MESHUGGAH – Il sogno continua

Pubblicato il 18/11/2014 da

“Yuk, Prof., cosa faremo domani sera”? “Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo, cercare di conquistare il mondo”! Arrivare a dominare il pianeta in una sera, i nostri due cari topolini se ne sono accorti infinite volte, è impresa impossibile. Dandosi un lasso di tempo più ragionevole, si può fare. Ai Meshuggah è riuscito. Nel 1989, quando uscì il primo EP omonimo, i Meshuggah non erano altro che un manipolo di musicisti con un’idea del metal un po’ fuori dai canoni, sottol’egida di un monicker in ebraico scovato un po’ per caso. Venticinque anni più tardi e sette full-length rilasciati nel frattempo, Meshuggah non significa semplicemente “pazzo”, rappresenta un ideale di come dovrebbe essere la musica pesante: geniale, irrazionale, complicatissima, ma anche feroce, tranciante, trascinante ed esaltante. A metà anni ’90, con l’irruzione sulla scena del secondo album “Destroy Erase Improve”, è iniziata l’ascesa di quello che all’epoca era un gruppo fondamentalmente underground, non capito e un po’ snobbato dai contemporanei. Da band per pochi, nel corso degli anni gli svedesi hanno guadagnato nuove fette di pubblico, aumentando di popolarità elaborando opere progressivamente più dure e deviate, cerebrali e soffocanti. La deumanizzazione impetuosa perseguita con dedizione assoluta un disco dopo l’altro, invece di alienare consensi, li ha fatti esplodere, grazie anche a performance live tanto veementi da far sbiancare dalla paura chi abbia avuto la fortuna di assistervi. Adesso ascoltare i Meshuggah è cool, ci sono decine di ensemble sui vent’anni di media che provano ad emulare la loro inimitabile formula all’interno dello sterminato calderone djent, i nomi di Jens Kidman, Mårten Hagström, Fredrik Thordendal e Tomas Haake sono pronunciati con devozione e ammirazione sconfinata e l’attesa per ogni nuova uscita è pari a quella per l’apparizione di una divinità. In vista del breve tour celebrativo di questi indimenticabili 25 anni, i contorti massacratori di Umeå, ci hanno concesso udienza e Tomas Haake ci ha permesso di guardare con i suoi occhi lo straordinario percorso intrapreso finora.

Meshuggah - foto intervista 1 - 2014
COSA STATE COMBINANDO IN QUESTO PERIODO? VI STATE SEMPLICEMENTE  PREPARANDO AL TOUR DI FINE ANNO O C’È DELL’ALTRO CHE BOLLE IN PENTOLA?
“Ci siamo messi sotto con la scrittura di nuova musica, e siamo eccitati da questa ripresa dei lavori. Capitano dei periodi in cui combini poco e non ti succede nulla di interessante per intere settimane, ma poi arriva il momento che ti rimetti all’opera e le giornate diventano improvvisamente molto interessanti. Direi quindi che stiamo vivendo un buon periodo, sono contento che abbiamo ripreso a muovere la ‘macchina’ Meshuggah”.

