MEFITIS – Il tramonto rosso

Pubblicato il 22/12/2024 da

Mefitis è un nome che, negli ultimi anni, ha iniziato a risuonare con forza nella scena metal underground, grazie a un approccio peculiare al black/death metal.
Formatisi con l’ambizione di creare un suono tanto creativo quanto intransigente, Pendath e Vatha, le due menti dietro il progetto, hanno saputo mescolare tradizione ed esplorazione sonora in modi che spesso sfidano le convenzioni del genere. Dopo l’intenso “Emberdawn” e l’iper-tecnico “Offscourings”, i ragazzi californiani sono tornati con un nuovo album, “The Skorian // The Greyleer”, che rappresenta un ulteriore passo avanti nella loro evoluzione artistica, arricchendo il loro stile con temi più melodici e una composizione più accessibile ma non meno evocativa.

In questa intervista, Pendath ci guida attraverso il viaggio creativo della band, raccontandoci come il sound dei Mefitis sia nato e si sia evoluto nel tempo, dagli esordi caratterizzati da un ferreo purismo musicale fino alla scoperta di un equilibrio più ampio e versatile. Si parla di cosa significhi realmente ‘dark metal’, delle sfide nel bilanciare tecnica e atmosfera, e del ruolo fondamentale che l’arte visiva ha nella loro produzione.

COSA HA ISPIRATO INIZIALMENTE IL CONCEPT DIETRO “THE SKORIAN // THE GREYLEER” E COME SI È EVOLUTO DURANTE IL PROCESSO DI SCRITTURA E REGISTRAZIONE?
– Il tutto ha avuto origini modeste, da un numero di Heavy Metal Magazine che abbiamo trovato in un mercatino delle pulci; si tratta di una serie anni ’70 di fumetti ‘dark’ per adulti. In uno di essi abbiamo trovato l’illustrazione che alla fine abbiamo ottenuto in licenza da Paul Kirchner per il nostro primo singolo, “The Untwined One”. Io e Vatha abbiamo trovato il dipinto evocativo e immaginato le nostre storie che avrebbero potuto svolgersi in quell’ambientazione.
Qualche anno fa avevo comprato un vecchio registratore a bobina TEAC e avevo sempre voluto provare a registrare con esso. Così abbiamo deciso di scrivere un EP velocemente, basando la musica sulle storie menzionate. Tutte le canzoni sarebbero insomma state incise su nastro.
Come accade letteralmente per ogni album dei Mefitis, una volta che le cose hanno iniziato a prendere forma, il tutto è però diventato qualcosa di molto più grande rispetto all’idea iniziale.

LA DECISIONE DI REGISTRARE SU NASTRO ANALOGICO COME HA INFLUENZATO IL VOSTRO APPROCCIO SIA ALLA COMPOSIZIONE CHE ALLA PRODUZIONE DI QUESTO ALBUM?
– L’impatto più significativo si è avuto sul modo in cui abbiamo composto i brani. Con le limitazioni del nastro, abbiamo capito che la registrazione avrebbe richiesto molte meno riprese, necessitando quindi di un approccio più semplice rispetto, ad esempio, a “Offscourings”. Questo tuttavia non significa che i brani siano primitivi, infatti qualcuno ci definirà sicuramente ancora ‘technical death metal’ (ride, ndR).
Lavorando con idee più semplici, bisogna trovare modi diversi per mantenere l’interesse… soprattutto se si ha la nostra indole, mia o di Vatha: ci annoiamo facilmente con la musica. Questo ha portato a dare maggiore enfasi a certi passaggi più orecchiabili, a sottili eventi ritmici e/o melodici, e a numerosi strati ‘extracurriculari’ per riempire arrangiamenti che sarebbero stati più complessi. Sono tutti elementi che fanno parte del paesaggio sonoro dei Mefitis sin dall’inizio, ma qui con un’enfasi più forte.

