‘La Malora’ è l’ultimo disco dei Marnero, nonché terzo tassello (e/o quarto, come ci spiegherà la band stessa) della ‘Trilogia del Fallimento’, trittico che ha fatto girare gli occhi di molti verso il combo bolognese per via di una freschezza espressiva e di scrittura inusitata all’interno del carattere prettamente punk del progetto stesso. ‘La Malora’, così come i suoi due predecessori, è culmine e giro di boa, chiude e riapre, si presta ad interpretazioni e visioni da diverse prospettive, è un lavoro di qualità proprio per la sua natura di opera che fa parlare e discutere, pensare e proporre; prerogative essenziali per innalzare l’asticella di un discorso che solo superficialmente è musicale. Abbiamo parlato di questo e delle storie dei tanti personaggi che affollano il disco con J.D. Raudo, autore del concept (nonché del libro da cui ‘La Malora’ tratta se stessa) e voce/chitarra del gruppo.
HO TROVATO ‘LA MALORA’ UN DISCO MOLTO PIENO: DI SUGGESTIONI, DI SUONI, RICHIAMI E SONORITA’. IN CHE MODO POSSIAMO DESCRIVERLO ALL’INTERNO DEL CONCEPT RELATIVO ALLA ‘TRILOGIA DEL FALLIMENTO’?
“’La Malora’ nasce sapendo di fallire, ma nasce comunque come quarta parte della Trilogia del Fallimento. Il capitolo è doppio, e fa definitivamente fallire la Trilogia allontanandola dal suo trino (e non uno) destino di perfezione. Quindi è una Trilogia per forza di cose incompleta, perché l’incompletezza è necessaria per continuare a procedere. Potemmo dire questo: nel ‘Naufragio Universale’ il personaggio (o il mondo) affondava, in direzione verticale; nel ‘Sopravvissuto’ il protagonista fuggiva, in direzione orizzontale, galleggiando sulla superficie del mare; in questo capitolo il personaggio (o i personaggi) procedono contemporaneamente in tutti e due i sensi, come in un paradosso, alla ricerca non di una terza via ma di una quarta, una direzione non prevista dagli automatismi, per trovare come vivere Altrimenti. E alla fine scartano di lato, passando attraverso”.
DESCRIVIAMO LA SITUAZIONE PER CHI ARRIVA ADESSO. CHI SONO I VARI PERSONAGGI CHE AFFOLLANO IL VOSTRO DISCO? CHI DI LORO E’ EFFETTIVAMENTE ‘IL SOPRAVVISSUTO’ DELLO SCORSO ALBUM?
“Nel disco e nel libro (edito da Bébert Edizioni) raccontiamo le storie di alcuni Sopravvissuti: di un Cieco, di un Bambino, di un Marinaio, di un Clandestino, di un Ubriaco, di un Orologiaio, di una Sciamana, di un Baro, di un Testimone e forse di qualcun altro. I personaggi, che sono arrivati in ordine sparso all’interno di una Taverna fatiscente, stretta fra mare e foresta, sono personaggi archetipici, (un po’ come quelli dello Spoon River, diciamo) che si riflettono nei frammenti di un grande Specchio. Ogni personaggio è multiplo: potrebbero essere le varie personalità frammentate di un unico Sopravvissuto, oppure potrebbero essere la sintesi di mille personaggi diversi che trovano in loro una rappresentazione simbolica. Probabilmente uno di loro è il Sopravvissuto dello scorso album. Ma c’è anche la possibilità che quel racconto sia stato solo il delirio onirico di un Ubriaco che si è sognato tutto in una notte, collassato in una pozzanghera di vino (o sangue?). In fondo le prime parole della ‘Malora’ sono ‘E se queste fossero solo parole’, che sono anche le ultime parole del ‘Naufragio Universale’. Quindi chissà… Che il Sopravvissuto non sia stato, in realtà, solo un sogno? Non lo sappiamo. Testimoni non ce ne sono. E non sappiamo neanche chi sono davvero questi personaggi. Sono io, sei tu, siamo noi. Boh. Non lo sanno neanche loro. Hanno rinunciato al proprio nome. E’ solo spogliandosi della loro identità, dei copioni, delle loro maschere, dei loro volti e dei loro ruoli che riescono finalmente a riconoscersi, dissolti nella vulnerabilità, nella nudità, con tutte le loro ferite e le loro colpe. E l’identità perduta libera le loro anime nomadi”.
‘LA MALORA’ E’ ANCHE PIENO DI SOFFERENZA, SECONDO ME. UNA SOFFERENZA CHE ERA PIU’ RABBIOSA PRIMA, E QUI APPARE STANCA, DISILLUSA, STREMATA.
