Gli anni passano ma i Labyrinth restano una costante ad alti livelli, e non solo all’interno della scena italiana o limitandosi ai confini imposti dal genere power metal – genere che, nelle parole degli stessi musicisti, va loro anche un po’ stretto: la loro proposta musicale, altamente elegante e raffinata, capace di unire sfumature prog, qualche sfuriata thrash, e molti altri elementi, è tornata in pompa magna con uno dei dischi più ispirati della propria carriera, capace di esaltare gli appassionati della buona musica in questo inizio di 2025.
“In The Vanishing Echoes Of Goodbye” è un lavoro potente e melodico, che ha visto la storica band italiana lasciarsi andare alle più intime influenze personali, creando brani ricchi di sfumature e trovando comunque un ottimo equilibrio.
Era d’obbligo quindi intercettare i tre storici membri del gruppo, Roberto Tiranti (voce) Olaf Thorsen e Andrea Cantarelli (chitarristi) per rispondere a tutte le nostre curiosità dietro ad una band simbolo della scena tricolore e autrice di un lavoro che promette di finire in moltissime classifiche tra le migliori uscire dell’anno!
CIAO RAGAZZI! “IN THE VANISHING ECHOES OF GOODBYE” È STATO PUBBLICATO ORMAI DA QUALCHE SETTIMANA E, A GUARDARSI IN GIRO, TRA CRITICA E FAN, SEMBRA CHE NON SOLO SIA PIACIUTO, MA CHE TUTTI SIANO ENTUSIASTI. A VOSTRO AVVISO, COSA POSSIEDE QUESTO DISCO DI COSÌ SPECIALE DA RENDERLO SUPERIORE ALLE VOSTRE ULTIME RELEASE?
Andrea: – E’ sempre difficile capire a priori se un album risulterà più o meno riuscito di altri. Credo che chi ha ascoltato l’album si sia accorto di quanta spontaneità, voglia di divertirsi, ci sia in questo ultimo lavoro. Come sempre, non abbiamo seguito nessun cliché ma semplicemente ci siamo lasciati andare durante le sessioni in sala prove.
Personalmente, quello che amo di questo nuovo lavoro è il perfetto bilanciamento tra la parte più aggressiva e quella melanconica, caratteristiche che ci contraddistinguono da sempre.
Roberto: – Abbiamo lavorato alla vecchia maniera, ossia tutti insieme in sala prove nel tentativo – a quanto pare riuscito – di rendere i brani fluidi, ragionando sulla loro resa live. Ciò in passato è già accaduto, ma non negli ultimi lavori dove, per questioni di impegni prima e pandemia dopo, abbiamo dovuto lavorare a distanza.
Olaf: – Lavorare insieme in sala prove ha reso tutto più naturale e spontaneo, creando una connessione diretta tra noi e la musica.
Credo che questa energia si percepisca chiaramente nel disco e sia uno dei motivi per cui ha colpito così tanto il pubblico, senza contare che noi ci siamo divertiti decisamente molto di più, rispetto a quando ci dobbiamo sedere davanti a un computer…
A MIO PARERE IL SOUND DEL DISCO È DAVVERO NOTEVOLE. CREDO CHE MULARONI (SIMONE, DAI SUOI DOMINATION STUDIO A SAN MARINO) QUESTA VOLTA SI SIA SUPERATO. COME SI SONO SVOLTE LE REGISTRAZIONI E COME VI SIETE RAPPORTATI CON LUI PER CREARE QUESTI SUONI?
Olaf: – Simone sa esattamente come valorizzare il nostro sound senza snaturarlo. Il suo lavoro è stato fondamentale per dare al disco quella potenza e quella profondità che lo caratterizzano. Noi ci fidiamo del suo modo di lavorare e lui, al tempo stesso, è sempre pronto ad ascoltare le nostre richieste in fase di produzione del sound che vorremmo avere per il disco.
