MATTEO MANCUSO – Il viaggio

Pubblicato il 06/08/2023 da

Da Petrucci a Vai, passando per Satriani o Di Meola, senza dimenticare Sfogli, Gottardo o Pietronik, il mondo della chitarra rock progressive – si sa – è sostenuto da pilastri dal cognome italiano. Un elemento è però sempre mancato in questo contesto: un astro nascente nato e cresciuto nel Bel Paese in grado di far girare le teste dei più grandi musicisti del panorama chitarristico moderno, qualcuno in grado di salire sul palco e far mettere le mani nei capelli agli esponenti della ‘vecchia guardia’, una persona capace di ribaltare il tavolo e piazzare l’asticella ad un livello tale da diventare guida ed ispirazione, qualcuno in grado di impugnare una sei corde e far capire che il talento, la musicalità e la creatività sono ancora un marchio di fabbrica di noi mangiatori di pizza seriali.
Matteo Mancuso, è esattamente il pezzo mancante in questo puzzle. Classe 1996, palermitano e proveniente da una famiglia di musicisti, imbraccia la sua chitarra elettrica in giovane età, seguito e sostenuto da suo padre Vincenzo. Dopo un periodo di necessaria gavetta (fatta principalmente su YouTube, come fanno i giovani di adesso) inizia a ricevere notevoli apprezzamenti dalla comunità chitarristica mondiale fino a diventare il nome sulla bocca di colossi come Steve Vai o Al Di Meola, appunto.
Il viaggio decennale del giovane Matteo tocca diverse tappe ed esplora realtà differenti, muovendosi dal web ai palchi importanti, passando per collaborazioni di livello con artisti nazionali ed internazionali.
Oggi, ad un mese dall’uscita di “The Journey”, il suo primo album solista, abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare questo ventiseienne siciliano per farci raccontare un po’ del viaggio che lo ha trasformato nell’artista che è oggi.

CIAO MATTEO E BENVENUTO SU METALITALIA.COM, GRAZIE MILLE PER AVERCI DEDICATO UN PO’ DEL TUO TEMPO, È UN GRANDE PIACERE FARE QUATTRO CHIACCHIERE CON TE. “THE JOURNEY” È IL TUO PRIMO LAVORO SOLISTA IL CUI TEMA È PALESEMENTE QUELLO DEL VIAGGIO, TI VA DI PARLARCI UN PO’ DI QUESTO VIAGGIO CHE RACCONTI NEL TUO ALBUM? DOVE È INIZIATO, DOVE STA ANDANDO E MAGARI, QUALE È LA DESTINAZIONE CHE STAI PROVANDO A RAGGIUNGERE?
– Ciao! Grazie a voi per l’invito, “The Journey” rappresenta il viaggio musicale che ho avuto negli ultimi quattro anni, esplorando vari stili ed influenze, il mio obiettivo era quello di fare un album che non fosse associato ad un solo genere, per questo è molto variegato. Non ho idea di quale sia la destinazione, ma mi piace pensare che il viaggio molto spesso sia più importante della destinazione stessa, e il processo di scrittura e ideazione dei brani è importante tanto quanto il risultato finale.

STIAMO ASSAPORANDO IL TUO ALBUM E, ASCOLTO DOPO ASCOLTO, NON POSSIAMO FARE A MENO DI APPREZZARE I DIVERSI GENERI MUSICALI CHE RIESCI A FONDERE. SPAZI DAL JAZZ AL ROCK PASSANDO PER PEZZI ACUSTICI E SONORITÀ PIÙ VICINE AL MONDO METAL, QUALE È IL PROCESSO CREATIVO CHE SEGUI QUANDO SCRIVI LA TUA MUSICA?
– Non seguo mai un processo creativo ben preciso, ho cambiato però il modo di lavorare alle composizioni col passare del tempo; tendenzialmente prima facevo tutto in modo più pensato e ci mettevo molto tempo per finire qualcosa, adesso cerco di catturare il momento e di scrivere in modo più spontaneo, cercando di finire tutto in poco tempo. Quello che mi piace fare è partire da un brano che mi ha colpito particolarmente e cercare di fare qualcosa di simile, spesso però finisco nel fare qualcosa di completamente diverso, un esempio perfetto è “DropD”, il riff iniziale è ispirato ad un brano di una band di musica argentina chiamata Aca Seca Trio, il pezzo si chiama “Esa Tristeza.” Il mio obiettivo era quello di scrivere qualcosa con un incastro ritmico simile a questo brano, poi ha avuto uno sviluppo completamente diverso.

