Il 2019 segna il ventennale dei Killswitch Engage e l’anno di pubblicazione del loro ottavo album in studio, “Atonement”. I pionieri del metalcore melodico figlio del melodeath svedese, che dalla scena di Boston hanno codificato uno stile in voga per tutti i duemila, non sono forse nel periodo di massimo splendore ma sono ancora una band amatissima e un punto di riferimento. Abbandonati da Jesse Leach sulla rampa di lancio verso il successo mondiale, la band trovò in Howard Jones un cantante capace non solo di raccoglierne l’eredità, ma anche di farli consacrare nel successo di pubblico e critica. Quando anche Howard Jones abbandonò il gruppo per quelli che si scoprirono poi essere problemi di ansia e depressione, il percorso dei KSE sembrava essere maledetto. Riprendere Jesse Leach nel 2012 fu una scommessa folle, tanto che quando quest’ultimo parlò nuovamente di problemi di salute mentale nel 2018 la fine del gruppo sembrava vicina. Oggi non rimane altro che uscire allo scoperto e rendere una bandiera la battaglia alla depressione: così nasce “Atonement”, un disco dove sono presenti riferimenti espliciti alla delicata situazione personale del frontman – su tutti il singolo “I Am Broken Too” – e in cui la band pare essersi resa conto dei propri limiti fisici ed umani. Raggiungere telefonicamente Jesse Leach e sentire nelle sue parole il carico emotivo di certe situazioni è toccante e rivelatorio…
IL 2019 SEGNA IL VENTENNALE DEI KILLSWITCH ENGAGE, RIESCI A CREDERCI?
– E’ pazzesco, non avrei mai detto sarebbe durata più di una decina d’anni e invece eccoci a festeggiarne venti! Incredibile.
QUALE CONSIDERI IL TUO PERIODO MIGLIORE NEL GRUPPO?
– Questo! Posso essere così sfrontato perché questo disco a mio parere possiede un feeling diverso dal resto della discografia e soprattutto contiene alcuni dei testi più intensi che io abbia mai scritto. Ti rispondo oggi quindi, senza esitare, convinto che la fase in cui stiamo per entrare sia una delle più rilevanti. Vedremo poi cosa accadrà veramente, la mia opinione però è davvero questa.
PER QUANTO TEMPO ANCORA VI IMMAGINI SUONARE COI KILLSWITCH ENGAGE?
– Non saprei… dipende. Dipende per quanto tempo saremo in vita! A parte gli scherzi almeno cinque o dieci anni, dipende dal nostro stato di salute e dal volere degli dei. Io sono grato per ogni giorno che passo nella band.
PERCHE’ AVETE SCELTO “ESPIAZIONE” COME TITOLO DEL DISCO? HA QUALCHE CONNOTAZIONE CRISTIANA?
– Mi piace pensare di poter ridefinire il significato della parola: per me ha a che fare con ‘redenzione’, ovvero venire a termini con chi sei realmente prendendosi le proprie responsabilità, considerando contemporaneamente altri come responsabili delle proprie azioni. C’è un dualismo nel significato. Ovviamente ‘espiazione’ arriva da un contesto cristiano ma ormai non ho nessun legame con alcuna religione organizzata. Mi piace come quella parola è forte abbastanza da avere un significato proprio, da poter essere il titolo di un disco. Calza parecchio.
TUTTA LA FAN BASE DEI KILLSWITCH STA ASPETTANDO “THE SIGNAL FIRE” PER SENTIRE TU ED HOWARD NELLA STESSA TRACCIA. CI RACCONTI COME VI SIETE INCONTRATI?
– Conosco Howard di vista sin dall’età di 17 o 18 anni. Lui era in un gruppo chiamato Driven, mentre io cantavo per i Corrin. Avevamo amici in comune e ci portavamo rispetto a vicenda ma non ci siamo mai davvero conosciuti. Howard si presentò ad uno show dei KSE un paio d’anni fa per salutare i ragazzi e fare in qualche modo un primo passo verso alcuni di loro dopo aver lasciato il gruppo. Ho assistito a quel momento ed è stato bello: un sacco di ricordi, un sacco di risate e di situazioni da recuperare. Successivamente io e Howard abbiamo parlato faccia a faccia e dopo pochissimi minuti ho capito che abbiamo moltissimo in comune. Ci siamo avvicinati molto velocemente, parlando fino a quando il tour bus ha dovuto lasciare la venue. Ci siamo quindi scambiati i contatti e siamo diventati velocemente amici.
