I francesi Monolithe, dopo aver pensato e ripensato per qualche tempo al loro possibile scioglimento, in seguito all’esaurimento del primo poker di dischi contenente la saga del Grande Orologiaio, si sono rimessi in carreggiata e hanno sfornato, tra fine 2015 e 2016 inoltrato, un’accoppiata di dischi favolosa, composta da “Epsilon Aurigae” e “Zeta Reticuli”. E se il primo ci è passato sotto le grinfie forse un po’ sottovalutato, con il secondo la band di Sylvain Bégot ha centrato in pienissimo il bersaglio, andando a proporre un death-doom metal melodico dalle varie sfaccettature, che però colpisce soprattutto per l’epos e la potenza ottenuta attraverso partiture groovy, spaziali e sorprendentemente ‘orecchiabili’. Siamo andati a tastare l’ottimo polso della formazione parigina interpellando proprio il leader e mastermind del gruppo, il Bégot citato poco più sopra! A voi…
CIAO SYLVAIN! CON QUESTA INTERVISTA ANDREMO A DISCUTERE UN PO’ ENTRAMBI I VOSTRI NUOVI LAVORI, “EPSILON AURIGAE” E “ZETA RETICULI”. COMINCIAMO, PERO’, COL CHIEDERTI QUALCOSA A RIGUARDO DELLA VOSTRA DECISIONE, POI RIENTRATA, DI SCIOGLIERVI A SEGUITO DELLA CONCLUSIONE DELLA PRIMA SAGA LIRICA, PRESENTE NEI PRIMI QUATTRO DISCHI DEI MONOLITHE. COME MAI AVETE CAMBIATO IDEA ALLA FINE?
“Ciao Marco. In verità noi non abbiamo mai preso la decisione di scioglierci dopo la pubblicazione di ‘Monolithe IV’, era semplicemente un qualcosa che era possibile accadesse. La questione era: cosa facciamo, ora che la saga del Grande Orologiaio è finita? La risposta è venuta da sè, con il progetto messo in atto tramite ‘Epsilon Aurigae’ e ‘Zeta Reticuli’, quindi abbiamo deciso di andare avanti. L’idea di scioglierci era anche motivata dal fatto che moltissime band spesso vanno ben oltre quella che è la loro eredità musicale, sia restando in vita per molto più tempo di quanto la loro reale ispirazione permetterebbe loro, sia andando talmente alla deriva dal loro suono originale da non aver più ragione di chiamarsi in quel modo. Oddio, è anche vero che non sempre ciò accade. Quello che noi vogliamo fare è evolverci con la nostra musica senza perdere il fulcro dell’essenza dei Monolithe e, dal momento che ci era ben chiaro che potevamo ancora essere noi stessi, non c’era più alcuna ragione di auto-metterci a tacere”.
IL VOSTRO PROGETTO E’ NOTO PER LE PECULIARI TRACKLIST DEI VOSTRI DISCHI: FINO A “MONOLITHE IV” UNA SOLA TRACCIA DI CINQUANTA MINUTI CIRCA E ORA, CON I DUE NUOVI ALBUM, TRE TRACCE CIASCUNO DI QUINDICI MINUTI ESATTI. QUAL E’ L’OBIETTIVO, LA MIRA, NEL COMPORRE MUSICA CON TALI COORDINATE COSI’ PRECISE? COSA VI ISPIRA NELLO SCRIVERE IN MODO PRATICAMENTE ARITMETICO?
“Be’, per i dischi della prima saga in effetti c’è stata una tempistica media attorno ai cinquanta minuti, ma non si è trattato di durate cercate, non abbiamo mai cercato di chiudere il pezzo a specifiche lunghezze. La composizione delle canzoni ci ha condotto a quei minutaggi, punto. Mentre è diverso con l’accoppiata ‘EA/ZR’, perchè il fatto che ogni brano duri quindici minuti è parte integrante del concept di questi album. I perchè dietro questa scelta sono molteplici. Il numero 15 può anche essere letto ‘uno-cinque’ (‘Epsilon Aurigae’ è il quinto album dei Monolithe, pubblicato nel 2015) oppure ‘uno più cinque’ (‘Zeta Reticuli’ è il sesto album dei Monolithe, pubblicato nel 2016). Tre volte quindici fa quarantacinque, che è, in mia opinione, la durata perfetta per un album: non troppo lunga, non troppo corta. I due lavori, se vogliamo andare oltre, consistono di tre canzoni, quindi tre più tre fa sei, il numero di dischi che abbiamo realizzato finora…e così via… Infine, ci sembrava interessante e un divertente esercizio compositivo narrare un’intera storia musicale attraverso predeterminate durate delle canzoni”.
