Nemmeno la pandemia è riuscita a fermare la seconda giovinezza dei Lacuna Coil, che dopo aver saccheggiato i palchi principali degli Stati Uniti ad inizio millennio sono riusciti a conquistare nuovi fan anche in madre patria con “Delirium” e “Black Anima”, due album che hanno mostrato il lato più dark dei nostri connazionali, passati dal gothic metal degli esordi ad un sound più moderno ed heavy al tempo stesso. In attesa di avviare i lavori sul nuovo album, la pausa pandemica è servita per rimettere le mani su “Comalies”, disco della svolta smontato e ricostruito con la nuova line-up: a pochi giorni dallo show speciale che li ha visti suonare per intero “Comalies XX” abbiamo raggiunto su Zoom Andrea Ferro – che insieme a Cristina Scabbia e Marco Coti Zelavi è uno dei ‘Tre Moschettieri’ originali dei Lacuna Coil – per una chiacchierata a tutto tondo sulla band portabandiera del metal ‘Made in Italy’…
CIAO ANDREA! DOPO DUE ANNI DI FERMO AVETE FINALMENTE RIPRESO L’ATTIVITA’ LIVE..
– Sì, Siamo appena tornati da un tour negli Stati Uniti abbastanza impegnativo: per poterci spostare abbiamo contattato ben settanta aziende ma non c’erano più tour bus disponibili in tutto il paese, quindi abbiamo dovuto prendere due furgoni e una macchina guidando parecchie ore ogni giorno tra uno show e l’altro. In un certo qual modo è stato bello perché ci ha permesso di goderci i paesaggi, là dove in genere nel tour bus dormi e basta, però è stato parecchio faticoso visto che dopo lo show hai ancora l’adrenalina e di giorno ci capitava di guidare anche sette-otto ore di fila, quindi alla fine abbiamo dormito pochissimo. Tuttavia non volevamo cancellare i concerti quindi lo abbiamo fatto lo stesso visto che erano alla fine neanche tre settimane, abbiamo dovuto rinunciare solo ad un festival in Virginia dato che eravamo in New Jersey e non saremmo mai riusciti ad arrivare in tempo.
TEMO VEDREMO SEMPRE PIU’ CANCELLAZIONI, COME SUCCESSO ORA CON GODSMACK E SHINEDOWN…
– Sì, indubbiamente sono aumentati i costi sia della benzina che per il noleggio del tour bus, inoltre tutte le band sono tornate in tour per cui è un momento di affollamento anche tra gruppi di generi simili, quindi immagino che per chi viene dall’America questa combinazione di maggiori costi e minori prevendite possa portare ad una maggiore prudenza, magari rimandando a tempi migliori o festival che garantiscono maggiore sicurezza quantomeno sulle prevendite. Penso ci vorranno un paio d’anni perchè la situazione si stabilizzi, così come è stato durante la pandemia per cui solo le band più solide sono rimaste in attività… Un po’ come è successo coi ristoranti.
INVECE PER LA DATA SPECIALE DI “COMALIES” AVETE SCELTO DI GIOCARE IN CASA, SUONANDO AL FABRIQUE DI MILANO.
– In effetti alla fine è venuta gente da tutto il mondo, anche se è stata un po’ una scommessa: in passato avevamo fatto cose del genere a Londra, che logisticamente è più comoda anche per chi viene dal Sudamerica o dagli Stati Uniti, mentre per venire a Milano tendenzialmente serve almeno uno scalo. Lo show è stato impegnativo e c’era un po’ di tensione perchè avevamo in scaletta pezzi riarrangiati da imparare in poco tempo, soprattutto per Richard e Diego che non li avevano mai suonati dal vivo, ma nel complesso è andato tutto bene e ci siamo divertiti un sacco, quindi decisamente ne è valsa la pena.
VISTO IL SUCCESSO AVETE PENSATO AD UN MINI-TOUR DEDICATO O RESTERA’ UNO SHOW ONE-OFF?
– In realtà no, nei prossimi concerti dove saremo headliner sicuramente faremo qualche pezzo di “Comalies XX”, ma fare un tour ad hoc ci sarebbe sembrato eccessivo in un momento storico sovraffollato come questo, mentre l’anniversario è calzato a pennello per tenerci impegnati in un periodo in cui non avevamo stimoli per scrivere nuovo materiale. Ora invece che siamo ritornati on the road abbiamo ritrovato anche l’energia e la voglia di scrivere nuovi pezzi, quindi anche se abbiamo qualche bozza nel cassetto già ora, da gennaio ci dedicheremo seriamente a lavorare sul nuovo disco.