AVETE TOCCATO QUEST’ANNO IL VENTICINQUESIMO ANNO DI ATTIVITÀ. È UN TRAGUARDO IMPORTANTE, CHE PORTA A GUARDARSI INDIETRO E A FARE UN BILANCIO DI QUELLO CHE SI È VISSUTO. QUALI SONO A TUO AVVISO I TRE MOMENTI PIÙ IMPORTANTI, I PUNTI DI SVOLTA, DELLA CARRIERA DEI MESHUGGAH?
“Il primo grande passo in avanti della nostra storia è coinciso con l’uscita di ‘Destroy Erase Improve’ nel 1995. E’ arrivato nel momento più opportuno, ha colto l’attimo: in quello stesso anno è uscito ‘Demanufacture’ dei FearFactory, dodici mesi prima era arrivato ‘Burn My Eyes’ dei Machine Head. In quel periodo sono venute a galla nuove band con un suono molto distintivo, e noi siamo stati fortunati a pubblicare il nostro secondo album proprio quando c’era il maggior interesse per un certo tipo di metal. Siamo quindi riusciti a cavalcare l’onda, a inserirci in un filone che stava conoscendo il suo apice. Per me anche ‘ContradictionsCollapse’ è un ottimo disco, il nostro esordio rimane una testimonianza molto valida di quello che eravamo, ma all’epoca, nel 1991, non eravamo riusciti a lasciare un grande segno. Ci eravamo conquistati solo una cerchia molto ristretta di fan, in pochi si erano accorti di noi. Fino alla pubblicazione di ‘Destroy Erase Improve’ eravamo poco considerati, da lì in avanti è cambiato tutto, siamo improvvisamente diventati un punto importante sulla mappa del metal. Abbiamo iniziato ad essere cercati, a diventare qualcuno a cui fare riferimento e da prendere come termine di paragone. Il secondo step di rilievo può essere considerato il tour di supporto agli Slayer negli Stati Uniti nel 1999. Ci ha aperto moltissime porte sul mercato americano, da allora siamo riusciti a ‘sfondare’ da quelle parti tanto che, e questo forse i fan europei non lo sanno, gli States sono diventati il nostro mercato principale, qui ormai abbiamo dei numeri di vendita superiori al totale del Vecchio Continente. Arriviamo poi al tour con i Tool nel 2002, che ci ha permesso un ulteriore salto di qualità in termini di visibilità. Tutto il 2002 è stato un grande anno, ‘Nothing’ ci ha portato ad un livello di attenzione da parte dei media di cui non avevamo mai goduto in passato. La campagna di promozione per quell’album è stata massiccia, eravamo dovunque! Come accennato, il tour americano con i Tool in quell’anno ci ha portato ad esibirci davanti a folle sterminate, ogni sera c’erano dalle 15.000 alle 30.000 persone a vederci, una cosa inimmaginabile fino a pochi anni prima”.

PROPRIO MENTRE STAVO PREPARANDO L’INTERVISTA HO RIPENSATO ALLA PRIMA VOLTA CHE SONO VENUTO IN CONTATTO CON LA VOSTRA MUSICA, GRAZIE AL CONSIGLIO DEL PROPRIETARIO DEL NEGOZIO DISCHI DOVE MI RECAVO ALL’EPOCA. OVVIAMENTE IL DISCO CHE PRESI FU “DESTROY ERASE IMPROVE”, E RICORDO COME FOSSE OGGI LO STUPORE NEL TROVARMI A SENTIRE UNA MUSICA COSÌ ASSURDA E DIVERSA DA QUALSIASI ALTRA COSA AVESSI MAI SENTITO FINO A QUEL MOMENTO. IL BELLO È CHE, A QUASI QUINDICI ANNI DISTANZA, MI FATE ANCORA LA STESSA IMPRESSIONE! TU CHE EMOZIONI PROVI QUANDO RISENTI QUANTO HAI CREATO? QUALI SENSAZIONI TI TRASMETTE LA TUA MUSICA?
“Quello che provi deriva dal modo in cui ci poniamo rispetto alla nostra musica. Noi lavoriamo molto duro e cerchiamo di tirare fuori da noi stessi il massimo possibile, cercando di non ripeterci, anche se sappiamo benissimo che una parte dei nostri fan ci vorrebbe come gli AC/DC, una band che ripete ogni volta la stessa formula con cui è arrivata al successo. A noi invece piace esplorare, metterci alla prova, testare soluzioni non ancora affrontate, non riusciamo a fermarci, ad attingere semplicemente al materiale passato. Ogni volta che iniziamo a comporre per un nuovo album ci poniamo l’obiettivo di creare qualcosa di unico, che non sia stato ancora sentito, che non sia rintracciabile nelle nostre pubblicazioni precedenti. Un nostro album deve suonare unico prima di tutto alle nostre orecchie, altrimenti non avrebbe senso mettersi a scriverlo. Tu mi dici che riesci a essere sorpreso dai nostri dischi, ed è proprio quello che vogliamo che succeda, perché quando esce nuova musica col nome Meshuggah ti deve stupire, non può andare diversamente”.