L’ALBUM È PRESENTATO COME UNA DUOLOGIA. PUOI SPIEGARE COME “THE SKORIAN” E “THE GREYLEER” FUNZIONANO SIA COME ENTITÀ SEPARATE SIA COME PARTI DI UN’OPERA COESA?
– Ci sono ragioni sia pratiche che artistiche per questa sorta di approccio duologico.
Vogliamo che l’ascoltatore abbia più modi per vivere l’album: in modo tradizionale, dall’inizio alla fine, o in due parti separate. Ogni lato offre un’esperienza completa.
Siamo ben consapevoli dei brevi tempi di attenzione nella scena musicale odierna, così satura; non importa quanto sia eccellente un album: ogni traccia successiva riceverà progressivamente meno ascolti. Alcuni pensano quindi che l’album sia un formato obsoleto e che i musicisti dovrebbero pubblicare singoli. Questo è un azzardo, a nostro avviso. Nel nostro piccolo speriamo che questo formato incoraggi le persone a esplorare più a fondo la seconda metà rispetto a un album tradizionale.
Artisticamente, le due metà rappresentano una prospettiva diversa sullo stesso mondo: “The Skorian” offre una visione esterna, mostrando il macrocosmo e il cosiddetto Zeitgeist del popolo di Skoria. “The Greyleer”, invece, è più intimo, esplorando l’esperienza di un protagonista in questo mondo parallelo.
Non entro nei dettagli per due motivi: non voglio scrivere una sinossi; l’ascoltatore troverà più valore scoprendo questi temi e storie attraverso un coinvolgimento attivo con i testi. Inoltre, Vatha ha scritto i testi e può parlarne meglio di me, se lo desidera.
Facciamo tutto noi due da soli, il che ci permette di lavorare su una canzone alla volta, lasciando che l’album si sviluppi organicamente. Tuttavia, questo processo molto dilatato nel tempo può essere soggetto a imprevisti che possono influire sul tuo lavoro. Ad esempio, a metà produzione, ci siamo trasferiti in un nuovo studio/sala prove, con un diverso suono ambientale e nuove attrezzature. Questo ha naturalmente influenzato il carattere della produzione, anche se il nostro approccio e i nostri gusti sono rimasti gli stessi.
Il piano originale era di confezionare l’album come una sorta di doppio EP, cosa che probabilmente avrebbe fatto arrabbiare molti (come spesso accade con noi). Tuttavia, quando tutto si è concretizzato, ci è sembrato abbastanza coeso da poterlo considerare un album.
Inoltre, abbiamo realizzato che le leggere differenze di produzione erano un vantaggio. I dischi metal spesso stancano l’orecchio con chitarre e batteria uniformi per tutta la durata del lavoro. Un cambiamento nelle frequenze speriamo dia una pausa e rinnovi l’attenzione dell’ascoltatore.

VEDETE QUESTO NUOVO LAVORO COME UNA PROGRESSIONE O UNA DEVIAZIONE RISPETTO A “OFFSCOURINGS” E “EMBERDAWN”?
– “Emberdawn” è stata la realizzazione di tutti gli aspetti del metal che amavamo in quel periodo, mentre “Offscourings” ha ampliato questo concetto, concentrandosi sulle caratteristiche che ci rendevano unici, senza trattenersi sugli ornamenti. Ci siamo chiesti: “Quali sono le idee più folli che possiamo inventare rimanendo fedeli al nostro sound?”.
“The Skorian // The Greyleer” ci vede integrare le nostre influenze non metal più che mai, ampliando la nostra tavolozza sonora, pur tornando a una scrittura musicale più semplice.