VISTA LA SPERIMENTAZIONE PER “COMALIES XX”, DOVE DIEGO E RICHARD HANNO PRESO PARTE AL ‘REBOOT’ CON MAKI, PENSI CI SARA’ PIU’ SPAZIO ANCHE PER LORO NEL SONGRWITING?
– Sicuramente, entrambi hanno già portato delle idee che non abbiamo ancora usato non avendo iniziato a lavorare al disco, ma sicuramente portano delle idee interessanti anche se non sarà facile entrare in un meccanismo così rodato come siamo noi tre. Ad esempio Richard suona anche la chitarra quindi ha degli spunti ritmici interessanti, e sicuramente anche Marco credo sia contento di non dover fare tutto da solo: nel caso sarà importante amalgamare i loro contributi in una formula ormai rodata, ma avendo uno stile abbastanza aperto alle contaminazioni non dovrebbe così difficile unire influenze ‘esterne’ al nucleo storico formato da Maki, Cristina e me.
QUAL E’ STATO IL PEZZO PIU’ DIFFICILE DA RISCRIVERE?
– Direi che il più complesso è stato il primo su cui abbiamo messo le mani, ovvero “Heaven’s A Lie”. Per noi era lo scoglio più difficile, quindi abbiamo scelto di fare una versione più lenta e atmosferica proprio perchè sarebbe stato impossibile rendere ancora più accattivante un singolo che era il ‘sacro Graal’ dei nostri singoli. In generale è stato difficile anche capire fino a dove potersi spingere, ovvero il confine oltre il quale sarebbe cambiata troppo diventando proprio un’altra canzone, per cui il grado di variazione dall’originale è stato diverso di caso in caso. Per questo motivo ad un certo punto Maki si è chiuso in montagna tipo eremita per lavorare in pace sui pezzi, tipo eremita, finché non lo abbiamo raggiunto anch’io e Cristina.
LA COPERTINA RAPPRESENTA LA VERSIONE APPASSITA DEL GIRASOLE?
– L’idea era quella, anche se non è un girasole ma un cardo. Abbiamo anche provato a chiedere ad alcuni artisti una versione più estrema del girasole ma non ci convincevano, invece questa è una foto fatta da Marco in montagna e ci piaceva perchè sembra quasi il simbolo di una band, tipo quello degli Opeth. Inoltre credo simboleggi bene le differenze tra il 2002 e il 2022, un periodo più ‘estremo’ e meno spensierato sotto tanti punti di vista.
PER QUESTO AVETE MESSO ANCHE DEI CAMPIONAMENTI DEL COVID SU “ANGEL’S PUNISHMENT”?
– Esatto, nella versione originale avevamo dei campionamenti sulla guerra del Golfo, mentre in questo caso abbiamo ripreso i telegiornali che parlavano del Covid, dato che ai tempi della registrazioni la guerra in Ucraina non era ancora iniziata.
AVETE RIPRESO I CONTATTI ANCHE COI VECCHI MEMBRI DELLA BAND?
– In realtà l’unico che ha sentito i demo è Pizza (ex chitarrista, ndr), che ora vive vicino a Minneapolis insieme a sua moglie e che andiamo a trovare ogni volta che passiamo di lì: sarebbe dovuto venire anche allo show dato che era a Milano in questi giorni, ma purtroppo si è preso l’influenza. Con gli altri ragazzi ci sentiamo di tanto in tanto ma non abbiamo parlato di questo; ad esempio Cris (ex batterista, ndr) è diventato il nostro web master quindi ci sentiamo per parlare del sito ma non di musica, così come anche gli altri due chitarristi ormai suonano in forma privata o come insegnanti di musica, ma non mi risulta abbiano altri progetti.
I REBOOT VANNO DI MODA ANCHE AL CINEMA, SOPRATTUTTO NEGLI HORROR: QUALCOSA CHE TI HA COLPITO DI RECENTE?
– Non ho niente contro i remake, e capisco il senso per far conoscere alle nuove generazioni come ad esempio è stato con “Star Wars”, ma onestamente non ho visto nulla del genere di recente. In questo periodo sono più orientato alle serie TV che trovo un po’ più facili da seguire, quindi ultimamente ho guardato soprattutto “The Boys”, “House Of The Dragon” e “Dahmer”, dato che sono da sempre un grande appassionato di crime e di serial killer.
CHI SONO LE BAND ITALIANE PRONTE A SFONDARE ALL’ESTERO?