“EPSILON AURIGAE” E ANCOR PIU’ “ZETA RETICULI” SONO PIUTTOSTO LONTANI DA COORDINATE FUNERAL DOOM, GENERE A CUI VENITE SPESSO ASSOCIATI. POTREBBERO ESSERE DESCRITTI COME DOOM METAL CON FORTI DOSI DI MELODIA, GROOVE ED EPICITA’, MENTRE AL TEMPO STESSO PERMANE AL LORO INTERNO UNA CERTA ATMOSFERA DI SPAZIALE SINISTROSITA’. COME AVETE MODIFICATO, DUNQUE, IL VOSTRO SONGWRITING PER QUESTE DUE RELEASE?
“Sì, concordo con te. Non capisco perchè la gente si ostini ad usare il tag ‘funeral doom’ nei nostri confronti. Eravamo davvero funeral doom all’epoca del nostro debutto, tanto per cominciare? Non sono affatto sicuro neanche di questo. Il funeral è stato un elemento sempre presente nella nostra musica, così come altri elementi; e probabilmente è ancora lì, di certo non predominante come lo era nei dischi precedenti. Forse. Non lo so. Il songwriting non ha subito modifiche per la stesura di ‘EA’ e ‘ZR’, direi piuttosto che è stato ampliato, allargato. Il doom metal è un genere molto codificato e noi abbiamo sempre cercato da una parte di rispettare i suoi dogma e dall’altra di mandarli al diavolo. I limiti di genere sono degli elastici che possiamo allungare a nostro piacimento, in modo da risultare interessanti ed originali restando una doom metal band. Per i nuovi lavori…semplicemente non ci siamo posti alcuna restrizione: qualsiasi cosa ci suonava buona e di un certo rilievo per la composizione dei pezzi è finita in qualche modo nei dischi. Credo ci sia, rispetto al passato, molto più della mia passione per la musica dei Seventies, con i lunghi assoli e, ad esempio in ‘The Barren Depths’, quel feeling rock/hard-rock ben evidente. Probabilmente sono entrambi dischi meno associabili alla nicchia del doom metal e penso possano venire apprezzati anche da metallari che non sono soliti ascoltare queste sonorità”.
OLTRE A QUESTE TUE CONSIDERAZIONI, BISOGNA PRECISARE COME COMUNQUE ANCHE TRA I DUE DISCHI CI SIANO DELLE CHIARE DIFFERENZE: “ZETA RETICULI” SPINGE MOLTO PIU’ IN LA’ I VOSTRI SUCCITATI LIMITI DI GENERE, SOPRATTUTTO CON LA VOCE PULITA E L’HARD ROCK DELLA TRACCIA DA TE NOMINATA, “THE BARREN DEPTHS”. ENTRANDO NEL DETTAGLIO, COME VI E’ VENUTO DI SPINGERVI COSI’ OLTRE A QUESTO GIRO?
