Con “The Flood Inside”, loro quarto full-length album, i tedeschi Long Distance Calling sono giunti volontariamente ad un primo punto di svolta nella loro ancora fresca e giovane carriera musicale. L’arrivo in formazione del cantante e tastierista – ma si può dire anche il contrario, in quanto per ora l’impiego vocale permane limitato! – Martin ‘Marsen’ Fischer apre chiaramente alla band diverse porte verso lidi più accessibili e diciamo pure mainstream. Il post-rock/post-metal del combo di Munster sta transitando in un futuro ancora incerto, ma di sicuro diverso dal brillante passato strumentale di questi ragazzi, riflessione condivisibile soprattutto quando si nota la profonda divergenza del materiale cantato da quello non cantato presente nel nuovo album. In occasione dello splendido concerto tenuto con Solstafir e Sahg, in quel del Lo-Fi di Milano, lo scorso 11 marzo, abbiamo fatto un saltino sul tourbus dei Nostri e scambiato qualche parere con Jan Hoffmann, bassista, frontman e portavoce, e con lo stesso Fischer, l’epocale new entry dei Long Distance Calling. Ecco quello che abbiamo estrapolato loro!
CIAO RAGAZZI! INIZIAMO SUBITO A PARLARE DI “THE FLOOD INSIDE”, IL VOSTRO NUOVO LAVORO. PENSO SIA INNANZITUTTO UN DISCO CARICO DI NOVITA’ PER VOI, PRIMA FRA TUTTE L’INSERIMENTO DI UNA VOCE IN LINE-UP, IL QUI PRESENTE ‘MARSEN’. QUANDO AVETE INIZIATO A SVILUPPARE L’IDEA E COME E’ MATURATA?
‘Marsen’: “Mah…credo fosse agosto dell’anno scorso…o forse luglio addirittura! Ci siamo sentiti per telefono, in quanto loro stavano iniziando a comporre il nuovo disco e avevano bisogno di un vocalist per impreziosire qualche traccia. Così ho registrato qualche linea vocale per conto mio a casa e, quando poi ci siamo incontrati in agosto, gliele ho fatte sentire. Pare che siano piaciute ai ragazzi…quindi eccomi qui!”.
Jan: “Sì, il discorso che in pochi sanno è che fin dalla fondazione dei Long Distance Calling la presenza di un cantante era voluta! Ne abbiamo provati diversi durante i primissimi anni, ma nessuno ci ha mai soddisfatto. Diciamo che abbiamo degli standard e delle aspettative abbastanza elevati, quindi magari la voce andava anche bene, ma non dava niente di più al pezzo strumentale. Ecco perchè poi abbiamo proceduto senza cantante. Però stavolta, quando ci siamo seduti per comporre ‘The Flood Inside’, abbiamo voluto fare una riprova e cercare di nuovo di ‘recuperare’ un vocalist. ‘Marsen’ è semplicemente perfetto per noi, oltre ad essere un bellissimo ragazzo (risate generali, ndR). Anche essere in tour con lui è piacevole e non è facile per noi, lo ammetto, accettare qualcuno di nuovo nella band. Bisogna inserirsi proprio alla perfezione nel gruppo!”.
MARTIN, TU OLTRE AD ESSERE UN CANTANTE SEI ANCHE TASTIERISTA. HAI COMPOSTO TU LE PARTI ELETTRONICHE PRESENTI IN “THE FLOOD INSIDE”?
‘Marsen’: “Qualcosa sì, ma la maggior parte degli arrangiamenti era già stata composta quando sono arrivato io; oppure si è scelto di utilizzare dei campionamenti di altri artisti. Adesso, essendo io in partenza un tastierista, stiamo pensando di utilizzare per il futuro qualcosa di più analogico e vintage, ad esempio un Hammond, un piano Rhodes e via dicendo…abbiamo molte idee sul set elettronico da usare prossimamente, c’è molta carne al fuoco, quindi è probabile svilupperemo molto questa parte del nostro sound”.
Jan: “In effetti c’è molto da studiarci sopra…non escluderei neanche la possibilità di avere in ugual parte un approccio elettronico a tutti gli effetti e un altro più analogico, come diceva ‘Marsen’. La cosa divertente della faccenda è che ora siamo tutti ‘presi molto bene’ dalle keyboards, ma quando Martin è entrato nella band neanche sapevamo che suonava le tastiere. E’ stato lui a dircelo! E noi…’oh, be’! Ottimo, allora!'”.
QUANDO AVETE INIZIATO, DUNQUE, A COMPORRE IL NUOVO DISCO? A QUANTO MI AVETE DETTO, LA SCELTA DI PRENDERE UN CANTANTE E’ VENUTA DOPO L’INIZIO DEL SONGWRITING, ESATTO?