QUAL E’ IL TUO TESTO PREFERITO SCRITTO DA HOWARD E COME TI SENTI A CANTARLO?
– Penso sia “Arms Of Sorrow”, nella sua interezza. Ogni verso di quella canzone è davvero brillante, e mi ci ritrovo tantissimo. E’ la prima canzone scritta da lui che mi ha catturato, riesce a mettere a parole come ci si sente ad essere depressi là fuori, quando sei sotto i riflettori e il pubblico ti acclama. E’ una magnifica canzone su cosa significa avere un disordine psichiatrico, una malattia mentale, mentre si sta on the road. Quando la canto mi sento di diffondere quel messaggio. Tutti sanno cosa vuol dire essere tristi, essere giù, sentirsi oppressi.
NE HAI PARLATO CON LUI? HAI IDEA COSA RISPONDEREBBE HOWARD ALLA STESSA DOMANDA?
– Gli ho detto quanto amo quella canzone e cosa significa per me, sì. La sua canzone preferita scritta da me? Non ti so dire davvero.
COME SIETE ARRIVATI AD AVERE IL LEGGENDARIO CHUCK BILLY IN “THE CROWNLESS KING”?
– Quella è stata pura fortuna. Abbiamo scritto il pezzo ed eravamo veramente convinti, lo trovavamo davvero pesante tanto da ricordarci i Testament. A quel punto Joel è venuto fuori spontaneamente con “Hey, perché non chiediamo a Chuck Billy di cantarci sopra? Proviamoci almeno”. Ci è andata bene! Ha scritto il pezzo in due o tre giorni e ci ha rimandato il suo contributo. Noi eravamo a bocca aperta, devastati. Un onore, è un vero onore. Ascolto i Testament da quando ero un ragazzo, sono una delle più grandi metal band di sempre e per me dovrebbero far parte dei Big Four.
…E CHI TOGLIERESTI PER FAR SPAZIO A LORO?
– Cosa? No, non farmi questo. Non farmi questa domanda. Facciamo i Big Five allora.
MI E’ RIMASTA DAVVERO IN TESTA “US AGAINST THE WORLD”. DI COSA PARLA? LA VEDI COME UN POTENZIALE SINGOLO?
– Anche a me piace molto ma non ti so dire ancora se sarà uno dei prossimi singoli. E’ una canzone che parla di guerra, di una situazione in cui la tua vita è in gioco, sei in battaglia coi tuoi fratelli e sorelle e ne devi uscire, costi quel che costi. Ovviamente può essere interpretata anche con un significato inerente a relazioni, a famiglia, a relazioni amorose. Parla di essere in una situazione critica, al limite, ma trovare quella speranza nei rapporti che può rappresentare la svolta. Quando hai qualcuno di fidato alle spalle ti senti di affrontare tutto, è una sensazione bellissima.
SO CHE CI SONO CANZONI CHE AMI MA CHE NON SONO FINITE NEL DISCO. COME FATE SELEZIONE? PENSI CHE QUESTE CANZONI VEDRANNO LA LUCE IN FUTURO?
– La selezione è un processo assolutamente democratico, anche abbastanza semplice: ognuno di noi da un voto alla canzone, quelle col voto più alto finiscono sul disco. C’era una canzone che piaceva davvero molto a Metal Blade, lo stesso Brian Slagel – una leggenda della comunità metal – ha combattuto molto per averla nel disco. A parte quella sono state tutte votate democraticamente. Ci sono almeno sei pezzi molto buoni che sono rimasti fuori, forse qualcuno di questi finirà in qualche edizione speciale.
SO CHE SCRIVI POESIE QUASI TUTTI I GIORNI. PRENDI MAI ISPIRAZIONE DALLE TUE POESIE PER I TESTI?
– Alcune delle canzoni nascono da quelle poesie. “Crownless King”, la canzone con Chuck Billy, è una di quelle. Ho trovato una strofa abbastanza potente da poter essere espansa e alla fine è diventata un segmento portante di quella canzone. Scrivo quasi ogni giorno, sono molto costante da quel punto di vista. E’ una cosa che mi piace fare soprattutto nelle prime ore del mattino: la mia mente è predisposta per quel tipo di attività, le parole arrivano a me in maniera davvero spontanea.