“In effetti, come dici tu, sono smarriti, stremati, feriti e vulnerabili. Ma quello che succede è che, in qualche modo, lo accettano. Accettano l’assenza di una via di uscita. Trovandosi tutti assieme, si mettono in relazione e in-tensione, e accettano la ferita che hanno, che è la stessa, allo stesso tempo individuale e universale, e che va lasciata aperta. Adesso che la vulnerabilità è deliberata, non c’è più niente di nascosto. Loro, di fronte allo Specchio, sono come nudi. Accettare la vulnerabilità significa accettare gli altri. Perché ognuno ha la sua ferita, la sua guerra dentro. E’ per questo che il coltello non ha alcun manico: ha lame da entrambi i lati. Perché la guerra non deve essere fatta fra Noi, ma deve essere dichiarata alla guerra stessa”.
DIREI CHE IN OGNI CASO I VOSTRI PERSONAGGI, DOPO LA RUVIDEZZA DI ‘NAUFRAGIO UNIVERSALE’E LA DIRETTA ESPRESSIVITA’ DE ‘IL SOPRAVVISSUTO RIESCANO QUI A TROVARE PICCOLI MOMENTI PER TIRARE IL FIATO, TRA UN’ONDA E L’ALTRA. LA DESTINAZIONE ERA DUNQUE UN’OSTERIA DI PORTO, TRA MILLE LINGUE E ANIME CHE S’INTRECCIANO, UN GRANDE PUNTO DI DOMANDA. CHE NE DITE?
“La Taverna, secondo me, non è una destinazione, ma un luogo di nascita. Una placenta. E’ lì dentro che nasce il Bambino, aiutato da una Sciamana levatrice, ed è lì dentro che nasce la consapevolezza dei personaggi e la loro rivoluzione. Ma lì dentro, di risposte non ce ne sono. Non c’è epilogo, non c’è approdo, non c’è salvezza. Una destinazione finale non c’è, e non c’è alcuna soluzione, né è il momento di riposarsi. La Malora incombe su di loro, su tutti, e per questo è proprio il momento di alzare il bavero ed andare, di stringersi tutti all’interno di una zattera di fortuna e cercare, dopo tre tentativi falliti, una quarta via, trovando il coraggio per attraversare lo Specchio, per imparare a fallire. E a morire”.
CI SONO MOLTI OSPITI NEL DISCO, IN PARTICOLARE RITENGO CHE SI SIA DATA UN’IMPRONTA ANCORA PIU’ MARCATA AGLI ARCHI E ALLE ATMOSFERE, E IL LAVORO ASCOLTATO TUTTO INSIEME HA UN SAPORE CHE ABBRACCIA L’EPOPEA. COME AVETE COMPOSTO IL TUTTO? SIA PER QUANTO RIGUARDA L’ALBUM CHE NON LA TRILOGIA IN SE’.
“I nostri dischi precedenti erano stati il frutto di un lungo processo di macerazione (nell’alcol) negli anni, di una serie di idee, comprese alcune cose dei Laghetto inedite, che sono state mescolate, digerite e risputate nel ‘Naufragio Universale’ e nel ‘Sopravvissuto’. Per ‘La Malora’, invece, abbiamo cominciato davvero da una pagina bianca, e con l’esigenza di non tentare di scrivere un ‘Sopravvissuto n.2’. Quindi anche musicalmente, il tentativo è stato quello di cancellare le nostre identità pregresse, di bruciare i manuali, di buttare via i copioni, di abbandonare i ruoli. Nel frattempo, il fatto che ci fosse una storia che prendeva corpo, ha influenzato le musiche e le grafiche, ma anche le musiche e i disegni stessi hanno influenzato i testi continuamente, e quello che ne è uscito fuori è stato un vuoto pieno, qualcosa di malleabile. Per questo ci interessava molto poterlo sottoporre alla manipolazione altrui: è quello che hanno fatto Matteo Bennici, Nicola Manzan e Michele Bolfrin con gli archi, Paride con la Tromba, Phobonoid con la chitarra. Hanno modellato con le loro formine da sabbia una materia duttile e la hanno incisa (nella carne) e indirizzata verso una direzione differente. Ancora di più, in ‘La Sciamana e il Testimone’, il pezzo dove suoniamo con gli OvO, Bruno e Stefania hanno proprio riscritto, o scritto con noi, un pezzo di questa storia”.
IL LIVELLO DI SCRITTURA E’ CRESCIUTO IN MANIERA GRADUALE MA COSTANTE, SI E’ EVOLUTO SENZA SNATURARSI. COSA VI HA PORTATO AL SUONO CHE AVETE OGGI?