I METAL FAN HANNO CAMBIATO DI MOLTO IL MODO DI CONSIDERARVI DAGLI ANNI ’90 AD OGGI: DURANTE LA PRIMA PARTE DELLA VOSTRA CARRIERA ERAVATE VISTI COME UN GRUPPO DIFFICILE, PER POCHI, ORA SIETE UNA DELLE STAR NELL’UNIVERSO DEL METAL ESTREMO, SENZA CHE PER ALLARGARE IL BACINO D’UTENZA ABBIATE AMMORBIDITO LA VOSTRA PROPOSTA. VE L’ASPETTAVATE DI ARRIVARE A UN TALE SUCCESSO, SOLTANTO DIECI ANNI FA?
“No, non abbiamo mai avuto aspettative di alcun tipo, siamo sempre andati avanti per la nostra strada facendoci poche domande sul grado di apprezzamento che avremmo ricevuto. La mia spiegazione di questo maggior interesse nei nostri confronti è che la scena metal in generale è diventata più estrema un po’ su tutti i fronti, quello che era considerato molto ostico ora è visto come più accessibile. Noi non siamo assolutamente cambiati, eppure siamo diventati sempre più mainstream, forse proprio perché tutto attorno a noi è stato estremizzato, e quindi a suoni così violenti e complicati ci si è fatta l’abitudine. Suonare storto e complicato oggigiorno non è un fattore così imprevisto, mentre all’epoca dei nostri primi due album, nella prima parte dei Nineties, quello che facevamo noi non lo affrontava nessuno, eravamo una mosca bianca sulla scena. Adesso siamo visti come una band molto più accessibile, e lo stesso accade per molte altre band con un approccio simile al nostro”.

CI SONO ALCUNI IMPORTANTI MOMENTI LEGATI ALLE CELEBRAZIONI PER IL VOSTRO VENTICINQUESIMO ANNO DI ATTIVITÀ ED IL PIÙ IMPORTANTE È QUELLO LEGATO AL TOUR CELEBRATIVO. PERCHÉ AVETE SCELTO DI TENERE SOLO UN NUMERO LIMITATO DI DATE? CON CRITERIO AVETE SCELTO I LUOGHI DOVE SUONARE?
“Si tratta della parte europea del tour per i 25 anni, mentre siamo già stati negli States per festeggiare questo anniversario con alcune date. In un primo momento doveva trattarsi di una serie di concerti limitata ai festiva, poi ci siamo allargati a un tour nei club, per soddisfare meglio le richieste dei nostri fan. Abbiamo deciso di non mettere assieme troppi concerti perché volevamo che fosse qualcosa di esclusivo, e la scelta dei paesi e delle città da toccare non è stata affatto semplice, perché avevamo richieste da molte parti per ospitarci. Come saprai verremo anche in Italia e a 25 anni dal nostro primo ep ‘Meshuggah’ suoneremo un set che vedrà comparire molta roba vecchia, fuori da tempo dalle nostre setlist”.

PROPRIO CON RIGUARDO DELLE CANZONI IN SCALETTA PER IL PROSSIMO TOUR, SAPPIAMO CHE, COME AVVENUTO PER ALTRE BAND IN CASI SIMILI, AVETE PROMOSSO UNA VOTAZIONE DA PARTE DEI FAN PER DECIDERE QUALI CANZONI DEBBANO ESSERE SUONATE. I RESPONSI FINALI VI HANNO SORPRESO, OPPURE  CHI VI ASCOLTA HA FATTO LE SCELTE CHE VI ASPETTAVATE?
“Qualche piccola sorpresa l’abbiamo ricevuta, ma complessivamente le scelte che sono state fatte sono abbastanza in linea con quanto avevamo preventivato di suonare. Non si può dire che sia stata data una possibilità di scelta molto ampia, infatti si potevano votare due canzoni al massimo, fra tutte quelle che abbiamo inciso in vita nostra. Se avessimo chiesto di decidere in un lotto limitato di pezzi, avremmo avuto con ogni probabilità un risultato differente”.

