“Malina” ha fatto irruzione da poco sulla scena prog con la forza della sua relativa semplicità, spezzando in parte i legami con il glorioso operato precedente. I Leprous, da quel che ci dicono per bocca del loro leader e principale mente compositiva Einar Solberg, hanno optato con naturalezza per un aggiornamento dei canoni consolidati, apportando modifiche sostanziali che non hanno però snaturato la primitiva essenza della band. Un percorso lungo, impegnativo, non esente da difficoltà, quello compiuto dai giovani ma già navigati musicisti norvegesi, capaci di rinunciare coraggiosamente a spartiti di successo, per abbracciare formule nuove e in alcuni casi lontanissime dai loro normali standard. Nelle parole di Solberg, cogliamo la serenità di chi ha deciso in piena autonomia e convinzione di dedicarsi a musica di differente profilo, cogliendo al volo moti ispirativi di natura prima sconosciuta e facendosene prendere per mano senza indugi. Arrivando a una sintesi stilistica-concettuale che ha lasciato soddisfatti i suoi autori, pronti a difendere a spada tratta la loro nuova creatura anche dinnanzi ai fan meno disposti ad accettare il vento del cambiamento.
NELLE PRIME DICHIARAZIONI DI PRESENTAZIONE DEL NUOVO ALBUM, AVETE AFFERMATO CHE QUESTO AVREBBE SEGNATO UN FORTE CAMBIAMENTO E CHE ORA VEDETE I LEPROUS PIÙ COME UNA ROCK BAND CHE COME UNA METAL BAND. CHE SIGNIFICATO DOBBIAMO DARE A QUESTA DEFINIZIONE?
– Abbiamo pronunciato quella frase perché “Malina” comprende minori ingredienti metal rispetto al solito. Ad esempio, abbiamo ridotto notevolmente la distorsione chitarristica, così da dare spazio all’uso di toni di chitarra prima assenti. Quanto abbiamo detto rappresenta anche un modo per affrancarci dalle definizioni, il non voler essere chiusi in ‘gabbie’ come il prog o l’heavy metal, visto che le nostre canzoni non sono per forza etichettabili in questa maniera, a maggior ragione quelle presenti in “Malina”.
PARLANDO DEL PERCORSO CHE VI HA CONDOTTO ALLA REALIZZAZIONE DI “MALINA”, SI LEGGE CHE AVETE INIZIATO A LAVORARE SUL DISCO CON UN’IDEA, E CHE STRADA FACENDO QUESTA È MUTATA IN QUALCOSA CHE NON AVEVA NULLA A CHE SPARTIRE CON QUELLO CHE AVEVATE IN MENTE IN ORIGINE. A COSA È DOVUTA LA DEVIAZIONE DALLA LINEA CHE AVEVATE TRACCIATO IN PARTENZA?
– Non partiamo mai con la composizione di un nuovo album avendo già pronto un piano d’azione preciso e dettagliato. Procediamo per abbozzi, spunti singoli, dai quali procediamo per arrivare a idee meglio consolidate. Mettiamo assieme tutte queste ‘prove’ e in base a nostro gusto personale decidiamo su quali valga la pena continuare a lavorare, e quali invece possiamo tranquillamente abbandonare. Dopo la prima scrematura, analizzando le idee che sono disponibili, capiamo quale potrà essere la direzione stilistica. Per sette dei brani di “Malina” siamo partiti con versioni molto più metalliche, orientate sulle chitarre, di quelle poi effettivamente registrate. “Mirage” prevedeva in origine alcune parti molto heavy, anche “The Weight Of Disaster” era molto più violenta all’inizio, orientata ai riff; quando siamo entrati in studio, abbiamo però mutato direzione, scegliendo di discostarci da certi parametri dati ormai per assodati nella nostra musica.
LA PRIMA ANTICIPAZIONE FORNITA SUL NUOVO ALBUM È STATA “FROM THE FLAME”. MI PARE SIA LA CANZONE CHE CONTENGA LE MAGGIORI ANALOGIE CON IL VOSTRO PASSATO, IN QUANTO SI PRESENTA COME UNA VERSIONE DEL NORMALE LEPROUS-SOUND IN UNA VERSIONE PIÙ LEGGERA E LINEARE. LO POSSIAMO VEDERE COME UN MODO PER NON SPAVENTARE TROPPO LA VOSTRA AUDIENCE, CONSIDERATO CHE MOLTI FAN ERANO UN PO’ INTIMORITI DALLA VOSTRA VOLONTÀ DI CAMBIAMENTO?
