Abbandonati i tuoni, i fulmini, le saette, la dirompenza sfavillante della prima parte di carriera, conclusa coi fasti di “The Congregation”, i Leprous degli ultimi dischi sono consegnati ad atmosfere indistinti e ovattate, di forte appeal come ciò che le aveva precedute. E andando ancor più in una direzione di ombrosa delicatezza, ecco che “Aphelion” provvede nuovamente a spiazzare, a incuriosire, godere ma forse anche interrogarci. Perché a differenza di “Malina” e “Pitfalls”, molto è sfuggente ed ermetico, racchiuso in un bozzolo di inventiva ed eleganza, dal quale le emozioni sono distillate in modo tale da non essere immediatamente comprensibili. Dopo innumerevoli ascolti e riflessioni, è come se rimanessero ancora infiniti segreti da svelare nell’ultimo album di Einar Solberg e compagni. E non può che essere un complimento, perché come minimo ci costringe a fermarci e distogliere l’attenzione da altro che non siano le melliflue, levigatissime musiche di “Aphelion” e il suo conturbante serpeggiare tra violoncelli, sintetizzatori, lamentose linee vocali e chitarre oramai cornice, scuro sfondo a un’avventura sonora che non ne vuole sapere di arenarsi in pericolose secche creative. Come nel passato, il mastermind ci racconta nei dettagli la genesi del disco e fa il punto della situazione in casa dell’affermata formazione norvegese.
DI NUOVO UN’USCITA AGOSTANA, COME PER “MALINA” ANCHE “APHELION” GIUNGE A NOI ALLA FINE DEL MESE DI AGOSTO. UNA COINCIDENZA O UNA MOSSA VOLUTA?
– Una pura coincidenza. Inizialmente volevamo pubblicare un EP, poi ci siamo trovati con più materiale e abbiamo preferito far uscire un nuovo album. Sarebbe dovuto essere pubblicato prima, purtroppo i tempi si sono dilatati per via del Covid. Anche se in effetti in passato ci è già capitato di far uscire dischi in estate, di solito ci dedichiamo al songwriting nei mesi invernali.
COME SIETE PASSATI DALL’IDEA DI UN EP A QUELLA DI UN INTERO DISCO? A COSA È DOVUTO QUESTO CAMBIO DI PROGRAMMA? COME HA INFLUITO IN QUESTO SENSO L’EMERGENZA SANITARIA?
– Eh, la situazione dettata dal Covid ha pesato parecchio in questo caso. Diciamo che abbiamo lavorato in maniera molto ‘intuitiva’, senza grandi sovrappensieri su come avrebbe dovuto suonare l’album. Abbiamo adottato un metodo di lavoro molto libero in questa occasione. Abbiamo fatto quello che volevamo nei tempi che volevamo, visto che non avevamo scadenze pressanti.
RIGUARDO ALLA VARIETÀ DELLE COMPOSIZIONI, LEGGO CHE SONO STATE REGISTRATE IN TEMPI DIVERSI E IN STUDI DIVERSI. È STATO DIFFICILE METTERE ASSIEME TUTTI I TASSELLI E ARRIVARE A UN PRODOTTO FINALE CHE AVESSE UNA SUA LINEARITÀ E SCORRESSE SENZA PROBLEMI?
– Guarda, una volta che abbiamo terminato di scrivere e suonare le nuove canzoni non ci siamo fatti troppe domande su come avrebbe suonato la musica, messa tutta assieme. Abbiamo mandato tutto quanto ad Adam Noble, che si è occupato del missaggio e in quel contesto penso che sia riuscito a dare una specie di filo conduttore alle tracce, dargli una specie di groove comune a tutte quante. Anche sulla scelta della tracklist non abbiamo speso chissà quanto tempo. La mia impressione è quella di ascoltare un disco molto sciolto e libero, dove ogni canzone vive di vita propria, senza grandi legami con le altre.
