La Messa iniziata fragorosamente con “Belfry” nel 2016 non è ancora finita, tutt’altro: la formazione veneta ha bruciato le tappe, diventando in pochi anni un punto di riferimento imprescindibile per la comunità doom metal e non solo.
Un suono sfaccettato, in grado di offrire innumerevoli angolature e prospettive a cui guardare alle sonorità hard rock ed heavy metal. Un connubio di oscurità, impeto, introspezione ed eleganza andato in crescendo di intensità e brillantezza di scrittura, fino a un terzo disco, “Close”, che ha fatto compiere il fatidico salto di qualità al quartetto. Quell’album ha dato rilevanza internazionale ai Messa, ha permesso loro di scavalcare i confini di quello che è, semplicemente, l’underground e li ha portati su palcoscenici fin lì impensabili.
Oggi arriva “The Spin”, a segnare il traguardo del quarto album, la firma con la prestigiosa Metal Blade e uno status da – ombrose – stelle del settore confermato proprio dall’ultimo lavoro in studio. Un’opera più semplice e diretta di “Close”, a nostro avviso non in grado di bissare gli straordinari standard del disco del 2022, ma comunque segnata dalla classe e dal tipico tocco di questi ragazzi.
Una band che ha plasmato un suo stile riconoscibile, cambiando relativamente pelle da un album all’altro, senza perdere in autorevolezza e credibilità, dando sempre nuovi stimoli e motivi per esseri ascoltati con piacere. Siamo andati nuovamente a sentirli, per conoscere i loro pensieri e le loro riflessioni sul momento che stanno vivendo e gli impegni futuri che li aspettano.
NELLA PRIMA INTERVISTA FATTA SUL NOSTRO PORTALE, NEL 2016, FINIVAMO L’INTRODUZIONE AUGURANDOCI CHE IL VOSTRO PERCORSO POTESSE DIRCI “COSE SIGNIFICATIVE ANCHE NEGLI ANNI A VENIRE”. DIREI CHE PER ADESSO LE COSE NON STANNO ANDANDO TANTO MALE, NÉ SUL PIANO PRETTAMENTE ARTISTICO, NÉ SU COME IL PUBBLICO, METAL E NON SOLO, STA ACCOGLIENDO I VOSTRI SFORZI ARTISTICI. VI CHIEDO QUINDI COME AVETE VISSUTO QUESTI ULTIMI ANNI COME MESSA, E SE QUESTA CRESCENTE POPOLARITÀ E INTERESSE NEI VOSTRI CONFRONTI SIA SOLO UNA COSA POSITIVA OPPURE, A VOLTE, ANCHE UN PESO.
– La cosa positiva dell’avere dell’interesse rivolto verso il gruppo è che ci permette di continuare a fare quello che ci piace e di lavorare con la musica. Questo per noi è un privilegio che non diamo mai per scontato. In fin dei conti, siamo sempre i soliti quattro amici che cercano di fare del loro meglio, insieme, da più di dieci anni.
RICOLLEGANDOMI ALLA PRIMA DOMANDA, POSSIAMO TRANQUILLAMENTE AFFERMARE CHE “THE SPIN” SIA UN ALBUM MOLTO ATTESO, UNO DEGLI ‘EVENTI DISCOGRAFICI’ PER IL METAL ITALIANO NEL 2025. DAI PRIMI ASCOLTI DEL NUOVO MATERIALE, IL DISTACCO DA “CLOSE” MI PARE SIA PIUTTOSTO MARCATO.
CI PIACEREBBE QUINDI SAPERE COME SIETE FINITI IN QUESTA NUOVA DIREZIONE E COSA VI PREMEVA MAGGIORMENTE SOTTOLINEARE DI VOI STESSI E DELLA VOSTRA ANIMA ARTISTICA NEL NUOVO ALBUM.
– Una cosa che abbiamo sempre fatto – da “Belfry” a “Feast For Water”, andando avanti con “Close” ed infine “The Spin” – è stata cambiare ed evolvere.
Non vogliamo ripeterci, non vogliamo suonare lo stesso materiale. Vogliamo esplorare qualsiasi strada ci possa in qualche modo incuriosire e non sia stata, almeno da noi, già percorsa.
L’ultimo brano che abbiamo scritto per “Close”, in ordine temporale, è stato “Dark Horse”. È un brano che propone già delle sonorità anni ottanta, alla Killing Joke. È come se avessimo ripreso da lì e proseguito in quel filone. Una volta definita questa direttiva stilistica, abbiamo capito che ognuno di noi aveva una visione diversa degli anni ‘80. C’è chi fra di noi pensa ai Siouxsie And The Banshees, chi ci vede appunto i Killing Joke, chi i Journey o, perchè no, i Tears For Fears o la colonna sonora di Blade Runner.
