LEPROUS – Non vi è nulla da espiare

Pubblicato il 02/09/2024 da

Procede a gonfie vele la carriera dei Leprous: sa “Malina” in avanti la band norvegese si è aperta a nuovi suoni e ha ampliato considerevolmente la platea dei suoi ascoltatori, raggiungendo pure l’invidiabile traguardo di non scontentare chi li aveva apprezzati come magniloquente macchina prog metal, fino all’acclamato “The Congregation”.
La svolta nel senso di un suono meno pressante, più aperto e contaminato, a partire da “Malina”, si è rivelata essere vincente sia sotto il piano meramente artistico, sia nel successo commerciale, perché negli ultimi anni i Leprous sono usciti dalla pur nobile nicchia del prog metal, per abbracciare un’audience quanto mai trasversale. Nel farlo sono andati a cercare nuovi equilibri, si sono spinti anche lontano dal metal, soprattutto nel penultimo “Aphelion”, eppure mai hanno tradito la propria identità. Al massimo, l’hanno aggiornata e arricchita.
E l’hanno fatto anche con l’ultimo “Melodies Of Atonement”, fresco di uscita, durante il quale abbandonano gli arrangiamenti con gli archi che tanto avevano contribuito al successo degli ultimi lavori, immettono grandi dosi di elettronica e, ciò che più conta, continuano a scrivere canzoni emozionanti e ricercate.
Abbiamo parlato di questa nuova fase nella vita del gruppo con il chitarrista Robin Ognedal, in line-up proprio da “Malina” e ormai una colonna portante della formazione.

“MELODIES OF ATONEMENT” RECUPERA ALCUNE CARATTERISTICHE DEL VOSTRO SUONO CHE ERANO STATE RIDOTTE PARECCHIO IN “APHELION”.
PER VOI IL CAMBIAMENTO È QUALCOSA DI NORMALE, QUESTA VOLTA È COME SE AVESTE VOLUTO TORNARE A QUALCOSA DI PIÙ FACILE DA COMPRENDERE, MENTRE “APHELION” ERA PER ALCUNI ASPETTI ABBASTANZA CRIPTICO E NIENT’AFFATTO IMMEDIATO.
QUALI SONO LE PRINCIPALI RAGIONI DELLA PROSPETTIVA SONORA DI “MELODIES OF ATONEMENT”?

– Non abbiamo deciso preventivamente di attuare particolari modifiche al nostro suono per il nuovo disco, eccetto per il fatto che non volevamo avere in questo caso arrangiamenti di strumenti ad arco. Sicuramente violoncello e violino hanno dato una forte caratterizzazione ai nostri ultimi album, per “Melodies Of Atonement” sentivamo la necessità di fare qualcosa di differente e di staccarci dalle coloriture dateci di recente dagli archi.
A parte questo, non siamo stati a interrogarci se volessimo un disco più commerciale, più heavy o chissà cos’altro. Abbiamo iniziato a scrivere la musica senza porci troppi interrogativi.

AVETE PERCEPITO, CON “APHELION”, DI ESSERE ARRIVATI A UN SUONO MOLTO ASTRATTO E CHE IL PASSO SUCCESSIVO POTESSE ESSERE UN DEFINITIVO ALLONTAMENTO DAL METAL?
– Non ci siamo mai preoccupati granché di essere considerati più o meno metal, i nostri ascolti spaziano in ogni dove, anche molto lontani dal metal. In quello che facciamo si possono trovare riferimenti al metal, ce ne sono sicuramente molti, per altri punti di vista facciamo cose che stanno lontane dal metal. È la nostra identità, è quello che facciamo.

LE CHITARRE SONO TORNATE AD ESSERE ABBASTANZA HEAVY, RIAVVICINANDOVI A UN SUONO METAL CHE IN “APHELION” SI ERA UN PO’ DISSOLTO. AVETE PROPRIO SENTITO QUESTA NECESSITÀ, DI AVERE DI NUOVO LE CHITARRE PIÙ CENTRALI?
– Non abbiamo sentito una necessità particolare né, come ho già detto, c’è stata alcuna pianificazione precisa di come avrebbe dovuto suonare il disco. Certamente abbiamo discusso tra di noi su quali fossero le nostre priorità attuali per questo lavoro e abbiamo convenuto che volevamo si sentisse il nostro suonare assieme, che emergesse come suoniamo assieme, invece che dare più attenzione a molte stratificazioni sonore, o agli arrangiamenti, le orchestrazioni… Abbiamo due chitarristi nella band, li abbiamo valorizzati e si è cercato di far emergere in generale le nostre qualità strumentali e come si uniscono a formare il suono dei Leprous.

