LINKIN PARK – Projekt: Revolution

Pubblicato il 22/06/2007 da

Dieci anni di attività, sei elementi, molteplici stili, diciannove milioni di copie vendute, un raro disco di diamante per dieci milioni di copie solo negli States. I Linkin Park sono un gruppo rock di riferimento per la scena mondiale, e benché relegati spesso al ruolo di macchietta o di fenomeno per adolescenti, i giovani musicisti hanno diviso il palco coi grandi e sono da poco stati headliner ad uno dei festival metal più importanti del mondo (il Download Festival). Un fenomeno che si è fatto sentire pesantemente anche nelle classifiche italiane, dove rarissimamente un rock album si materializza al primo posto. Parlando strettamente di musica, con “Minutes To Midnight” i Linkin hanno centrato anche collaborazioni di rilievo, lavorando con il guru Rick Rubin e allontanandosi dal sepolto fenomeno del nu metal. Può non bastare per raggiungere il mastermind Mike Shinoda e il riccioluto chitarrista Brad Delson in un lussuosissimo hotel milanese?


INIZIAMO PARLANDO DEL DISCUSSO VIDEO PER “WHAT I’VE DONE”…
MIKE: “L’album, a livello di liriche come a livello di suoni, può funzionare a più livelli. I testi possono avere diverse interpretazioni. E’ il classico album che puoi ascoltare una prima volta, ma arrivando alla centesima riesci ad avere un’infinità di sfumature che non hai colto in precedenza. Così nel video, strutturato alla stessa maniera, ogni persona potrà ricevere uno stimolo e una vibrazione differente. So per esperienza che alla prima visone il video può turbare, ma suscita reazioni diverse in tutte le persone, e soprattutto fa reagire le persone in diversi momenti del filmato”.

COME DESCRIVERESTE L’ATMOSFERA GENERALE DELL’ALBUM?
BRAD: “Non si può certo definire brevemente. E’ un album dalla personalità mutipla, quasi schizofrenica! Abbiamo cambiato moltissime strumentazioni, tentato diversi settagli, le batterie addirittura penso che siano state registrate in dieci stanze diverse, in un totale di circa un anno e mezzo di lavorazione. Pensate che su ‘Meteora’ abbiamo fatto tutto in un solo studio. Non vi dico quante chitarre ho cambiato e quante soluzioni differenti ho provato. Tutto questo si riflette nella complessa diversità di ogni singola canzone”.

LA DIVERSITA’ E LA MATURITA’ DEL SUONO SONO FRUTTO DI DURO LAVORO O DI CRESCITA COME MUSICISTI?
MIKE: “Sicuramente di entrambe le cose. Appena entrati in contatto con Rick Rubin fu messo in chiaro che volevamo un album diverso da ‘Meteora’. Volevamo lavorare sulla personalità della band, così ecco il nuovo album: è sempre Linkin Park, ma è diverso. Continuare sulla scia di ‘Hybrid Theory’ e ‘Meteora’ sarebbe stato ripetitivo e ridondante. Cambiare è stata una sfida enorme e una grande motivazione: il gruppo ha risposto con una mole impressionante di lavoro, si parla di cento/centocinquanta demo, si è sperimentato con diversi suoni per scoprire quello che poteva o non poteva funzionare”.

LA PRODUZIONE E’ FIRMATA DAL MAESTRO RICK RUBIN, MA ANCHE MIKE E’ CITATO COME PRODUTTORE: CHE RUOLO HAI COPERTO ESATTAMENTE?

MIKE: “Prima ancora di iniziare la band mi diede in mano la produzione, con mio sommo piacere. Il mio ruolo è stato principalmente capire cosa ognuno di noi voleva inserire nell’album, per poi incanalare direttamete il messaggio al vero produttore del disco. Rick ci conosceva da un annetto, mentre sono ben dieci gli anni che legano i componenti del gruppo. Una cosa che mi sono posto come obiettivo, a livello di produzione, è di far risaltare le idee di ogni membro del gruppo, confluendole in un lavoro omogeneo. Per farvi un esempio, il nostro batterista Mike non aveva mai partecipato dall’inizio alla stesura di un pezzo, aveva sempre solo suonato le parti su idee degli altri. Questa volta lo abbiamo seguito noi tutti nella composizione di ‘The Little Things Give You Away’, ottenendo uno dei brani migliori del disco, e in contemporanea riempiendolo di soddisfazione. Ogni membro questa volta ha contribuito in maniera eguale”.