IL SECONDO BRANO DEL TUO ALBUM È INTITOLATO “POLIFEMO”, UN MOSTRO CHE HA MESSO NON POCHI BASTONI TRA LE RUOTE AL PROTAGONISTA DELL’ODISSEA. SE DOVESSI PENSARE AL TUO VIAGGIO DA MUSICISTA, QUALE È STATA LA SFIDA PIÙ DIFFICILE CHE TI SEI TROVATO AD AFFRONTARE? QUALE È STATO IL TUO POLIFEMO?
– Sicuramente una delle sfide più difficili da affrontare è trovare la propria voce sullo strumento. Utilizzare una tecnica inusuale con l’elettrica mi ha aiutato molto sotto questo aspetto, perché sono stato in qualche modo forzato a trovare delle soluzioni tecniche differenti dal plettro ed inevitabilmente questo ha plasmato il mio fraseggio, ma è comunque stato difficile distaccarsi dalle influenze principali; c’è stato un periodo in cui ero troppo legato ai chitarristi che ascoltavo e andavo troppo per emulazione, staccare un attimo con gli ascolti ed esplorare lo strumento ti aiuta molto a trovare la tua voce.

UNA CRITICA CHE SPESSO VIENE MOSSA VERSO GLI SHREDDER È QUELLA DI USARE LA TECNICA COME UNA FORMA DI OSTENTAZIONE STERILE E FINE A SE STESSA, COSA CHE NON ACCADE NEL TUO ALBUM DOVE DOSI SAPIENTEMENTE VIRTUOSISMO E MUSICALITÀ. QUANDO COMPONI DOVE E COME TRACCI IL CONFINE TRA LA MERA GINNASTICA E LA MUSICA?
– È un aspetto che ho sviluppato ed affinato col tempo, ma in generale quello che cerco di fare è avere una sorta di storytelling interno al solo. Per ottenere questo effetto bisogna ovviamente dosare ed avere equilibrio, un po’ come nei discorsi parlati, se dici cose interessanti e belle ma senza fermarti mai, senza virgole ne punti, l’ascoltatore avrà difficoltà a seguirti nonostante la ‘qualità’ del vocabolario, se invece dosi le pause e i punti diventa tutto più godibile.

MATTEO MANCUSO È PROBABILMENTE L’ANIMA CREATIVA DIETRO “THE JOURNEY” MA, A GIUDICARE DAI VIDEO DEI SINGOLI PUBBLICATI, NON SUONA DI CERTO DA SOLO. CI RACCONTI QUALCOSA DEI MUSICISTI CHE TI ACCOMPAGNANO?
– I ragazzi con cui ho lavorato di più all’album sono Stefano India al basso e Giuseppe Bruno alla batteria. Abitano entrambi in provincia di Palermo quindi anche grazie a questo abbiamo potuto vederci spesso per affinare gli arrangiamenti, e soprattutto i live.
Uno dei loro punti forti è l’incredibile versatilità che si riflette inevitabilmente anche nell’album, trovare una sezione ritmica che può fare pezzi come “DropD”, “Blues For John” o “Open Fields” è incredibilmente difficile, e loro hanno fatto un ottimo lavoro! Gli altri musicisti che hanno partecipato all’album sono Riccardo Oliva e Gianluca Pellerito (su “Falcon Flight” e “Samba Party”) più mio padre sul pezzo finale cioè “The Journey”.
Nel caso di Gianluca e Riccardo ciò che mi ha colpito fin dall’inizio è stato il loro interplay e la loro ‘giocosità’ nel suonare lo strumento, per catturare questa spontaneità abbiamo registrato i due pezzi in soli due giorni ed il risultato è stato fantastico. Con mio padre invece abbiamo deciso di registrare una ballad pura per concludere l’album, io con la classica e lui con l’acustica, è sicuramente il brano più sognante dell’album ed uno dei miei preferiti.

