Nel giardinetto del Legend Club di Milano abbiamo avuto modo di incrociare il frontman di una delle realtà italiane più prolifiche e interessanti di questi ultimi anni in ambito alt-metal e la sua cordialità e disponibilità hanno fatto in modo che una semplice chiacchierata ai tavolini diventasse un modo per introdurre un’intervista per presentare a coloro che ancora non conoscono il nome Klogr e per intrigare con qualche interessante aneddoto coloro che invece li seguono da un pezzo. “Rusty” ha appena finito di suonare, giusto il tempo di un drink e partono gli scambi di battute davanti ad una birra…
K-LOG-R: LA STORIA DEL PROGETTO.
“Il progetto nasce nel 2011 da un’idea malsana di una persona che dopo aver fatto molto rock in italiano si era stancato un po’ di un circuito bello, affettuoso ma che comunque rimane ristretto ad a x milioni di abitanti. Allo Zeta Factory, che è un po’ il nostro quartier generale in mezzo a studi e sale prova – visto che, come potrai immaginare, non campiamo di musica -, ho incontrato quello che è il chitarrista/cantante dei Celeb Car Crash e abbiamo tirato su questo tutto questo, chiamato altre persone e fondato appunto una progetto in lingua inglese che convogliasse al suo interno persone e musicisti che avevano avuto e che hanno altre esperienze e che proprio per questo possono dare molto, anche se non iniziato come una vera e propria band fissa. Quindi questo l’ha reso più snello, più veloce, un po’ un porto di mare, forse, perché qualche volta c’era qualcuno più impegnato in altri progetti quindi andava e veniva. Tutto questo però fino a qualche mese fa, quando finalmente ci siamo ben strutturati con una formazione stabile. Con il bassista Giò era avvenuta precedentemente quasi una fusione coi Timecut che sono uno dei miei gruppi preferiti, anche se di un genere un po’ di nicchia in Italia e sfortunatamente di difficile spinta, però con una creatività strabiliante, ed essendo quasi vicini di casa a Modena c’è stata una sorta di interazione artistica che ha dato a me personalmente tantissima ispirazione e maturazione. Ad agosto di quell’anno sono appunto entrati Rob e Pietro e possiamo dire appunto di essere finalmente una band con una line-up definitiva. Nel 2012 è uscito il primo album; nel 2013 l’ep con i Timecut; 2014 ‘Black Snow’ col tour coi Prong e quest’anno l’ep ‘Make Your Stand’. E’ venuta fuori così, insomma. Non ci fermiamo. Al di là dell’età che avanza (ride, ndR). Un po’ come lo sport: quando lo si ama così tanto lo si cerca di fare il più possibile e in ogni momento”.
QUESTO NOME: ‘KEY LOG AR’.
“Dunque: io avevo una band che si chiamava Sensazione. E su Google uno dei primi riferimenti che trovi digitando questa parola è proprio la legge di Weber-Fechner sulla sensazione, come relazione tra individuo e stimoli esterni. K ergo individuo, logaritmo quindi relazione, r ambiente. Siamo oggettivamente costruiti da mattoncini di cultura, religione, società, influenze e la nostra libertà è in realtà difficilmente percepibile. Quindi la ricerca di questa cosa qui ti fa capire il cospirazionismo, le minchiate e tutto quello che di falso e vigliacco ti viene proposto. Noi – ecco – cerchiamo di essere quella formula: essere un impulso che plasma e comunica qualcosa ad un individuo. Tra l’altro chissenefrega se nessuno riesce a pronunciarlo, ne ho sentite di ogni”.
PERCHÈ UNO DOVREBBE VENIRE A VEDERE I KLOGR?
“Perchè fondamentalmente tentiamo di dare al pubblico quello che vuole. Il che non vuol dire un qualcosa di mainstream, però fondarsi su qualcosa che il pubblico richiede, come è successo qualche giorno fa coi Limb Bizkit, per esempio. Sono uscito un attimo ad accordare la chitarra e il pubblico mi ha accolto come se fossi chissàchi. Devo dire che la cosa mi ha quasi imbarazzato, oltre che lusingato, da un certo punto di vista. E’ stata una cosa veramente fuori dal comune. E quindi – non so – mi è quasi difficile dirlo in prima persona – ma direi che uno dovrebbe venire ad ascoltare i Klogr se ha voglia di ascoltare un progetto autentico di una band tutta italiana”.