COME BILANCIATE GLI ELEMENTI BLACK E DEATH METAL NELLA VOSTRA MUSICA PER CREARE IL VOSTRO STILE ‘DARK METAL’? COS’È PER VOI IL DARK METAL? POTRESTE CITARE ALTRE BAND CHE APPARTENGONO A QUESTO STILE?
– Non direi che ci sia una scienza esatta nel creare un equilibrio tra black e death metal che soddisfi la nostra visione del dark metal. Inoltre, non abbiamo mai scartato un riff perché era ‘troppo’ di uno o dell’altro genere. Io e Vatha siamo cresciuti ascoltando entrambi i generi, amando aspetti specifici di ciascuno, senza mai sentire il bisogno di tenerli separati.
Ho incontrato molti musicisti che hanno il loro progetto death metal e poi quello black metal. Mi sembra una separazione arbitraria, dato che non esiste una barriera netta tra i linguaggi dei due generi. Perché fare ciò quando si potrebbe concentrare più energia nel rendere unico un solo progetto?
L’obiettivo originale del dark metal era quello di fondere i due sottogeneri più oscuri del metal in un insieme coeso. Non è che non sia mai stato fatto prima, ma spesso può sembrare una miscela confusa o un suono dove comunque si tende a favorire una delle due anime, portando a definizioni ingombranti come ‘blackened death metal’ o, peggio, ‘deathened black metal’. Dal canto nostro, man mano che sviluppavamo il nostro sound, un pizzico di influenze gotiche ha davvero aiutato a cristallizzare cosa fosse effettivamente il dark metal per noi.
Siamo consapevoli che l’uso di elementi gotici ci mette in acque pericolose, considerando la presenza di alcune cosiddette band ‘dark metal’ che, in realtà, sono goth rock mascherate da metal. Ma quella particolare accezione non ha mai fatto troppi proseliti. Dal canto nostro, ci siamo ispirati al disco di debutto di Bethlehem, “Dark Metal”, vedendolo come un faro da seguire.
Bethlehem, Avenger e Aeternus sono tra i pochi altri che abbracciano il termine dark metal come lo intendiamo noi. Altri nomi affini potrebbero essere Allegiance, Beatrik, i primi Septic Flesh, Necrophobic, Dissection, Akercocke, Equinox e persino il primo album black metal dei Darkthrone. Non definiremmo molti di questi influenze dirette sul nostro sound, ma puoi ravvisare uno spirito affine in questa lista.

LA VOSTRA MUSICA PUÒ ESSERE MOLTO COMPLESSA, SPECIALMENTE “OFFSCOURINGS,” UN ALBUM ESTREMAMENTE DENSO E TECNICO, MENTRE IL NUOVO CAPITOLO, COME ACCENNATO, È IN QUALCHE MODO PIÙ ARMONIOSO. COSA TROVATE PIÙ APPAGANTE NELLA NATURA SPERIMENTALE DEI MEFITIS E DOVE PENSATE CHE QUESTO APPROCCIO VI PORTERÀ?
– Giusto, “Offscourings” è probabilmente il disco più denso che abbiamo scritto e probabilmente manterrà sempre quel primato. Stavamo davvero cercando di portare ciò che avevamo fatto in “Emberdawn” alla sua conclusione più radicale. Sono ancora molto orgoglioso del nostro secondo album, per quanto polarizzante sia stato. L’elevato contrasto con la semplicità della copertina ha fatto il resto. C’è una qualità netta, desolata, persino fredda in quell’album che ancora ammiriamo, ma che difficilmente riprenderemo in futuro.
Non mi sono mai considerato particolarmente sperimentale. O progressivo, qualunque cosa significhi. Ora stiamo persino iniziando a vedere il termine avantgarde associato a noi. Davvero? La maggior parte di ciò che facciamo è saldamente radicata nella scuola del metal estremo: stiamo semplicemente cercando di spingerla oltre e di incorporare tonalità che troviamo evocative.
Di solito, quando sento il termine ‘sperimentale’, penso a elementi quasi non musicali, o a una dissonanza esasperata, che è esattamente l’opposto di ciò che stiamo facendo. Tuttavia, sì, si può dire che sperimentiamo. Cerchiamo di inventare riff, melodie e persino progressioni di accordi che nessuno ha mai fatto prima… per quanto futile possa essere. Aggiungiamo strati per enfatizzare ciò che ogni sezione di una canzone sta cercando di trasmettere. Quindi, sì, ‘sperimentale’ è un modo giusto per descrivere i Mefitis, suppongo.
In definitiva, stiamo solo cercando di creare il tipo di musica che vogliamo ascoltare. La parte più appagante di questo processo è imbattersi in un’idea che ci stuzzica, e poi vederla prendere forma in modo completo e realizzato.

