Nel vivace sottobosco estremo, il death-doom vive tempi di relativo successo. Compagini vecchie e nuove rimarcano la loro adesione a sonorità irruente e luttuose, con vari gradi di potenza, complessità e melodiosità a indirizzare le attenzioni degli appassionati. Ai pochi leader di settore, si affiancano nomi minori capaci, nel corso degli anni, di costruirsi una propria credibilità e un seguito limitato ma fedele. A questa categoria appartengono i belgi Marche Funèbre, autori con “Einderlicht” del classico disco ‘da fan per fan’. Un concentrato di death e doom dal sapore gotico nella sua versione enfatizzata e teatrale, privo di intellettualismi e ampollosità e alimentato da una vena melodica contagiosa. Non il capolavoro che ha marchiato l’anno 2020, quanto piuttosto un’ottima uscita di genere costellata di belle canzoni e refrain da mandare presto a memoria. Di questo privilegiato rapporto con la melodia, una tenebrosità non troppo oppressiva e del percorso compiuto finora della band, abbiamo parlato con due suoi rappresentanti, il cantante Arne Vandenhoeck e il chitarrista Peter Egberghs.
“EINDERLICHT” – TITOLO CHE PUÒ ESSERE TRADOTTO COME ‘LA LUCE CHE COMPARE ALLA FINE’ – È UN DISCO INCENTRATO SULLA VOLONTÀ DI ALCUNE PERSONE DI VOLER DETERMINARE L’INTERRUZIONE DELLA PROPRIA VITA. PERCHÉ PROPRIO QUESTA TEMATICA PER IL NUOVO ALBUM? AVETE RIFLETTUTO SU QUESTA CIRCOSTANZA DA UN PUNTO DI VISTA MOLTO GENERALE, OPPURE AVETE ASSUNTO UNA PROSPETTIVA SOGGETTIVA, DATA DA VOSTRE ESPERIENZE PERSONALI?
Arne Vandenhoeck: – Come la nostra musica, così anche i nostri testi scaturiscono naturalmente, senza troppi calcoli a monte. All’inizio avevamo solo alcuni di essi che andavano in quella precisa direzione, in passato è successo che una persona con cui abbiamo lavorato si è suicidata, ed abbiamo ripensato a questa strana capacità dell’essere umano di non saper frenare il proprio impeto suicida. Siamo andati allora più in profondità, analizzando la cosa da un punto di vista molto filosofico. Per fortuna nessuno di noi ha dovuto confrontarsi con dei suicidi in maniera troppo diretta, intendo qualcuno che facesse parte della cerchia dei nostri amici o famigliari.
IL SUONO RICHIAMA LA VOSTRA IDENTITÀ DEATH-DOOM, FOCALIZZATA SU UNA TIPICA RAPPRESENTAZIONE DI QUESTE SONORITÀ COSÌ COME VENIVANO INTESE NEGLI ANNI ’90, CON LINEE MELODICHE SPESSO ACCOSTABILI AL DOOM CLASSICO E AL DEATH MELODICO. COME PENSATE DI AVER SVILUPPATO IL VOSTRO SUONO DURANTE QUESTI ANNI, PARTENDO DAL VOSTRO PRIMO ALBUM “TO DROWN”?
Arne Vandenhoeck: – Per ogni nuovo album, cerchiamo di ottenere il sound che più vi si adatta. Grazie all’esperienza maturata nel corso del tempo, andando avanti l’operazione è divenuta sempre più facile. Per “Einderlicht” desideravamo avere più aggressività per le chitarre, credo che l’obiettivo sia stato centrato.
Peter Egberghs: – Nel primo album puoi ascoltare una band che sta ancora andando alla ricerca di se stessa e mi pare un aspetto molto interessante di suo. Nel corso degli anni, non direi che abbiamo ‘trovato’ il sound dei Marche Funèbre, mentre posso affermare che siamo molto più sicuri della musica che suoniamo, del percorso che abbiamo dietro di noi e di dove vorremmo arrivare in futuro.
POSSEDETE UNA FORTE SENSIBILITÀ PER I CHORUS A FORTE ED IMMEDIATA PRESA. PER “EINDERLICHT”, PENSO SOPRATTUTTO A QUELLI DI “THE EYE OF THE END” E “WHEN ALL IS SAID”. CHE QUALITÀ DEVE POSSEDERE UN CHORUS, PER ESSERE INSERITO IN UNA CANZONE? QUAL È LA CANZONE DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA CHE HA SECONDO VOI IL CHORUS PIÙ CATCHY?