“Le nostre vite. Il nostro suono credo che corrisponda a quello che siamo noi quattro. Più che un suono, è un fischio nell’orecchio. Il Suono della Malora. Siamo diversi, ma c’è qualcosa che ci fa sentire sulla stessa barca. Personalmente, io non riuscirei a scrivere niente di diverso da quello che scrivo. So suonare solamente le cose che scrivo. Se mi chiedi di fare un genere musicale, o musica di altri, non la so fare, perché non conosco la musica. Il nostro è proprio un bisogno forte di tirare fuori delle robe da dentro che ci opprimono e metterle lì sul tavolino, sulla pergamena. Poi, se altri le guardano, le sentono, mi fa piacere, ma se non accade non cambia niente… Credo che anche se formassi un gruppo di liscio mi verrebbero fuori solo delle canzoni dei Marnero”.
IL PEZZO CONCLUSIVO, DELL’ALBUM E DELLA STORIA, ‘L’ALTRO LATO’, HA UN SAPORE WESTERN, EPICO ED AVVENTUROSO; SEMBRA PORTARE A COMPIMENTO TUTTA LA FACCENDA, MA POI SI RISOLVE D’UN TRATTO. UN’ONDA CHE AVVOLGE TUTTO?
“Leggendo il libro della Malora penso si capisca, anche grazie alle illustrazioni di RR (www.garadinervi.com) che non c’è alcuna chiusura del cerchio perché il cerchio è spezzato, e che la faccenda non trova alcun compimento. Quello che si sente in lontananza, negli ultimissimi secondi, è l’inizio del Diluvio che porta al ‘Naufragio Universale’. Quindi ‘Fine.E poi.Di nuovo’. I personaggi della Taverna, siano essi otto, seicento, duemila o uno solo, a bordo di una tavolino reso zattera, si sono gettati nel Buco Nero. Ma non si trovano proiettati in un lieto fine, bensì in un Altro Lato che è lo stesso mondo di prima: la stessa fossa, scavata dagli schiavi consenzienti, dentro la stessa grande gabbia, con sullo sfondo le fiamme del grande incendio, con gli stessi cani neri che li inseguono. Tuttavia, quello che è cambiato è la loro consapevolezza. Hanno scartato di lato, hanno preso coscienza che la gabbia è aperta. Ora sanno di non essere soli, e che un altro mondo non esiste, ma che esiste solo la possibilità di disegnare un Come, un Eppure, un Altrimenti diverso. Hanno guardato l’abisso, hanno imparato a morire e sono pronti a rischiare tutto per disegnare le condizioni per vivere in un modo diverso, in questo unico mondo esistente”.
E POI CHE ACCADRA’, AL MARNERO?
“‘La Malora’ è morta nell’istante stesso in cui la abbiamo pubblicata e stampata. Nell’istante stesso in cui non può cambiare mai più, una cosa, o una persona, muore. Tuttavia, quello che può succedere, da ora in poi, è che rinasca nelle parole e nelle interpretazioni di chi la legge o la ascolta. Alla fine si tratta solo di una serie di ganci a disposizione di chi ci vuole appendere la propria storia. Quindi il nostro attuale vagare alla deriva per l’Italia è un po’ il tentativo di andare a raccogliere a domicilio le riscritture della Malora che le persone possono aver elaborato. Perciò, siamo noi il pubblico. Ad esempio, un ragazzo che si chiama Matteo, con Inchiostro Lisergico (https://www.facebook.com/InchiostroLisergico), partendo dalla Malora, ha disegnato un libro di xilografie. Ha proprio ‘riscritto’ La Malora, diciamo. Questo pensare, introiettare, rifare soprattutto, ridisegnare il mondo del Marnero, per me è una cosa magica. Il Marnero è veramente come una vecchia pergamena. Chi la trova ci legge quello che vuole. E ci può scrivere sopra. Una mappa personale, privata, senza una facile direzione consolatoria… Poi, quello che verrà, non lo sappiamo. ‘Dove andrai dopo’ chiede il Clandestino. ‘Se lo sapessi sarei già morto’ risponde il Baro”.
QUAL E’ LA MALORA, QUI ED ORA? COME VI SENTIRESTE A TRASLARE L’OPERA ALL’INTERNO DELLA REALTA’ CHE CI CIRCONDA?
“Hic et Nunc. Ma soprattutto Hic, spesso. Prova a piantare una piantina di basilico sul balcone. Fiorisce. Sublime. Un giorno morirà sicuramente. Cosa, fai, non gli dai da bere perché tanto prima o poi morirà? E allora che dobbiamo fare, morire ogni giorno un po’ prima della morte definitiva? Non viverci questa vita come vogliamo, perché ella è il nemico, perché c’è l’orrore, e tutto un giorno finirà? E allora? La Malora è qui, è sempre stata qui. Questo qua è un tipo di Nichilismo che spinge ad accettare il rischio, a ribaltare, ribellarsi, recalcitrare, mettere in questione le abitudini, scartare di lato. Trovare il Come”.