L’ARTWORK INCLUDE CONTRIBUTI DI DIVERSI ARTISTI. COME AVETE SELEZIONATO QUESTI ARTISTI E COME LE LORO OPERE COMPLETANO I TEMI DELL’ALBUM? L’ARTWORK DI “OFFSCOURINGS” ERA MOLTO SEMPLICE, AVETE VOLUTO MUOVERVI NELLA DIREZIONE OPPOSTA QUESTA VOLTA?
– Anche se l’artwork di “Offscourings” è effettivamente semplice, non è stato affatto facile da creare. Quei ritratti non sono fotografie; li ho disegnati a mano!
Collegandomi alla prima risposta di questa intervista, l’opera di Paul Kirchner che vedete sul nostro primo singolo per questa uscita, “The Untwined One”, doveva originariamente essere la copertina di tutta la release. Man mano che l’ambito di questo progetto si ampliava, ci siamo però resi conto che avevamo bisogno di un dipinto più grandioso per rappresentarlo adeguatamente.
Vatha ha trovato Billy Norrby, che ha creato la nostra copertina principale, dopo aver sfogliato probabilmente centinaia di portfolio online. Non aveva mai lavorato a un album metal prima d’ora, dato che si occupa principalmente di copertine di libri. Non sorprende quindi che la nostra copertina somigli un po’ a un libro. Dovreste vedere alcune delle altre opere di Billy. Ha fatto parte di un team che ha ridipinto una cattedrale in rovina con scene ispirate alla storia del videogioco “Dark Souls” per la loro campagna di marketing più recente. Un lavoro davvero impressionante. Lo abbiamo scoperto solo dopo averlo ingaggiato!
Prima di iniziare, ha trascorso molto tempo parlando con noi, leggendo i nostri testi, ascoltando i nostri mix grezzi e analizzando i dipinti che gli abbiamo inviato. Abbiamo sentito che il suo lavoro catturava davvero l’essenza di “The Skorian // The Greyleer”.
Per quanto riguarda le altre opere, avevamo già collaborato con Catarina Putri, mentre abbiamo trovato Saheefa Mustafa grazie al suo stile ‘pulpy’; infine, utilizziamo da tempo le opere di Forest Hughes, dato che siamo buoni amici e ha persino suonato dal vivo con i Mefitis.
Noterete che in tutti i nostri album ci sono più dipinti: vogliamo che i nostri supporti fisici contengano una sorta di galleria d’arte che mostri molti angoli diversi dei concetti che stiamo esplorando.

DURANTE LA COMPOSIZIONE DI NUOVE TRACCE, COME DECIDETE SULLA QUALITÀ DELLA VOSTRA MUSICA? QUALI SONO I VOSTRI CRITERI PER UNA BUONA CANZONE DEI MEFITIS? QUALI PASSI SEGUITE PER CREARE UNA TRACCIA PERFETTA PER IL VOSTRO ALBUM?
– L’ho detto in passato, ma comporre musica è spesso un processo di scoperta e di cura per i dettagli. Idee apparentemente casuali vengono generate sugli strumenti o semplicemente annotandole, quasi come il processo delle mutazioni genetiche, finché qualcosa non emerge e suscita una forte emozione (o ‘sopravvive’, per completare l’analogia). Una volta che hai qualcosa, inizi a raffinarlo e ad arrangiarlo intorno a quell’idea. Ripensando alle nostre migliori idee, quasi sento che le abbiamo ‘trovate’ o che siano arrivate a noi, piuttosto che averle create.
Per quanto possa essere controverso, credo davvero che ci sia un livello di qualità oggettiva nella musica. Quando qualcosa è grandioso, è perché questo è una sorta di chiave che sblocca una parte dell’esperienza umana. Il modo in cui riconosci che qualcosa è buono non è attraverso l’analisi; lo sai intuitivamente, perché lo senti.
Quanto sopra è una dichiarazione generale, certo, poiché ci sono ovviamente approcci diversi alla composizione che funzionano, molti dei quali sono stati utilizzati da noi stessi.