– Non è che abbiamo cercato intenzionalmente di scrivere una canzone di minore complessità rispetto a quello che ci si attende da noi. Sicuramente non è un pezzo di difficile assimilazione e se confrontato ad altri presenti nel disco è molto orientato sulla chitarra, quando nel grosso delle canzoni non ha questa centralità ed è suonata in modo ben diverso dalle nostre passate pubblicazioni, anche per la presenza di un nuovo chitarrista in line-up. L’intento non era tanto quello di rassicurare i fan, quanto di introdurli in maniera non troppo brusca al nuovo materiale, perché “From The Flame” rappresenta un approccio più facile a “Malina” se confrontato ad altri brani che vi sono contenuti.
SO CHE AVETE CERCATO DI DARE UN SUONO PIÙ ORGANICO E MENO DIGITALE DEL SOLITO AL DISCO. PER ARRIVARE A QUESTO RISULTATO, SIETE RIMASTI IN STUDIO MOLTO PIÙ TEMPO DI QUANTO SIATE ABITUATI. VORREI QUINDI SAPERE LE RAGIONI DI QUESTO AUMENTO DEI TEMPI DI REGISTRAZIONE E SE SIATE RIUSCITI A REALIZZARE TUTTO CIÒ CHE AVEVATE IN MENTE.
– Quando abbiamo scritto le canzoni ci siamo chiesti come avrebbero dovuto suonare e per darci una mano abbiamo contattato nuovamente David Castillo, produttore anche del nostro ultimo live album. Il suo ruolo per “Malina” si è accresciuto, è entrato più nello specifico di quello che stavamo registrando, vestendo propriamente i panni del produttore per l’intero processo di registrazione, non fungendo solo da nostro assistente ma da membro attivo nella definizione del taglio da dare al suono. Ci ha spinto a essere meticolosi e a spendere tutto il tempo necessario per definire quanto avevamo in mente, cercando di uscire dagli schemi del passato. Il suono è più organico perché abbiamo suonato realmente molti strumenti, noi oppure ospiti, come nel caso del violoncello, e li abbiamo registrati in versione ‘live in studio’. Abbiamo fatto così per i sintetizzatori, ci siamo cimentati nel suonare un vecchio organo, operazioni che hanno contribuito a togliere la patina digitale al nostro sound. Diverse parti di chitarra sono state ‘catturate’ così come sono state suonate dal vivo all’interno dello studio. Così la sensazione è più simile a quella di canzoni che ascolti in concerto, il non ricercare una forte distorsione ci ha anche consentito di essere più precisi, di definire il suono dello strumento, di valorizzare lo stile chitarristico.
NEL DISCO PRECEDENTE, RIGUARDO ALLE LIRICHE, PARLAVATE DI COME QUESTE SI CONCENTRASSERO SUI RISCHI E LE CONSEGUENZE DI ACCECARE SÉ STESSI E SEGUIRE IL FLUSSO COLLETTIVO. QUESTA VOLTA QUALI SONO I TEMI AFFRONTATI NEI TESTI? C’È QUALCHE COLLEGAMENTO CON QUELLI DI “THE CONGREGATION”?
– Alcune similitudini si possono cogliere in effetti. Tieni conto che per loro natura i Leprous non si rispecchiano in argomenti particolarmente leggeri o divertenti, tendiamo ad occuparci e a evocare un immaginario cupo, triste, che è poi il mood prevalente anche nell’ultimo disco. “The Congregation” può essere considerato una specie di concept album, vi era una linea comune nei testi. Differente il discorso per “Malina”, qua le parole utilizzate in ogni traccia non hanno legami diretti con quelli di altre canzoni. Il filo conduttore può essere riscontrato nel senso di malinconia che attanaglia ogni brano. Nonostante mi occupi di quasi tutti i testi, questa volta sono stato più aperto a suggerimenti degli altri membri della band, c’è stata una collaborazione attiva da parte degli altri ragazzi, come normalmente non eravamo abituati a fare. Penso che in questo modo sia anche migliorata la qualità delle lyrics.
L’IMPRESSIONE È CHE QUESTA VOLTA L’ASCOLTATORE DEBBA PORSI CON UN APPROCCIO DIVERSO ALLA VOSTRA MUSICA: FINO AD OGGI CI AVEVATE ABITUATO A TRAVOLGERCI CON UN FIUME DI DETTAGLI, DI SUONI SCINTILLANTI, MOLTI ELEMENTI DA ASSIMILARE IN POCHI ISTANTI. IL VOSTRO SUONO ERA CARATTERIZZATO DA UNA RICCHEZZA MESSA ORA IN SECONDO PIANO DA UN APPROCCIO PIÙ MINIMALE. CREDI CHE CHI VI SEGUE DA TEMPO SIA IN GRADO DI MUTARE IL PUNTO DI VISTA SU QUELLO CHE SUONATE E SIA IN GRADO DI COMPRENDERE LA DIREZIONE INTRAPRESA CON “MALINA”?
