MESSA – Negli impenetrabili abissi

Pubblicato il 19/06/2018 da

Salutati come promettente talento doom grazie al buon esordio “Belfry”, al secondo passo discografico i Messa hanno valicato i confini di genere, configurandosi come un gruppo fuori dagli schemi e proiettato in una dimensione a sè stante. Difficile ora considerarli un ‘semplice’ ensemble occult rock, le invasioni di jazz, crooning, poesia dolceamara, rock anni ’50-’60 ne segnano in profondità l’identità musicale. La maturità della band, la sicurezza con cui maneggia strumenti come il sax e il Rhodes Piano e la scrittura camaleontica, per molti versi misteriosa, ha probabilmente stupito anche chi era rimasto ammaliato dal loro primo disco. Doveroso chiedere un aggiornamento ai membri della formazione, per conoscere cos’abbia portato a questa felice mutazione.

LA PRIMA COSA CHE SI NOTA ASCOLTANDO “FEAST FOR WATER” È CHE SIATE PASSATI DA UNA FASE DICIAMO ‘GIOVANILE’, DI ENTUSIASTICO RIASSEMBLAGGIO DELLE VOSTRE INFLUENZE PIÙ IMPORTANTI, A UNA PIENAMENTE ‘ADULTA’: LA CRESCITA IN PERSONALITÀ È EVIDENTE E ANCHE LE DIVAGAZIONI DAGLI INIZIALI INPUT DOOM-OCCULT ROCK BEN DEFINITE, TUTT’ALTRO CHE IMPROVVISATE. QUANTO AVETE NOTATO, SE L’AVETE FATTO, QUESTA VOSTRA CRESCITA PERSONALE ED ARTISTICA?
– Sicuramente c’è stata un’evoluzione tra “Belfry” e “Feast for Water”, ma è stata completamente spontanea. Prima di tutto, abbiamo imparato a dialogare personalmente con i nostri limiti e con le nostre possibilità. Per lavorare bene sono fondamentali il rispetto reciproco e la stima. Stiamo tuttora crescendo nel rendere migliore la collaborazione.

COSA HA CONTRIBUITO PRINCIPALMENTE A PROVOCARE L’EVOLUZIONE DEL VOSTRO SOUND? RIUSCITE A FARE RIFERIMENTO A UN MOTIVO PRECISO CHE POSSA AVERVI INDIRIZZATO VERSO QUELLO CHE SENTIAMO IN “FEAST FOR WATER”?
– Come detto prima, è stata una cosa naturale. Ricerca personale, gusti che cambiano, il modo di vedere le cose… Il vissuto individuale di ognuno di noi, inoltre, viene incanalato nelle cose che successivamente vengono create. Inoltre, nessuno di noi quattro voleva fare un disco uguale a quello precedente. Ci siamo semplicemente lasciati lo spazio per creare, conoscere, sperimentare a modo nostro.

NON PER SMINUIRE IL RESTO DELLA BAND, MA FORSE COLPISCE ANCORA PIÙ CHE IN “BELFRY” LA VOCALITÀ FEMMINILE: SOPRATTUTTO QUANDO DECIDETE DI GIOCARE CON IL SILENZIO, DI FARLO AMICO E LASCIARLO INTERAGIRE CON LA MUSICA, L’IMPRONTA VOCALE DIVENTA FORTISSIMA. COME CI SI MUOVE ALLORA, SUL FRONTE STRUMENTALE, PER DARE LA GIUSTA IMPORTANZA ALLA VOCE E, ALLO STESSO TEMPO, FAR COMUNQUE VIVERE DI LUCE PROPRIA ANCHE GLI ALTRI STRUMENTI?
– Questo progetto è stato il primo con il quale Sara ha usato la sua voce, dato che non aveva mai cantato in nessun’altra band. Tutti i concerti e le prove sono serviti ad acquisire più sicurezza con questo strumento particolare e personalissimo che è la voce. La nostra scelta è stata di arrangiare i pezzi lasciando a tutti gli strumenti il proprio spazio e identità, e dare particolare attenzione ai cambi tra ‘piano’ e ‘forte’.

