L’otto novembre del 1980 la Bronze Records dava alle stampe il quarto album dei Motörhead, tale “Ace Of Spades”. Dopo l’omonimo debutto rilasciato nel ’77, il trio britannico composto da Lemmy, Fast Eddie Clarke e Philty Animal Taylor, era reduce da due bombe al tritolo, targate “Overkill” e “Bomber”, che avevano permesso loro di spazzare in un angolo quella poco lungimirante etichetta di ‘peggior band del mondo’ coniata cinque anni prima dal magazine Sounds. Ma fu con il disco dedicato all’asso di picche che le teste di motore più speed del pianeta trovarono – scusate il gioco di parole – l’asso nella manica. L’album giusto al momento giusto: roboante, completo, costellato da una copertina western divenuta nel tempo leggendaria. Dodici tracce, capitanate dalla solenne titletrack, che andavano a confermare come i Motörhead fossero ben altra cosa rispetto a quella diceria, purtroppo ancora presente, secondo cui le loro canzoni ‘erano tutte uguali’. Da “Love Me Like A Reptile” a “Shoot You In The Back”, da “We Are The Road Crew” a “The Chase Is Better Than The Catch”, sino alla mitragliata finale firmata “The Hammer”: ognuna speciale, ognuna sigillata in una propria ritmica e contornata da un riff ben particolare. Caratterizzate sì da un minimo comune denominatore: l’energia selvaggia e trascinante sprigionata da Lemmy e compagni. Protagonisti assoluti di un full-length indelebile, coordinati alla perfezione dal loro produttore dell’epoca: il mite Vic Maile il quale, grazie al suo modus operandi, riuscì ad estrapolare il meglio da ognuno dei tre musicisti. “Ace Of Spades” lanciò in orbita una band che trovò la gloria definitiva l’anno successivo con la pubblicazione del live “No Sleep ‘til Hammersmith”, marcando a fuoco quella che verrà ricordata come la golden age di quella line-up. A seguire da vicino la nascita di “Ace Of Spades” vi era, tra gli altri, il giornalista inglese Kris Needs il quale, alla guida della rivista Zig Zag si affiancò al gruppo, vivendo sulla propria pelle l’adrenalina di quei giorni all’interno dei famosi Jackson’s Studios, seguendolo poi da vicino nei cinque anni a venire. Un’esperienza che lo stesso Needs ha riportato all’interno del libro “The Story Of Ace Of Spades” contenuto nel cofanetto, uscito lo scorso 30 ottobre, di cui vi abbiamo mostrato l’unboxing a celebrazione del quarantesimo anno compiuto dallo storico album. Noi di Metalitalia abbiamo raggiunto il giornalista britannico per carpire dalle sue labbra qualche curiosità in più: saliamo sulla macchina del tempo e torniamo nel 1980. Buona lettura!
SE CHIUDI GLI OCCHI E PENSI A QUEL PERIODO, ALL’INTERNO DEI JACKSON’S STUDIOS, QUAL E’ LA PRIMA IMMAGINE CHE TI SI PRESENTA?
– La prima cosa che ricordo sono proprio i Jackson’s: erano ben diversi dagli studi high-tech e scintillanti di Londra. Sembrava davvero un fienile convertito a studio ma benedetto da un’atmosfera rilassata e funky: il luogo perfetto per i Motörhead per realizzare il loro miglior album, poiché la forza silenziosa e l’esperienza di Vic Maile ha tirato fuori il meglio della band. Ciò si è rivelato vitale, poiché la fiducia del trio era abbastanza bassa quando sono entrati in quel luogo. Da quella prima volta che entrai nello studio senza pretese, era ovvio che qualcosa di speciale stava prendendo forma. C’era ben poco in termini di area di ricevimento: di solito Vic al mixer, che mixava o controllava chiunque si trovasse nella cabina di registrazione. Con abiti casual modesti e capelli corti, Vic era un ragazzo adorabile, tranquillo ma dotato di un umorismo aspro e secco che poteva mettere chiunque al loro posto, inclusi i Motörhead come detto. E fu lì che, per la prima volta ascoltai “Ace Of Spades”: nacque come una semplice base e pian piano prese forma; solo alla fine Lemmy ci mise il testo che tutti conosciamo. Il secondo ricordo riguarda invece ciò che avveniva prima di entrare in studio: passavo dal pub The Cross che si trovava nelle vicinanze e, immancabilmente, vi trovavo Lemmy attaccato alla sua fedele slot machine. Gli compravo una grossa vodka e del succo d’arancia, e gli stavo accanto mentre spalava le monete e colpiva continuamente la macchina succhiasoldi. Quando, dopo circa un’ora, non ne aveva più ci si incamminava lungo la strada, più rilassati, verso lo studio.
