Dopo quasi trent’anni di carriera, i Korn rimangono sempre, in qualche modo, in circostanze inquiete. Il loro punto di forza però si conferma la capacità di cambiamento e di adattamento, come possiamo ascoltare in “Requiem”, un disco che suona come esaltazione di gioia e speranza in uscita da un periodo tortuoso (che può essere la celebrazione del lutto di Jonathan Davis o il periodo più buio della pandemia), rappresentando una band rinata, rivitalizzata e rinnovata, sempre capace di abbracciare il cambiamento. L’elefante nella stanza esiste sempre e comunque: il bassista storico Fieldy è al momento fuori dai giochi, ma la determinazione nel guardare avanti, senza mai fermarsi, è una delle caratteristiche più forti del gruppo, incarnata più di tutti nella persona del frontman. Abbiamo avuto il privilegio di parlare direttamente con Jonathan Davis, trovandolo rilassato, sorridente e confidente verso il disco in uscita, assolutamente grato di poter tornare sulle assi del palco e di ricominciare, nonostante tutto. La sua serenità e la sua energia positiva sono palpabili, mentre gesticola sulla sedia della sua abitazione a Los Angeles in un’intervista in notturna, illuminato da luce rossa e accompagnato, fuori inquadratura, dalla nuova compagna.
QUANTO TEMPO VI E’ SERVITO PER FINIRE IL DISCO LAVORANDO PER UNA VOLTA SENZA UNA SCADENZA PRECISA E SENZA UN’ETICHETTA?
– Registrare “Requiem” è stato bello, non c’era pressione, non c’era fretta. Non sapevamo per quanto la situazione (pandemica e di autoisolamento, ndR) si sarebbe protratta, non sapevamo quando saremmo tornati in tour, non avevamo nessuno a metterci pressione dall’esterno. Abbiamo deciso di scrivere un disco e di andare in studio per scappare da tutte le cazzo di notizie, voci, opinioni che ci stavano inondando da tutte le parti. Moriremo tutti per il virus? Ci sarà una guerra civile? Abbiamo scelto di chiuderci in studio e fare quello che facevamo sin da ragazzi, divertirci e cancellare tutte quelle stronzate. Ed è proprio quello che abbiamo fatto.
DI COSA HAI BISOGNO MAGGIORMENTE PER SCRIVERE UN NUOVO DISCO: TEMPO, ISPIRAZIONE O L’URGENZA DI ESPRIMERE TE STESSO?
– Per scrivere un grande disco abbiamo bisogno di tempo. Di sicuro tempo, ma anche poca pressione addosso. L’ispirazione arriva sempre con la chimica che esiste tra noi. La cosa più importante è il tempo, secondariamente le risorse per poter creare musica… tutto costa tutto un sacco di soldi, cazzo!
AVETE AVUTO QUALCHE DIFFICOLTA’ VISTO CHE ERAVATE SENZA CONTRATTO?
– No, abbiamo il nostro studio qui a Bakersfield, almeno quello non rientra più nella lista delle spese, è davvero una figata. Dobbiamo pagare gli ingegneri e i produttori, ovviamente. Abbiamo investito i soldi extra provenienti dal tour in questo studio di nostra proprietà, quindi una volta registrato non abbiamo dovuto far altro che inviare il disco, già pronto, alle etichette per poi concordare il contratto migliore. Ed eccoci qua infine.
HAI LAVORATO ALLE TUE PARTI PER ULTIMO, COME AL SOLITO?
– Sì, facciamo sempre così. Devo avere tutta la musica pronta. Devo avere tutte le parti stese, tutto registrato per piazzare la mia voce dove deve andarci. Quando provo a inserirmi a metà del processo tendo a ripetermi, a proporre qualcosa di troppo simile a quello che ho già fatto in passato. Iniziando a lavorare con la musica già terminata riesco a staccarmi, a trovare ispirazione, a proporre qualcosa di diverso.
COME SONO FINITE SU DISCO QUELL’INCERTEZZA, QUELLA PREOCCUPAZIONE E QUELL’ANSIA CHE ABBIAMO PASSATO TUTTI DURANTE I LOCKDOWN? SEMPRE CHE CI SIANO FINITE, OVVIAMENTE.