Jan: “Abbiamo iniziato a scrivere i pezzi circa un anno esatto fa, quindi ti parlo di marzo del 2012. Fin da subito abbiamo messo sul piatto un bel po’ di ottimi riff, ma anche delle sezioni in cui vedevamo molto bene l’uso di una voce. Ne abbiamo parlato a lungo, di questa possibile svolta da dare alla band, e nel giro di un paio di settimane di pensieri abbiamo fatto quella che pensiamo a tutt’oggi essere una scelta azzeccatissima!”.
DUNQUE E’ LECITO PENSARE CHE QUESTA VOSTRA SCELTA SIA DEFINITIVA E NON SOLO UNA SORTA DI ESPERIMENTO DA COMPIERE SOLO SU “THE FLOOD INSIDE”?
‘Marsen’: “Io ovviamente spero sia una scelta definitiva (ride, ndR)!”.
Jan: “Sì, lo speriamo tutti…il piano è questo!”.
ECCO UNA DOMANDA CHE SPESSO METTE IN DIFFICOLTA’ I MUSICISTI: COME DESCRIVERESTE IN BREVE “THE FLOOD INSIDE”?
‘Marsen’: “Sì, bella domanda…credo il disco sia versatile, principalmente sperimentale. A mio giudizio è molto diverso da tutti gli altri, in quanto credo che l’approccio generale e il nucleo della band ormai si possano ricollocare in un ambito più rock che metal”.
Jan: “Sono d’accordo con Martin. E’ molto distante dai vecchi lavori, ma allo stesso tempo credo che contenga dei richiami ad ognuno di loro. C’è più elettronica sicuramente, o perlomeno in ‘The Flood Inside’ si sente molto in primo piano. E’ un album più soft se paragonato al precedente disco, l’omonimo, e ciò sta a significare che abbiamo fatto un passo indietro; facendone però due ulteriori avanti, per tutti i nuovi input con cui abbiamo ampliato lo spettro del nostro stile, tra cui ricordo un dj hip-hop, un nuovo chitarrista, un compositore di colonne sonore… Insomma, tanti nuovi spunti, per farla breve. E’ comunque molto difficile, facendo parte della band, riuscire a descrivere un proprio disco”.
SIETE UNA BAND RICCA DI IDEE E, APPUNTO, SPUNTI PROPOSITIVI DA AMPLIARE. AVETE MAI PENSATO DI ESPANDERE IL CONCEPT LONG DISTANCE CALLING VERSO ALTRE FORME D’ARTE? COMPOSIZIONI ORCHESTRALI, COLONNE SONORE, AD ESEMPIO…
Jan: “Sì, ogni tanto ci pensiamo. Per quanto mi riguarda, proverei molto volentieri a comporre le musiche per una colonna sonora. Sarebbe una bella prova per noi, questa!”.
VENENDO UN ATTIMO A PARLARE INVECE DEI VOSTRI FAN…COME HANNO PRESO LA NOVITA’ DEL VOCALIST UFFICIALE IN FORMAZIONE? HANNO CAMBIATO ATTEGGIAMENTO? COME STANNO REAGENDO?
‘Marsen’: “Be’, osservando i nostri show, va detto che rispetto al passato i fan hanno più ‘roba’ da vedere. Sul palco la strumentazione è parecchia, c’è tanto movimento, bisogna seguire la sezione ritmica, le due chitarre, le tastiere…ed ora, in almeno metà delle occasioni, anche la voce. Per questo, quindi, ci stiamo trovando davanti delle facce a volte un po’ disorientate, un po’ prese in mezzo dalla quantità di informazioni che giunge loro. Queste facce a me paiono tolleranti, innanzitutto, e anche ben disposte ad accettare il cambiamento. Molto probabile che altre non lo siano, eh! Molto probabile che ci siano i duri e puri della musica strumentale che staranno storcendo il naso…”.
Jan: “Sì, sicuramente (ride, ndR)! Vedi, abbiamo tante tipologie di fan diversi, dalla ragazzina indie al truce black metaller, con tutto quello che sta in mezzo, compresi personaggi di una certa età…e perciò occorre tolleranza, certamente! Ci piacerebbe poter avere la completa libertà, un giorno, di scrivere qualsiasi musica ci venga da scrivere. Voglio dire, se la musica è buona è buona, punto, a prescindere dal genere, dagli stili…cose che importano davvero relativamente”.