A PROPOSITO, COME HAI CONOSCIUTO LEMMY?
– In quel periodo ero alla guida del magazine “ZigZag”, il primo mensile di musica rock in Gran Bretagna. Era il 1977 ed il punk stava prendendo sempre più piede, per cui iniziammo a seguire da vicino la scena. E fu proprio in quell’anno che i Motörhead pubblicarono il loro primo ed omonimo album. Scrissi una buona recensione e, nonostante qualche anno la band prima venne definita dalla stampa come ‘la peggiore del mondo’; per me, e per altri ragazzi, era esattamente il contrario. Per cui decisi di seguirla più da vicino anche perché era l’unica band di rocker coi capelli lunghi che in qualche modo piaceva anche ai punk. Andai a vederli nei vari club: furono incredibili, finché una sera incontrai Lemmy e diventammo amici. Scoprii che era molto più eccentrico dei punk. Anche se aveva i capelli lunghi, era un vero fuorilegge. Mi è subito piaciuto come persona: la sua attitudine, il suo senso dell’umorismo, la sua onestà. “Amo ciò che faccio – mi ripeteva sempre – tutto quello che voglio fare è suonare la mia musica”. Amava il rock’n’roll degli anni ’50, amava Little Richard, Jonny Burnette e The Rock’n’Roll Trio. Fino a diventare lui stesso un’icona del rock’n’roll: un’icona comunque speciale e diversa dalle altre.
LEMMY ERA UN GRANDE APPASSIONATO DI STORIA, SOPRATTUTTO DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE, COLLEZIONANDO UN NUMERO ENORME DI CIMELI MILITARI NAZISTI. UN PARTICOLARE PER IL QUALE, PIU’ DI UNA VOLTA, E’ STATO TACCIATO DI SIMPATIA NEI CONFRONTI DEL TERZO REICH. COSA CI PUOI DIRE A RIGUARDO?
– Più di una volta mi è stata posta questa domanda. Lemmy era interessato alla guerra ma non credeva affatto negli ideali di un uomo che ha causato così tanti danni. Era interessato ai temi della guerra, alle armi, agli aerei; tutto ciò lo affascinava. Certo, non era facile, perché molta gente non capiva questa sua passione, presentandola come un qualcosa di altrettanto minaccioso. Ma tutto questo non rappresentava la realtà: Lemmy odiava ogni tipo di pregiudizio.
PASSIAMO AI DUE COMPAGNI DI VIAGGIO DI LEMMY: EDDIE CLARKE E PHIL TAYLOR. COSA CI PUOI RACCONTARE IN MERITO?
– Erano due persone molto diverse tra loro. Phil era pazzo, non per niente il suo soprannome completo era ‘Philty Animal’ Taylor! Da bambino si cacciava sempre nei guai finché un giorno imparò a suonare la batteria: in questo modo poteva prendere a calci lei, anziché la gente (ride, ndr)… Ed è diventato davvero bravo. Era pazzo, ripeto. Riusciva sempre a rompersi qualcosa: appena prima di un tour, durante una rissa, si ruppe un braccio; a metà dell’Ace Up Your Sleeve Tour il collo. Anche con lui però sapevi che il divertimento era assicurato. Eddie invece era di tutt’altra pasta: più concentrato e dedito alla musica. Ha provato in continuazione gli assoli di “Ace Of Spades”, proseguendo il lavoro anche a casa, realizzando un ottimo lavoro. Era un grande chitarrista. Andava a completare una formazione magica: così diversi tra loro, la cui combinazione era favolosa ed “Ace Of Spades” fu il risultato emblematico di questa unione. Peccato che poi arrivò “Iron Fist”: seguii anche quelle sessioni di registrazione, la band tornò ai Jackson’s Studios ma avvenne qualcosa che ruppe la magia. Eddie volle partecipare alla produzione dell’album e le cose non andarono bene o meglio, non arrivarono i risultati ottenuti dopo il lavoro di Vic Maile. Fu un primo segnale: dopo qualche tempo, Eddie lasciò la band.