Andrea: – Le batterie vengono suonate interamente live da Matt (Peruzzi, batterista della band, ndr) ai Domination Studio di Simone Mularoni. Dopodiché, ognuno di noi ha registrato le proprie parti e le ha consegnate a Simone per il Mix.
Io e Olaf, come sempre, registriamo insieme: siamo due chitarristi complementari e ci aiutiamo e supportiamo a vicenda. Simone ha, tra i tanti, un enorme pregio: quello di essere un musicista e quindi comprendere come debba suonare una canzone, rispettandone le intenzioni. A parte qualche suggerimento iniziale o qualche confronto durante le fasi del mix, ha lavorato in piena autonomia.
Roberto: – Per me Simone è il settimo elemento della band che, al pari di ognuno di noi, cerca di dare e fare il meglio per l’economia del gruppo e del suo sound. Non c’è spazio per prime donne che, a botte di “la voce deve essere più alta!” oppure “il mio solo deve essere più alto del suo!” o ancora “sento poco cassa e rullo!”, creerebbero solo confusione ed astio inutili.
FORSE QUESTO LAVORARE ASSIEME IN STUDIO DI CUI PARLAVATE HA CONTRIBUITO ANCHE A RENDERE I LABYRINTH PIÙ AFFIATATI E UNITI, ALMENO QUESTA E’ LA SENSAZIONE CHE SI HA ALL’ASCOLTO. ATTORNO A VOI MEMBRI STORICI, GLI ALTRI COMPONENTI SEMBRANO MOLTO PIÙ PARTE DEL SOUND. IN PARTICOLARE LA SESSIONE RITMICA CON NIK MAZZUCCONI AL BASSO E MATT PERUZZI ALLA BATTERIA. SIETE D’ACCORDO?
Olaf: – Assolutamente. L’intesa tra noi è stata immediata e si è consolidata sempre di più. Credo che questa formazione sia riuscita a dare nuova linfa vitale alla band, mantenendone intatta l’identità. Lasciami però spendere due parole per ringraziare tutti coloro che ci hanno accompagnato in questa lunga avventura, perché ognuno di loro ha lasciato qualcosa nella nostra musica e nei nostri ricordi, oltre che in quelli di chi ci segue, e credo che sia giusto rendere loro il dovuto merito, sempre.
Andrea: – Abbiamo un’altra età, abbiamo capito con chi ci piace trascorrere il nostro tempo, fuori e dentro la musica.
La scelta di lavorare con Nik, Matt e Oleg (Smirnoff, tastiere, ndr) dipende da questo. Poi il fatto che siano strumentisti di primo livello di certo male non fa. Ma l’ottima tecnica, senza il rapporto che si è instaurato, non avrebbe portato agli stessi risultati.
Roberto: – Oleg, Nik e Matt sono tre ottimi musicisti ed esseri umani splendidi, credo di non essere smentito da nessuno se dico che questa sia la formazione ideale sotto ogni aspetto, proprio per i motivi di cui sopra relativi all’ego.
IN FASE DI PRESENTAZIONE CI AVETE RACCONTATO COME QUESTO DISCO SIA NATO SENZA TROPPI SCHEMI PREFISSATI, LASCIANDOSI ANDARE ALLE INFLUENZE CHE OGNUNO DI VOI TRE HA PORTATO. E ALLORA, QUALI SONO LE DIVERSE INFLUENZE CHE NELLO SPECIFICO OLAF, ANDREA E ROBERTO, MA IN GENERALE TUTTA LA FORMAZIONE, PORTANO ALLA BAND?
Olaf: – Ognuno di noi ha influenze diverse, e credo sia proprio questa la nostra forza. Personalmente ho sempre avuto una passione per il progressive rock e per certe sonorità più oscure e aggressive, e cerco di portare questi elementi nel nostro sound in modo naturale. Gli altri fanno altrettanto e alla fine il risultato è quello che potete ascoltare.
