Nati nel 2005 a Chicago, i Locrian hanno alle spalle una discografia lunghissima e, soprattutto, variegata, tra album, EP, live e collaborazioni che spaziano dal drone, al noise, fino al post-metal ed al black metal.
Come è inevitabile che sia in una carriera così lunga e densa di pubblicazioni, può essere che qualche episodio sia meno a fuoco di altri, ma ciò che non è mai venuto meno è la voglia di trovare soluzioni non scontate e di usare la musica come messaggio, una sorta di monito, per farci capire che abbiamo imboccato una strada sbagliata e che ormai il tempo è contato.
Le ultime due uscite degli americani sono esplicative proprio da questo punto di vista: “New Catstrophism” dello scorso anno è un disco scarno e minimale, mentre il nuovo “End Terrain” ha un’anima più concreta e riporta a certe sonorità già utilizzate in passato.
Ne parliamo con il cantante e polistrumentista Terence Hannum, componente della band fin dai primi giorni della sua esistenza.
CIAO TERENCE, BENVENUTO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM.
SIETE SUL MERCATO DA MOLTI ANNI E LA VOSTRA CARRIERA E’ ORMAI VICINA AL VENTENNALE. COME SIETE CAMBIATI DURANTE TUTTO QUESTO TEMPO? COSA TI RICORDI DEI PRIMI GIORNI CON I LOCRIAN? COME E’ CAMBIATA LA SCENA MUSICALE NEL FRATTEMPO? HAI QUALCHE RIMOSRSO?
– Non sembra siano passati vent’anni! Direi che il cambiamento principale è che quando abbiamo iniziato eravamo in una sola città e ora siamo sparsi in tre diversi stati degli Stati Uniti. Quindi abbiamo dovuto adattare il nostro processo di scrittura e il modo in cui operiamo come band. Ora siamo in possesso di un sacco di cartelle digitali di riff e idee, e proviamo a riunirci per scrivere quando possiamo.
I nostri primi giorni come band eravamo solo io e Andre, e probabilmente avevamo una filosofia non molto ponderata, ossia quella di suonare qualsiasi cosa qualcuno ci offrisse; a volte non erano situazioni ideali. Stavamo davvero improvvisando molto, anche se facevamo pratica, era tutto troppo slegato. Ma registravamo e usavamo quelle registrazioni come un modo per migliorare, a volte le pubblicavamo anche. Penso che in un certo senso questo modo di lavorare ci abbia messo in contatto con gran parte della scena metal e noise.
Direi che il panorama della scena musicale odierna è qualcosa di completamente diverso, come un altro pianeta rispetto a quando abbiamo iniziato. Il nostro obiettivo era quello di avere i nostri CD menzionati nell’elenco inviato settimanalmente da Aquarius Records (San Francisco), ora il negozio non c’è più, l’elenco è sparito e i CD sono reliquie.
È strano, una band può avere una seconda vita da TikTok. È come se avessimo viaggiato nel tempo, l’abbiamo fatto, ma se qualcuno nel 2005 mi avesse parlato di oggi e dei prezzi dello streaming, di TikTok, di Bandcamp e dei vinili odierni, non ci avrei creduto.
SONO PASSATI SETTE ANNI TRA LA “INFINITE DISSOLUTION” E “NEW CATASTROPHISM”, MA SOLO DUE TRA QUEST’ULTIMO E “END TERRAIN”. PERCHÉ SIETE STATI COSÌ PROLIFICI NEGLI ULTIMI ANNI? C’È QUALCOSA CHE VI HA INVOGLIATO A SCRIVERE MUSICA?
– Beh, molto risale a prima della pandemia, dovevamo fare un nuovo disco e poi è scoppiato il finimondo. Ciò che è successo ci ha ostacolato molto, ma abbiamo continuato a lavorare su tracce e idee e abbiamo iniziato a capire cosa volevamo fare. Una volta che ci siamo potuti riunire tutti, sapevamo che volevamo realizzare un disco più minimale, “New Catastrophism”, e uno più arrangiato, “End Terrain”, come seguito. Penso che fosse il momento giusto e può sembrare che siamo stati prolifici, ma ci sono voluti anni per realizzare tutto. Siamo semplicemente felici di poterlo condividere in questo momento.
Amo scrivere musica, ho altri progetti diversi tra loro. Adoro anche creare con Andre e Steven, abbiamo un ottimo rapporto e una capacità di confrontarci fantastica. Penso che abbiamo una visione molto focalizzata, più incentrata sull’album, che ci aiuta a concentrarci sul nostro obiettivo creativo.
IN PASSATO AVETE COLLABORATO CON DIVERSE BAND O ARTISTI. C’È QUALCOSA IN PROGRAMMA?
– Sì. Non a breve ma sì. Presto saprete.
CHE COSA MI DICI DI “END TERRAIN ADDENDUM, VOL. 1: OUR DEAD AGE”. Ci PUOI PARLARE DI QUESTO PROGETTO?