Volevamo anche fare un disco che fosse più diretto, con brani più veloci, più brevi. Ma questo ci riesce sempre fino ad un certo punto…
COME DESCRITTO NELLA PRESENTAZIONE, QUESTO NUOVO LAVORO HA UN TIPO DI SUONO E DI ATMOSFERE LEGATO ALLA MUSICA ANNI ’80, QUELLA PIÙ DARK E DALL’ALONE GOTICO.
PARADOSSALMENTE, CIÒ FA SÌ CHE “THE SPIN” SIA IL VOSTRO ALBUM PIÙ VICINO STILISTICAMENTE A QUELLO DI REALTÀ COME DOOL, THE DEVIL’S BLOOD, JESS AND THE ANCIENT ONES, IL COSIDDETTO OCCULT ROCK CON VOCE FEMMINILE RISPETTO AL QUALE, ALMENO FINORA, POTEVATE ESSERE AVVICINATI SOLO FINO A UN CERTO PUNTO. PENSATE CI SIA IL RISCHIO DI ESSERE ASSIMILATI A QUEL TIPO DI FILONE, OPPURE RITENETE CHE “THE SPIN” SIA ASSAI LONTANO DA QUELLA CONCEZIONE SONORA?
– In realtà crediamo che “The Spin” sia un lavoro abbastanza distante dal filone ‘occult rock’. Forse perché quando sentiamo questo termine i nostri riferimenti immediati sono Coven, Blood Ceremony, e primi su tutti, i Black Widow, forse i primi a portare realmente delle tematiche maligne nella musica rock.
Ci sono tantissime odi al demonio anche sui brani blues dei primi del Novecento, a dire il vero, e già quelli, secondo noi, hanno un fascino incredibile.
Di sicuro, però, possiamo dire di sentire una vicinanza, se così si può dire, con gruppi come Dool e The Devil’s Blood. Sono due progetti che stimiamo molto, entrambe le band possiedono una visione artistica fortissima e senza compromessi.
IL PROCESSO DI REGISTRAZIONE DI “THE SPIN” LEGGO CHE È STATO ASSAI DIFFERENTE DA QUELLO DI “CLOSE”. PERCHÉ QUESTA SCELTA? COSA PENSATE ABBIA PORTATO DI POSITIVO LAVORARE IN MANIERA DIVERSA DAL RECENTE PASSATO?
– Abbiamo registrato “Close” nel 2021, all’epoca la pandemia era ancora in corso e tanti dischi in quel periodo sono stati registrati in maniera più fredda e distaccata per cause di forza maggiore. Noi volevamo essere tutti insieme nella stessa stanza in modo da avere una prossimità sia fisica che musicale. Questa volta abbiamo deciso di fare l’esatto opposto: abbiamo registrato l’album in tre luoghi e tempi diversi.
È stato registrato durante l’intera estate del 2024, e abbiamo registrato a tracce separate. Questa metodologia di lavoro ci ha permesso di concentrarci di più, fare ancora più attenzione alle nostre parti personali. Un esempio sono gli assoli di Alberto: di solito va a finire che si registrano alla fine e di fretta, mentre stavolta ci si è potuto dedicare per un’intera settimana. Avere più tempo a disposizione aiuta ad arrangiare ancora meglio il materiale.
IL PRIMO ESTRATTO DEL NUOVO ALBUM CHE AVETE RESO DISPONIBILE È “AT RACES”, PRESENTATO CON UN VIDEO GIRATO IN VARI LUOGHI DEI BALCANI. PERCHÉ AVETE VOLUTO IMMORTALARE QUESTI LUOGHI E QUALI SIGNIFICATI ATTRIBUITE A QUESTA CANZONE?
– “At Races” è un brano che parla della pressione che si subisce dall’esterno. Abbiamo usato la metafora del cavallo alle corse, che gareggia mentre tra il pubblico c’è chi scommette su di lui, chi gli augura il peggio, chi lo giudica pur non sapendone nulla. Seduti sugli spalti e dalla comodità delle proprie poltroncine sono bravi tutti. Il video è stato pensato per narrare un viaggio in moto che porta il soggetto a percorrere chilometri alla scoperta di sé stesso.
Tutto questo per arrivare al suo obiettivo: assistere al ‘Muro della Morte’ delle motociclette ripreso sulla seconda parte del video. La competitività, l’emozione, i giri che sembrano non finire mai, il rumore che ti entra nel cervello.