Andrea: – Sono cresciuto ascoltando thrash metal. Credo che questa influenza si possa ritrovare in molte delle nostre canzoni. In questo disco è emersa in maniera un po’ più evidente.
La NWOBHM, artisti come Savatage, Queensryche, Fates Warning per quanto riguarda il metal, o band come Árstíðir, The NightTime Project, Damien Rice, per fare qualche nome, completano un quadro fatto comunque di molte altre sfumature.
ROBERTO, PUOI PARLARCI BREVEMENTE DEL TITOLO DEL DISCO E DEI TESTI CHE ACCOMPAGNANO I BRANI?
Roberto: – Il titolo potrebbe far presagire alla fine della band e in tutta onestà potrebbe pure essere così, ma come al solito non facciamo previsioni e lasciamo che tutto fluisca e vada come e dove deve.
Per i testi, mi sono fatto trasportare dalla musica, cercando di dare una fisiologica continuazione rispetto al precedente album. Non è un concept vero e proprio, ma un tema generale c’è eccome e ruota intorno al mondo in cui viviamo e come si è involuto dal 2020 ad oggi: dicevano che ne saremo usciti migliori, ma è accaduto l’esatto opposto.
Non prendo nessuna posizione politica poiché non credo sia il caso, e ciò che esprimo non è certo la verità ma solo il mio punto di vista. Credo altresì che il punto di non ritorno non sia ancora stato raggiunto anche se è sempre più vicino e che la differenza spetti a noi farla.
Dopo la pandemia sono arrivate nuove guerre, nuove speculazioni e un doloroso strascico sociale e finanziario dato dal Covid e la sua gestione assurda e scellerata da parte di chi aveva molti interessi ad esso legati. Ci hanno trattato da marionette e la cosa che più mi lascia tanto amaro in bocca è che in molti pare se ne siano dimenticati.
In effetti, la storia è una lezione che l’uomo fatica ad imparare, ma pare che oggi più che mai anche la memoria a breve termine sia stata azzerata. Prima si stava meglio? No di certo, ma forse per quel che mi riguarda e all’età che mi ritrovo, faccio fatica a sopportare tutta una serie di assurdità.
TRENT’ANNI FA, AI TEMPI DEGLI ESORDI, ERAVATE AVANTI RISPETTO AL POWER METAL DEL TEMPO, CON LE VOSTRE INFLUENZE PROGRESSIVE CHE VI HANNO SEMPRE ACCOMPAGNATO.
OGGI LE COSE SONO CAMBIATE MA RIUSCITE ANCORA A DISTINGUERVI MANTENENDO INALTERATA LA VOSTRA CLASSE. COME SI È EVOLUTO IL VOSTRO SOUND E VOI STESSI COME SINGOLI INTERPRETI IN TUTTI QUESTI ANNI?
Andrea: – Io ho sempre sostenuto che nel filone power metal ci siamo finiti un po’ per caso. Tanto più nel filone progressive-power. Certamente capisco che sia facile accostare canzoni come “Moonlight” al power.
E’ altrettanto vero che nei nostri dischi, da “No Limits” a quest’ultimo, trovi veramente di tutto un po’. La realtà è che in questi anni abbiamo sviluppato un nostro sound, che ci rappresenta e ci rende riconoscibili. Il complimento più bello che ho ricevuto in questi giorni è stato “il nuovo disco suona 100% Labyrinth”. Che poi piaccia o meno è un’altra storia!
Olaf: – La nostra evoluzione è stata dettata dalla voglia di sperimentare senza mai tradire noi stessi. Non ci siamo mai adeguati alle mode e credo che forse questo sia uno dei motivi per cui siamo ancora qui.
Roberto: – Abbiamo intrapreso svariate strade durante la nostra storia con album quali “Freeman” e “6 Days To Nowhere” ed anche in quel caso, nulla era pianificato. Avessimo ragionato a tavolino, forse saremmo altrove optando per scelte più ruffiane e/o a volte sensate, ma noi siamo altro e senza alcun rimpianto siamo qui oggi nel 2025 cercando di essere fedeli a noi stessi. Pare che la genuinità ripaghi, guardando i consensi che questo album sta raccogliendo.