– Questo è un audiolibro che ho pensato per essere pubblicato come cassetta. Ho scritto una breve raccolta di fantascienza per accompagnare l’album “End Terrain” e poi volevo realizzarla come un libro su nastro. Sul nastro ho mischiato le voci utilizzando la sintesi vocale AI con registrazioni sul campo, per guidare l’ascoltatore attraverso il libro, storia per storia.
È un’esperienza epica e fa parte di una serie, “End Terrain Addendum”, che incorporerà audio e immagini associati al disco.
DOPO MOLTI ANNI CON RELAPSE, AVETE CAMBIATO ETICHETTA E PUBBLICATO IL VOSTRO SECONDO ALBUM CON PROFOUND LORE. QUALI DIFFERENZE AVETE TROVATO? PERCHÉ AVETE DECISO DI CAMBIARE?
– Beh, avevamo lavorato con Profound Lore nella nostra collaborazione con Mamifer nel 2011 e Chris (Bruni, proprietario di Profound Lore, ndr) era sempre rimasto in contatto con noi; quell’album è stata un’esperienza che ci ha infuso coraggio. Anche dopo che avevamo firmato con Relapse, Chris ci teneva sempre sotto controllo. Dopo il Covid, i contatti sono un po’ rallentati.
Quindi, abbiamo registrato da soli “New Catastrophism” utilizzando, essenzialmente, i fondi che abbiamo guadagnato su Bandcamp in alcuni anni e da qui la nostra idea di realizzare, in un secondo momento, un album più ‘fan-oriented’. Ma il proposito iniziale è sempre stato quello di realizzare un disco più minimale ed uno più basato sulle canzoni. E quando ci siamo rivolti a Chris con “New Catastrophism”, ci ha letteralmente detto che l’avrebbe pubblicato solo se l’album successivo sarebbe stato realmente diverso. A quel punto eravamo tutti d’accordo.
Le due etichette sono molto diverse sotto alcuni aspetti e simili in altri, ma sostanzialmente in Profound Lore lavori solo con una persona mentre in Relapse hai a che fare con molta più gente.
AVETE PUBBLICATO UNA COVER DI UNA CANZONE DEI COIL, “SOLAR LODGE”, PER UN EP ALLA FINE DELL’ANNO SCORSO. COME VI E’ VENUTO IN MENTE DI FARLO? QUAL È IL SIGNIFICATO DI QUESTA CANZONE E DEI COIL PER VOI?
– I Coil sono stati una band estremamente importante per noi. Il loro approccio, le loro prolifiche pubblicazioni e la loro identità mutevole ci hanno ispirato. “Solar Lodge”, onestamente, è semplicemente divertente da suonare: era davvero adatta al ritmo e all’interpretazione di Steven. Questo genere lo ha cresciuto. I
l significato per me riguarda l’alchimia, il fatto di poter trasformare la merda in oro. Oppure l’oro nella merda. Oppure, ancora, si spera, oro in oro. Anche se non è proprio la definizione esatta della cover.
Terminavamo i nostri set nel nostro ultimo tour del 2016/2017 con questa canzone, quindi, quando siamo tornati di nuovo in studio, è stata la prima cosa che abbiamo fatto dopo “New Catastrophism”.
DOPO TUTTI QUESTI ANNI PENSI CHE LA VOSTRA MUSICA POSSA ANCORA ESSERE CHIAMATA ‘SPERIMENTALE’?
– Non credo, ma ripeto, sono letteralmente la persona peggiore a cui chiedere. Voglio dire, cosa significa sperimentale? Per me questo significa il processo, vale per una band come Matmos o qualcosa del genere, molto cerebrale nel modo in cui i suoni vengono generati o per la provenienza che hanno. Voglio dire, significa un modo non convenzionale di fare pop? Non lo so, forse “New Catastrophism” è abbastanza sperimentale rispetto a “End Terrain” ma non è neanche lontanamente sperimentale come Olivia Block o Oren Ambarchi.
D’altra parte, la mia playlist proprio oggi includeva Curtis Roads, Armand Hammer, The Sound e Civerous – probabilmente non sono la persona a cui chiedere. Quando faccio musica penso sempre di renderla interessante, di separarla dal resto, e come ascoltatore questo è ciò che mi attrae.
LA VOSTRA MUSICA E LE VOSTRE OPERE EVOCANO SEMPRE PAESAGGI APOCALITTICI E TERRIBILI SCENARI FUTURI. È LO STESSO ANCHE PER “END TERRAIN”? QUAL È IL CONCETTO CHE LEGA LE CANZONI? PERCHÉ AVETE COSÌ PAURA DELLA DIREZIONE CHE HA PRESO IL GENERE UMANO? PENSATE IN FUTURO DI POTER CAMBIARE ISPIRAZIONE E SCRIVERE TESTI POSITIVI?
– Beh, penso che per Locrian il concetto guida sia usare questo approccio quasi fantascientifico alla realtà. Lo scenario, sì, è apocalittico ma è proiettato nel futuro. Il concetto di “End Terrain” è più personale, ma rimane nel quadro delle nostre idee passate.
