, GLI ERRORI COMMESSI NEL LANCIARVI IN CINQUE ANNI DI ‘MISSIONE’ NEL PROMUOVERE LA VOSTRA MUSICA OVUNQUE FOSSE POSSIBILE ARRIVARE, SENZA RISPARMIARVI UN ATTIMO? E ORA CHE QUESTA ‘MACCHINA’ HA RIPRESO LA SUA ATTIVITÀ, COME GESTIRETE IL GRUPPO E VOI STESSI?
– Non direi che abbiamo commesso chissà quali errori, ci siamo semplicemente mossi come sentivamo di dover fare e secondo quello che era il clima musicale attorno a noi in quegli anni. Tutti i tour in cui ci siamo imbarcati in questi cinque anni sono dovuti al fatto che avevamo lasciato i nostri lavori per poterci permettere un’attività live di quel tipo. Abbiamo suonato ovunque fosse possibile e, sì, la frequenza dei nostri concerti è stata forse eccessiva in alcuni posti, ma non potevamo fare altrimenti. Se non suonavamo, l’unica alternativa disponibile era quelle di starcene del tutto inattivi, e non avrebbe avuto senso. Abbiamo tutti e tre una formazione universitaria abbastanza elevata, non è che potessimo fermarci dai tour e trovare immediatamente un lavoro stabile di un certo tipo. Una cosa abbastanza strana è che questo è il primo album uscito mentre noi eravamo a casa dal 2006, quando pubblicammo “Reprisal”. In tutti gli altri casi, eravamo in tour. Stavolta è stato bello poterci occupare con calma di tutti gli impegni promozionali e di marketing, muovendoci anche nei diversi ambienti online. Ad ogni disco il tipo di consumo della musica muta sotto qualche aspetto, è interessante capire cosa funziona e cosa no nel modo in cui ti proponi al pubblico. Adesso vedremo come andrà il prossimo tour. Mentre siamo in giro a suonare, dobbiamo mantenere i contatti coi nostri clienti e non fermarci nel dargli la consulenza per cui ci pagano. Ciò significa avere dei ritmi di tour più lenti e un ciclo promozionale più ampio, credo siano passati definitivamente i tempi delle sei-otto settimane consecutive di concerti, non ce lo possiamo più permettere attualmente.
AVETE VISITATO TANTI STATI E MOLTISSIME CITTÀ DURANTE I VOSTRI TOUR, VORREI ALLORA CHIEDERTI – TIPO UN QUIZ – DI IDENTIFICARE:
LA CITTÀ PIÙ BELLA:
– Non è facile. Potrebbe essere Stoccolma? Per qualche motivo quella città mi torna in mente spesso. È passato un sacco di tempo dall’ultima volta che ci abbiamo suonato!
LA MIGLIOR VENUE:
– Ho sempre amato suonare al Saint Vitus di Brooklyn, New York. Anche il Triple Rock di Minneapolis è sempre stato figo, peccato non esita più. Ho ottimi ricordi legati all’Empty Bottle di Chicago. Finisco per giudicare ottima una venue più per il tipo di atmosfera che si creava, lo staff, i concerti che vi abbiamo suonato, piuttosto che per le sue caratteristiche tecniche. Da quel punto di vista, abbiamo avuto la fortuna di esibirci in posti realmente stupendi, tipo la The Great American Music Hall di San Francisco. Ma ce ne sono molti altri, negli Stati Uniti abbiamo suonato in una quantità di posti incredibile e su molti di questi ogni tanto mi rinvengono degli splendidi ricordi.
LA SITUAZIONE PIÙ ASSURDA DURANTE UNO SHOW:
– Quando il nostro precedente bassista, Andrew, è stato aggredito poco prima di un nostro spettacolo e siamo dovuti andare in ospedale perché gli ricucissero il labbro. Davvero un brutto momento quello.
IL MOMENTO PIÙ PERICOLOSO:
– Tutte le volte che abbiamo rischiato un incidente stradale, e non è successo di rado. Una volta tornando a casa da Ottawa abbiamo rischiato di investire un alce con il nostro van. Andare addosso a un animale di quella stazza con un mezzo simile può essere spesso fatale.
IL PIÙ STRANO PERSONAGGIO CHE AVETE INCONTRATO:
– Oh, l’elenco di personaggi strani incontrati sarebbe lungo. Dubito sia il più strano in assoluto, ma è il primo che mi viene in mente: mi riferisco a un fastidioso molestatore che ci ha rotto le scatole durante il tour con gli Hark. Non ricordo se eravamo in Irlanda o a Nottingham, nel Regno Unito. Comunque, questo tizio era un maledetto idiota, ha disturbato il nostro amico Garrett così tanto che stavamo per mettergli le mani addosso e la stessa sera si è comportato allo stesso modo con gli Hark. A fine concerto, un gruppo di persone lo ha scaraventato fuori dal locale dopo che questo personaggio si era messo a urlare frasi razziste. Abbiamo saputo che una volta che gli Oxbow erano venuti a suonare dalle sue parti, per sbaglio Eugene Robinson lo aveva colpito per sbaglio mentre stava suonando. La scena è riportata su un DVD della Hydra Head uscito qualche anno dopo quel concerto. Non ho potuto che essere contento di una cosa simile. Quel tizio era un vero imbecille!
DURANTE IL VOSTRO TOUR EUROPEO DEL 2014 ERAVATE ACCOMPAGNATI DA UN VOSTRO AMICO CHE, PRIMA DEL VOSTRO CONCERTO, ANDAVA SUL PALCO E INSCENAVA UN BREVE SPETTACOLO DI CABARET. CHI ERA E PERCHÉ ERA CON VOI IN TOUR?
– Il suo nome è Garrett Jamieson, è un comico che ci ha accompagnato in tour quattro-cinque volte. Per alcuni anni è stato in tour per suo conto con il suo spettacolo. Nel 2013 ci è venuto in mente di portarcelo dietro ed è stato un’esperienza divertentissima. Tra l’altro era stato nostro roadie nel 2003, prima di andare a Toronto a studiare teatro. Quel tour europeo è stato divertente e un po’ grottesco, perché in alcuni paesi non molte persone conoscevano l’inglese, così a volte il pubblico faticava parecchio a capire cosa stesse dicendo. Per lui è stata una sfida interessante, perché doveva confrontarsi con un’audience che non era la sua e non era lì per lui. Speriamo di poter ripetere l’esperienza, ci troviamo molto bene con Garrett, è uno dei nostri migliori amici.
LEGGO NELLA VOSTRA BIOGRAFIA CHE IL VOSTRO BASSISTA SCOTT HAMILTON, MENTRE VOI ERAVATE IN PAUSA, SI È OCCUPATO DI ALTRE DUE SUE BAND, GLI ADOLYNE E I GREYLIGHT DISTRICT. PUOI DIRCI QUALCOSA A RIGUARDO DI QUESTI DUE GRUPPI?
– Scott suona negli Adolyne fin da quando lo conosciamo, mentre è nei Greylight District dal 2011/12. Cosa suonano? Gli Adolyne assomigliano a Today Is The Day e Ken Mode, noise-metal nichilista di quel tipo. I Greylight District sono più diretti, fanno un noise rock vecchio stampo. Gli Adolyne ogni tanto suonano in giro, fanno tour in Canada, più di frequente a ovest del paese che ad est. Mentre i Greylight District non mi pare abbiano mai fatto dei tour veri e propri. Scott è il frontman in entrambe le band, e la forza trainante, quindi ha molto impegno da sobbarcarsi!