PENSO CHE “APHELION” SIA PIUTTOSTO DIVERSO DA “PITFALLS” E, A DIFFERENZA DI QUEST’ULTIMO, SI FACCIA PIÙ FATICA A ENTRARE NEL SUO MOOD E A CAPIRLO APPIENO AI PRIMI ASCOLTI. LO STESSO “MALINA” ERA PIÙ CATCHY DI QUEST’ULTIMO DISCO. HAI ANCHE TU QUESTA IMPRESSIONE, DI UNA MAGGIORE DIFFICOLTÀ NEL TROVARE LA CHIAVE DI LETTURA DI “APHELION”?
– Non saprei. Abbiamo lasciato perdere qualsiasi pensiero di questo tipo, abbiamo scritto la musica che ci piaceva e l’abbiamo incisa. Nient’altro. Certo, in “Malina” e “Pitfalls” vi erano probabilmente più canzoni, diciamo, da ‘hit’ o da singolo; cose tipo “From The Flame” e “Stuck”, oppure “Below” e “Alleviate”. Corrispondente a questa tipologia abbiamo forse soltanto “Castaway Angels”, all’interno di “Aphelion”. È comunque una cosa che sapevamo, quella che il disco non avrebbe avuto quel ‘flow’, quel concatenarsi naturale tra le canzoni, che avevamo in passato. “Aphelion” è un album dove ogni canzone sta per conto suo, è un ‘song-by-song album’. È venuto fuori in questo modo. Altri nostri dischi scaturivano da un unico, più grande, processo compositivo che racchiudeva e dava una certa conformazione a tutte le tracce. In questo caso, ogni brano è il risultato di un processo compositivo proprio, che non ha nulla a che vedere con gli altri. Ritengo che l’accessibilità e la facilità di ascolto dipendano tantissimo dal singolo individuo. Ogni persona che ascolti “Aphelion” avrà la sua precisione opinione sui suoi contenuti e sarà diversa da quella di un altro.
RIGUARDO LA PARTECIPAZIONE DI RAPH WEINROTH-BROWNE (VIOLONCELLISTA CANADESE, COLLABORA CON LA BAND DA “MALINA”, NDR) ALLE REGISTRAZIONI, VORREI CHIEDERTI SE SECONDO TE, VISTO QUANTO È STATO DETERMINANTE IL SUO APPORTO NEGLI ULTIMI VOSTRI DISCHI, LO SI POSSA IDENTIFICARE COME UN SESTO MEMBRO EFFETTIVO DEI LEPROUS. È DIFFICILE ORMAI RITENERLO SEMPLICEMENTE UN OSPITE, A MAGGIOR RAGIONE ASCOLTANDO QUANTO HA SUONATO SU “APHELION”?
– Se Raph vivesse in Norvegia, penso sarebbe un membro a tempo pieno del gruppo. Mentre, considerando che abita in Canada, dal punto di vista logistico sarebbe impossibile per lui lavorare a stretto contatto con noi. Mentre può essere con noi per i tour e gli album.
IN TOUR, COME APPREZZATO DURANTE I CONCERTI A SUPPORTO DI “PITFALLS”, MOSTRA UNA FORTE PARTECIPAZIONE, COMPORTANDOSI DA VERO METALHEAD, QUANDO STA SUONANDO…
– Vero, è così, infatti a volte, scherzando, lo definisco l’unico metallaro del gruppo. In lui si trova una straordinaria combinazione di abilità tipiche del musicista classico e una sensibilità ritmica proveniente, invece, da contesti rock e metal. Raph sa suonare bene molti strumenti, ad esempio è molto più bravo di me a suonare le tastiere, per dire. Può anche mettersi alla batteria, a suonare il basso… Ha un talento multiforme, applicabile a diversi contesti.
IL PRODUTTORE È LO STESSO DI “PITFALLS”: CHE VANTAGGI HA PORTATO QUESTO ASPETTO, IL POTER COLLABORARE NUOVAMENTE CON ADAM NOBLE, CHE AVEVA GIÀ LAVORATO CON VOI SUL DISCO PRECEDENTE E SAPEVA GIÀ CHE TIPO DI IMPOSTAZIONE INTENDEVATE DARE AL LAVORO?