I monumenti visibili sul video si chiamano Spomenik e sono dei memoriali dedicati alla resistenza partigiana del popolo balcanico durante la seconda guerra mondiale. Ne sono stati costruiti molti, approssimativamente dal 1950 al 1990, e sono stati ideati da tantissimi designer e architetti diversi. Se volete saperne di più vi consigliamo questo sito molto completo che ne narra la storia: https://www.spomenikdatabase.org/
“THE SPIN” È ANCHE IL PRIMO ALBUM PER UNA DELLE CASE DISCOGRAFICHE PIÙ RILEVANTI IN AMBITO METAL, LA METAL BLADE. COSA RAPPRESENTA PER VOI LA COLLABORAZIONE CON LORO E QUALI SONO STATI GLI ASPETTI PIÙ IMPORTANTI PER AVVIARE UNA COLLABORAZIONE CON QUESTA IMPORTANTE LABEL?
– Siamo felici di essere nel roster di Metal Blade. Nel nostro piccolo, è davvero un onore. È una label leggendaria che ha pubblicato album altrettanto leggendari, da “Show No Mercy” degli Slayer ai lavori dei Cannibal Corpse.
Possiamo dire che quando si tratta di lavorare con un’etichetta c’è una cosa ancora più fondamentale di altre per noi, ed è la libertà sul nostro materiale. Non vogliamo avere obblighi o imposizioni dall’alto sulla direzione sonora da intraprendere o sul sound da utilizzare.
SI PUÒ INTERPRETARE TITOLO DEL DISCO E COPERTINA COME UNA SPECIE DI CICLICO RITORNO DI QUALCHE COSA, NELLA MUSICA COME NELLA VITA.
C’È QUINDI LA SENSAZIONE, CON QUESTO NUOVO CAPITOLO, DI AVER RIABBRACCIATO QUALCOSA RIMASTO IN DISPARTE PER QUALCHE TEMPO? CHE RIFLESSIONI AVETE FATTO TRA DI VOI SU QUESTO ASPETTO, DA QUANDO IL DISCO HA INIZIATO A PRENDERE FORMA, A QUANDO SI È EFFETTIVAMENTE CONCRETIZZATO IN OGNI SUO ASPETTO?
– Questo album è il risultato, trasformato in suono, di tutto ciò che ci è successo (come band e a livello personale) in tre anni di vita. Relazioni finite male, innumerevoli chilometri macinati, un incidente importante, decine e decine di show, tante riflessioni interiori su ciò che siamo e sul perché facciamo quello che facciamo. La ruota continua a girare, a modo suo, qualsiasi cosa succeda.
L’uroboro visibile sulla copertina ha un portato simbolico molto importante. È immobile ma in costante movimento, si crea e si divora, rappresenta senz’altro la natura ciclica delle cose. Molti di questi pensieri si sono materializzati musicalmente nei brani. Ad esempio, in “The Dress” il riff di chitarra ha una scala discendente che continua a tornare-scomparire-rifarsi avanti, creando un vortice senza fine.
AD APRILE SUONERETE “THE SPIN” PER INTERO AL ROADBURN. UN FESTIVAL CHE VI HA ACCOLTO GIÀ IN PASSATO, DOVE GIÀ IL SOLO COMPARIRE IN CARTELLONE È UN TRAGUARDO IMPORTANTE. NEL 2022 FOSTE PROTAGONISTI SUONANDO “CLOSE” PER INTERO, FACENDO POI USCIRE ANCHE UN LIVE ALBUM RELATIVO A QUELL’ESPERIENZA. CHE ASPETTATIVE AVETE PER IL FESTIVAL? È EFFETTIVAMENTE UN POSTO SPECIALE PER SUONARE?
– Suonare per la terza volta al Roadburn e presentare proprio lì il nuovo disco sarà molto emozionante. È un festival con un’atmosfera davvero particolare, ti sembra davvero di assistere a qualcosa di speciale. Il pubblico del Roadburn è più ricettivo della media e durante i concerti non si sente davvero volare una mosca. L’ascoltatore è presente e concentrato sulla proposta dell’artista che sta suonando in quel momento, qualsiasi sia il genere.
Una ciliegina sulla torta, a nostro avviso, è anche l’ambiente in cui si svolge il festival. Le varie venue del Roadburn sono grandiose dal punto di vista acustico, ben strutturate, organizzate, pronte ad ospitare un evento con quella quantità di gente. Sono dei bei palchi.
SE “CLOSE” È L’ALBUM CHE VI HA FATTO FARE UN NOTEVOLE BALZO IN AVANTI IN TERMINI DI POPOLARITÀ, GIÀ CON L’ESORDIO VI SIETE FATTI NOTARE FAVOREVOLMENTE E AVETE OTTENUTO UN SUCCESSO UNDERGROUND PROBABILMENTE INSPERATO. QUALI PENSANTE SIANO STATI I FATTORI CHE HANNO CONSENTITO GIÀ AL VOSTRO PRIMO DISCO DI ESSERE COSÌ BEN ACCOLTO E DI FAR GIRARE ABBASTANZA IN FRETTA IL NOME DEL GRUPPO?