“MELODIES OF ATONEMENT” È PIÙ LINEARE E CATCHY DI “APHELION”, RICORDANDO PARZIALMENTE SOTTO QUESTO ASPETTO “MALINA”. VOLEVATE ESSERE IN EFFETTI PIÙ DIRETTI E ORECCHIABILI, E POTER SCRIVERE QUALCHE POTENZIALE SINGOLO?
– No, non abbiamo voluto per forza andare in quella direzione. Non ci sono state decisioni in quel senso. Ribadisco, non c’era l’intenzione da parte nostra di voler fare per forza un certo tipo di album, di perseguire per forza una determinata direzione stilistica.

PER “APHELION” AVETE LAVORATO IN MODO DIVERSO DAL PASSATO, A CAUSA DELLE RESTRIZIONI DOVUTE ALLA PANDEMIA. PER “MELODIES OF ATONEMENT” SIETE TORNATI AI METODI DI SCRITTURA PRECEDENTE, OPPURE AVETE INTERAGITO TRA DI VOI IN MODO SIMILE A QUANTO AVVENUTO PER “APHELION”?
– Siamo tornati sostanzialmente a fare le cose come le facevamo prima del periodo del Covid.
Avevamo stavolta una cartella condivisa dove ognuno di noi era libero di aggiungere le sue idee, fossero state vecchie canzoni, riff, melodie, qualsiasi cosa gli sembrasse opportuna. Una volta arrivati a un punto dove ci sembrava di avere tanto materiale tra cui scegliere, Einar ha iniziato a fare una selezione di quanto disponibile. Ha iniziato ad arrangiare alcune cose, finirne altre, infine ha stilato una lista delle possibili canzoni per il disco, ed erano molte di più di quelle che poi sono effettivamente finite nella tracklist definitiva. Da lì abbiamo preso diverse parti di quei pezzi che avevamo in bozza, abbiamo ridotto le possibili opzioni e infine siamo andati a lavorare sui brani che erano venuti fuori da questo lavoro di taglia-e-cuci. Nella fase conclusiva si è andati a rifinire le parti strumentali.

COME MI HAI GIÀ DETTO, IN “MELODIES OF ATONEMENT” AVETE RINUNCIATO ALLE ORCHESTRAZIONI, CHE ERANO STATE MOLTO IMPORTANTI TRA “MALINA” E “APHELION”. QUAL È IL MOTIVO PRINCIPALE DI QUESTA SCELTA?
– Volevamo essere più concentrati su quello che suoniamo noi cinque, invece di spostare l’attenzione su qualcosa che non suoniamo noi direttamente. Il come suoniamo assieme e il risultato di questa fusione di strumenti doveva essere al centro dell’album, con meno attenzione rivolta ad altro che non fosse quanto suonato da noi cinque. Non volevamo che quello che suoniamo finesse in qualche maniera per essere ‘nascosto’ da grandi arrangiamenti e altri strumenti.
Ci sembrava che i nostri ultimi album iniziassero ad avere troppe similitudini, per via degli archi, e allora abbiamo deciso che era venuto il momento di fare qualche cambiamento in tal senso.