– Anche se forse con “Aphelion” il suo è stato più un apporto da responsabile finale del missaggio, che non quello del produttore a tutto tondo, devo dire che quando uscì “Pitfalls” mi accorsi che grazie a lui avevamo ottenuto un sound completamente nuovo. Non ti parlo della musica o del songwriting, intendo proprio la tipologia del suono: non era più un suono metal, con le chitarre molto avanti e imponenti, costantemente dominanti. È più, come dire, un stile contemporaneo di missaggio, lontano da quello classicamente rock. C’è una maggiore attenzione alle note basse e allo spazio tra i singoli strumenti, in misura notevolmente superiore a quello che accade nella maggior parte delle produzioni metal. Osservando cosa ci aveva dato per “Pitfalls”, abbiamo deciso di lavorare con Adam anche per “Aphelion”.
PROPRIO A LIVELLO DI SOUND, DOVE RINTRCCERESTI LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA “PITFALLS” E “APHELION”? DAL MIO PUNTO DI VISTA, MI PARE CHE CI SIA UNA CERTA DIFFERENZA NEL RUOLO DELLE CHITARRE: IN “PITFALLS”, NONOSTANTE LA MINOR DISTORSIONE RISPETTO ALLE USCITE PRECEDENTI, ERANO ANCORA CENTRALI E PREDOMINANTI NEL DETTARE LE LINEE GUIDA DEI BRANI. STAVOLTA, IL RUOLO DI STRUMENTO PRINCIPALE È LASCIATO ALLE TASTIERE O AGLI STRUMENTI AD ARCO, LE CHITARRE FANNO PIÙ DA SFONDO, AMBIENTAZIONE…
– Credo sia un’impressione derivata dalla nostra volontà di non usare le chitarre in modo tradizionale, secondo la normale impostazione rock/metal. Avere un muro di chitarre sempre in primo piano limiterebbe la nostra espressività e il dinamismo della musica. La maggior parte delle sezioni del nuovo album ha delle chitarre al suo interno, ma sono molto rilassate e quiete, quasi ambient in alcuni punti. Utilizziamo arrangiamenti che non implicano più il dover suonare sempre tutto. Se tutti gli strumenti continuassero a suonare per l’intera durata di una canzone, avremmo poco spazio per far respirare il brano come dovrebbe, gli toglierebbe dinamiche fondamentali. Negli ultimi album ci siamo orientati a un tipo di composizione derivata dalla musica classica. Nella musica classica, ci sono strumenti che magari suonano dieci secondi in tutto, e non si sentono per il resto del tempo. Ci può essere necessità che con uno strumento si esegua una singola lunga nota, e poi questo taccia per tutto il resto della canzone. Una volta non ci preoccupavamo di questo aspetto, tutti suonavamo per l’intera durata di un brano, ci sembrava normale farlo. Non che prima non ci fosse dinamismo, ma questo era dato da forti e bruschi cambi di tempo, mentre adesso andiamo costruendo con lentezza le atmosfere e le strutture delle canzoni, attraverso climax molto moderati. Ed è appunto un modo di comporre che guarda più alla musica classica che al rock.
PER QUANTO RIGUARDA I TESTI, MI PARE CHE ANCHE IN QUESTO CASO, COME PER “PITFALLS”, VI SIATE CONCENTRATI SU SENTIMENTI DI ANSIA, DEPRESSIONE, ANGOSCIA. POSSIAMO PENSARE A UNA PROSECUZIONE DI QUANTO RACCONTATO IN “PITFALLS”, OPPURE VI SIETE APPROCCIATI AI MEDESIMI TEMI SECONDO UNA PROSPETTIVA BEN DIVERSA?