COME HAI IMPARATO A SUONARE? USI LA TEORIA MUSICALE O UN ALTRO METODO? L’ANALFABETISMO MUSICALE TI HA AIUTATO O OSTACOLATO NEL CREARE MUSICA CHE SUONASSE COME VOLEVI?
– Da bambino ho preso lezioni di pianoforte, suonato nell’orchestra della scuola (era obbligatorio) e poi posso dire che certe circostanze della mia vita abbiano costruito per me una base musicale. Quando avevo undici anni, mia madre voleva imparare a suonare la chitarra, così comprò una Squier. Rimase inutilizzata finché non la presi in mano io. Smanettai un po’ finché non suonò musicale, e subito sentii la necessità di scrivere qualcosa. Essendo mancino, suonavo la chitarra al contrario, e le cose da lì hanno preso una piega interessante.
Allo stesso tempo, volevo davvero suonare la batteria. I miei genitori mi dissero che, se mi fossi esercitato ogni giorno con i pad e avessi preso lezioni per sei mesi, avrei potuto avere una batteria… così è andata, e il resto è storia.
Pur non essendo il punto di partenza del nostro approccio musicale, sia io che Vatha abbiamo una buona comprensione della teoria musicale e la utilizziamo nel processo di arrangiamento. Non sopporto l’argomento secondo cui la teoria musicale in qualche modo inibisca la creatività. Suona davvero come un meccanismo di difesa per chi non vuole impegnarsi. D’altra parte, quanto devi essere arrogante per affermare che non esiste un quadro al di fuori della tua mente che potrebbe migliorare la tua musica? La teoria semplicemente modella ciò che il tuo orecchio già conosce. Ne hai assolutamente bisogno? No. Ma è una risorsa. Almeno saprai quando stai ‘infrangendo le regole’, invece di farlo deliberatamente in modo ingenuo.
La quantità di canzoni metal che sento e che potrebbero essere infinitamente migliori con una maggiore concordanza tra le note degli strumenti mi lascia senza parole. È molto facile capire quando non si tratta di intenzione artistica, ma semplicemente di un’incapacità di comprendere tutte le parti in movimento nella tua canzone. Questo non è un attacco alla dissonanza in sé, ma capire le tonalità che stai evocando e usare un po’ di teoria per affinare il tutto in quella direzione renderà le tue idee più pienamente realizzate.

RITORNANDO AI VOSTRI PRIMI GIORNI COME BAND, COME VI SIETE FORMATI? AVEVATE UN PIANO SPECIFICO PER IL SUONO CHE VOLEVATE PRODURRE? E, DURANTE LA FORMAZIONE, OLTRE ALLO STILE MUSICALE, C’ERA UN’IDEOLOGIA CHE TUTTI I MEMBRI DOVEVANO CONDIVIDERE?
– Ero un tredicenne pieno di entusiasmo e vidi un volantino “Cercasi batterista” in un locale e sala prove della zona. Erano due ragazzi che volevano suonare thrash nello stile della Bay Area. Non avevano canzoni scritte, così portai alcune delle mie. Non erano esattamente in linea con i loro obiettivi, ma furono più soddisfatti quando scesi a compromessi inserendo un breakdown in stile Pantera (ride, ndR).
In quello stesso posto, c’erano anche lezioni e jam session aperte a cui si poteva partecipare. Lì vidi Vatha con una maglietta metal davvero figa (difficile dire quale fosse, a questo punto). Iniziammo a parlare e ci rendemmo subito conto di avere gusti musicali simili. Tuttavia, lui era un po’ più grande e la sua conoscenza musicale surclassava totalmente la mia. La band aveva bisogno di un secondo chitarrista, così lo invitai a provare. Iniziò ad aggiungere armonizzazioni ai riff rendendo il suono molto più maligno. Lo adoravo, ma gli altri ragazzi facevano smorfie. Alla fine se ne andarono, dicendo che ci eravamo presi il controllo della band. Adios! Così rimanemmo solo io e Vatha, e rinominammo il progetto Mefitis.
Per quanto riguarda le ideologie, sì, c’era un requisito. Essenzialmente, un intransigente elitismo e purismo nel black/death metal. Ah, la gioventù… Ci servì per sviluppare il nostro sound, poiché aderivamo sempre a uno standard ben preciso. Tuttavia, col tempo ci siamo resi conto che quel mondo è molto insulare e non ti porta a fare grandi passi avanti nel genere.

SIETE SOLITI SUONARE SPESSO DAL VIVO? AVETE INTENZIONE DI PROMUOVERE IL DISCO IN QUESTI TERMINI?
– Ci esibiamo live a fasi alterne. Abbiamo suonato dal vivo in passato e coinvolto altri membri per i concerti. Qualche anno fa, il nostro set era incredibilmente preciso, con uno spettacolo di luci coordinato e progettato da Forest Hughes. Si possono vedere alcuni video delle nostre prove sul nostro canale YouTube. L’atmosfera era intensa. Tuttavia, oggigiorno siamo più concentrati sulla registrazione di musica. La natura immortale di un disco è per noi più allettante rispetto a quella sorta di mandala di sabbia che sono le performance dal vivo. Nel futuro immediato, non promuoveremo il disco sul palco.

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