QUAL’E’ STATO IL MIGLIORE CONSIGLIO CHE VI HA DATO RICK RUBIN IN SEDE DI REGISTRAZIONE?
BRAD: “E’ stato convincerci che non c’era nessuna scatola dentro cui eravamo rinchiusi a livello creativo. Solo perché i nostri primi due dischi hanno avuto successo non ci saremmo dovuti in nessun caso costringere in alcuna barriera: Rick ci ha spinti in territori inesplorati e ci ha condotti alla sperimentazione. Da più di cento pezzi abbiamo scelto solamente i migliori”.

IL TITOLO DELL’ALBUM NON E’ PRESO DA NESSUNA CANZONE: DA DOVE PROVIENE?
MIKE: “Cercammo un titolo per mesi, fino ad arrivare ad una situazione davvero frustrante. Un giorno Chester stava guardando alla televisione, forse su Discovery Channel, un programma dove si parlava del ‘Doomsday Clock’, ovvero una rappresentazione dello stato del pianeta con una sorta di orologio immaginario che ci avrebbe portato alla fine catastrofica. Come ho detto precedentemente volevo un titolo che potesse essere letto a più livelli: basandoci su questo orologio abbiamo scelto ‘Minutes To Midnight’, che può avere valenza positiva o negativa a seconda della persona, può essere oscuro o positivo, a seconda di come uno vede il bicchiere come mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda di come ci si pone, come punto di partenza per la salvezza o come punto di arrivo verso lo sterminio. Nessun tributo intenzionale agli Iron Maiden!”.
BRAD: “Penso che io e Mike non ascoltiamo gli Iron Maiden dai tempi del liceo, quando dividavamo la stanza nel dormitorio! Gran gruppo in ogni caso. Come vedi è una delle molteplici interpretazioni che si può attribuire al titolo”.

VI SIETE ACCORTI CHE LA CANZONE “SHADOW OF THE DAY” E’ PERICOLOSAMENTE SIMILE AGLI U2?
MIKE: “Lo credi? La canzone è nata in maniera particolare: se in passato siamo partiti dal tappeto musicale, per ‘Shadow…’ siamo partiti dal testo e dalla linea vocale. E’ stata una grande sfida perché la canzone ha attraversato diverse incarnazioni, ed è stata interpretata con chitarra elettrica, chitarra acustica, piano… siamo addirittura arrivati a suonarla con un banjo, e credere che fosse il miglior arrangiamento possibile!”
BRAD: “Alla fine abbiamo optato per delle attrezzature vecchie, in un certo senso ‘vintage’, arrivando alla traccia su disco”.

E’ ANCORA POSSIBILE AI GIORNI NOSTRI SCOPRIRE COSE NUOVE MUSICALMENTE?
QUAL’E’ IL FUTURO DEL COSIDDETTO ‘NU METAL’?
MIKE: “Non ci siamo mai sentiti parte di quel club”.
BRAD: “Ai nostri esordi con ‘Hybrid Theory’ la stampa USA ci etichettava come rap-rock, in Europa nu-metal, e da altre parti avranno inventato altre definizioni. Certo abbiamo suonato con quei gruppi in molti concerti, tour, festival, abbiamo conosciuto e stimato i protagonisti del movimento, ma non ci siamo mai sentiti parte di esso. Venivamo da un altro background, e in ‘Meteora’ abbiamo tentato di mostrarlo, con canzoni come ‘Breaking The Habit’. Puoi immaginarti altri gruppi nu-metal fare una canzone del genere? Non ha senso. Ma la gente continuava ad etichettarci in quel modo. La sensazione, che stava diventando fastidiosa e rischiava di farci fare un disco ripetitivo, è stata trasformata in energia positiva, con la quale il gruppo ha prodotto una gran mole di lavoro ed è stata in grado di sperimentare. Ora se qualcuno vuole chiamarci nu-metal faccia pure, ma vorrebbe dire che abbiamo ridefinito l’intero genere, ed è sempre una cosa molto positiva”.

VI PIACE SUONARE ALL’INTERNO DI GRANDI MANIFESTAZIONI COME I FESTIVAL?
MIKE: “Adoro il concetto di festival che esiste nel Vecchio Continente, lo trovo imparagonabile con quello americano. In Europa c’è una grandissima varietà di stili e una maggiore apertura mentale, ed è stupendo come gli organizzatori riescano ad unire così tanti appassionati di musica. Abbiamo tentato di esportare questo modello negli US con il nostro Projekt Revolution Tour, ma non siamo nemmeno vicini alla cultura musicale europea”.

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