L’ELETTRONICA NON È QUALCOSA DI NUOVO PER VOI, MA IN “MELODIES OF ATONEMENT” È PROBABILMENTE PIÙ IMPORTANTE CHE MAI. QUALI SONO GLI ARSTISTI DI ELETTRONICA CHE VI HANNO ISPIRATO E QUALE TIPO DI DIALOGO AVETE IMMAGINATO TRA L’ELETTRONICA E GLI ELEMENTI METAL E ROCK DEI LEPROUS?
– Gli artisti che più ci hanno ispirato per l’uso dell’elettronica sono probabilmente i Massive Attack, anche se non sono gli unici. Ascoltiamo tutti e cinque tanta musica diversa e mi viene difficile essere più preciso su quello che ha indirizzato l’elettronica nel nuovo album.
Ultimamente ci siamo interessati alle possibilità date dai campionamenti sonori, questi e l’elettronica sono entrati nella musica dei Leprous per “Melodies Of Atonement” in modo piuttosto facile. Si pensa che ci sia chissà quale ragionamento dietro la nostra musica, in verità molto spesso ci viene in mente di usare questo o quest’altro tipo di suono e lo inseriamo senza troppi sforzi nel tessuto strumentale più propriamente rock o metal che suoniamo.
Tentiamo, proviamo una cosa, vediamo se funziona, la modifichiamo, oppure la scartiamo, ne proviamo un’altra, e avanti così. È un grosso lavoro di collezione e fusione di idee, finché non si arriva a una forma che ci soddisfa.

COME SI CONNETTE L’IMMAGINE DI COPERTINA ALLE TEMATICHE DEL DISCO? È UNA RIELABORAZIONE E ADATTAMENTO DI UNA FAMOSA FOTOGRAFIA, PUOI RACCONTARCI MEGLIO COME AVETE SCELTO QUESTA IMMAGINE PER LA COPERTINA?
– Volevamo qualcosa di microscopico, perché in effetti la copertina è la foto di qualcosa ingrandito al microscopio e ci sembrava un buon modo per riassumere quale fossero le caratteristiche sonore del disco.
Voglio dire, con la copertina poniamo l’attenzione su noi come band, il modo di lavorare in sala prove, che è stato se vogliamo una specie di ritorno alle origini. Nulla di grandioso, nessun grande arrangiamento, nessuna ricerca di un suono stratificato e dalle tante facce, solo noi cinque e i nostri strumenti che suonano assieme e formano il ‘Leprous sound’.
Il procedimento di ricerca della foto di copertina è stato molto banale da parte nostra: siamo andati su un motore di ricerca e abbiamo cercato ‘foto al microscopio’. Tra le tante saltate fuori siamo arrivati a questa. Abbiamo contattato il suo autore, che è un professore universitario tra l’altro, gli abbiamo spiegato l’uso che intendevamo farne, e così abbiamo ottenuto la cover di “Melodies Of Atonement”.

UNA CANZONE COME “LIKE A SUNKEN SHIP” PARE PROPRIO RIAFFERMARE LA VOSTRA POTENZA METAL, PERCHÉ IN QUESTO CASO LE CHITARRE SONO DAVVERO MASSICCE, DENSE, E IN ALCUNI MOMENTI SUONATE PROPRIO VIOLENTI E PESANTI COME NON ACCADEVA ALMENO DAI TEMPI DI “THE CONGREGATION”. COME È NATA E SI È SVILUPPATA QUESTA CANZONE?
– “Like A Sunken Ship” nasce da un giro di basso, quasi una linea di basso hip-hop. Effettivamente il nostro bassista si è proprio ispirato al suono di un gruppo hip-hop che ascolta, adesso non mi ricordo quale. Da lì la canzone è stata messa assieme abbastanza rapidamente, era praticamente finita già in fase demo, poi abbiamo solo cambiato leggermente la tonalità delle chitarre.
Perché suona così pesante? Su questo disco abbiamo cercato i nostri estremi, sia le parti più dure, che quelle molto leggere, per questo le fasi più heavy sono così realmente pesanti, e di converso quelle più dilatate hanno un’aria così fragile e pacata. Infatti in “Like A Sunken Ship” Einar arriva addirittura ad urlare: non volevamo limitarci, farci problemi sull’essere più o meno metal, oppure troppo leggeri. E così ci siamo lasciati andare ed è uscito un brano simile.

LA TRACKLIST SEMBRA LASCIARE ALCUNE DELLE CANZONI PIÙ SOFT PROPRIO SUL FINALE, MENTRE LA PRIMA PARTE È TENDENZIALMENTE PIÙ POTENTE E INCALZANTE. A COSA È DOVUTA QUESTA SCELTA?
– Tra le registrazioni e il missaggio finale avevamo diverse versioni di tracklist, abbiamo pensato un po’ a quale potesse essere la miglior chiusura possibile e alla fine non abbiamo scelto nei termini di un pezzo heavy o un pezzo soft, volevamo più che altro che la traccia di chiusura avesse un certo tipo di atmosfera, desse determinate sensazioni. E alla fine siamo arrivati a “Unfree My Soul”, ci è parsa la scelta migliore.