Per chiarire, sono un padre e in questo album scrivo attraverso i testi che, in un certo senso, i nostri eredi dovrebbero maledirci per come abbiamo lasciato il pianeta e questa è una motivazione importante. Direi che ho paura, per me il mondo ha ormai intrapreso una certa direzione, con o senza la mia paura, ma alla fine quest’ansia è presente. Credo di essere soprattutto fatalista, ma anche ispirato.
Per me questo aspetto è positivo, è così che sto affrontando questa enorme crisi: altri scelgono di ignorarla o pensano che non ne saranno colpiti, che sia una bufala o che il denaro e i privilegi li salveranno. Sono cresciuto in Florida, un perfetto esempio di dissonanza cognitiva: tutti vogliono vivere in paradiso ma nessuno vuole prendersene cura.
Per quanto mi riguarda, sono creativo, sono positivo, uso tutto il mio potere per focalizzare uno spiraglio di luce su questo peso schiacciante dell’estinzione umana. In questa stessa situazione, nel grande schema delle cose, così tante persone semplicemente seppelliscono la testa. Penso che gli unici meccanismi di ispirazione presenti nei miei testi derivino da J.G. Ballard, Jeff Vandermeer, Ursula Le Guin, Thomas Disch, William Gibson e Vladimir Sorokin.
LA VOSTRA MUSICA SEMBRA ESSERE SEMPRE SOTTO UN CERTO TIPO DI EVOLUZIONE E, COME PREVEDIBILE, “NEW CATASTROPHISM” E “END TERRAIN” SONO MOLTO DIVERSI L’UNO DALL’ALTRO. QUALI SONO LE PRINCIPALI DIFFERENZE TRA LORO DUE? COSA TI SPINGE A SCRIVERE SEMPRE QUALCOSA DI DIVERSO? VERSO COSA È DIRETTA QUESTA EVOLUZIONE?
– Penso che ci sentiamo semplicemente spinti a non ripeterci. Siamo come l’antimateria.
Trovo che la differenza principale sia che abbiamo fatto un disco con sonorità ridotte all’osso, sfidando davvero noi stessi a rallentare, a trascinare le cose, e questo è “New Catastrophism” ma anche l’album drone “Ghost Frontiers”, ma sapevamo fin dall’inizio che avremmo convertito queste energie in forza per creare canzoni vere e proprie, e da qui abbiamo realizzato “End Terrain”.
Sai, è una bella domanda, ho una capacità di attenzione breve e penso che si debba sempre evolvere il proprio suono. So che ci sono band che sono davvero brave a perfezionare qualcosa che hanno creato in passato e a lavorare su questo modello; da parte nostra, invece, penso che sia probabilmente una questione di irrequietezza, ma anche che possiamo immergerci concettualmente in un album e nei suoi temi e creare un mondo. Ed è quello che ci interessa, creare un mondo di suoni, un posto in cui puoi passeggiare.
Non so dove andrà a finire la nostra evoluzione, nessuno di noi ha in testa un qualsiasi piano generale.
COME ACCENNATO IN PRECEDENZA, AVETE COLLABORATO CON MOLTE BAND DIVERSE TRA LORO. C’È QUALCHE ALTRA BAND O ARTISTA CON CUI VORRESTE LAVORARE PER UN POSSIBILE NUOVO PROGETTO?
– Sicuramente; Clipping., Matmos, Aaron Dilloway, Marissa Nadler e Brian Eno.
COSA STAI ASCOLTANDO IN QUESTI GIORNI? C’È QUALCOSA DI NUOVO CHE CONSIDERI VERAMENTE INTERESSANTE?
– Un po’ di tutto: “Maze Envy” dei Civerous ha questi arrangiamenti atonali di archi che penso siano super accattivanti mescolati con il loro metal brutale. Adoro il nuovo album degli Zombi, “Direct Inject”.
Penso che i Facs di Chicago potrebbero essere uno dei gruppi rock più interessanti del momento.
Questa band shoegaze britannica, i Bdrmm, ha davvero fatto uscire un grande album intitolato “I Don’t Know”, che penso li faccia andare oltre la definizione shoegaze.
Mi è piaciuto molto questo rapper/produttore Knxwledge di Los Angeles, che penso stia creando ritmi davvero interessanti e vibrazioni pesanti.
ML Buch è probabilmente la chitarrista che mi piace di più in questo momento, il suo album “Suntub” è davvero interessante e rilassante.
Oltre a questo ascolto Comsat Angels e Judas Priest.
HAI IN MENTE QUALCOSA PER FESTEGGIARE IL VOSTRO VENTESIMO ANNIVERSARIO?
– Wow, vent’anni! Tenete gli occhi aperti, abbiamo delle idee. Comunque, giusto per dare una dimostrazione di come passano gli anni, il nostro primo spettacolo in assoluto è stato al The Mutiny di Chicago, abbiamo provato a cercarlo e il bar non c’è più. E’ il tempo che passa in modo crudele…