UN’ALTRA INIZIATIVA LEGATA AL VENTICINQUESIMO ANNO DI ATTIVITÀ È LA RISTAMPA DI “I”. PERCHÉ AVETE SCELTO DI PUBBLICARLO IN UNA VERSIONE RIMASTERIZZATA? C’ERA QUALCOSA CHE NON ANDAVA NELLA SUA PRIMA VERSIONE CHE VOLEVATE CORREGGERE?
“Non era strettamente necessario rimasterizzare ‘I’, perché suona benissimo così com’è, mi piace ancora moltissimo la sua primigenia versione, il suono che avevamo sceltoèperfetto per quel brano. Semplicemente, quando ristampi la tua musica cerchi di dare del valore aggiunto, una ragione per rendere appetibile il prodotto. Oltre alla rimasterizzazione abbiamo incluso altre canzoni, ‘Pitch Black’ era presente soltanto nella colonna sonora di un film e ci sembrava interessante renderla disponibile su cd”.

INFINE, ABBIAMO IL LIVE ALBUM “OPHIDIAN TREK”, CHE ARRIVA A SOLI QUATTRO ANNI DI DISTANZA DAL VOSTRO PRIMO LIVE “ALIVE”. QUALI SONO LE RAGIONI CHE VI HANNO SPINTO A REGISTRARE UN NUOVO ALBUM DAL VIVO COSÌ PRESTO? COS’HA DI SPECIALE “OPHIDIAN TREK” RISPETTO AD “ALIVE”?
“La differenza principale sta nel modo in cui il concerto è stato ripreso, in questo caso più sofisticato ed appagante  per il livello delle immagini. Poi ci sono molte differenze nella scaletta, quella di ‘OphidianTrek’ è molto diversa da quella di ‘Alive’, stavamo promuovendo l’ultimo disco ‘Kolossus’ e abbiamo inserito molte tracce da quell’album nei concerti. Ma la differenza più evidente, ti ripeto, sta nelle immagini, abbiamo cercato di creare un tipo di esperienza che avesse un certo stacco rispetto al precedente live album, legata anche al tipo di luci scelto per il tour 2013, che rendono la visione comunque diversa da quanto fatto in passato. Un altro aspetto interessante di ‘OphidianTrek’ è la presenza di filmati tratti dalla nostra apparizione a Wacken. Mi rendo conto che spesso i dvd musicali possono essere molto prevedibili, perché ti trovi a vedere uno show che conosci perfettamente, con le solite canzoni che ti aspetteresti di sentire, una venue che ti è famigliare, le angolazioni delle riprese come te le saresti immaginate… Per questo ci siamo sforzati di offrire una pubblicazione che valesse davvero i soldi spesi per averla, e in questo senso offrire una parte dello spettacolo di Wacken ci è sembrata un’idea azzeccata”.

COME È CAMBIATO, DAL PERIODO DI “CONTRADICTIONS COLLAPSE” E “DESTROY ERASE IMPROVE” AD OGGI, IL VOSTRO MODO DI STARE SUL PALCO E DI AFFRONTARE L’ESPERIENZA CONCERTISTICA?
“Ora affrontiamo i concerti con il click nelle orecchie, ogni canzone è suonata con il tempo che dovrebbe avere, quello che senti su disco. Un tempo non era così, non usavamo il click. Questo può essere visto sia in maniera positiva che in maniera negativa. Alcuni ritmi non sono proprio l’ideale dal vivo, se tu non avessi il click a indirizzarti finiresti per spostarti su tempi diversi, con cui ti trovi più a tuo agio. Ti sentiresti più libero di fare dei piccoli cambiamenti ai pezzi. Però è fondamentale oggi usare questo espediente per avere sempre il tempo corretto, perché il modo in cui suoniamo, il tempo che teniamo, è collegato anche all’uso delle luci. Lo spettacolo di luci va in parallelo con la musica, è impostato sui ritmi tenuti dalle canzoni, e se facessimo qualcosa di diverso luci e musica sarebbero completamente sfasati rispetto e non comunicherebbero quello che vorremmo”.