– Non so se ci sono finite. Forse dal subconscio, dal retro dei miei pensieri. Io sono sempre stato molto preoccupato di ammalarmi. Ci siamo trovati nel bel mezzo della pandemia, registravamo per dieci giorni poi tornavamo a casa per due settimane. Le prime sessioni tenevamo al massimo la distanza, indossavamo la mascherina per tutto il tempo, fin quando c’è stata la possibilità di essere testati e stare un po’ più tranquilli tra di noi. In quei frangenti però non c’erano giornali, non c’erano notiziari, la tv rimaneva spenta. Eravamo solo noi a scrivere, a divertirci. E’ stata la mia isola felice. Amo stare in studio, amo creare, amo dedicarmi al 100% in tutto il processo. Andare in studio significava dimenticarci di tutto quello che ci accadeva intorno.
COM’E’ STATA LA TUA ESPERIENZA CON LA MALATTIA?
– Oh, è stata uno schifo. Orribile, cazzo. Penso anche di non essermela presa tanto forte: non riuscivo a mangiare e non avevo nessuna energia in corpo. Mi è presa anche un’ansia terribile, nella mia mente pensavo in continuazione di andare incontro alla morte. Sentivo che sarebbe successo qualcosa di brutto, una sensazione schiacciante di catastrofe imminente. Anche la mia ragazza si è ammalata nello stesso periodo, ci siamo passati insieme. E’ durata una decina di giorni, dopodiché ci siamo sentiti meglio. Una volta usciti dall’hotel con un test negativo però la situazione si è dimostrata di nuovo brutta, mi ci è voluto parecchio tempo per riprendermi del tutto, penso ci siano voluti ben tre mesi. E pensa che non l’ho avuta pesante come altre persone: non sono stato ricoverato, non sono andato nemmeno all’ospedale. Non è stato uno scherzo.
DI QUESTI TEMPI E’ POSSIBILE ANDARE IN TOUR IN MANIERA SICURA SECONDO TE?
– Sì, è possibile andare in tour. Bisogna essere molto attenti, devono esserci delle bolle. Anche la crew dev’essere divisa in gruppi. Bisogna dire molti no, è necessario mantenere le bolle separate. Niente giri nel backstage, niente inviti. Non vedo nessuno, me ne torno sul bus e ci resto. Ho tenuto la mia bolla personale davvero strettissima: ci siamo io, la mia ragazza, la mia guardia del corpo Sleepy e il mio trainer… il mio ‘body tech’ lo chiamo. Il corpo è il mio strumento (ride, ndR). Si occupa di me, mi fa fare esercizio e tutte quelle stronzate. Prima dello show mi ci vogliono due ore e mezza di preparazione, più un’ora dopo il concerto. Riscaldamento, defaticamento, stretching e un sacco di altre robe. Ho visto che ce l’aveva Ozzy anni fa, mi ha consigliato caldamente di fare lo stesso e da quando ho superato i quaranta capisco davvero il perché. Ho iniziato a farlo sul serio intorno ai quarantatre-quarantaquattro anni. Non sono più i ’90… Faccio esercizio quando mi alzo, e poi tutta la routine prima e dopo il concerto.
DAL RICONGIUNGIMENTO CON HEAD ABBIAMO VISTO IL RITORNO A CANZONI CON I RIFF PROTAGONISTI. “REQUIEM” MI SEMBRA ABBASTANZA DIVERSO, MI PARE CI SIA LA CANZONE AL CENTRO. AVETE CAMBIATO IL MODO DI SCRIVERE IN QUALCHE MODO, AVETE DISCUSSO LA DIREZIONE CHE VOLEVATE SEGUIRE DURANTE LA SCRITTURA?
– Sono d’accordo con quello che hai detto, ma, no, non c’è stato niente di predeterminato. E’ solo la magia di noi insieme nella stessa stanza. Penso che il disco mostri la nostra maturità come musicisti. Canzoni riff-oriented nel nostro repertorio? Quelle sono vecchie di vent’anni, eravamo dei ragazzini. Disco dopo disco, col passare degli anni, siamo cresciuti come musicisti e siamo riusciti a guadagnare la maestria per lavorare in modo diverso, non solo incollando riff uno dopo l’altro. Oggi riusciamo a portare l’ascoltatore in un viaggio. Penso che il disco lo dimostri.
SO CHE MUNKY HA CAMBIATO LEGGERMENTE ACCORDATURA PER QUESTO NUOVO DISCO: TI SEI DOVUTO ADATTARE?
– E’ successo in passato, non è la prima volta. Adattarmi? In realtà non vedevo l’ora! Adoro cambiare, il problema per me è l’esatto opposto, ovvero avere canzoni tutti con la stessa accordatura! Ho pensato che finalmente potevo fare qualcosa di nuovo.
COME MAI HAI SCELTO L’ANALOGICO PER I TUOI STUDI DI REGISTRAZIONE E PER IL NUOVO DISCO DEI KORN?