LO STESSO POWER METAL (MA FORSE TUTTO IL METAL IN GENERALE) È CAMBIATO RADICALMENTE DALLA FINE DEGLI ANNI NOVANTA AI GIORNI NOSTRI.
LA SENSAZIONE È CHE SI VADA SEMPRE PIÙ VERSO UN SOUND DI FACILE FRUIZIONE, CANZONI IN GRADO DI COLPIRE FIN DA SUBITO, BREVI E ORECCHIABILI. PERFETTE PER SPOTIFY E YOUTUBE, E UN IMPATTO VISIVO MOLTO COINVOLGENTE, CON SHOW DAL VIVO ESALTANTI. POTREMMO CITARE COME ESEMPI DI CIO’ SABATON, POWERWOLF E GLI STESSI WIND ROSE, ANCHE SE DI POWER HANNO POCO – DOVE MILITA UNA VOSTRA EX CONOSCENZA COME CRISTIANO BERTOCCHI.
COME VEDETE LA SCENA ATTUALE? PER QUANTO ANCORA CI SARÀ SPAZIO PER LA ‘VECCHIA SCUOLA’?
Olaf: – La ‘vecchia scuola’ ha ancora un suo pubblico fedele, ma il modo in cui la musica viene consumata oggi è molto diverso. Credo che la qualità e la passione facciano sempre la differenza, indipendentemente dai trend del momento. Non ci preoccupavamo dei trend all’epoca in cui avrebbe avuto senso farlo, non vedo perché dovremmo iniziare adesso (risate, ndr)!
Andrea: – Mi fa molto piacere sapere che Cristiano, con i suoi Wind Rose, stia ottenendo risultati importanti. Detto questo, no grazie, non fa per me. Essendo cambiato il modo di usufruire della musica (ma non solo della musica ovviamente), in un mondo dove tutto viene bruciato in poco tempo e dove l’immagine ricopre un ruolo sempre più importante, è normale che chi ha la capacità di arrivare ‘in fretta’ al pubblico (la ritengo una qualità), vinca.
In realtà, se ci pensiamo bene, è sempre stato così. Band come W.A.S.P., Kiss hanno sempre puntato molto sull’immagine, e molte band della vecchia scuola erano altrettanto di facile ascolto.
Ma accanto a loro c’erano gruppi che rinunciavano al ‘tutto e subito’ per concentrarsi su altri aspetti: citavo prima Queensryche e Fates Warning, ma molte altre band, oggi, probabilmente non avrebbero raggiunto il successo di allora. Per ascoltare ed apprezzare “Operation: Mindcrime” ci vuole tempo, pazienza, voglia, curiosità. Non so come andrà a finire, ma credo che il metal come lo intendevamo noi, negli anni ’80, non esista più e difficilmente tornerà alla ribalta.
Roberto: – Sono felice che ci siano gruppi come i Wind Rose che tengono alta la bandiera in giro per il mondo, mi risulta che si siano davvero impegnati a fondo per riuscirci ed evidentemente hanno anche le qualità. I tempi sono cambiati, gli equilibri sono altri rispetto alla fine degli anni Novanta e la rete, con la sua evoluzione, ha spostato l’ago della bilancia verso recipienti e utenti di altro tipo. Meglio? Peggio? Non sta a me giudicare, ma di certo la ‘vecchia scuola’ continua ad avere un suo appeal.