SAPRESTI INDICARMI LE TRE CANZONI DEI MESHUGGAH CHE TI DIVERTI DI PIÙ A SUONARE, E LE TRE CHE TI ANNOIANO?
“Le canzoni che suono più volentieri sono quelle che non prevedono parti troppo difficili, quindi niente ritmi superveloci oppure molto strani. I pezzi dove mi sento più a mio agio sono quelli dove non ho bisogno di concentrarmi troppo su quello che devo fare. Per questo motivo alcune delle composizioni che suono più volentieri sono ‘Dancers To A Discordant System’, oppure ‘I Am Colossus’. Dall’altro lato della medaglia, ci sono alcune canzoni fondamentali per la band, che adoro per il messaggio musicale che convogliano, come ad esempio ‘Bleed’, ‘Future Breed Machine’, piuttosto stressanti da suonare dal vivo. Per canzoni del genere devo essere molto accurato e meticoloso, e il suonare si tramuta in un atto prettamente fisico, meno piacevole, perché devo prestare tantissima attenzione sui passaggi giusti da compiere per non sbagliare. Sono proprio due modi diversi di suonare. Non dico che proprio non mi piaccia mettermi dietro al drum-kit per una ‘Future Breed Machine’, ma mi godo meno il brano perché so di non potermi permettere la minima distrazione”.

IL TUO STILE, TOMAS, È ASSOLUTAMENTE RICONOSCIBILE E DIFFICILE DA EGUAGLIARE, NONOSTANTE NEGLI ULTIMI VENTI-VENTICINQUE ANNI IL MODO DI SUONARE LA BATTERIA SI SIA EVOLUTO IN MANIERA INCREDIBILE, E IN TANTI ABBIANO CERCATO DI IMITARTI. COME SEI ARRIVATO A UNATECNICA E A UN TOCCO COSÌ PECULIARI? QUALE È STATO IL TUO PUNTO DI PARTENZA NEL PROCESSO DI APPRENDIMENTO?
“Il mio modo di suonare la batteria, così come lo stile musicale dei Meshuggah preso nel suo insieme, è un riflesso di come siamo fatti noi stessi. La nostra musica prende forma dalle personalità di ognuno di noi. Non riuscirei a spiegarti altrimenti le ragioni del perché suono in una determinata manierae perché in generale la band abbia questo suono”.

AVETE MAI PENSATO DI FERMARVI DAL COMPORRE MUSICA ULTRACOMPLICATA E STRANA, E CONCENTRARVI SU QUALCOSA DI PIÙ FACILE E DIRETTO, SEGUENDO UN’EVOLUZIONE SIMILE, AD ESEMPIO, A QUELLA DEI METALLICA O DEGLI OPETH?
“Per quanto siamo sempre alla ricerca dell’unicità, di sperimentazioni che garantiscano freschezza alla nostra musica, non credo che ci svilupperemo mai come hanno fatto i Metallica o gli Opeth. Rispetto le loro scelte, ma noi nella musica cerchiamo altro, non ci interessa un cambiamento così drastico verso sonorità più accessibili”.

COME CE LA SPIEGHERESTI LA SINGOLARE SINERGIA CHE LEGA TE, JENS, FREDRIK E MÅRTEN? IL NOCCIOLO DURO DELLA BAND COMPOSTO DA VOI QUATTRO È RIMASTO PRATICAMENTE INTATTO DAGLI ESORDI AD OGGI. AVETE MAI RISCHIATO LO SPLIT IN PASSATO?
“Non c’è mai stato un rischio di scioglimento per i Meshuggah, non sono capitati momenti così duri nella nostra storia da farci pensare a una mossa del genere. Noi quattro siamo molto differenti l’uno dall’altro, ognuno ha le sue idee musicali, e spesso queste non coincidono. Però ci integriamo bene, ci sentiamo liberi di proporre all’interno della band quello che ci sembra vada meglio, abbiamo un approccio molto democratico che non blocca nessuno dall’esprimere al massimo se stesso. Nei Meshuggah non esiste una personalità che si impoe sulle altre, che urla più forte e prende il controllo, c’è sempre molta collaborazione per giungere al risultato migliore possibile per la band”.