Arne Vandenhoeck: – Grazie, ci piace avere dei chous che restino impressi. Scriviamo sempre le liriche prima della musica, quindi è sempre una sfida riuscire a far dialogare bene parole e musica. Quello di “When All Is Said” è l’esempio perfetto della magia che può fluire durante in fase di scrittura di un nuovo brano. La melodia del riff principale funziona così bene con il testo! La qualità fondamentale che un buon ritornello deve avere è quella di essere catchy, devi ricordartelo già la prima volta che lo ascolti. Non tutti ce l’hanno, non è nemmeno detto debbano averla per forza, intendiamoci. Tra quelli dei nostri pezzi non è semplice individuarne uno che funzioni meglio di tutti gli altri. Allargando il campo a tre canzoni, ti nominerei “The Dark Corner” dal debut, “As In Autumn” da “Roots Of Grief” e “Gone”, la bonus track di “Einderlicht”.
UNO DEGLI ASPETTI MIGLIORI DEL VOSTRO SUONO RIGUARDA LE ARMONIZZAZIONI DI CHITARRA. PENNELLANO DI ESTATICA MALINCONIA OGNI TRACCIA. COME AVETE SVILUPPATO QUESTA PARTE DEL VOSTRO SOUND E QUALI SONO GLI ARTISTI CHE VI HANNO PORTATO A PRODURRE IL VOSTRO STILE CHITARRISTICO?
Peter Egberghs: – Le armonizzazioni non sono nulla di nuovo nell’heavy metal, ovviamente. Ho suonato per diverso tempo in una band di heavy metal classico e sono cresciuto ascoltando band come gli Iron Maiden, che su di esse hanno fondato una buona parte del loro stile: questo si è trasmesso inevitabilmente nel mio modo di suonare. Raddoppiare una linea di chitarra con lievi variazioni tra una e l’altra è un’operazione che non richiede grossi sforzi. Anche nei My Dying Bride puoi apprezzare un effetto simile, quando vi sono parti dove vengono suonate note singole e le due chitarre si ‘completano’ a vicenda nel loro dialogo. Invece che semplicemente raddoppiare le parti di chitarra, diventa più interessante costruire un dialogo tra di esse. Molte volte aggiungiamo un’ottava sugli assoli, per dire. Questo è un suggerimento che proviene spesso dal nostro ingegnere del suono, Markus Stock. È un espediente che dona maggiore luminosità al suono, anche se l’ottava è mixata per stare in secondo piano.
LA COPERTINA DI “EINDERLICHT” È MOLTO POTENTE, NONOSTANTE DI PER SÈ POSSA ESSERE DEFINITA UN DISEGNO ABBASTANZA SEMPLICE, VISTO CHE NON SONO PRESENTI MOLTI ELEMENTI SU DI ESSA, NÈ DENOTA L’UTILIZZO DI TECNICHE ELABORATE PER REALIZZARLA. COSA RAPPRESENTA E PERCHÉ L’AVETE SCELTA?
Arne Vandenhoeck: – Ci è piaciuta l’atmosfera di questa immagine. L’artista che l’ha realizzata è Brooke Shaden, con la quale lavoriamo dal primo album. Il suo stile rappresenta un filo conduttore tra tutte le nostre uscite. Pensa che abbiamo scelto la copertina ancora prima di scrivere la maggior parte dell’album. Ci piace che l’ascoltatore possa scegliere la sua interpretazione dell’artwork quando segue il filo conduttore di musica e testi.
QUANDO CAPITE CHE UNA CANZONE HA RAGGIUNTO LA GIUSTA SCORREVOLEZZA, CHE È COMPLETA E PRONTA PER ESSERE REGISTRATA SENZA APPORTARLE ULTERIORI MODIFICHE?
Arne Vandenhoeck: – Quando nessuno ha più osservazioni da fare e a tutti e cinque sembra che non ci sia null’altro da inserire o modificare. A volte arriviamo a questo punto abbastanza in fretta, in altri casi è un processo lungo e tormentato. “Scarred”, l’opener di “Einderlicht”, ci ha fatto penare, ad esempio, non riuscivamo a completarla, sembrava ci fosse sempre qualcosa fuori posto. Ma visto il risultato finale, significa che abbiamo fatto bene a non ritenerci mai soddisfatti e ad andare avanti finché non avessimo fugato ogni nostro dubbio su come dovesse suonare!
NON PENSI CHE IL VOSTRO MONIKER, MARCHE FUNÈBRE, SUONI TROPPO ‘FUNEREO’, SE CONFRONTATO AL VOSTRO STILE SONORO ATTUALE? CHE TIPO DI SIGNIFICATO ASSOCIAVATE A QUESTO TERMINE, QUANDO LO AVETE SCELTO PER ASSOCIARLO ALLA BAND E QUANTO PENSATE POSSA ESSERE ADATTO ALLA VOSTRA DIMENSIONE ATTUALE?
Arne Vandenhoeck: – Dobbiamo tornare indietro al 2008, quando abbiamo iniziato a suonare assieme. Stavamo cercando un nome adatto e Peter ha suggerito questo. Sembrava non ci fosse alcun altro gruppo che si chiamasse così, così siamo stati contenti di poterlo utilizzare noi. Più tardi, in effetti, ci siamo accorti che diverse persone nutrivano aspettative di un certo tipo da noi in base al nome, mentre in realtà suonavano in modi che non incontravano esattamente i loro desideri. In fondo, si tratta di un nome come un altro, che suggerisce un certo tipo di concept ma non definisce interamente la nostra proposta.
