LENTO – Persistere / Resistere

Pubblicato il 03/03/2018 da

Con nostro non colpevole ritardo, arriviamo finalmente a pubblicare la trasposizione della chiacchierata avuta coi Lento in occasione dell’uscita del loro ultimo lavoro, quel “Fourth” fuori ormai da diversi mesi, che ha segnato un ennesimo importante capitolo – ma soprattutto una nuova svolta stilistica – lungo la carriera di una delle più interessanti e rispettate formazioni nostrane mai uscite dal floridissimo sottobosco della scena post- europea. Una rivoluzione in lineup, col tranciamento di ben due chitarre su tre, ha ridotto all’osso i membri del gruppo e le armi a disposizione, riprogrammate e resettate per rendere al meglio nella ‘nuova’ formazione a power-trio. Dopo il successo acclamato di “Anxiety Despair Languish”, era particolarmente arduo e probante ripartire praticamente da zero, per i Lento, ma con indefessa attitudine ed un coraggio no-compromise, i ragazzi di Roma ce l’hanno fatta di nuovo. E’ il chitarrista, ormai unico, Lorenzo Stecconi a parlarci degli ultimi tempi in quel della Capitale…

CIAO LORENZO, RIECCO I LENTO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM. PRIMA DI PARLARE DEL VOSTRO PRESENTE E DI “FOURTH”, FACCIAMO UN RIASSUNTO DI CIO’ CHE E’ SUCCESSO DALLA RELEASE DI “ANXIETY DESPAIR LANGUISH” IN AVANTI. INNANZITUTTO, ESSENDO STATO UN DISCO DI GRAN SUCCESSO IN AMBITO UNDERGROUND, COSA VI HA LASCIATO DENTRO E COSA VI SIETE PORTATI DIETRO DA QUESTO LAVORO?
– Ciao a voi e a tutti i lettori, e grazie infinite per ospitarci sulle vostre pagine. Il nostro precedente disco ci ha portato delle ottime soddisfazioni a livello musicale, abbiamo suonato in lungo e in largo in Europa e il responso è stato splendido. D’altro canto ci ha anche fatto ben capire la direzione verso la quale volevamo andare. Rimanendo come trio, ci siamo trovati gioco-forza a dover implementare delle soluzioni musicali più sanguigne, lavorando più a scarnificare le composizioni piuttosto che arricchirle, quasi auto-limitandoci per scelta. Sicuramente consideriamo “Fourth” un disco molto meno massimalista di “Anxiety Despair Languish”.

NON SIETE UNA BAND CHE STROMBAZZA AI QUATTRO VENTI LA PROPRIA ESISTENZA E CHE FA LARGO USO DEI MEDIA, QUINDI TROVARVI RIDOTTI PRIMA A QUARTETTO E POI A TRIO E’ STATO COME UN FULMINE A CIEL SERENO. VUOI SPIEGARE, PER QUANTO E’ POSSIBILE, I VOSTRI MUTAMENTI DI LINE-UP?
– In questa pessima era di narcisismo contagioso ci siamo fatti delle domande e abbiamo pensato che realmente quello che interessa ai nostri ascoltatori è la musica e nulla più. Crediamo che sia lei a dover parlare in primis e quando essa non si presenta è l’equivalente del silenzio. Siamo, purtroppo per noi, dei perfezionisti, e semplicemente non ci sembrava giusto parlare di null’altro fino a quando non ci fosse stata la musica ad esprimersi per noi. Ripercorrendo la storia della nostra lineup, i primi due dischi sono stati scritti per un gruppo a cinque elementi: tre chitarre, un basso e una batteria. Però “Icon”, il secondo disco, in realtà non è stato mai suonato con tre chitarre dal vivo dopo la sua uscita ed è proprio allora che abbiamo sentito il bisogno di integrare suoni diversi dai soliti; “Anxiety Despair Languish” fu scritto infatti per esibirsi effettivamente live con cinque musicisti: due chitarre, synth/sampler, basso e batteria. Nell’ultimo album, infine, resta solo un trio base con basso/sampler, chitarra e batteria.