SE DOVESTE SCRIVERE UNA BIOGRAFIA DELLA BAND, QUALI SAREBBERO GLI EPISODI PIÙ PAZZI E STRANI, IN STILE “THE DIRT” DEI MOTLEY CRUE, CHE VI INCLUDERESTE?
“Adesso che siamo un po’ più ‘anziani’ non facciamo niente di così fuori di testa, ma quando eravamo giovani, a metà anni ’90, ed esageravamo con alcune sostanze, eravamo molto meno controllati, e di cose un po’ strambe ne abbiamo combinate parecchie. Niente che riguardi risse o contrasti all’interno della band, ma di azioni pericolose, per noi e per gli altri, ce ne sono capitate. Ricordo una volta a Milano, nel cuore della notte, in cui ci abbiamo girato in lungo e in largo con una macchina, rispettando ben poco il codice della strada e finendo per causare un piccolo incidente, in cui mi sono tagliato una mano e ho dovuto suonare da infortunato per tutto il resto del tour. I fatti che ci sono capitati in quegli anni sono di questo tipo, quindi niente di paragonabile alle vicende al limite dell’impossibile che si leggono in ‘The Dirt’”.

C’È UNA PERSONA AL DI FUORI DELLA BAND CHE HA AVUTO UN’IMPORTANZA FONDAMENTALE PER LA VOSTRA CARRIERA?
“Nei primi anni di vita della band direi di noi, mentre nelle ultime annate ci siamo avvalsi di quello che io chiamo un ‘coordinatore’ delle nostre attività. Abbiamo cominciato ad avere questa figura alle spalle solo negli ultimi quattro-cinque anni, fino ad allora ci occupavamo noi di tutto, dalla pre-produzione del disco, all’organizzazione del tour, intendendo tutte le minuzie che questo tipo di attività comporta: prenotazione del tour-bus, degli alberghi, ogni piccolo aspetto logistico passava tutto da noi quattro. Eravamo arrivati a un punto critico, la massa di attività che ci occupava stava diventando ingovernabile, e quindi abbiamo deciso di reclutare questa figura per aiutarci. Da quando è  con noi molte cose sono diventate più facili, questa persona gestisce molto bene tutte le incombenze in cui siamo coinvolti e ci sgrava di alcune responsabilità che ci sobbarcavamo in passato”.

QUAL È LA COSA PIÙ BELLA FATTA DA UN FAN PER DIMOSTRARE IL SUO AMORE PER LA BAND?
“Un ragazzo ci ha regalato una figura intagliata nel legno, una sorta di quadro che puoi attaccare alla parete. E’ come se fosse un bassorilievo, intagliato nel legno, raffigurante la cover di ‘Contradictions Collapse’, tutto colorato. L’artista si chiama Ted Stratton Jr, e ha prodotto un’opera  simile per ‘True Human Design’, una nostra release speciale del 1996. Purtroppo questo ragazzo è morto pochi anni dopo, ci è spiaciuto tanto, era molto giovane, non abbiamo mai saputo esattamente quali siano state le cause del decesso. Era bravissimo, ci ha regalato dei grandi oggetti artistici”.

SE NON SUONASSI NEI MESHUGGAH, DI QUALE BAND TI PIACEREBBE FAR PARTE?
“Domanda difficile, è dura risponderti dandoti il nome di un gruppo soltanto. Mi piacerebbe far parte di una realtà dove suonare la batteria fosse molto divertente, e probabilmente sceglierei di sedermi dietro ai tamburi nei Primus”.

MUSICA STRANA E FOLLE, QUINDI. LO STESSO CHE SI È SEMPRE DETTO DEI MESHUGGAH. MA FRA TUTTO CIÒ CHE HAI SENTITO IN VITA TUA, QUALISONO LE SONORITÀ PIÙ ASSURDE CHE TI SIA MAI CAPITATO DI ASCOLTARE?
“Anche qui non è facile risponderti. Mi vengono in mente alcune cose dei Fantômas e poi, quella band composta da due fratelli… Come si chiama… Ah, sì, gli Spastik Ink! E’ passato un po’ di tempo da quando hanno pubblicato il loro ultimo disco (‘Ink Compatible’, del 2004, ndR), ma faccio sempre riferimento a loro quando penso a materiale strano, pazzo, tecnico. In questa categoria ci sono senza dubbio i The Dillinger Escare Plan, mi stupiscono sempre con nuove idee e combinazioni particolari, e sono anche dei grandi performer”.