– La nostra è un’audience tendenzialmente molto aperta, sa apprezzare i cambiamenti e le novità e lo ha già dimostrato in passato. I pezzi che abbiamo fatto ascoltare in anticipo servivano proprio ad abituare alle modifiche apportate. Detto questo, sappiamo benissimo che non tutti saranno contenti di questa svolta. Sono anche dell’idea che la maggior parte dei nostri fan apprezzerà “Malina”. Pur non pensando che abbiamo stravolto la situazione, concordo che sul fatto che il nostro ultimo album presenti meno elementi da seguire e sia più focalizzato su poche cose per volta. Finora puntavamo su canzoni dove si esasperava il dinamismo, i ritmi cambiavano e si sovrapponevano di continuo, mentre adesso cerchiamo di avere più spazio libero, tenere il suono aperto e non cerchiamo di riempirlo a tutti i costi e di caricarlo di arrangiamenti.
LO STRUMENTO CHE A MIO PARERE HA SUBITO LE MODIFICHE PIÙ SOSTANZIALI SONO LE TASTIERE. INEDITO È IL TAGLIO SINFONICO CHE GLI DATE, ANCHE I SINTETIZZATORI HANNO UNA PARVENZA VINTAGE NON COMUNE. COSA HAI DOVUTO CAMBIARE NEL TUO MODO DI PENSARE E APPROCCIARTI ALLO STRUMENTO PER OTTENERE QUESTI SUONI?
– Per le tastiere vale lo stesso discorso che per gli altri strumenti, ossia che abbiamo adottato la tecnica del ‘live in studio’ e ci siamo sbizzarriti nel provare una miriade di effetti e strumenti analogici, come l’hammond. Avevamo un certo piano d’azione, che è poi stato integrato in corso d’opera e sì, c’è molta ricerca dietro il sound di tastiera che puoi sentire sull’album. Nell’ottica di avere un sound il più organico possibile, per il violoncello non abbiamo usato sample, è stato suonato direttamente in studio.
QUALI TIPO DI VANTAGGI E SVANTAGGI HA COMPORTATO IL CONFRONTARVI CON IL LAVORO DI SOTTRAZIONE COMPIUTO PER “MALINA”?
– Battere nuove strade comporta sempre una sfida. Ci piace l’idea di stimolare noi stessi nel provare soluzioni mai affrontate, allo stesso tempo non abbiamo alcuna intenzione di cambiare totalmente la nostra visione della musica e snaturare quello che siamo. Vogliamo solo evolverci in una direzione che ci venga naturale. È interessante avere sul tavolo nuove idee, frammenti di musica che puoi decidere se portare avanti e sviluppare oppure abbandonare; tutto il processo di scelta ci dà grande soddisfazione. In un certo senso abbiamo creato un suono più ‘grande’ che in passato, perché nella sovrabbondanza di dettagli alcune cose potevano restare nell’ombra, mentre adesso tutto quello che ci abbiamo voluto inserire in “Malina” viene pienamente valorizzato e non finisce in secondo piano. Possiamo far apprezzare meglio il nostro modo di suonare la chitarra, che prima poteva essere notato meno per via di un impatto decisamente più metallico.
L’ALBUM INIZIA IN MANIERA SPIAZZANTE, DIFFICILE ASPETTARSI DI QUESTI TEMPI UN AVVIO COSÌ SOFT COME QUELLO DI “BONNEVILLE”. CHE FUNZIONE HA UN’OPENER DI QUESTO TIPO?
– Abbiamo discusso parecchio su quella che doveva essere la traccia d’apertura, onestamente non ricordo come siamo arrivati a decidere che dovesse essere “Bonneville”! Rappresenta sicuramente un avvio spiazzante, noi stessi eravamo abituati ad aprire con pezzi più accesi e movimentati, di forte impatto, tutto il contrario di “Bonneville”. Penso che riassuma il mood del disco, paradossalmente può catturare l’attenzione anche meglio di altri pezzi che hanno il taglio dell’opener proprio perché una cosa del genere non te l’aspetti. Si riconnette al concetto di quella sfida che ci piace portare avanti quando scriviamo un nuovo album, d’altronde se non dovesse piacere la prima canzone, si può sempre saltarla. Ma, vedi, ci si accorgerebbe in fretta che il feeling del disco è quello, credo che anche chi si sia incuriosito per quello che proponiamo dal primo singolo, “From The Flame”, possa comunque gradire anche “Bonneville” e alla fine non la salterà nell’ascolto.