LA PERDITA DI DUE CHITARRE, IN UNA FORMAZIONE STRUMENTALE CHE NE FA(CEVA) USO DI TRE, PUO’ ESSERE UN COLPO DAVVERO DURO: AVETE MAI PENSATO DI CERCARE DEI SOSTITUTI? E QUANDO AVETE CAPITO DI VOLERE E POTERE CONTINUARE COME SEMPLICE POWER-TRIO?
– Con gli altri 2/3 dell’attuale formazione suoniamo insieme e siamo amici da quando andavamo ancora al liceo. I Lento sono stati sempre una specie di famiglia e tutti quelli che hanno suonato con noi sono sempre stati prima dei fratelli e poi parte di una band. Quindi ogni cambio di line-up ha influito fortemente su tutti gli aspetti, allargando spesso i tempi, creando mesi di assestamento e una quantità inenarrabile di materiale scartato; purtroppo un processo spietatamente giusto e doloroso. Quando siamo rimasti in tre, abbiamo voluto accettare la sfida di poter riuscire a farcela anche da soli.

COME E’ CAMBIATO, COME SI E’ EVOLUTO (O INVOLUTO) IL VOSTRO METODO DI COMPOSIZIONE?
– È curioso come tu usi proprio il termine ‘involuto’, perché è una parola che riecheggia spesso nei muri della nostra sala prove. Cerchiamo continuamente di suonare il più liberi possibile, fuori da ogni archetipo musicale che come ogni essere umano ci portiamo dentro, in un certo modo quasi nel tentativo di ricreare quella sensazione quando da bambino prendi in mano uno strumento musicale per la prima volta. La spontaneità è incredibilmente importante quando la riesci a cogliere e tirare fuori, soprattutto nella musica. In senso più terreno, “Fourth” è stato il primo disco dove abbiamo affrontato la composizione in maniera collettiva, mettendoci in gioco tutti e tre nella scrittura dei riff e delle parti. Per il resto della composizione, siamo sempre fedeli al caro e vecchio metodo del chiudersi in saletta per mesi a provare.

IL RISULTATO SOTTO GLI OCCHI (MA SOPRATTUTTO LE ORECCHIE) DI TUTTI E’ DUNQUE IL NUOVO LAVORO “FOURTH”: UN ALBUM CURATO E COMPOSTO NEL DETTAGLIO, MA CHE PER SONORITA’ E SOUND RISULTA MINIMALE, GREZZO, ORTODOSSO, PRIMITIVO, CON UN DECISO AFFLATO NOISE. COME AVETE RAGIONATO IN MERITO ALLA PRODUZIONE, AL TAGLIO DA DARE AL NUOVO DISCO?
– La tua descrizione è parecchio corretta perché rispecchia esattamente quello che volevamo comunicare. La maniacalità nei dettagli è una cosa che ci portiamo dietro dagli albori, ma questa volta volevamo fonderla con rarefazione e spigolosità. Non cercavamo un classico suono da manuale, ma qualcosa che si avvicinasse il più possibile alla foga dei live. Il disco è stato registrato quasi per la sua totale interezza dal vivo, persino nelle tracce più ambient abbiamo cercato di privilegiare la spontaneità dell’esecuzione delle prime take piuttosto che rimetterci mano mille volte, come abbiamo fatto in passato.

ANCHE IL TITOLO E L’ARTWORK SONO L’ANTITESI DI QUELLO CHE SONO STATI I LENTO DELL’ALBUM PRECEDENTE: “FOURTH” E’ UN TITOLO CHE PIU’ ‘OVVIO’ NON POTEVATE SCEGLIERE, QUASI PROPRIO A VOLER SOLLEVARE CHI ASCOLTA DAL TENTATIVO DI CAPIRE DOVE STIATE ANDANDO A PARARE, E IDEM PER L’ARTWORK. CI SPIEGHI IL NON-SIGNIFICATO DI QUESTI DUE ASPETTI DEL LAVORO?
– Anche qui credo tu abbia centrato il punto: in realtà l’album non ha titolo. In maniera strettamente musicale, il disco è un concept sul persistere e sul resistere, nella loro accezione più universale possibile. Nel nostro caso si è trattato di cercare di trasformare in musica l’urgenza di dire questa cosa. È stato lasciare che sia il messaggio a venir fuori da solo, farsi inghiottire da ciò accettando tutto quello che ne consegue, e lottare per continuarlo a fare. E ognuno di noi dovrebbe avere il suo modo e dovere di persistere e resistere per non morire tristemente e vivere una vita banale e sottomessa. La foto che c’è in copertina è stata più lei a scegliere noi che viceversa. È appesa da tempo nel mio studio e ritrae un antico sito funerario in Scozia, dove mi trovavo in viaggio con la mia compagna tempo fa. Dopo mesi di giorni e notti di lavoro sul disco con quella foto davanti, ci siamo resi conto che in qualche modo aveva influito sulla realizzazione di “Fourth”. E ad un tratto ci è sembrata perfetta.