DI RECENTE HA ATTIRATO MOLTA ATTENZIONE UNA PUNTATA DEL NOSTRO PODCAST CHE TRATTAVA I FESTIVAL EUROPEI METTENDO IN RISALTO COME ORMAI NON ESISTA NESSUN VERO EVENTO IMPORTANTE IN ITALIA IN GRADO DI COMPARARSI NON TANTO AI VARI WACKEN O GRASPOP, MA ANCHE AI FESTIVAL SPAGNOLI O DELL’EUROPA DELL’EST, DOVE COMUNQUE SONO IMPEGNATE TANTE BAND SU DIVERSI PALCHI PER TRE O QUATTRO GIORNATE. VOI CHE AVETE VISSUTO DALL’INTERNO EVENTI COME IL GODS OF METAL, NEGLI ANNI D’ORO, CHE IDEA VI SIETE FATTI? PERCHÈ NON È POSSIBILE ORGANIZZARE QUALCOSA DEL GENERE DA NOI?
Olaf: – Non è solo un problema di pubblico, ma anche di organizzazione e investimenti. Purtroppo oggi i grandi numeri li fanno solo alcune grandi band, specialmente quelle del passato, e loro credo abbiano richieste economiche che li rendono impossibili da avere in un festival. Si crea una catena di problemi che non credo inviti i vari organizzatori ad investire – e rischiare – cosi tanto denaro, a fronte di un pericolo concreto di non rientrare delle spese, anche perché mi sembra che la gente sia felice di spendere duecento euro per andare a vedere i Metallica, ma generalmente non è altrettanto felice di spenderne magari ottanta per andare a vedere un festival con tante band.
Andrea: – E’ una questione culturale. Da sempre in Italia chi suona, produce, promuove metal, si muove in un contesto di nicchia. Non abbiamo supporto dei media, del grande pubblico, o, – perché no? – delle istituzioni (qualcuno ha detto “Gojira alle Olimpiadi?“). E la stessa cosa succede ad altri generi, anch’essi di nicchia.
Le cose all’estero succedono perché la macchina organizzativa può contare su basi ed aiuti molto più solidi, e magari su un pubblico un po’ meno esterofilo e capace di supportare, in primis, le realtà locali. In una frase: ci meritiamo Sanremo.
Roberto: – Credo sia cambiato molto il bacino d’utenza, i ragazzi di oggi ascoltano altro rispetto al glorioso periodo del Gods o Monsters Of Rock. Ricordo bene l’ultimo Gods che facemmo nel 2010 a Torino, anni luce distante a quello del 1998 per location e affluenza.
COME SCRITTO IN FASE DI RECENSIONE, I LABYRINTH POSSONO PIACERE O MENO, E CIÒ IN BASE AI GUSTI MUSICALI, MA LA MIA SENSAZIONE È CHE SIATE MOLTO RISPETTATI ALL’INTERNO DELLA SCENA ITALIANA CHE SPESSO (ANCHE SE FORSE PIÙ IN PASSATO) GUARDA CON DIFFIDENZA AI GRUPPI DI CASA, SOPRATTUTTO SE RAGGIUNGONO UN DISCRETO SUCCESSO. VI RICONOSCETE IN QUESTO?
Olaf: – Esatto, quel preconcetto purtroppo esiste ancora. In Italia, come dicevamo prima, spesso si tende a guardare con sospetto o scetticismo le band di casa, mentre all’estero c’è una mentalità più aperta nel supportare la propria scena. Per fortuna, nel tempo abbiamo guadagnato il rispetto di tanti, sia tra i fan che tra i colleghi musicisti, e questo per noi è motivo di orgoglio.
Bisogna anche dire, però, che ci sono band come Lacuna Coil, Rhapsody, Wind Rose e alcune altre, che all’estero hanno comunque decisamente raccolto molto bene, quindi credo che non sia nemmeno giusto fare sempre le vittime a tutti i costi.
Andrea: – Non saprei dirti. Io ho sempre suonato con passione, rispetto per la musica, senza nessuna pretesa o mania di protagonismo. Se il gruppo venga rispettato o meno non lo so, ma quantomeno lo spero.