– Il punto di vista questa volta è differente, sì. Racconto sempre nei testi qualcosa che mi ha segnato nella mia vita personale, qualcosa che ha lasciato il segno nel periodo in cui mi sono trovato a scrivere i testi. Non scrivo, ovviamente, di fatti piccoli, avvenuti nel quotidiano, piuttosto mi concentro su tematiche più vaste, che penso possano essere più interessanti e coinvolgenti. Per quanto riguarda ansia e stati di depressione, nel periodo focalizzato sulla stesura di “Aphelion” sono arrivato a un’accettazione dei miei problemi. Adotto tecniche che mi consentono di convivere coi miei problemi e non farmi dominare da essi. Il mio approccio al problema è orientato alla sua soluzione, o almeno alla sua sopportazione, ed è una grossa differenza rispetto al periodo in cui stavo lavorando a “Pitfalls”.
PER QUEL CHE È STATO IL TUO MODO DI VIVERE QUESTO PERIODO, PER LE EMOZIONI PROVATE, PENSI CHE LA SITUAZIONE CREATA DAL COVID ABBIA DETERMINATO IN MODO DECISIVO IL MODO IN CUI “APHELION” SUONA?
– Guarda, i miei problemi personali sono qualcosa che nasce dentro di me, non sono così legati alla situazione esterna, all’ambiente. Non ho particolari reazioni a quello che può accadere nel mondo e non assume chissà quale rilevanza per la musica dei Leprous. Quando è arrivato il Covid e si è creata questa situazione di immobilismo e impossibilità di andare in tour, abbiamo semplicemente pensato fosse l’occasione per metterci a scrivere altra musica. Non ci siamo fatti schiacciare da ipotesi catastrofiste su quello che avrebbe potuto comportare sulle nostre vite. Certo, qualche testo ha subito una leggera influenza da quello che stava succedendo, questo non lo nego, ma non posso nemmeno dire che vi sia stata un’influenza così forte sul nuovo materiale.
NON POTENDO ANDARE IN TOUR, VOI SIETE TRA QUELLI CHE HANNO SFRUTTATO IL PIÙ POSSIBILE L’OPPORTUNITÀ DEI LIVE STREAMING. VOLEVO CHIEDERTI QUANTO SONO STATI UTILI PER VOI E SE AVETE SCOPERTO, PERCHÉ NO, QUALCOSA DI DIVERSO SU DI VOI E SUL VOSTRO MODO DI SUONARE, DOVENDOLO FARE IN UN CONTESTO COSÌ DIFFERENTE DA QUELLO DI UN ABITUALE CONCERTO.
– Da un punto di vista economico, ci ha consentito di limitare le perdite. Come musicisti, ha consentito di mantenere una certa visibilità e di tener vivo il nostro essere band, il lavorare assieme. Inoltre, così abbiamo mantenuto il nostro affiatamento, abbiamo continuato a tenerci attivi e non abbiamo perso la nostra fluidità nel suonare assieme. I nostri show sono stati spesso ibridi, ovvero avevamo qualcuno in sala con noi ad assistere e vi era poi tutta la platea virtuale. Ci siamo abituati in fretta a questa circostanza, ci siamo sentiti a nostro agio e sono generalmente contento di come i live streaming si sono svolti.
PER IL TITOLO DEL NUOVO ALBUM, “APHELION”, QUALI SONO LE RAGIONI DI UN TITOLO SIMILE E COME SI PUÒ COLLEGARE ALL’IMMAGINE DI COPERTINA?
– Il titolo è una metafora rappresentante il periodo vissuto, l’essere allontanati dalla luce per rimanere nell’oscurità. La copertina rimanda a sua volta alla situazione di lockdown, l’essere chiusi nella propria stanza senza poter sfruttare la bellezza del mondo all’esterno. Allo stesso tempo, penso che anche in una situazione simile in tanti non si siano fatti schiacciare, non abbiamo semplicemente subito ma abbiano fatto tutto il possibile per reagire e non essere abbattuti. C’è chi è riuscito a usare la sua creatività per volgere a suo vantaggio quella situazione. Noi stessi abbiamo cercato di adattarci, di non stare a recriminare sui concerti che non potevamo suonare e di occuparci di attività prima tralasciate. In un primo tempo, addirittura, volevamo intitolare l’album “Adapt”, per sottolineare questo aspetto, il doversi adattare alle condizioni di vita di quel momento per cercare comunque degli aspetti positivi.