L’ACQUA È AL CENTRO DEL QUADRO LIRICO DI “FEAST FOR WATER”. COSA SIGNIFICA AVERE L’ACQUA AL CENTRO DELLA SCENA? QUALI ASPETTI AVETE SONDATO DI QUESTO ELEMENTO E COME SI ASSOCIANO LE DIFFERENTI SFUMATURE MUSICALI A QUANTO RIPORTATO NEI TESTI?
– L’acqua è un elemento chiave concettuale e di lettura di questo nuovo disco. “Feast For Water” è stato concepito come un seguito di ‘Belfry’. Abbiamo immaginato che il campanile, soggetto del primo disco, chiamasse a sé i fedeli trascinandoli sott’acqua nelle profondità oscure dell’abisso. Tutto quello che compone il disco, dalla musica alla foto della copertina, passando per il testi, è relativo all’acqua e ha un rapporto stretto con essa. La cosa migliore per comprendere le varie sfumature di questo lavoro è leggere i testi mentre si ascolta il disco nella sua interezza.

IN “BELFRY” LA TRACKLIST ERA COSTRUITA CON MOLTA ACCURATEZZA, TENENDO BEN PRESENTI I LEGAMI TRA UN BRANO E L’ALTRO. QUESTA VOLTA COME AVETE PLASMATO LA TRACKLIST E QUALE LOGICA AVETE SEGUITO NELL’INCASELLARE I PEZZI UNO DOPO L’ALTRO?
– La tracklist ha un suo percorso, che è simile (ma non identico) a quello di “Belfry”. Abbiamo semplicemente cercato di lavorare con i contrasti e le dinamiche tra i vari pezzi. Abbiamo provato a trasmettere la sensazione di un tuffo, negli abissi del lago. “Naunet” irrompe all’inizio, come per ricordare l’infrangere dell’acqua nel tuffo, mentre “Leah” e “The Seer” ci accompagnano nella nostra discesa in apnea, ricoperti di bolle d’ossigeno. “She Knows” e “Tulsi” portano agli abissi del lago, dove tutto è oscuro, tutto ha inizio e fine. “White Stains” e “De Tariki Tariqat” invece cercano uno spiraglio di luce, o viceversa. Può essere interessante sapere che la tracklist è stata pensata in questo modo per il disco, ma invertita radicalmente nella proposta live.

NEL DISCO USATE IL RHODES PIANO, STRUMENTO VECCHIA SCUOLA CHE FRANCAMENTE NON AVEVO MAI SENTITO UTILIZZATO IN UN DISCO METAL. A COSA DOBBIAMO QUESTA SCELTA E COME PENSATE ABBIA CONTRIBUITO A PLASMARE IL SUONO DI “FEAST FOR WATER”?
– La scelta di utilizzare il Rhodes è stata naturale e non del tutto programmata, se così possiamo dire. Il nostro chitarrista Alberto ne ha acquistato uno per proprio interesse, e abbiamo deciso di inserirlo nei nuovi pezzi poiché ci piaceva molto. La presenza di questo strumento è stata fondamentale per creare il suono sommerso, acquatico di “Feast For Water”. Ci ha permesso di sfruttare molto la creatività, e di trovare soluzioni meno scontate e più distanti dal ‘classico’ metal.

QUANDO PARLATE DI JAZZ RIFERENDOVI ALLA VOSTRA PROPOSTA, AL DI LÀ DELL’USO DEL SAX, A COSA VI RIFERITE DI PRECISO? COSA C’È, CONCETTUALMENTE E FATTIVAMENTE, DI JAZZ NELLA MUSICA DEI MESSA?
– Non siamo un gruppo jazz, senza dubbio! E’ un genere che ascoltiamo da anni, e che apprezziamo molto. La presenza di certi strumenti, come per esempio il sax, porta sicuramente ad un immaginario di un certo tipo. Di concretamente jazz in “Feast For Water” ci sono l’approccio solistico, la scelta degli accordi con settime-none-tredicesime per quanto riguarda il piano e talvolta la chitarra. C’è del jazz nelle parti suonate con il Rhodes, ma è stato scelto un approccio il più minimale possibile. Negli assoli c’è pure della ritmica swing!