VIC MAILE: LO HAI DEFINITO COME LA CALMA IMPERSONIFICATA. COME PENSI SIA RIUSCITO A LAVORARE, COLLABORARE E MIGLIORARE TRE PERSONAGGI COME LEMMY, EDDIE E PHIL?
– Era molto tranquillo come detto. Lui se ne stava sulla sua sedia, con un maglione, oppure una t-shirt; una persona normalissima, ma con un grande senso dell’umorismo, un umorismo freddo. Ma era perfetto per Lemmy e compagni. Lo chiamavano ‘la tartaruga’ perché dicevano che gli assomigliava, ma lo rispettavano moltissimo anche perché il suo obiettivo era appunto quello di catturare il suono Motörhead e loro lo sapevano benissimo, se ne erano resi conto da ciò che ognuno stava producendo. Vic Maile era l’ingrediente magico di “Ace Of Spades”, senza dubbio; è stata la mente che pur non avendo domato i Motörhead, è stato in grado di imprigionare la loro energia in un momento davvero cruciale della carriera. Sì certo, chissà cosa avrebbe potuto fare con “Overkill” e “Bomber” ma credo che ogni cosa debba avere il giusto tempismo. E così è stato. Un grande personaggio che se ne è andato troppo presto, troppo giovane.
PARLIAMO DELL’ALBUM. RICORDI QUAL E’ STATA LA PRIMA CANZONE AD ESSER REGISTRATA?
– Uh aspetta, mi devo ricordare. Sicuramente non fu “Ace Of Spades”. Credo che tra le prime ci furono “Fast And Loose” e “Live To Win”; così pure “Jailbait” e “Dance”. Ricordo invece che quando Lemmy scrisse “The Chase Is Better Than The Catch” continuava a ridacchiare: gli faceva ridere quel testo che scrisse volutamente con parole divertenti in modo da poterlo modificare in sede live; tanto la gente non se ne sarebbe accorta. Quante volte ha cambiato il refrain di “Ace Of Spades”? In pochi lo hanno notato.
NEL TUO LIBRO SOSTIENI CHE LA TUA PREFERITA E’ “THE HAMMER”. C’E’ UN MOTIVO PARTICOLARE?
– Assolutamente no. La adoro, punto e basta. “The Hammer” è la più veloce e in sede live acquistava ancor più energia; era incredibile. La prima volta che l’ho ascoltata durante le registrazioni mi ha preso immediatamente. Un titolo perfetto per una canzone che dal vivo veniva dedicata ovviamente a Phil, il vero martello della batteria.
TRA I PEZZI PIU’ FAMOSI DI “ACE OF SPADES” C’E’ SICURAMENTE “WE’RE THE ROAD CREW”: UNA CANZONE DIRETTA, VELOCE MA ANCHE MOLTO EMOZIONANTE.
– Lemmy teneva molto a questa canzone; voleva essere sicuro che la gente capisse quel messaggio. Non è così scontato che una band si comporti bene con la propria crew. Lemmy invece sapeva benissimo che non sarebbero riusciti a salire su nessun palco se quei ragazzi non avessero macinato chilometri e chilometri per i vari paesi, trasportando gli amplificatori, costruendo il famoso bomber. Questi ragazzi erano responsabili della buona riuscita di uno show dei Motörhead. Lemmy era consapevole di questo ed ha pensato bene di rendere loro omaggio tanto che, in sede live, chiamava spesso uno dei roadies per annunciare il brano. Un pezzo che sottolineava ancor di più la personalità dello stesso Lemmy: non era una questione di importanza, tutti erano importanti quanto lui e “We’re The Road Crew” ne era un esempio lampante.
TRA GLI ASSI NELLA MANICA DI “ACE OF SPADES” C’E’ SICURAMENTE LA COPERTINA: UNA COVER IN VERSIONE WESTERN A SOTTOLINEARE LA PASSIONE DEI TRE PER QUEL GENERE CINEMATOGRAFICO. DA DOVE NACQUE L’IDEA?