DI TUTTE LE CANZONI DEL NUOVO DISCO, CE N’È QUALCUNA A CUI SEI PIÙ AFFEZIONATO PER QUALCHE MOTIVO?
– Potrebbero essere “All The Moments” e “Running Low”. Per la seconda, mi sono trovato a scriverne una prima bozza mentre ero a fare trekking nel Telemark. È stato buffo fare una prima stesura, molto elementare, in queste condizioni, direttamente dalla tastiera del mio smartphone. Quando siamo entrati in studio, non avevamo pensato di porla all’inizio della tracklist, la scelta in quel momento sembrava ricadere su “Castaway Angels”. La canzone è stata registrata una sezione per volta, non per intero. Abbiamo messo assieme tutte le parti solo qualche tempo dopo, aggiungendoci alcuni strumenti, come il pianoforte. A quel punto abbiamo cambiato idea e deciso di aprire “Aphelion” con “Running Low”. Mi piace molto perché è proprio un esempio di canzone dal sound differente, che stacca di molto con quello che ci si è soliti attendere dai Leprous.
DA “MALINA” AD OGGI VI SIETE ALLONTANATI DA UN APPROCCIO PROG METAL ALLA MUSICA E, PIÙ IN GENERALE, VI SIETE TENUTI SEMPRE PIÙ DISTANTI DA DINAMICHE PRETTAMENTE METAL. VOLEVO SAPERE SE CIÒ DERIVA SOLO DAL DESIDERIO DI SUONARE DIVERSAMENTE, OPPURE VI È ANCHE UNA DISAFFEZIONE, COME ASCOLTATORI, DAL METAL E DAL PROG?
– Anche in passato non sono mai stato così ‘fissato’ col prog metal, mi piace ma non è mai stato così centrale nei miei ascolti, né ho mai inteso inquadrare i Leprous per forza in quel genere. Non abbiamo mai voluto limitarci e rimanere per forza in quel filone. Ritengo che oggi facciamo tante cose che possano rientrare nel prog metal, ma difficilmente chi ci ascolta ritiene che riguardino quel tipo di suono. Allo stesso tempo, non mi pare che “The Congregation” o “Coal” siano da ritenersi dei tipici prog metal album. Per definire cosa mi rappresenta un certo tipo di musica, guardo sempre alle emozioni che mi suscita, più che alla distorsione delle chitarre o alla potenza del suono. Ci sono album prog metal potentissimi dove la musica è in fondo molto felice, positiva, e ci sono gruppi pop dal suono molto depresso. Sono più affezionato alle atmosfere descritte, che non al suono in sé.
GUARDANDO AI VOSTRI PROGRAMMI FUTURI, AVETE PIANIFICATO UN TOUR VERSO LA FINA DELL’ANNO PER FESTEGGIARE IL VENTENNALE DI ATTIVITÀ. IN ITALIA È PREVISTA UNA SOLA DATA, AL LIVE MUSIC CLUB DI TREZZO SULL’ADDA, A METÀ DICEMBRE. VOLEVO SAPERE SE PUOI ANTICIPARCI QUALCOSA SU QUELLO CHE ANDRETE A PROPORRE IN QUESTO TOUR CELEBRATIVO.
– Sarà un tour speciale, affronteremo una scaletta molto diversa dal solito, specifica per questo tour. Sarà una setlist cronologica, andremo a toccare tutte le tappe della nostra carriera fin qui. Andremo a proporre anche cose risalenti a prima del nostro primo demo, addirittura, per risalire fino a quello che siamo adesso. Come scenografia ed effetti, non utilizzeremo nulla di così vistoso o ingombrante, vogliamo che l’attenzione sia tutta sulla musica. Ci saranno delle proiezioni di video che racconteranno la storia del gruppo, forse parleremo un po’ più del solito, ma l’attenzione sarà soprattutto sulla musica e sul percorso che ci ha condotto dove siamo adesso.