CON “BELFRY” SIETE RIUSCITI AD ATTIRARE UNA CERTA ATTENZIONE NELL’UNDERGROUND. COME AVETE REAGITO ALL’INTERESSE SUSCITATO NEI VOSTRI CONFRONTI? VI HA DATO ULTERIORE MOTIVAZIONE PER REALIZZARE UN SECONDO ALBUM ANCORA MIGLIORE O, DA UN CERTO PUNTO DI VISTA, VI HA MESSO UN MINIMO IN SOGGEZIONE?
– L’interesse è stato decisamente più di quello che ci saremmo potuti aspettare. Abbiamo avuto la possibilità di viaggiare molto, suonare in tanti posti diversi e conoscere persone interessanti. Come pensiamo sia normale, alcuni di noi hanno avuto un po’ di soggezione, ma non ci abbiamo dato peso. Ci siamo limitati a fare ciò che ci piaceva, creando musica. Pensiamo che come prima cosa un musicista debba essere convinto, contento e soddisfatto del risultato. E’ fondamentale.

FRA LE VOSTRE INFLUENZE, CITATE ANCHE IL CELEBRE COMPOSITORE DI COLONNE SONORE ANGELO BADALAMENTI. DOVE PENSATE SI SENTA IN “FEAST FOR WATER” QUESTA VOSTRA PASSIONE PER BADALAMENTI?
– Badalamenti ha utilizzato il Fender Rhodes per creare la fantastica colonna sonora di Twin Peaks. E’ stata una grande ispirazione per noi, per il tipo di ambiente e soundscape che è riuscito a mettere in musica. Da un punto di vista ‘pianistico’ è stato molto importante anche Herbie Hancock.

STATE COMINCIANDO AD AFFACCIARVI NEL CIRCUITO LIVE INTERNAZIONALE. COSA VI ASPETTATE? VI PIACEREBBE DIVENTARE UNO DI QUEI NOMI CHE TUTTI VOGLIONO NEI FESTIVAL DOOM ED EXTREME METAL, COGLIENDO L’INTERESSE DI UN’AUDIENCE TRASVERSALE, COME ACCADE AD ESEMPIO A COMPAGINI COME DOOL, URFAUST O ALBEZ DUZ, CHE RACCOLGONO CONSENSI TRA TIPOLOGIE DI ASCOLTATORI DIVERSISSIME?
– Non facciamo musica semplicemente per cercare consensi, ma lo facciamo perché per noi è necessaria come espressione artistica e personale. Sicuramente ci fa piacere quando vediamo che ciò che creiamo assieme riesce a muovere qualcosa, a creare emozioni. Ovviamente, più riusciamo a suonare, più siamo contenti. Fare live ci piace molto, è un’esperienza forte.

NEL PROLIFERARE DI BAND CON VOCE FEMMINILE CUI STIAMO ASSISTENDO NEGLI ULTIMI ANNI, QUALI PENSATE SIANO LE IDEE PIÙ INTERESSANTI E LE INTERPRETAZIONI DEL RUOLO PIÙ RIUSCITE? I CITATI DOOL, AD ESEMPIO, SONO UNA DELLE LIVE BAND PIÙ IMPRESSIONANTI USCITE DI RECENTE, IDEM DICASI PER JESS AND THE ANCIENT ONES. VOI A CHI GUARDATE CON MAGGIOR FAVORE?
– Per fortuna negli ultimi anni ci sono molti gruppi con musiciste/cantanti che stanno nascendo e salendo alla ribalta. Il metal è un ambiente principalmente maschile e a volte non è facile farsi strada in certe situazioni. Il sessismo esiste anche nella musica, ed è decisamente pessimo. Spesso le donne su un palco sono considerate per il loro aspetto fisico più che per la loro effettiva capacità artistica. Siamo tutti d’accordo, come band e come individui, nel dire che preferiamo l’equità e il rispetto verso le persone, uomo o donna che sia. Detto questo, sicuramente tra le band ‘recenti’ che adoriamo ci sono Dool e Maggot Heart e tra i gruppi che ci hanno influenzato molto, inseriamo sicuramente Jex Thoth e The Devil’s Blood.

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