SUL TUO INSTAGRAM TI DEFINISCI ‘PORTAVOCE DI SALUTE MENTALE’. COSA SIGNIFICA?
– Significa aver volontà di parlarne. Parlare delle mie esperienze ed essere propenso ad ascoltare le esperienze di altre persone, per dare parole di conforto e per far capire loro che non sono le sole ad avere problemi di salute mentale. E’ una cosa semplice, vuol dire essere presente per qualcuno, raccontargli la propria verità e lasciarli liberi di raccontare la loro. In futuro vorrei cominciare a collaborare con qualche organizzazione. C’è una canzone nel disco che si chiama “I Am Broken Too” ed è una sorta di inno. E’ una causa che voglio perorare e che voglio mettere in testa alle persone, può davvero salvare delle vite.
HAI PARLATO DELLA TUA SITUAZIONE COI TUOI COMPAGNI DI GRUPPO?
– Sono ben consapevoli della mia situazione e ne ho parlato apertamente con loro in più occasioni. Ormai capiscono da soli quando sono in una determinata situazione, anche dal mio linguaggio del corpo. Mi sono aperto molto riguardo la depressione con i ragazzi del gruppo: sono la mia famiglia, sono i miei fratelli e sanno davvero bene cosa sto passando, tento di spiegarglielo dettagliatamente. Viviamo davvero vicini su quel tour bus, è importante mantenere aperte le comunicazioni.
E’ STATO DIFFICILE PER QUALCUNO DI LORO AFFRONTARE LA SITUAZIONE, SOPRATTUTTO CONSIDERANDO CHE ANCHE HOWARD HA SOFFERTO DI ANSIA E DEPRESSIONE?
– Non penso sia stato facile, ma è una situazione che è necessario affrontare. I problemi li hanno tutti ed è giusto affrontarli, è l’unico modo per continuare ad essere una band per tutto questo tempo. Essere aperti, onesti, concedere pareri diversi, discussioni e lotte. Fa parte del vivere insieme, dell’essere un gruppo.
COME STA LA TUA VOCE DOPO L’INTERVENTO?
– La mia voce non è mai stata così bene. L’intervento è stata una benedizione. Ho molto più controllo, riesco a raggiungere note alte in maniera pulita, il mio screaming è più rotondo, la mia voce mentre parlo è più chiara. Tutta la riabilitazione terapeutica post intervento mi è stata di enorme aiuto. La mia voce sembra la stessa, ma ho imparato delle tecniche in riabilitazione che mi hanno letteralmente cambiato la vita. In passato mi sono reso conto che le emozioni prendevano il sopravvento sulla tecnica di canto. La nuova tecnica di canto che ho appreso recentemente riesce ad andare mano a mano con le emozioni. Da persona estremamente emotiva è importante per me poter convogliare le emozioni in una tecnica di canto che non abbia controindicazioni per la salute. Mi sento un performer molto migliore perché ora posso concentrarmi sul pubblico. Oggi faccio gli stessi esercizi di riscaldamento tutti i giorni, anche quando non sono in tour, inoltre studio assieme a Melissa Cross, la mia insegnante.
HAI LAVORATO NUOVAMENTE CON ADAM IN VESTE DI PRODUTTORE: PERCHE’ SEMPRE LUI?
– Adam sa quello che vogliamo. Sa il sound che vogliamo ottenere, conosce i miei limiti, conosce le persone che abbiamo attorno. E’ la persona più adatta al lavoro, anche se penso che questa volta l’abbiamo esaurito fin troppo. Ha lavorato in maniera durissima al disco, più di tutti gli altri componenti del gruppo. C’è una sinergia e una conoscenza approfondita che non so nemmeno se si possa raggiungere con qualcun altro. E’ difficile da spiegare. E’ l’uomo che sceglie il take ‘buono’, è colui che detta i tempi, è grandioso nel suo lavoro. E’ stata una scelta naturale.
CHE VI ASPETTA NEL FUTURO PROSSIMO?
– Partiamo per il tour tra un paio di giorni e poi… Non lo sappiamo ancora. Saremo più attenti alla pianificazione dei tour d’ora in poi. Ci siamo consumati un po’ troppo negli ultimi sei o sette anni. Di sicuro saremo in tour ma forse in maniera meno fitta. Vediamo come sarà ricevuto il disco, speriamo la gente ci porti in giro per il mondo ancora una volta.