– Ricordo che si sedettero ad un tavolo per decidere il da farsi. E mentre parlavano iniziò a farsi largo l’idea della figura del fuorilegge: del resto, la stessa “Ace Of Spades” è ispirata alla leggenda di Wild Bill Hickok, il pistolero americano che venne ucciso mentre giocava a poker, tenendo tra le mani proprio un asso di picche. Per di più in quel periodo avevano visto diversi film con Clint Eastwood, come “Per un pugno di dollari” o “Per qualche dollaro in più” in cui, tra le altre cose, vi era pure la fantastica colonna sonora di Ennio Morricone. Fu quindi Phil che lanciò l’idea di vestirsi da cowboy. Lemmy non era molto convinto: “Oh no, da cowboy no” disse, ma alla fine la proposta passò. Inizialmente avrebbero dovuto sedersi in un saloon inscenando una partita a carte poi, come tutti sappiamo, venne scelta la foto very cool nel… ‘deserto’. Non c’era budget per andare in Arizona o in un posto simile e così decisero di scattare la famosa fotografia nei pressi di una cava in quel di Barnet.
POCO FA HAI DEFINITO “ACE OF SPADES” L’ALBUM MIGLIORE DI LEMMY E COMPAGNI. PER QUALE MOTIVO SECONDO TE? CHE COSA AVEVA IN PIU’ PER ESEMPIO RISPETTO AI SUOI DUE FRATELLI MAGGIORI, “BOMBER” ED IL MONUMENTALE “OVERKILL”?
– Adoro quegli album tuttavia, credo che “Ace Of Spades” abbia avuto una produzione migliore rispetto ai due lavori precedenti. Jimmy Miller (produttore sia di “Overkill” che di “Bomber, ndr) era sicuramente molto bravo; voglio dire, il fatto che abbia collaborato con i Rolling Stones lo dimostra, no? Lavorare con gli Stones era però ben diverso: hanno sempre avuto parecchie chitarre, per cui le sovraincisioni venivano spesso utilizzate. Un’operazione che con i Motörhead non poteva funzionare: quando li vidi in azione nel 1977 erano un’autentica forza della natura, un’enorme e rombante motocicletta, per cui quel tipo di suono non era adatto a tre personaggi come Lemmy, Eddie e Phil. Jimmy Miller lavorò con il gruppo in un periodo in cui non stava per niente bene, i problemi con la droga erano ormai evidenti: una situazione che si replicò anche in sede di registrazione. Se “Overkill” è, diciamo, passabile, il suono di “Bomber” ha parecchie sovraincisioni sulla chitarra di Eddie; non tutto è andato per il verso giusto: erano i Motörhead ma mancava ancora quella potenza dimostrata dalla band in sede live. Anche Lemmy non fu soddisfatto della produzione di “Bomber”, tant’è che mi disse “il prossimo album dovrà essere più killer!”. Avvenne quindi che l’A&R manager della Bronze Records (allora etichetta del gruppo) reclutò Vic Maile, il quale aveva già prodotto il primo album dei Dr. Feelgood: avevano sicuramente un suono differente ma la vera capacità di Vic, come detto, era quella di catturare una band, facendola rendere al meglio: i Motörhead volevano avere più potenza e lui fece esattamente questo. Lemmy, Eddie e Phil si dovevano concentrare solamente per suonare, senza pensare a sovraincisioni o quant’altro. E’ stato uno di quei periodi magici, capisci, in cui una band realizza quell’unico album dove tutto funziona, tutto fila liscio, diventando così un loro classico, storico ed ineguagliabile. E questa sensazione si poteva avvertire già in sede di registrazione.
LO SCORSO OTTO NOVEMBRE “ACE OF SPADES” HA COMPIUTO QUARANT’ANNI: UN ALBUM CHE, UNA VOLTA PUBBLICATO, ARRIVO’ SUBITO AL QUARTO POSTO DELLE CHARTS. COME HA REAGITO LA BAND? SI ASPETTAVA UN RISULTATO SIMILE?
