A cura di Chiara Franchi e Simone Vavalà
Dire che l’esordio di Nergal con il suo nuovo progetto Me And That Man ha destato molto interesse sarebbe perfino riduttivo. Non solo perché per molti questo intermezzo rappresenta principalmente una prolungata attesa per il seguito di “The Satanist”, ultimo e sontuoso album dei Behemoth, ma anche e soprattutto per le coordinate sonore scelte per esprimersi in questo caso; arrivati a questo punto ne abbiamo già parlato diffusamente sul nostro portale, e immaginiamo che quasi tutti i nostri lettori abbiano avuto modo di ascoltare questo “Songs Of Love And Death”. Ma anche nel caso vi siate limitati all’ascolto del singolo o a leggere le diffuse dichiarazioni d’intenti di Nergal, è noto come si tratti di un album dalle sonorità virate verso il folk-country con abbondanti spruzzate da crooner. Un lavoro magari non originale, come ammette con candore lo stesso Nergal, ma molto personale e sicuramente sentito. Abbiamo raggiunto telefonicamente il carismatico cantante, con cui abbiamo avuto uno scambio decisamente lungo: inframezzati alla piacevole conversazione, infatti, anche problemi tecnici, un paio di cadute della linea telefonica, una sosta (sua) per fare benzina che ha probabilmente aggiunto un bel tocco da Midwest americano, perfettamente coerente con il sound proposto.
CIAO ADAM, PARTIAMO CON UNA DOMANDA SCONTATA: COM’E’ NATA L’IDEA DEI ME AND THAT MAN?
“Sinceramente, l’idea viene… dalla mia testa. Vado pazzo per quel genere di sound da parecchio tempo. La fascinazione per quel tipo di sonorità mi ha preso già dai primi anni Novanta con artisti come Danzig e Sisters Of Mercy e poi si è sviluppata in una grande attrazione per Nick Cave e altri. Negli ultimi dieci anni poi mi sono avvicinato anche ad artisti come Mark Lanegan, Jack White, Neil Young, ma era proprio un genere a cui prima non dedicavo attenzione e di cui poi mi sono innamorato, ed è bello tenere la mente fresca e aperta a nuovi stimoli”.
QUINDI SI PUO’ DIRE CHE SIA QUALCOSA CHE HA PRESO FORMA IN UN MOMENTO PRECISO DELLA TUA VITA, PIU’ CHE UNA COSA CHE HAI SEMPRE VOLUTO FARE?
“Sì, diciamo che era necessario che le cose si mettessero a posto e si sviluppassero serenamente. Ho conosciuto John (Porter, musicista anglo-polacco e altra metà della band, ndR), ci sentivamo al telefono, e poi mi è venuta questa idea di metter su una band insieme. Lui ne era incuriosito, ed è stato abbastanza pazzo e figo da decidere di farlo sul serio. John è un esperto di musica mostruoso, e la musica dei Me And That Man è un po’ il pane quotidiano di John. Per me era una dimensione totalmente nuova da esplorare, ma per lui no: è molto più vicina a quello che già fa”.
TRA I NOMI CHE HAI CITATO COME TUE INFLUENZE MANCA LEONARD COHEN: IL TITOLO DELL’ALBUM, PERO’, SEMBRA UN OMAGGIO AGLI ALBORI DELLA SUA CARRIERA…
“In realtà no. Quando io e John abbiamo iniziato a suonare assieme abbiamo preso Charles Bukowski e la sua vita come fonte di ispirazione. Quindi abbiamo scelto il titolo di uno dei suoi libri, ‘Love Is A Dog From Hell’, come titolo dell’album: in origine doveva chiamarsi così. Anche sulla copertina c’è un ritratto di Bukowski. Ma poi alla Cooking Vinyl hanno messo le mani avanti, alcuni eredi di Bukowski sono ancora in vita e temevano che ci fossero problemi con il copyright. Quindi mi sono detto, ‘Ok, cambiamolo’. Non volevo andare incontro a complicazioni. Quindi ci siamo rimessi a parlare del titolo dell’album – credo fosse più o meno un anno fa – e ho pensato a ‘Songs Of Love And Death’. Ma onestamente penso che ‘Love Is A Dog From Hell’ fosse migliore! (ride, ndR)”.
MA PASSIAMO DA BUKOWSKI A NICK CAVE: IL NOSTRO È UN PORTALE METAL, MA MOLTI IN REDAZIONE SONO SUOI GRANDI FAN. CI SEMBRA CHE IL TUO LAVORO COI ME AND THAT MAN RICORDI PARECCHIO LE SUE SONORITÁ DELL’EPOCA DI “HENRY’S DREAM”.