NEGLI ULTIMI ANNI VI SIETE DATI MOLTO DA FARE QUANTO A USCITE DISCOGRAFICHE. TRA “INTO THE ARMS OF DARKNESS” E “EINDERLICHT” AVETE PUBBLICATO DUE SPLIT E UN EP. CHE TIPO DI MATERIALE POSSIAMO ASCOLTARE AL LORO INTERNO? CI SONO GROSSE DIFFERENZE RISPETTO A QUANTO CONTENUTO NEGLI ALBUM?
Arne Vandenhoeck: – Queste tre uscite rappresentano ognuna una storia differente. Per lo split con gli A Thousand Sufferings, si è trattato di una cosa inaspettata. I ragazzi della band ci hanno chiesto di partecipare a uno split in 10”, allora abbiamo pensato a cosa sarebbe stato adatto metterci e ce ne siamo usciti con la nostra prima versione live di “Capital Of Rain”, che ha al suo interno dei testi leggermente differenti rispetto a quelle della versione in studio. Successivamente c’è stato lo split con gli Eye Of Solitude: nel giro di qualche tempo saremmo dovuti andare in tour con loro negli Stati Uniti e l’agenzia di booking che l’aveva organizzato ci aveva suggerito di promuoverlo con una nuova uscita, considerato che “In The Arms Of Darkness” era già fuori da almeno un anno. Così abbiamo scritto “Darkness”, sulla quale ha cantato come ospite il cantante degli Eye Of Solitude, Daniel Neagoe. È un pezzo caratterizzato da una doppia cassa veemente, come accade per molti brani dell’ex band di Daniel. Ormai consideriamo “Darkness” come se fosse la sesta traccia di “In The Arms Of Darkness” e una delle cose migliori che abbiamo mai scritto. Infine c’è l’EP “Death Wish Woman”, registrato in occasione del decimo anniversario dei Marche Funèbre. Avevamo da parte alcuni brani, un po’ fuori dal seminato rispetto a quello che suoniamo di solito, qualche up-tempo, influenze thrash, robe così. Ci abbiamo aggiunto la cover di “As I Die” dei Paradise Lost, un omaggio alle nostre radici e una cover che a lungo ha fatto parte del nostro live-set.
SIETE NATI E VIVETE NELL’UNDERGROUND, PORTANDO AVANTI LO SPIRITO DELL’EXTREME METAL TRADIZIONALE CON GRANE FORZA DI VOLONTÀ E CONVINZIONE. COSA SIGNIGIFICA PER VOI ESSERE UNA BAND UNDERGROUND E QUALI SONO LE DOTI CHE PERMETTONO DI SOPRAVVIVERE SULLA SCENA MUSICALE ODIERNA, CON TANTISSIME BAND CHE SUONANO UN GENERE SIMILE AL VOSTRO E, QUINDI, MOLTO COMPETITIVA?
Arne Vandenhoeck: – Continuiamo a suonare assieme perchè, semplicemente, ci piace farlo. E ci piace farlo con questa mentalità underground, per cui abbiamo il pieno controllo di quello che facciamo e nessuno può venirci a imporre nulla. Noi tutti abbiamo responsabilità importanti al di fuori della musica, suonare nei Marche Funèbre è un modo per rimanere creativi, attivi, oltre ad essere un’ottima scusa per incontrare nuove persone e visitare altri luoghi. Tanti gruppi con sonorità simili alle nostre non ci considerano come ‘competitor’, piuttosto dei buoni amici: chi è in questo ambiente sa benissimo che non andrà a star meglio se considererà la scena musica come un’arena competitiva.
QUAL È IL VOSTRO GIUDIZIO SULLA SCENA METAL BELGA? QUALI SONO LE BAND PIÙ INTERESSANTI VENUTE ALLA RIBALTA NEGLI ULTIMI ANNI?
Arne Vandenhoeck: – Negli ultimi anni diverse band belga si sono fatte notare in positive. Penso ai Brutus, gli Evil Invaders, i Carnation, tre giovani compagini che hanno trovato un loro sbocco a livello internazionale. E non parliamo di un gruppo ancora più affermato come gli AmenRa! Andando a un livello più underground e senza voler enumerarne un elenco troppo vasto, cito volentieri Hemelbestormer, Drawn Into Descent, Psychonaut, Sons Of A Wanted Man.
DOVESTE IDENTIFICARE IL MOMENTO PIÙ FELICE DI QUESTI ANNI NELLA BAND, QUALE SAREBBE?
Arne Vandenhoeck: – Coincide probabilmente con il nostro show di Seattle durante il primo tour americano della nostra storia. Fu il culmine di tutti gli sforzi compiuti negli anni.