LEGGENDO LE TAPPE DEL TUO TOUR NON POSSIAMO FARE A MENO DI NOTARE CHE SONO, PER LA MAGGIOR PARTE, DISTRIBUITE NEL NORD ITALIA. SEMBRA QUASI CHE, ANCHE PER QUANTO RIGUARDA LA MUSICA, IL BEL PAESE SEGUA TRISTEMENTE DUE VELOCITÀ DIVERSE. COSA NE PENSI DI QUESTO DIVARIO TRA NORD E SUD E CHE IMPATTO HA AVUTO SULLA TUA CARRIERA DA MUSICISTA?
– Onestamente non so quale sia il motivo preciso, ma dalla mia esperienza il nord è sicuramente stato più attivo da questo punto di vista. Non che le occasioni al sud non siano arrivate, ma c’è sempre stata una tendenza a trascurare i dettagli, magari la scheda tecnica non rispettata, o vari ritardi nella tabella di marcia. Non voglio sminuire il lavoro che fanno al sud, ci sono delle realtà bellissime anche in Sicilia, ma la mia sensazione è che al sud sia più faticoso costruire qualcosa di ben strutturato rispetto al nord.

DUE DELLE TUE TRACCE (“POLIFEMO” E “BLUES FOR JOHN”) SONO STATE SCRITTE A QUATTRO MANI CON TUO PADRE VINCENZO CHE, COME TE, HA FATTO DELLA MUSICA LA SUA CARRIERA. CHE IMPATTO HA AVUTO TUO PADRE SULLA TUA CRESCITA MUSICALE?
– Mio padre ha avuto un grande impatto sulla mia crescita musicale e personale ovviamente. Dico sempre che lui è stato più una guida all’ascolto che un insegnante, ho avuto la fortuna di poter ascoltare tanta musica fin da piccolo anche grazie a lui. “Polifemo” è ispirato ad un brano di Frank Zappa chiamato “King Kong”, mentre “Blues For John” è dedicato a John Mclaughlin, uno dei miei chitarristi preferiti.

ALCUNI TRA I PIÙ GRANDI CHITARRISTI AL MONDO SONO RIMASTI POSITIVAMENTE IMPRESSIONATI DALLE TUE DOTI MUSICALI. COME CI SI SENTE AD AVERE FAN DEL CALIBRO DI STEVE VAI O AL DI MEOLA?
– È stato incredibile soprattutto quando si tratta di chitarristi che hai ascoltato per tutta la tua vita! Steve e Al sono dei geni indiscussi per me, quindi è stato sicuramente soddisfacente ma allo stesso tempo ti senti più responsabilizzato, è stato anche un motivo per spronarmi a produrre più musica e studiare.

TRA LE TUE INSPIRAZIONI CITI ARTISTI COME ZAPPA, VAI, SATRIANI, DI MEOLA, PETRUCCI O GAMBALE. SE DOVESSI CITARE UN MUSICISTA ITALIANO CHE HA AVUTO UN GRANDE IMPATTO SULLA TUA CRESCITA MUSICALE O CON CUI VORRESTI COLLABORARE CHE NOME FARESTI?
– Ci sono tanti artisti italiani che mi piacciono, i primi che mi vengono in mente sono sicuramente Pino Daniele, la PFM ed Elio e le storie tese, collaborare con Elio in futuro sarebbe fantastico, semmai Cesareo si volesse riposare un attimo io sono disponibile!
Con la PFM ho avuto la possibilità di fare un concerto l’anno scorso ed è stata semplicemente una delle esperienze più belle della mia vita, suonare “La Carrozza Di Hans” insieme sul palco è un esperienza che mi porterò per sempre nel cuore. Come chitarristi ce ne sono tantissimi che mi piacciono, Marco Sfogli, Christian Mascetta, Pasquale Grasso e Andrea Braido sono i primi che mi vengono in mente, ma ce ne sono tanti altri che mi piace ascoltare. Penso seriamente che in Italia abbiamo i chitarristi migliori sulla terra e non ce ne rendiamo conto!

MOLTE PERSONE CHE TI SEGUONO SONO CHITARRISTI, CI PIACEREBBE CHIUDERE QUESTA INTERVISTA CON UN MESSAGGIO DEDICATO A TUTTE QUELLE PERSONE CHE COME TE, GIORNO DOPO GIORNO, STUDIANO MUSICA E INSEGUONO UN SOGNO IN UN PAESE COME L’ITALIA. AVENDONE LA POSSIBILITÀ, CHE MESSAGGIO MANDERESTI?
– Prima di tutto essere consapevoli che questo è un mestiere molto difficile, impegnarsi tanto a prescindere dal proprio talento è la chiave per fare la differenza. È vero che il settore musicale non è sempre meritocratico, ma sono del parere che quando c’è la qualità prima o poi si esce fuori. Il mio consiglio quindi è di impegnarsi a dare il massimo anche quando non si vedono risultati immediati, e ricordarsi sempre che se riesci a fare della tua passione un mestiere, non lavorerai un giorno nella tua vita!

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