– Sulle band nuove ammetto di non essere molto preparato. Tra quelli un po’ meno recenti mi piacciono molto i Fleshgod Apocalypse, tra i più interessanti anche a livello d’immagine e di proposta sonora: probabilmente è difficile che possano diventare mainstream, dato che rischierebbero più di perderci che di guadagnarci non essendo i Bring Me The Horizon, ma per quanto ho avuto modo di vedere anche loro in America hanno un discreto seguito. Per il resto ho visto girare bene il nome dei Fulci, anche se non ho avuto modo di approfondirli musicalmente, così come trovo interessanti i Sick N’ Beautiful, band industrial che fa un bello show anche a livello effetti speciali.
FUORI DAL METAL C’E’ QUALCOSA CHE TI PIACE?
– Ascolto molto Post Malone, che pur facendo un altro genere ha un modo di scrivere che trovo molto rock, oltre ad aver suonato in passato anche metalcore. In Italia mi capita di ascoltare di tutto, anche la trap quando capita, ma il livello è veramente basso a partire dai testi, un po’ troppo banali per i miei gusti. Il fatto di cantare in italiano comunque ha aiutato il successo di questi artisti, cosa che invece il rock sembra aver un po’ perso di vista. Fino agli anni ’90 c’erano band come i Litfiba o gli Afterhours, dopodiché credo gli ultimi a cantare in lingua madre siano stati i Linea 77: quando qualcuno mi chiede come fare ad avere successo un consiglio che mi sento di dare è proprio quello di partire dal cantato in italiano per farsi capire all’inizio e costruirsi uno zoccolo duro di fan, cosa che ad esempio succede in Germania dove ci sono tantissimi gruppi che fanno sei-settemila persone a serata anche se sono pressoché sconosciute fuori dai loro confini.
INSOMMA, BISOGNA FARE COME I PUNKREAS…
– Esatto, alla fine se non hai un appeal internazionale, come ad esempio i Maneskin, meglio partire magari con un repertorio misto italiano-inglese per farsi un nome in patria, soprattutto qualora la musica non porti chissà quale originalità, come appunto nel caso della trap.
NEGLI ULTIMI ANNI AVETE FATTO LIVE ALBUM, STREAMING, FUMETTI, GIOCHI DA TAVOLO…
– Il pubblico di oggi è molto meno settoriale di una volta, grazie anche all’avvento di Internet che rende la musica molto più mainstream rispetto a quando trovavi notizie solo su Metal Hammer o i video su Headbangers Ball. Dal canto nostro, abbiamo quindi trovato terreno fertile nel mondo dei fumetti e del gaming, anche e soprattutto perchè sono cose che ci piacciono a livello personale. Detto questo la musica resta sempre al centro di tutto, almeno finché non saremo troppo vecchi per stare su un palco (risate, ndr).
QUAL E’ LA VOSTRA CANZONE PIU’ ASCOLTATA SULLE PIATTAFORME DI STREAMING?
– Credo sia “Enjoy The Silence”, cover dei Depeche Mode, per ovvie ragioni. C’è anche da dire che quando uscì “Karmacode” nel 2002 non c’era ancora la diffusione dello streaming o YouTube come oggi, quindi se fosse uscita in questi ultimi anni avrebbe probabilmente numeri più alti dato che molti ascolti all’epoca erano in TV o in CD. A suo tempo comunque ci aveva permesso di raggiungere un audience più mainstream, passava persino su Radio Deejay.
AVETE QUALCHE ALTRE COVER IN CANNA?
– Diciamo che abbiamo un cassetto dove teniamo alcune cover che abbiamo provato, tendenzialmente non metal perchè ci piace misurarci su generi diversi come elettronica o pop. Non abbiamo niente di pianificato per il momento, ma chissà che un giorno non diventi un progetto speciale. Detto questo, anche i tempi cambiano: all’epoca “Enjoy The Silence” era considerato un classico del rock, ma già parlando con molti giovani d’oggi non la conoscono nemmeno, per questo è importante non dare nulla per scontato e ascoltare anche il parere delle nuove generazioni; già Richard, per dire, ha un punto di vista diverso dal nostro, dato che era un ragazzino all’epoca di “Comalies”.
HO VISTO CHE ALL’HARD ROCK DI MILANO C’E’ IL TUO VESTITO DA PRETE DI “COMALIES”…
– Sì, in quello di Firenze c’è un vestito di Cristina, in quello di Milano il mio di “Comalies”, ora manca solo quello di Marco, magari a Venezia. Tra l’altro quei vestiti li avevamo venduti al proprietario dell’Hard Rock Cafè, che peraltro è morto poco dopo, nel lontano 2007 durante il nostro primo tour a Tokyo, quindi ce ne eravamo quasi dimenticati. Poi qualche anno fa è spuntato quello di Cristina a Firenze ed ora ho scoperto che è apparso il mio dopo quindici anni a Milano: una bella sorpresa, pensavo fossero andati dispersi o custoditi in qualche magazzino in giro per il mondo.