AVETE UN BEL CARNET DI DATE DAVANTI. QUALCHE SORPRESA IN PARTICOLARE? POSSIBILITA’ DI ANDARE FUORI DAI CONFINI?
“Per ora abbiamo una trentina di date in Italia, in tutte le regioni o quasi (ci mancano Calabria e Sicilia), ed è questa la nostra dimensione ideale. La cosa assurda è che, visto che non riusciamo mai a vederci per fare le prove, faremo 30 concerti e 3 prove in totale… Cercheremo anche di andare all’estero, ma un po’ per i nostri lavori incasinati, un po’ per il tipo di musica che facciamo, questo non è facile. Le nostre sono canzoni incentrate sui testi in italiano, quindi non siamo di facile digestione fuori dai confini. Forse se cantassimo in giapponese potremmo farcela. Poi, certo, tutti vorrebbero andare a suonare fuori dall’Italia, ma io prima di tutto voglio andare dal mio vicino di casa Sopravvissuto. A trovarlo. A staccarlo dallo schermo. Come posso pretendere di andare fuori dall’Italia quando io e il mio vicino di casa, ad esempio tu, non abbiamo neanche mai parlato una volta?”.
IN QUALI CONTESTI PREFERITE ESIBIRVI? DOV’E’ CHE SENTITE ARIA DI CASA? COME VI DEFINIRESTE?
“Sono stati i concerti DIY Punk Hardcore degli spazi occupati che ci hanno dato la possibilità di iniziare, di fare la gavetta, di suonare quando non eravamo capaci (non che adesso siamo molto capaci, eh) e di capire che quello che cercavamo non era il trampolino di lancio per un desiderio di essere una rockstar, ma una possibilità per cercare un Come. Quando parlo di Punk non parlo di un genere musicale. Parlo di un Come. Di un modo per ribaltare. Un modo dire di No. Per costruire un Altrimenti. Ecco, quindi ti direi che, per me, il Marnero è decisamente un gruppo punk”.
PORTATE AVANTI CON ORGOGLIO UNA MENTALITA’ DIY, E NON LESINATE LE COLLABORAZIONI CON ALTRI ARTISTI. COME DESCRIVERESTE LA SCENA MUSICALE ITALIANA PER QUANTO RIGUARDA L’UNDERGROUND?
“Andando in giro, che è la cosa più bella da fare, non si può non notare che l’età media di coloro che girano intorno ai concerti underground è parecchio alta. Lasciamo stare le polverose reunion di vecchie glorie che vengono a battere cassa con le loro ragnatele, la puzza di stantìo lì si sente da lontano. Parlo proprio di chi gestisce i luoghi, o di chi va a vederli, i concerti. Sono tutte persone che più o meno hanno la nostra età, e che nella maggior parte dei casi, sono in giro da dieci-quindici anni. Ecco, ci piacerebbe che i ragazzi più giovani, quelli che hanno meno di vent’anni, ad esempio, tornassero ad avvicinarsi all’ ‘hard core’ della musica. Non parlo di generi musicali. Perché il core, il cuore, di questa cosa, sono i concerti live, e il come si fanno. Solo andando ai live c’è la possibilità di incontrarsi, di riconoscersi, di tessere una tela per costruire un Noi, di sentirsi sulla stessa barca. Per fortuna, in giro per l’Italia troviamo tanti ragazzi che ci dimostrano di sentire l’importanza di tutto questo, e cercano di costruire qualcosa, dove e come possono. Come. A volte sfidano anche l’impossibile. Questo lo vedi molto di più in provincia che nelle grandi città, ad esempio. Molto di più al Sud che al Nord”.
VI RINGRAZIO PER IL VOSTRO TEMPO RAGAZZI, E SPERO DI POTERVI VEDERE SU UN PALCO AL PIU’ PRESTO. VI LASCIO CHIUDERE A VOSTRO PIACIMENTO.
“Ecco, questo ci sentiamo di dire: bisogna andare avanti anche se avanti non c’è niente. Provate a creare quello che non avete. Provate a mettervi insieme, e a progettare le condizioni per un modo diverso di fare le cose, più vicino a quello che vorreste. Non aspettate che qualcuno faccia cadere delle briciole dall’alto. Andatevi a prendere quello che vi spetta. Un Eppure, un Altrimenti. Ci sono braccia, gambe, e dolore abbastanza per farlo. Trovate il Come. La gabbia è aperta”.