ANCHE PER “THE FLOOD INSIDE” AVETE VOLUTO CHIAMARE AD ACCOMPAGNARVI ALLA VOCE UN OSPITE ILLUSTRE. QUESTA VOLTA E’ TOCCATO A VINCENT CAVANAGH DEGLI ANATHEMA ESIBIRSI IN “WELCOME CHANGE”, ASSIEME AL MUSICISTA NORVEGESE PETTER CARLSEN. COME SI E’ SVILUPPATA LA COLLABORAZIONE?
Jan: “Abbiamo conosciuto gli Anathema due anni fa, quando andammo in tour assieme. Da allora siamo rimasti in contatto con la band, persone stupende con cui ci siamo trovati benissimo. L’anno scorso, poi, furono loro a chiedermi se potevo sostituire al basso Jamie (Cavanagh, ndR) per un festival estivo, e così ho fatto. Si è creata quindi una bella amicizia e ci è venuto spontaneo chiedere a Vinnie se voleva cantare su un pezzo del nuovo album, non appena abbiamo iniziato il songwriting. Anzi, a dire il vero, il fatto che ci sarebbe stata una collaborazione tra Anathema e Long Distance Calling era abbastanza chiaro fin dai primi giorni della nostra conoscenza! La stima fra noi e loro è grande e reciproca”.
COSA VI SENTITE DI DIRE, VOI CHE SIETE UNA BAND ASSAI DEDITA ALLA SPERIMENTAZIONE, A TUTTI QUEI GRUPPI CHE, IN UN MODO O NELL’ALTRO, TEMONO, HANNO PAURA O SI SENTONO BLOCCATI DAL POTER ALLARGARE I PROPRI ORIZZONTI MUSICALI?
‘Marsen’: “Be’, dipende chiaramente dal tipo di band di cui si parla… Ci sono band che fanno benissimo a fare sempre le stesse cose. Altre formazioni, invece, che restano ferme dove sono perchè ‘funziona bene’ in quel modo. Altre ancora…non so…avranno altri motivi. Per me, ti dirò, ha sempre avuto senso ed è fondamentale il concetto di ‘esplorazione’: se vuoi scrivere una cosa diversa o nuova, è sempre meglio provarci, non aver timore delle tue idee, non aver paura delle conseguenze; anche semplicemente per non aver rimpianti dopo, fermo a chiederti ‘come fosse stato se’. Però, come ho appena detto, questo concetto vale per me e non per tutti…non tutti i musicisti sono fatti per sperimentare”.
Jan: “Infatti. Ad esempio l’ultimo disco dei Rage è stato un esperimento poco riuscito (ovvia qui la simpatica vena ironica nei riguardi dei loro connazionali, ndR). No, a parte gli scherzi, non mi va di giudicare se una band sperimenta o si evolve più o meno che sia, perchè a volte non ha semplicemente senso. Immagina se gli Iron Maiden dovessero fare un album indie! Non esiste proprio. Oppure forse vedi gli Heaven Shall Burn, che in Germania sono diventati delle istituzioni, in futuro cambiare approccio? Perché? Noi, dal canto nostro e in quanto progressive band, ci sentiamo in dovere di seguire e inseguire la nostra evoluzione senza paura”.
BENE, RAGAZZI, CHIUDO CON UNA DOMANDA CURIOSA E VI RINGRAZIO MOLTO PER LA DISPONIBILITA’! LA PRIMA VOLTA CHE VI HO VISTI DAL VIVO E’ STATO TRE ANNI FA AL SUMMER BREEZE, AD UN ORARIO SPAVENTOSO, LE 4 DI NOTTE. COME DIAVOLO AVETE FATTO A STARE SVEGLI E ATTENDERE IL VOSTRO TURNO?
Jan: “Era tardissimo, mi ricordo molto bene! Ma abbiamo fatto tutto senza l’ausilio di droghe (ride, ndR): abbiamo dormito un po’ in serata e riposato; è stata dura tenere gli occhi aperti, ma poi sai, quando il momento si avvicina, ti sale l’adrenalina e non ti addormenteresti per nessun motivo al mondo! Ma la cosa ancor più strana e buffa è che, circa un’ora prima dello show, ricevemmo una telefonata dagli organizzatori di un piccolo festival in Germania, che dovevano coprire uno slot lasciato vacante da un gruppo e che chiedevano la nostra disponibilità per il giorno dopo! Noi in effetti eravamo liberi, ma l’orario di ritrovo era per le 11 del mattino! Roba da pazzi! Quindi quella magica nottata non si concluse con lo show al Summer Breeze, ma proseguì sul nostro furgone per raggiungere l’altra località in tempo! Fra l’altro, poi abbiamo scoperto che la band che aveva dovuto cancellare l’esibizione erano i The Ocean, bloccati in Svizzera per qualche motivo, e proprio loro, nell’avvisare gli organizzatori, avevano fatto il nostro nome per sostituirli. Grandissimi!”.