La questione della diffidenza dei gruppi di casa è questione vecchia di decenni. Negli anni ’70, per fare un esempio, avevamo band che mangiavano in testa ai colossi del prog internazionale, che però erano costrette a lavorare all’estero. Negli anni ’80 gruppi come Vanexa, Vanadium avevano tutte le carte in regola per avere successo. Nei ’90 potremmo dire lo stesso per noi, gli Extrema, i Lacuna Coil. Oggi DGM, Messa, Wind Rose, e mille altri che potrei citare.
Chi di questi ha veramente sfondato in Italia? Quanti nei commenti di questo o quell’altro forum, si divertono ad insultare i gruppi nostrani? Siamo proprio miopi. Non capiamo che se riuscissimo ad andare oltre i nostri gusti personali, e decidessimo per una volta di fare squadra, ne godremmo tutti. E invece no: giù con il solito commento cretino. Anche basta, per favore.
Roberto: – Credo esista ancora il preconcetto per cui se sei italiano sei sfigato, ultimamente alcuni ‘luminari’ da bar sport asseriscono che non esista una vera scena metal italiana, e se esiste non sia rilevante. I fatti smentiscono questi individui e sono d’accordo con la tua sensazione riguardo al rispetto che in molti ci riconoscono, ed ovviamente ne siamo loto grati.
CREDO CHE IL SOUND DEI LABYRINTH SI PRESTEREBBE BENE PER LA COMPOSIZIONE DI PEZZO LUNGO, LA CLASSICA SUITE DI NOVE O DIECI MINUTI PER CAPIRSI. COME MAI NON AVETE MAI PROVATO COMPORRE UN BRANO DEL GENERE?
Roberto: – Il brano “Architecture Of A God” dura quasi nove minuti ed è un episodio abbastanza raro per questa band, che da sempre si muove su logiche diverse; ma se il tema trattato lo richiede, ecco che siamo pronti a gestire una suite, se lo riteniamo opportuno, esattamente come ritenemmo giusto avere voci in scream fatte dal batterista Mat Stancioiu in alcuni brani (nel brano “Lost” contenuto su “6 Days To Nowhere” del 2007, ndr).
Olaf: – In realtà, non ci siamo mai posti limiti a livello di struttura dei brani. Come dice Roberto, “Architecture Of A God” è stato un episodio particolare, e se in futuro nascerà un pezzo lungo che abbia senso e sia funzionale alla musica, non avremo problemi a svilupparlo. Non componiamo seguendo schemi rigidi, ma lasciandoci guidare dalla musica stessa.
AVEVATE FISSATO DUE DATE A FINE GENNAIO, A MILANO E BOLOGNA PER PRESENTARE IL NUOVO DISCO, MA PER MOTIVI PERSONALI SONO STATE POSTICIPATE. POTETE DARE AI FAN QUALCHE INFO SUI PROSSIMI CONCERTI CHE VI VEDRANNO IMPEGNATI NEL SUOLO ITALICO? AVETE RICEVUTO OFFERTE PER SUONARE ALL’ESTERO?
Andrea: – Oggi suonare è sempre più difficile. Purtroppo non possiamo garantire un’affluenza di pubblico tale da essere così interessanti per i promoter/festival. Ne parlavamo poco più su: oggi ciò che funziona dal vivo è altro. Ce ne facciamo una ragione e diamo l’ok a tutte quelle situazioni che possono garantirci sano divertimento. Quello che dovevamo fare come band l’abbiamo fatto; sono grato per tutto ciò che ho vissuto in trent’anni con i Labyrinth. Adesso tutto ciò che verrà in più sarà solo uno splendido regalo.
Roberto: – Le due date di gennaio si svolgeranno il 23 e 24 Maggio ( l’intervista è stata raccolta all’inizio di marzo, le date sonostate confermate il 21 Marzo scorso, con anche l’aggiunta degli Iron Savior, ndr) ed è nostra intenzione non fermarci lì, sia per quanto riguarda l’Italia che ovviamente l’estero. Nel 2020 eravamo pronti per tornare in Giappone e Sudamerica, ma sappiamo com’è andata.