E’ PROPRIO QUESTO UNO DEI PLUSVALORI DI QUESTO PROGETTO, INFATTI. UN GRANDE CUORE, AUTENTICITÀ, ONESTÀ MA UNITI AD UNA GRANDE PROFESSIONALITÀ E CURA ANCHE E SOPRATTUTTO NELL’IMPIANTO PROMOZIONALE. TUTTI ASPETTI CHE PROBABILMENTE RIESCONO A SDOGANARLO DA QUELLO CHE È UN BINOMIO DI CUI SI SENTE PARLARE: GRUPPO ITALIANO – AMATORIALITÀ.
“Noi tentiamo di farlo perchè l’abbiamo visto fare dai grandi. E per grandi intendo anche i Lacuna Coil. Tre quarti dei gruppi che li criticano non sanno neanche come si fa a fare quello che han fatto loro e per questo hanno tutta la mia stima. Quindi l’umiltà di andare dietro alle quinte e cercare di capire e imparare – e non di saperlo già fare meglio – e prendere degli input, da persona umile (scusa se è come lo dicessi a me stesso) ma nel senso che ci vuole grande umiltà e coraggio a fare determinate scelte. Mi è capitato di viaggiare molto negli Stati Uniti e li ci sono veramente dei gruppi da cui bisognerebbe imparare molto e noi siamo ancora anni luce indietro: gente che molla tutto e sale su un furgone per fare musica col cuore e vaffanculo il resto. E non hanno la mamma a cui lasciare i calzini da lavare. Quindi noi, certamente, abbiamo un lavoro e non possiamo essere così fondamentalisti: ognuno di noi ha famiglia e tutto, però cerchiamo anche di fare le cose con tutto il grande cuore che queste richiedono. Con tutta l’autenticità possibile, sempre guardando dai grandi e tentando di imparare e fare nostro ciò che di grande loro trasmettono”.
C’È UN SOLO NELLA RIVISITAZIONE DEL BRANO DI “SNOW” CONTENUTA NEL NUOVO EP COME TERZO PEZZO CHE MI HA ASSOLUTAMENTE COLPITO PER LA CURA DEL SUONO. ECCO, IL PROGETTO KLOGR HA DALLA SUA UNA CERTA ATTENZIONE ESTREMA ANCHE ALLE COMPONENTI EXTRA-ARRANGIAMENTO, DICIAMO. CHE SI PARLI DI SUONO, DI ARTWORK, DI SCELTA DISCOGRAFICA DELLE USCITE A LIVELLO DI TEMPISTICA.
“Beh io devo ringraziare sicuramente la mia band per compensare quelle che sono le mie mancanze da musicista. Sai, gestendo uno studio, inevitabilmente vedi le cose da un punto di vista più cinico e manageriale e non solo di idea musicale. E quindi la testa d’ariete in questo sono io. Nascendo come manager – passami il termine – bisogna anche tenere conto di un aspetto formale e quindi mi occupo io in prima persona di questa parte del discorso. E sono fortunato ad avere appunto una band che invece compensa in grande maniera il resto. Giò è il creativo: cura produzione e post-produzione di artwork e videoclip; Pietro è un po’ quello più tecnico, strumento alla mano, un vero musicista di professione; e io sono un po’ il trait d’union di questo. È essenziale l’interazione di tutti, non voglio che ci sia una primadonna e basta. L’importante è appunto il team che sta alla base: un po’ come il vostro portale, dopotutto; altrimenti si rischia di cadere come hanno fatto molti altri. Sai, si vedono sempre i grandi: bottiglie di Jack Daniel’s sul palco appena salgono. Ma dove? Voglio dire, quelli hanno tutti gente che regge anche il loro muco quando casca. Noi non si può essere così ed è difficile, come tutti sanno, riuscire a fare il musicista in questo senso. Quindi tutti gli aspetti devono essere curati alla perfezione. Fare un bel disco e non curarne la promozione tu stesso è come avere fatto un bel quadro e tenerselo appeso in casa. Noi in primis ci occupiamo della promozione e siamo fortunatamente aiutati anche per una grande parte da persone strepitose che ci aiutano in questo. C’è chi ha la necessità di fare musica per se stesso e non condividerla con gli altri. Ma non è il mio caso. E il discorso dei suoni è il medesimo. Io passo molto a sperimentare con suoni ed effetti e queste cose qui, e se uno in una ballata dice ‘Dai, ci piazzo un assolo à la Tom Morello’ allora perché no? E’ uno dei miei chitarristi preferiti ed è naturale che si debba prendere spunto dai grandi e questa è una grande cosa, secondo me. Sempre se fatta con una grande umiltà, rispetto e grande cuore. E se mi dici così io ti ringrazio, perché vuol dire che stiamo andando nella direzione giusta”.