NEI MESHUGGAH, ESCLUDENDO L’ATTUALE BASSISTA DICK LÖVGREN, SOLTANTO FREDRIK THORDENDAL SI È DEDICATO IN PASSATO A UN SIDE-PROJECT. COME MAI TU, JENS E MARTEN NON AVETE MAI FATTO NULLA IN QUESTO SENSO?
“E’ vero, Fredrik ha pubblicato questo disco solista, ormai molto tempo fa, e credo si sia divertito molto a scriverlo e suonarlo. Noialtri, intendo me, Mårten e Jens, invece, non ci siamo mai impegnati in qualcosa di serio al di fuori dei Meshuggah, semplicemente non ci è mai venuto in mente di farlo. Jens è stato ospite in alcuni album altrui, come voce principale o ai cori, ma sono state collaborazioni occasionali. Il nostro attuale bassista, Dick, è coinvolto seriamente in un ensemble modern jazz. Per lui è una band vera e propria che affianca ai Meshuggah”.

IN QUESTI 25 ANNI  IL MUSIC BUSINESS HA SUBITO MOLTI CAMBIAMENTI. SECONDO LA TUA OPINIONE, COSA È MIGLIORATO E COSA È PEGGIORATO IN QUESTO PERIODO DI TEMPO?
“Non saprei dirti esattamente cosa vada meglio e cosa vada peggio. Oggi ci sono strumenti che permettono una forte interazione e possono portare sulla bocca di tutti le band senza che queste abbiano ancora pubblicato niente. Grazie ai social network puoi arrivare a contatto con un’infinità di persone con tempistiche molto ridotte, mentre in altri tempi raggiungere lo stesso status avrebbe richiesto ben altri sforzi. Le stesse band finiscono per andare in tour, suonare in venue importanti e davanti a un pubblico molto vasto vendendo relativamente poco, perché moltissimi fan non comprano nemmeno la musica dei loro gruppi preferiti. Ci sono stati dei cambiamenti radicali nel modo in cui le band riescono a conquistarsi un loro spazio sulla scena, ora vi sono delle possibilità per diventare conosciuti in tutto il mondo che nel 1989 erano assolutamente impensabili. Molti dei cambiamenti sono stati positivi, e comunque bisogna sforzarsi di cambiare, di rimanere al passo coi tempi”.

PARLANDO DELLA TUA VITA IN GENERALE, TI CAPITA DI PENSARE A CHE DIREZIONE AVREBBE PRESO LA TUA ESISTENZA SE NON CI FOSSERO STATI I MESHUGGAH DI MEZZO?
“Credo che capiti a chiunque, non solo a chi fa il musicista come noi, ma a qualsiasi persona, di pensare a cosa sarebbe accaduto se avesse preso un’altra strada, a quali esperienze avrebbe vissuto, a cosa desideri dalla sua vita. E’ ancora  più facile che avvenga quando passi tantissimo tempo a svolgere le stesse attività, e succede anche per gente come noi che vive di musica. Sotto molti aspetti, è come essere alla guida di una piccola azienda, se guardi bene non ci sono tutte queste differenze rispetto a chi è imprenditore in un determinato altro campo. Alla fine vai avanti a fare quello che hai cominciato, e cerchi di perseguirlo meglio che riesci, cercando di crescere, di imparare, di migliorare. Per assurdo, è come se tu fossi il proprietario di una serra; mentre costui si occupa di far crescere nuove piante e di venderle al prezzo migliore, noi cerchiamo di pubblicare nuovi cd, stipulare nuovi contratti, andare in tour… E dopo venticinque anni che siamo nell’industria musicali, lo facciamo ancora volentieri. Voglio dirti una cosa: se ti stai occupando di un’attività che ti piace veramente, se hai dei sogni e ti impegni ogni giorno per realizzarli, vedrai che un giorno ti sveglierai e ti accorgerei che saranno divenuti realtà. Io oggi sono impegnato in quello che venticinque anni fa speravo di far diventare il mio lavoro, la mia attività principale. Se resti umile, se lavori duro, arriverai prima o poi a concretizzare i tuoi sforzi”.

PER CHIUDERE, PUOI LASCIARCI UN BREVE MESSAGGIO IN VISTA DEL CONCERTO ITALIANO DEL 16 DICEMBRE?
“Non sono molto bravo in queste cose, non ho un messaggio ben preciso da dare. Spero soltanto che ci siano molti nostri fan a vederci, cercheremo di rendere indimenticabile la serata”.

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