– L’analogico suona semplicemente meglio. Io mi vedo come un artista che dipinge con i colori in acrilico, i colori ad olio e la tela. Esistono le illustrazioni in digitale, ma non è la stessa cosa. Allo stesso modo, vedo il registrare in analogico come superiore. Le corde della chitarra risuonano nei pickup, c’è dell’energia quindi che attraversa il cavo e attraverso il magnetismo viene intrappolata su nastro. E’ tutta energia, giusto? In digitale tutto è convertito in uno e zero, non rimane alcuna energia, solo un mucchio di numeri del cazzo. Non mi piace. Lo usiamo in alcune occasioni, è un mezzo incredibile, ma vogliamo catturare i nostri strumenti con l’analogico prima di convertirli in digitale. Vogliamo che vengano catturate nel modo corretto, con la loro anima, se così si può dire. Non ci piace nemmeno editare all’infinito per far sembrare tutto perfetto. Torna indietro ad ascoltare le produzioni rock degli anni ’70 e ’80: cazzo, è magia pura! Non so se lì da voi avete Octane o qualsiasi altra radio rock: tutta la roba nuova suona così schifosamente meccanica e perfetta… Noi cerchiamo di suonare in maniera diversa.
SEI SODDISFATTO DEL PERCORSO DEI KORN? VORRESTI CAMBIARE QUALCOSA DEL PASSATO?
– Non cambierei mai nulla del passato del gruppo. Tutte le nostre azioni ci hanno portato a quello che siamo. Cambiare etichetta, cambiare produttori, cambiare management: ogni fatto che è avvenuto negli anni ci ha messo su un sentiero diverso. Stiamo ancora producendo dischi, stiamo ancora suonando nei palazzetti. Continuiamo a fare quello che facciamo e ringrazio l’universo ogni giorno per questo. Non cambierei nulla perché ogni avvenimento ci ha portato sempre al livello successivo. Ogni volta che succede qualcosa ci riuniamo, lo superiamo e torniamo meglio di prima. Ogni volta.
TE LO CHIEDEVO PERCHE’ GUARDATE SEMPRE AVANTI E CERCATE SEMPRE DI EVOLVERE IL SUONO DEI KORN. QUESTO DESIDERIO DI CAMBIAMENTO ARRIVA DA BISOGNO IRRISOLTO O DA INSODDISFAZIONE PER QUANTO INTRAPRESO FINO A QUEL PUNTO?
– Penso che sia quello che davvero mi piace della musica, diventerei pazzo a fare la stessa identica cosa ogni disco, se dovessi suonare la stessa identica scaletta ogni cazzo di sera (ride, ndR). L’energia è sempre diversa. Lo stesso accade con la musica, se non ci fosse niente di nuovo, eccitante, differente come farei ad andare avanti? E’ questo quello che lo rende godibile, cercare di risolvere il puzzle. Come possiamo rendere il prossimo disco diverso, come facciamo a portarci a casa questo obiettivo? Ci rompiamo il culo ogni volta su questo tema. Ogni volta. Oddio non proprio, qualche volta a ben vedere non ha funzionato, non si può sempre vincere, ma la maggior parte delle volte è andata così.
A QUESTO PUNTO TI DEVO PER FORZA CHIEDERE DI “III, REMEMBER WHO YOU ARE”, UN PASSO DAVVERO INSOLITO NEL VOSTRO PERCORSO…
– Con “III” abbiamo tentato di ricreare l’atmosfera degli esordi assieme a Ross Robinson e abbiamo fallito miseramente. Se lo ascolto oggi però mi piace, penso sia un buon disco. E’ solo troppo forzato. Ross ci ha spinto a fare certe cose in un certo modo. Ne abbiamo parlato insieme, ma lui aveva poco tempo a disposizione e noi ne avevamo ancora meno, avevamo bisogno di un disco in fretta prima di partire per il tour. Non avremmo dovuto farlo. Ce ne siamo resi conto e vaffanculo, siamo tornati con “Path Of Totality”, che è una bestia totalmente diversa.
SIETE INSIEME DA QUASI TRENT’ANNI, PUOI IMMAGINARE DI PASSARNE ALTRETTANTI SUL PALCO?
– Oh cazzo… Sarebbe incredibile, ma mi rimarrebbe un solo dreadlock in testa! Non so se sarà possibile, ma canterò ancora col mio cuore, probabilmente dovrò appoggiarmi a un treppiedi, ma chissenefrega, voglio suonare fino a quando sarà fisicamente possibile e fin quando il pubblico continuerà a divertirsi così tanto.