ESSENDO PASSATI CINQUE ANNI DA “ANXIETY DESPAIR LANGUISH” ED AVENDO SUBITO UN RIDIMENSIONAMENTO DI LINEUP, QUALI INFLUENZE SONO STATE PENALIZZATE E QUALI INVECE AVETE RIVALUTATO IN FASE COMPOSITIVA E, ANCHE, DI NUOVI ASCOLTI?
– Il grosso problema è stato eliminare una ‘voce’ dalle composizioni. Per i primi mesi, tutto quello che scrivevamo per una chitarra sola ci sembrava più ‘piccolo’ rispetto a prima. Da anni percorro una mia sperimentazione sulle accordature e questa volta mi sono trovato a dover coprire il più possibile lo spettro sonoro solamente con una chitarra, quindi ho semplicemente ampliato gli intervalli tra le corde senza dover ricorrere a una chitarra a più di sei corde. Come ascolti, in questi anni tanto industrial: Coil, Throbbing Gristle, Current 93, per passare ai più classici Brian Eno, Robert Fripp e un quintale di cose ambient. Io personalmente ho letteralmente consumato “Amputation” di Stian Westerhus nel periodo della scrittura del disco, poi sicuramente His Hero Is Gone, Popol Vuh e John Fahey. Giuro che però in furgone mettiamo anche su i Black Sabbath, ci facciamo una cantata e siamo anche felici!

SIETE GIUNTI ORMAI AL QUARTO ALBUM INTERAMENTE STRUMENTALE. DURANTE LA VOSTRA CARRIERA, E ANCOR PIU’ IN QUESTO ULTIMO PERIODO PIUTTOSTO RIVOLUZIONARIO, AVETE MAI PENSATO DI AGGIUNGERE UNA VOCE, O SEMPLICI PARTI VOCALI, ALLA VOSTRA PROPOSTA?
– In passato abbiamo avuto dei piccoli episodi vocali, ma sempre totalmente rarefatti e stravolti in studio. Non è questione di rigidità, ci abbiamo pensato mille volte ma poi alla fine ci ripensiamo altre mille. Forse sarà perché inconsciamente per noi la sfida è più difficile senza dover parlare e quindi godiamo nel baratro della difficoltà?

PARLIAMO DELL’ASPETTO LIVE, CHE SICURAMENTE E’ FONDAMENTALE PER UNA BAND COME LA VOSTRA. VI HO VISTI UNA MANCIATA DI VOLTE NEL CORSO DELLA PROMOZIONE AD “ANXIETY DESPAIR LANGUISH”, IN CINQUE EMANAVATE UN’ATTITUDINE ED UN FEELING SPAVENTOSI. COME VI SIETE RIORGANIZZATI IN TRE E COME SONO ANDATE LE PRIME DATE DI PRESENTAZIONE DI “FOURTH”?
– Le ultime date in autunno sono andate splendidamente, al di sopra delle nostre aspettative, soprattutto a livello musicale. Ci era già capitato di esibirci in tre durante occasioni particolari nella nostra città e avevamo capito quanto bene funzionasse, ma negli ultimi concerti ci siamo stupiti da soli, quindi direi molto bene! Stiamo organizzando proprio in questi giorni delle altre date, torniamo presto.

UNA DOMANDA FINALE RIGUARDANTE IL FUTURO: DOVREMO ASPETTARE ALTRI CINQUE ANNI PER ASCOLTARE NUOVA MUSICA O AVETE GIA’ PENSATO A QUALCOSA DI PIU’ ‘URGENTE’ PER I PROSSIMI MESI/ANNI?
– “A Demand For Urgency”: la nostra voglia e urgenza di scrivere musica non sono mai sazie, ma purtroppo noi tutti, in quanto esseri umani, e non parlo di noi che scriviamo ma dell’intera umanità, siamo ancora troppo passivi per poter trasformare l’urgenza in realtà…

BENE, LORENZO, E’ TUTTO. GRAZIE MILLE PER LA DISPONIBILITA’ E TERMINA PURE COME PREFERISCI…
– Grazie mille per averci dedicato del tempo e dello spazio, e le nostre infinite scuse per avervi risposto così in ritardo. Del resto, nomen omen.

 

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