GLI ULTIMI DISCHI, DA “MALINA” IN AVANTI, VI HANNO SICURAMENTE PORTATO ALL’ATTENZIONE DI UN PUBBLICO PIÙ AMPIO DI QUELLO DEI PRIMI LAVORI E HANNO ALLARGATO LA PLATEA DEI FAN ANCHE A CHI DI NORMA NON ASCOLTA METAL.
A TUO AVVISO CHE COSA HANNO COLTO QUESTI ASCOLTATORI DI DIVERSO, QUALI LE CARATTERISTICHE CHE VI HANNO PERMESSO DI ALLARGARE COSÌ TANTO IL VOSTRO PUBBLICO DI RIFERIMENTO?

– Si sono ampliati i nostri gusti musicali, l’aver allargato i nostri orizzonti ci ha portati ad ampliare di conseguenza anche il modo in cui scriviamo la musica. Nuovi suoni, nuove dinamiche, scelte di produzione diverse, siamo usciti dai confini del progressive metal, dentro i quali eravamo incasellati coi primi album.
Non usiamo più, o lo facciamo molto meno di prima, alcune soluzioni sonore prettamente metal, tipo una distorsione sempre molto forte delle chitarre o il trigger alla batteria: sono cose del passato. Anche lo stile batteristico si è evoluto, usiamo pattern più ampi e slegati dal metal e dal rock a volte.
Ma la cosa più importante è il songwriting, siamo molto più focalizzati su noi stessi, senza stare a guardare cosa fanno gli altri. Quando eravamo conosciuti come progressive metal band ci capitava di stare attenti alle tendenze in quel settore, a cercare magari di fare qualcosa di simile ad altri. Ora questo non succede più da tempo. Prima c’era anche il desiderio di stupire, di mettere tantissime idee in una singola canzone per far vedere cosa sapessimo fare.
Adesso ci concentriamo semplicemente sullo scrivere un’ottima canzone, senza ulteriori pensieri a condizionarci. I nostril brani sono da qualche anno più accessibili, lo stesso accade anche per i testi. Insomma, ci sono diverse ragioni che hanno portato ad avere sempre nuovi fan interessati alla nostra musica.

A VOLTE CONSIDERIAMO IL CAMBIAMENTO TRA “THE CONGREGATION” E “MALINA” COME QUALCOSA DI RIVOLUZIONARIO. MA SE ASCOLTIAMO, AD ESEMPIO, UN BRANO COME “PASSING”, DA “TALL POPPY SYNDROME”; CI ACCORGIAMO CHE GIÀ ALLORA C’ERANO INGREDIENTI CHE SI SAREBBERO RIPROPOSTI PARECCHI ANNI, COME A DIRE CHE ALCUNI CARATTERISTICHE IDENTITARIE SONO POI SEMPRE LE STESSE.
SECONDO TE QUALI SONO I PRINCIPALI PUNTI IN COMUNE TRA TUTTI I VOSTRI DISCHI, DAL PRIMO FINO AD OGGI?

– Non saprei, da un punto di vista strettamente sonoro forse non ci sono chissà quanti punti comuni tra quanto i Leprous suonavano agli inizi e quanto fanno oggi. Ritrovo invece più similitudini nel modo in cui affrontiamo l’attività della band e come lavoriamo.
Oggi come allora pensiamo solo e soltanto a fare il nostro meglio senza pensare a come verrà accolta la nostra nuova musica, se venderà, quali commenti potrà suscitare. Creiamo la musica che ci piace, quella che vogliamo noi, senza alcun condizionamento esterno. Questo modo di vedere l’attività della band è rimasto intatto. Musicalmente, invece, faccio fatica a trovare qualcosa che sia rimasto immutato nel tempo. Similitudini vere non ne vedo, sono sincero. Eccetto probabilmente la voce di Einar, anche se ritengo che adesso canti decisamente meglio di quanto non facesse quando era più giovane.

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