– È difficile dirlo. Forse avere una visione chiara fin dall’inizio, una sana intransigenza in certe scelte, molta dedizione e perché no, avere anche un po’ di fortuna. Sicuramente abbiamo sacrificato molto, fin dall’inizio del progetto.
NEL 2024 AVETE AVUTO ANCHE LA POSSIBILITÀ DI GIRARE IN TOUR GLI STATI UNITI. CHE ESPERIENZA È STATA? COME CI SI TROVA A SUONARE IN MEZZO ALLO IOWA, AD ESEMPIO, RISPETTO AD ESIBIRSI A MILANO O BERLINO?
– Diversa dal nostro standard di sicuro, estremamente interessante e impegnativa. Ad Ottobre 2023 abbiamo fatto tre settimane di tour senza nessun giorno di riposo, cosa che ci ha messi a dura prova.
Siamo abituati a suonare in Europa, dove abbiamo un buon seguito, e lì eravamo curiosi di vedere la reazione del pubblico americano al nostro materiale live. I concerti sono andati bene e siamo stati accolti da gente davvero partecipe. Abbiamo un particolare affetto per Austin: se c’è un luogo negli Stati Uniti dove ci sentiamo quasi a casa, è proprio quella città.
È difficile descrivere delle differenze precise tra pubblico europeo e quello americano. Dovendo basarci sulla nostra esperienza, gli americani sono più dinamici negli atteggiamenti e nell’attitudine. Non vanno per il sottile, comunicano apertamente se una cosa li esalta o meno. Noi europei, a nostra opinione, siamo forse più sottili nei giudizi e rapporti.
VOI COME GRUPPO, NEI RAPPORTI INTERPERSONALI E ARTISTICI TRA DI VOI, COME PENSATE FUNZIONINO LE COSE ADESSO, RISPETTO AI PRIMI TEMPI DELLA BAND? CI SONO COSE CHE VI RIESCONO PIÙ FACILI O PIÙ DIFFICILI RISPETTO AI PRIMI ANNI DI LAVORO ASSIEME?
– Sembrerà banale, ma nel bene e nel male noi quattro ci sentiamo come una seconda famiglia. Abbiamo passato dieci anni davvero intensi assieme, ne sono successe di cotte e di crude – e ormai è inevitabile sentirsi in questo modo. Abitiamo praticamente nello stesso paesino della Pedemontana del Grappa, condividiamo territorio e affetti quotidianamente.
La band è diventata una sorta di aura che aleggia sopra le nostre vite e ci coinvolge in tutti gli aspetti: a livello creativo, lavorativo, ma soprattutto affettivo. Con l’esperienza abbiamo imparato a valutare le virtù e i difetti dell’altro, imparando (non senza difficoltà) a crearne un valore e una risorsa. L’interplay tra di noi, se possibile, è migliorato tanto quanto il nostro approccio alla scrittura di un brano o il modo di gestire un palco.
VI CAPITA MAI DI PERCEPIRE LA BAND COME FOSSE UN LAVORO, SENTENDO QUINDI ADDOSSO UNA SPECIE DI PESO NEL DOVER FARE LE COSE PER FORZA E IN UN CERTO MODO? OPPURE È UN PENSIERO CHE ALMENO FINORA NON VI HA MAI SFIORATO?
– Facciamo musica prima di tutto per necessità. Sembra un cliché, ma suonare serve prima di tutto a noi.
Sicuramente stiamo imparando molto sul come gestire la pressione e anche le critiche. Gestire e promuovere una band in modo professionale ti pone di fronte a certe scelte o dinamiche difficili e fastidiose, e ciò è inevitabile. Ci passano e ci sono passati tutti gli artisti in qualunque settore creativo.
La differenza vera tra la percezione di fare il musicista ‘per lavoro’ o ‘per hobby’ è l’approccio e la professionalità con cui lo si fa. Il resto è un elemento di contorno. Nella propria cameretta o in sala prove, in un pub davanti a poche persone o al Roadburn: dentro di noi è sempre stato un lavoro, anche se la situazione esterna può influire.
L’importante è che quello che facciamo convinca prima di tutto noi. Ad ogni modo, noi ci sentiamo fortunati perché la cosa più importante (cioè la musica) è sempre stata distante da quello che si può chiamare ‘un peso’. La musica viene prima di tutto.
AVETE GIÀ DIVERSE FESTIVAL PROGRAMMATI PER IL 2025. C’È QUALCHE DATA CHE SENTITE PARTICOLARMENTE, PER LA QUALE AVETE MAGGIORE ATTESA?
– Il nostro release party italiano ad Argo16, a Venezia, il 26 Aprile. Condivideremo il palco con amici e band che stimiamo molto e suonano generi molto diversi dal nostro. Sarà intenso giocare in casa, ma non vediamo l’ora.