“Che figata! Sono un grande fan di Nick Cave anch’io. Beh, la mia musica è il risultato di come vivo la mia vita, dei dischi che ascolto, dei libri che leggo, dei film che guardo e via dicendo. Il riferimento a Nick Cave salta fuori in quasi tutte le recensioni, quindi evidentemente qualcosa c’è. Ma mentre lavoravo al disco, francamente, non pensavo per nulla a Nick Cave: scrivevo musica e basta. Ho sempre detto che i Me And That Man sono tutto fuorché originali, ne sono consapevole. Ma spero che possiamo essere ‘unici’ in altri modi: dalle voci, al modo un cui io e John lavoriamo insieme, alla realizzazione del disco, tutti questi elementi rendono unico un lavoro, anche se sappiamo che non è così innovativo. Quanto al paragone con Nick Cave… meglio essere paragonati a Nick Cave che ad altre band, perché in qualche modo rispecchia il genere di atmosfera che volevamo trasmettere. Tom Waits, Neil Young, i Clash , i Damned.. sono tutte band e artisti che hanno ispirato i Me And That Man. Comunque apprezzo il paragone, per me è un grande complimento essere accostato ad un artista così genuino e geniale. L’ho visto un paio di volte e tornerò a vederlo in tour”.
…DA PARTE NOSTRA, ABBIAMO GIÁ I BIGLIETTI!
“Anch’io! Li ho presi per Varsavia e Berlino, ma forse andrò anche a Praga… insomma, gli farò un bel po’ di stalking durante questo tour (ride, NdR)! In ogni caso, non era uno dei riferimenti che avevo in mente quando lavoravo al disco, ma sicuramente è uno degli artisti più influenti degli ultimi decenni per il genere. Quindi prenderò il paragone come un grandissimo complimento”.
LO PENSIAMO DAVVERO: CREDIAMO CHE L’ATMOSFERA DELL’ALBUM, CON IL SUO BLUES-FOLK A TINTE FOSCHE, SIA MOLTO ‘À LA NICK CAVE’. I ME AND THAT MAN SARANNO UNA TUA FORMA D’ESPRESSIONE ANCHE IN FUTURO O SONO STATI SOLO UN EPISODIO? LI VEDI COME UN PROGETTO DURATURO O COME UN’OCCASIONE PER DARE OSSIGENO A ISPIRAZIONI CHE NON PUOI CONCRETIZZARE NEI BEHEMOTH?
“Non ne ho idea. Per usare una metafora che ho già adoperato in passato, i Behemoth sono come un matrimonio che dura da venticinque anni, mentre i Me And That Man sono una sorta di amante che mi sta a fianco e mi intriga. Non so quanto potrebbe andare avanti questa ‘relazione’: magari sarà la storia di una notte, magari sarà un affaire di cinque anni, non saprei. Però mi aiuta in ciò che faccio nei Behemoth, e viceversa. Ho creato i Me And That Man con qualcosa che era in fondo al mio cuore e avevo bisogno di questa esperienza per tenere in equilibrio il mio lato artistico. Tra poco tornerò nell’antro dei Behemoth per lavorare ad un nuovo disco di metal estremo, col più incondizionato amore per il genere. Ma avevo bisogno di dedicarmi per un po’ a una nuova sfida, a qualcosa di meno ‘metal’ e più primitivo, meno… meno tutto, non so se mi spiego. È stato come dare una rinfrescata al mio stile, cosa che influenzerà anche la mia scrittura nei Behemoth. Il nostro prossimo album sarà più atmosferico e catchy, ci sarà più respiro”.
A QUESTO PUNTO SIAMO CURIOSISSIMI DI SENTIRE COSA AVETE IN SERBO PER NOI COI BEHEMOTH. A PROPOSITO DI DIVERGENZE STILISTICHE, COM’ È STATO IL PASSAGGIO A QUESTO NUOVO MODO DI CANTARE E SUONARE? NEI ME AND THAT MAN SEI SOLO CON LA TUA CHITARRA E CANTI IN PULITO, IN UNA SITUAZIONE MOLTO DIVERSA DAL SOUND MAESTOSO DEI BEHEMOTH. È STATO UN PASSAGGIO NATURALE O LO HAI VISTO PIÙ COME UNA SFIDA?