UMILTA’ E PROFESSIONALITA’ DUNQUE. COME SI ADEGUA A QUESTO IN SEDE LIVE?
“Quando esci sul palco devi essere una iena. Dare tutto quello che hai e sbranarli tutti. Come ti dicevo: ai Limp Bizkit sono uscito e c’è stata questa cosa dell’applauso come se avessero visto James Hetfield. E lì allora è giusto (e secondo me anche obbligatorio) dare solo e unicamente il massimo. Naturalmente devi anche suonare al meglio, ma essendo anche un cantante (con tutte le difficoltà del caso) per me non ha senso non dare il centopercento. Il primo concerto di questo tour l’ho fatto completamente afono e mi sarò scusato tre volte sul palco, eppure ho cercato di dare tutto quello che avevo. Poi ero ancora mortificato e ho offerto una birra a tutti. Però, appunto, tutte quelle grandi reunion che si vedono e non si riesce a cogliere un minimo di sforzo sul palco da parte loro… be’… gli stadi dovrebbero svuotarsi al posto che riempirsi. Un caso in particolare: Dave Grohl con la gamba rotta. Si, certo, manovra commerciale o no, però tanto di cappello. Come segnale intendo. C’è gente che ha la voce bassa e se ne va a casa”.
E I GRANDI CHE HAI CONOSCIUTO TU STESSO?
“Guarda, non sopporto quelli che continuano ad autocelebrare se stessi con cose del tipo ‘nel Novanta ho fatto questo, nel Duemila quest’altro’; diavolo, c’ero anche io a vederti, ero un tuo fan, lo saprò bene, no? Non capisco il senso di tutto ciò. Se invece guardo a Tommy Victor dei Prong, per esempio, non posso fare a meno di avere la sensazione di trovarmi di fronte ad un vero artista sia in fatto di profondità umana che di spessore artistico. Ha suonato coi Ministry, ha fatto tour mondiali, dischi della madonna, eppure mi ha dato dei consigli sinceri e utili. Certo, non si sta parlando di Bruce Springsteen e dei suoi anni di attività però mi ha spiegato come riuscire a coinvolgere il pubblico anche in situazioni difficili: la loro città, la squadra del cuore, queste cose qui insomma. Questa gente è gente vera per me e che mi può dare tanto. La genialità e l’artecredo siano fondamentalmente necessità di comunicazione e non masturbazione di se stessi. Lo credo veramente. Per quello molte star è molto meglio non conoscerle, probabilmente”.
DI QUESTI ULTIMI CON CUI HAI SUONATO: PRONG, GUANO APES E LIMP BIZKIT, CHI E’ MEGLIO? ABBIAMO UNA BIRRA DAVANTI E CI POSSIAMO PERMETTERE QUESTE CHIACCHIERE DA BAR, NON PREOCCUPARTI.