– Credo di sì. Per quanto mi riguarda ne ero assolutamente convinto; non sono rimasto sorpreso. Quando venne pubblicato “Bomber” arrivò al numero undici delle classifiche, se non ricordo male. Andai a vederli in occasione dell’Heavy Metal Barn Dance, un grande evento nel nord dell’Inghilterra avvenuto in questo posto enorme che poteva contenere fino a diecimila persone. Ricordo di aver pensato che se tutte quelle persone indossavano una t-shirt dei Motörhead dopo l’uscita di “Bomber” chissà cosa sarebbe avvenuto con la release di “Ace Of Spades”? E così avvenne, non solo: l’audience aumentò a dismisura tanto che il famoso live “No Sleep ‘til Hammersmith” arrivò addirittura al primo posto. Sapevano cosa stavano facendo e già il singolo “Ace Of Spades” spianò la strada all’immediato successo.
TRA LE BAND PIU’ IMPORTANTI CHE CONDIVISERO IL PALCO CON I MOTÖRHEAD IN QUEL PERIODO VI FURONO SICURAMENTE LE GIRLSCHOOL. FAMOSA AD ESEMPIO LA LORO COLLABORAZIONE NEL BRANO “PLEASE DON’T TOUCH” TERMINATO POI NEL’EP “ST.VALENTINE’S DAY MASSACRE” DEL 1981. IL RAPPORTO TRA LE DUE BAND ERA SOLAMENTE DI AMICIZIA OPPURE C’ERA QUALCOSA IN PIU’? PER ESEMPIO, TRA LEMMY E KELLY JOHNSON?
– No, non credo proprio. Però fu davvero divertente vedere Lemmy in quello stato, e cioè innamorato. Aveva parecchie amiche; vi erano alcune ragazze che si incontravano in tour, ma l’unica di cui ho mai saputo che era follemente innamorato era proprio Kelly. Beh, inutile nasconderlo: chiunque incontrasse Kelly rimaneva sorpreso, era meravigliosa, una persona adorabile, il tipo di ragazza di cui ti innamori e Lemmy era totalmente innamorato di lei. Il fatto poi di aver lavorato insieme per l’EP gli permise di vederla maggiormente rispetto a quando si incontravano nei vari tour. C’era una forte amicizia questo sì, ma non penso siano andati oltre. Formavano sicuramente una bella coppia, Kelly era comunque molto più giovane di Lemmy e in quel momento il suo obiettivo era quello di suonare, non aveva spazio per fidanzati o cose del genere.
PER QUANTI ANNI HAI SEGUITO LA BAND?
– Dopo l’uscita di “Ace Of Spades” e i successivi tour, ho continuato a seguirli con “Iron Fist”, li ho visti provare con Brian Robertson fino a quando Lemmy non dovette rifondare completamente la band reclutando Wurzel, Phil Campbell e Pete Gill; così fino al 1985. Andai negli Stati Uniti per cinque anni e incontrai nuovamente Lemmy a Londra nel 1990. Da quando poi si trasferì definitivamente a Los Angeles non ci furono più occasioni di vederci fino ad una decina di anni fa, in occasione dei Mojo Magazine Awards. Ed era sempre lui: non sapevo che non stesse già bene e comunque non lo dava a vedere; ci abbracciammo forte come dei buoni vecchi amici. Alla fine ho avuto l’occasione e la fortuna di seguire la band per cinque anni.
QUAL’E’ L’EPISODIO CHE RICORDI PIU’ VOLENTIERI DEL PERIODO TRASCORSO INSIEME AI MOTÖRHEAD?
– Non posso dimenticare il giorno che mi invitarono a seguirli in Finlandia, in occasione del Midnight Sun Festival nel 1979. Tra le altre cose c’era questo caravan in mezzo ad una foresta che veniva usato come camerino. Il concerto fu un caos totale, tutti erano su di giri, tanto che alla fine pure il caravan si spezzò praticamente a metà. Fu allora che decidemmo di inscenare una sepoltura vichinga, dando fuoco quindi ad una delle due metà prima di gettarla nel lago posto vicino alla foresta. Questo è un ricordo abbastanza folle, diciamo. Vi è inoltre l’immagine di me stesso all’interno dei Jackson’s mentre ascolto per la prima volta “Ace Of Spades”; un ricordo inestimabile. Non avrei mai pensato di poter vivere certi momenti nella mia vita. Cosa voler di più?