“È stato tutto molto naturale. Vedi, abbiamo un motto nei Me And That Man: ‘Se ci mettiamo troppo, allora non c’è alcuna canzone’. È così che componiamo, in cinque minuti il pezzo deve essere imbastito. Viene tutto molto spontaneo, prendo la chitarra e vedo cosa salta fuori. Sto cercando di applicare un metodo compositivo più intuitivo anche nei Behemoth: suono e basta, senza pensarci troppo. Molto nel nuovo album dei Behemoth è stato creato in questo modo. Ma poi il processo compositivo si dilunga per settimane e addirittura mesi, mentre nei Me And That Man sono cinque fottuti minuti ed è fatta. Quanto al cantato pulito, la cosa è stata un po’ più complicata, perché ho cantato in scream per venticinque anni ed ero spaventato all’idea di cantare nei Me And That Man, anche perché John ha molta più esperienza. All’inizio pensavo di fare solo qualche particina vocale: non mi sentivo così sicuro di poter cantare. Ma poi sono arrivato in studio con ‘My Church Is Black’ pronta, con musica e testo, e mi sono detto ‘Ok, proviamo’. Quello è stato il mio primo esperimento di canto pulito su un brano e il risultato è stato piuttosto buono. All’inizio ero molto critico verso me stesso, ma John mi ha incoraggiato. Mi sono esercitato e alla fine sono stato soddisfatto di quello che ne è venuto fuori. Penso che se faremo un altro album coi Me And That Man avrò occasione di migliorare, avrò occasione di suonare live e col tempo potrò perfezionarmi. Ma al tempo stesso non voglio stressare la mia voce: ascoltando il disco, lo si capisce anche dal range su cui mi muovo. I brani sono scritti apposta per non stressare la voce, non ci sono così tante dinamiche. In fin dei conti, non sapevo nemmeno se ci sarei riuscito, né se ci sono riuscito, quindi mi limito a cantare quello che posso. Quindi mi mantengo su melodie piuttosto piatte e, di fatto… parlo, mettendo qualche nota qua e là – un po’ come Cohen, Cave eccetera. Non mi spingo troppo in là. Ma è venuto tutto piuttosto spontaneo, c’è poco di intenzionale”.
VISTO CHE SI È PARLATO DI SHOW LIVE, PUOI DIRCI SE TU E JOHN VI LIMITERETE A PORTARE SUL PALCO IL VOSTRO REPERTORIO O SE INTEGRERETE LA SCALETTA CON DELLE COVER?
“Suoneremo tutto il disco, probabilmente qualcosa dal vecchio repertorio di John e qualche cover, tipo ‘Psycho Killer’ dei Talking Heads”.
ABBIAMO LETTO E RECENSITO LA TUA BIOGRAFIA, CHE ABBIAMO TROVATO INTERESSANTE NON SOLO PER I FAN DELLA TUA MUSICA, MA PER CHIUNQUE VOGLIA APPROFONDIRE LA CONOSCENZA DI UNA PERSONA BRILLANTE E PROFONDA. VORREMMO QUINDI CHIEDERTI ALCUNE COSE A RIGUARDO; INNANZITUTTO QUAL È STATA LA GENESI EDITORIALE, POI COME VIVI LA TUA CONDIZIONE DI ‘UOMO DI SUCCESSO’, VISTO CHE DAL LIBRO EMERGE CHIARAMENTE COME – SOPRATTUTTO IN PATRIA – TU SIA UNA VERA E PROPRIA CELEBRITÀ.
“È stata scritta poco dopo che sono stato dimesso dall’ospedale, e chiaramente era un periodo in cui riflettevo molto sulla vita, la mia in particolare, e non mi risparmiavo di parlarne. E mi era chiaro che la vita può essere breve, o può durare ancora quaranta o cinquanta anni. All’epoca di anni ne avevo trentacinque e ho fatto un primo bilancio delle mie ‘vite’ fino a quel momento, delle ragioni che mi hanno fatto vivere in quel modo; e l’ho fatto parlandone con uno che è mio amico da oltre venticinque anni e con un giornalista (rispettivamente Krzysztof Azarewicz e Piotr Weltrowski, ndR); ed è stato utile farlo con una persona che ricorda le mie stesse esperienze perché le abbiamo vissute assieme. Ed è semplicemente straordinario come questo libro abbia venduto oltre quarantamila copie in Polonia, diecimila nell’edizione inglese, poi sia stato tradotto in francese, ora in italiano, … Non mi sarei mai aspettato tutta questa attenzione, wow!”.
ABBIAMO DAVVERO APPREZZATO L’ONESTÀ E LA GENUINITÀ CON CUI PARLI.
“Sai, sicuramente non ho cercato in nessun modo di sembrare qualcun altro, ma di mostrare il mio mondo e le cose che ho fatto, la mia visione della vita, senza costruire leggende e anche con episodi che tutto sommato sono imbarazzanti! Ma penso fosse giusto essere onesto e che uscisse un vero essere umano, senza nascondere nulla, e sono veramente felice del risultato; confesso che ogni tanto, anche dopo cinque o sei anni dalla prima edizione lo apro, prendo una pagina a caso e leggendola penso, ‘beh, è un libro figo!”.