“Be’, umanamente i Prong. Siamo anche stati a casa del bassista a Los Angeles. Il batterista è rimasto tre giorni qui a Carpi a casa nostra a mangiare i tortelli, quindi direi che con loro abbiamo legato di più e abbiamo apprezzato il loro lato più umano. I Guano Apes non li ho neanche conosciuti ma devo dire che ho provato un po’ di nostalgia, avendo visto il concerto. Sandra è salita sul palco e se ne è andata via subito. I Limp Bizkit – beh – io sono di parte perché c’è Wes Borland che è Dio. Forse un po’ svogliati, ma quando hai uno che catalizza sul palco l’attenzione come lui allora di fianco puoi fare tutti i gestini che vuoi che comunque il livello è ben alto. Noi comunque abbiamo spaccato il culo tutte le volte di spalla a questi (ride, ndR). Son tre mondi diversi: un po’ come i tortelli, la pasta e la pizza. E noi italiani lo sappiamo bene. Se posso aggiungere direi che mi mancano i Lacuna Coil a cui fare da spalla, ci terrei molto. In Italia nessuno ha fatto come loro, soprattutto per professionalità”.
NON È ANCORA USCITO IL LAVORO DEFINITIVO DEI KLOGR, DICO BENE?
“Io ho la teoria del terzo album. Il terzo disco dovrebbe essere la bomba ad orologeria. Spero non mi smentirai, se no appenderò la chitarra al chiodo, ma penso veramente che tutto quello che c’è stato sia stata una sorta di ricerca per giungere qui. Ci saranno interazioni con gente di un certo livello prossimamente e questo stimolo ci da moltissimo, molto più di quella percezione del quotidiano che abbiamo in Italia ogni volta che siamo qui e suoniamo qui. L’America – per quello che abbiamo potuto notare – ha una competizione molto sana per superare se stessi e non per demolire l’altro e quindi la gente è a vedere i concerti, ascolta e torna a casa a provare quello che ha sentito e che lo ha intrigato. Qua in Italia è tutto così avvilente in questo senso e non mi fare parlare di politica e del mercato. Però tante volte ci sembra di essere nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Non so di chi è la colpa – probabilmente anche nostra – ma farci centinaia di chilometri per suonare in un posto in Italia con una decina di persone che non hanno nemmeno voglia di stare ad ascoltare non è particolarmente interessante per un musicista. Poi, appunto, capitano date come quella dei Limp Bizkit in cui siamo stati assaliti dalla gente anche a fine concerto. Quello che mi permetto di dire è che non mi interessa di prendermi cinquecento o mille euro se è un concerto in cui la gente non ha voglia di essere lì. Io il mio lavoro ce l’ho già e questa è una mia passione, mi faccio un culo così e a volte è giusto cambiare rotta. Farei una vita a suonare davanti a cinquanta persone, se quelle avessero voglia di divertirsi veramente”.
QUALE E’ IL PEZZO MIGLIORE DEI KLOGR PER RUSTY?
“Fresco di EP ti direi ‘Make Your Stand’ in quanto rappresenta le maggiori sfaccettature del gruppo, anche per quell’appeal un po’ Alter Bridge. ‘Guinea Pigs’ e ‘Bleeding’ sono però momenti importanti per me e la mia vita e sono essenziali in ogni setlist per noi. Direi questi tre”.
LASCIAMO UN MESSAGGIO SOCIALE SUL FINALE, COME QUELLO CHE COMUNQUE VIENE TRASMESSO DALLE VARIE “ZERO TOLERANCE”, “GUINEA PIGS”, ETC.
“Sì, grazie. Sea Shepard: questa associazione importante, a cui sono associati anche i nomi di artisti come i Motley Crue, Nickelback, Pamela Anderson, Christian Bale e moltissimi altri, di cui noi non vogliamo prendere la facciata, assolutamente, ma a cui crediamo veramente. Questi non sono prettamente marketing come WWF: questi hanno le navi e vanno a rompere i coglioni a quelli che uccidono le balene e quant’altro. Se devo seguire qualcuno allora seguo questi; seguo l’azione vera. Loro ci hanno concesso alcune immagini del loro repertorio e le abbiamo usate per i videoclip e di questo siamo molto fieri. Questo ci ha tagliato le gambe per esempio nel mercato giapponese e tu sai quanto è importante il mercato giapponese per il rock. Ma bisogna prendere posizione nella vita e nelle proprie passioni e su questo credo possiamo essere tutti d’accordo”.