SE L’INIZIO DEL DISCO È PARTICOLARE, ANCHE IL SUO FINALE NON È DA MENO. “THE LAST MILESTONE” È MOLTO EMOZIONANTE, POSSIAMO PARLARE DI UNA VERA E PROPRIA SINFONIA, PRIVA DI QUALSIASI ELEMENTO METAL. COME È NATA L’IDEA PER QUESTA CANZONE E COME SI È EVOLUTA NELLA VOSTRA MENTE?
– L’ho composta e suonata interamente io e l’ho immaginata come la colonna sonora di un film, che prendesse la forma di un pezzo di musica classica. Non avevo bene idea di come cantarci sopra la prima volta che ho sentito la versione strumentale per intero. E su tutto il brano abbiamo dovuto lavorare a fondo perché funzionasse il flusso della musica, non sapevamo bene come integrare i violini e inserire le liriche. Infine ci siamo decisi per avere un tappeto di synth, mentre la voce tratteggia quest’atmosfera molto triste, forse la più triste dell’intero disco. Per le sensazioni che emana, rappresenta la chiusura ideale di “Malina”.
UN VERBO CHE SEMBRA RICORRERE OGNI TANTO NEL DISCO È “TO DRIFT”, LASCIARSI ANDARE, ANDARE ALLA DERIVA. MI PARE POSSA RIASSUMERE BENE UN CERTO SENTIMENTO AFFIORANTE UN PO’ IN TUTTO “MALINA”. È STATA UNA SCELTA CONSAPEVOLE QUESTA?
– Quando si scrivono i testi per un album bisogna evitare la trappola di ripetere spesso gli stessi termini. Mi sforzo di ampliare il vocabolario quanto più possibile. L’idea di ‘andare alla deriva’ la vivo come un modo per non essere schiavi del controllo, il non voler essere per forza costretti entro certi schemi. Lo intendo come il rimanere piacevolmente in balia di ciò che ci circonda, senza cercare di arrivare per forza a dominare la situazione.
CI SONO STATI ANCHE UN PAIO DI AVVINCENDAMENTI NELLA LINE-UP ULTIMAMENTE, CON L’INGRESSO DI UN NUOVO BASSISTA E DI UN NUOVO CHITARRISTA. COS’HANNO PORTATO DI DIVERSO QUESTI DUE MUSICISITI?
– Nella line-up ufficiale, i cambiamenti sono due in effetti, nella sostanza è uno solo. Simen Daniel Borven collaborava con noi già da tempo ed era il nostro bassista dal vivo, adesso ovviamente ha più peso nella band e il suo lavoro in studio è stato eccellente. Nel caso di Robin Ognedal, si parla di un nuovo membro a tutti gli effetti. Il nostro precedente chitarrista, Øystein Landsverk, già da un paio d’anni stava perdendo interesse, a causa di alcune priorità che si erano rafforzate nella sua vita. Voleva dare più spazio alle esigenze famigliari, alla sua carriera lavorativa, sapevamo già da qualche tempo che avremmo dovuto rimpiazzarlo. Non è stato facile dopo tutto questo tempo e tutto quello che ha fatto per il gruppo. Fortunatamente, Robin si è rivelato un eccellente sostituto e si è occupato della maggior parte delle chitarre presenti in “Malina”.
A NOVEMBRE SARETE IN TOUR CON BAND NON CONOSCIUTISSIME IN AMBIENTI METAL. QUALI PENSI SARANNO LE REAZIONI DEL PUBBLICO, DI FRONTE A FORMAZIONI ABBASTANZA UNDERGROUND E PIUTTOSTO DIVERSE DA QUELLE CHE VI HANNO ACCOMPAGNATO IN PASSATO?
– Chi ci ascolta penso abbia la sana curiosità di scoprire qualcuno che magari prima non conosceva, sapendo cogliere in quello che sente anche alcune analogie che ci possono essere con quello che facciamo noi. Per come vivo la musica, è un piacere scoprire chi sono i gruppi di supporto e provare l’ebbrezza di andare alla conoscenza di musicisti prima a me sconosciuti. Chi ci accompagnerà questa volta in tour ha sicuramente dalla sua caratteristiche diverse da quelle di altre band che erano con noi in passato, d’altronde sono anche più affini a quello che è il suono di “Malina”. In ogni caso, Agent Fresco, Alithia e Astrosaur sono validissimi e nessuno rimarrà deluso.