“E’ venuta così com’è venuta, molto semplicemente. Col tempo e l’esperienza accumulata nei lavori precedenti, non volevamo per nulla rifare le stesse cose. Abbiamo bisogno di evolvere per mantenere la band interessante, per il nostro pubblico e per noi stessi. Può sembrare un po’ arrogante ma non mi importa: penso che i Monolithe abbiano raggiunto uno status con il quale non dobbiamo dimostrare niente a nessuno. Per cui non ci sono ragioni per cui non dovremmo fare esattamente ciò che vogliamo. Abbiamo già avuto questa attitudine in passato, ma la differenza è che, essendo più vecchio, ora ho la tendenza a prendere le distanze dalla musica estrema e cercare qualcosa di più ‘raffinato’, melodico e, diciamo così, accessibile. Come ho scritto prima, sono un fan dei Seventies, rock, hard rock, progressive rock, qualsiasi cosa…e tali influenze sono prepotenti in me ora come non mai. Ma non fraintendetemi, non voglio che i Monolithe arrivino a modificare la loro anima come ad esempio hanno fatto gli Opeth. Ho bisogno sempre di pesantezza, di intensità…noi siamo una band del nostro tempo. La musica dei Seventies appartiene ai Seventies. Penso che le influenze dal passato necessitino di essere integrate in modo che suonino moderne, ma allo stesso tempo che non abbiano le brutte ‘imbellettature’ del cosiddetto metal moderno – iper-compressione del suono, riffing semplicistico e inintelligibile – e anche che non siano un semplice rimaneggiamento dello stile di giorni andati (insomma, a Mikael Akerfeldt fischieranno le orecchiette un po’, ndR)”.
TU, SYLVAIN, SEI SICURAMENTE IL SONGWRITER PRINCIPALE DEL GRUPPO, MA ORA…COME FUNZIONA ESATTAMENTE? ADESSO PIU’ CHE MAI SEMBRATE COMPATTI E UNITI COME UNA VERA BAND, CON UNA LINE-UP STABILE. QUESTO ASPETTO CAMBIA QUALCOSA NEL TUO APPROCCIO COMPOSITIVO OPPURE NO?
“I Monolithe ‘da studio’ e i Monolithe ‘live’ sono due cose ben differenti. La band da studio ora comprende un nuovo bassista, Olivier Defives – il basso è stato suonato per anni dai chitarristi -, e un nuovo batterista, Thibault Faucher. Entrambi hanno suonato in ‘Epsilon Aurigae’ e ‘Zeta Reticuli’ assieme ai membri del nucleo originario del gruppo, ovvero me, Benoit Blin alla chitarra e Richard Loudin alla voce. La band per i live vede l’aggiunta di un tastierista, Matthieu Marchand, e di un terzo chitarrista, Rémi Brochard. Queste modifiche di formazione non cambiano però l’aspetto compositivo dei Monolithe, che è molto semplice: io preparo la musica e gli altri suonano le loro parti. L’unica differenza rispetto al passato è che oggi sono più propenso ad accettare idee altrui, se tali idee mi vengono sottoposte. In linea di massima, comunque, io mi occuperò sempre della maggior parte del songwriting in quanto sono l’unico ad avere ben chiaro come la musica dei Monolithe deve essere”.
I TESTI DEI MONOLITHE SONO SICURAMENTE UN TOPIC MOLTO INTERESSANTE SU CUI SOFFERMARSI, FIN DALLE VOSTRE ORIGINI. TI ANDREBBE DI FARE UN PASSO INDIETRO E RACCONTARCI I PERCHE’ DELLA SCRITTURA DI UNA STORIA, LA PRECEDENTE, LUNGA QUATTRO ALBUM?
“Be’, il perchè è stato semplicemente quello di voler provare a creare qualcosa di imponente e significativo, come appunto una saga, una serie. E’ stato un ottimo modo per linkare i dischi fra loro e sviluppare un mondo che potremmo definire, ora, essere lo stesso Monolithe. Fin dal primo giorno di vita della band, non volevamo fare musica in modo tradizionale, così abbiamo creato una storia che si è sviluppata per quattro lavori invece che per il solito, unico concept album. I Monolithe sono una band concettuale, non scriviamo album ‘normali’: i nostri dischi sono sempre integrati in qualcosa di più grande e ampio di loro”.
I BRANI STRUMENTALI “TMA-0” E “TMA-1” RIVELANO ANCORA UNA VOLTA LA VOSTRA PASSIONE PER IL FILM “2001 – ODISSEA NELLO SPAZIO”. SEMBRA PROPRIO ESSERE UNA VERA, PROFONDA INFLUENZA PER I MONOLITHE, UTILE A MODELLARE E PLASMARE IL VOSTRO SUONO. LA MIA DOMANDA E’: CRESCENDO E INVECCHIANDO, COME SONO CAMBIATI LA TUA VISIONE E IL TUO APPROCCIO A QUESTO IMPRESCINDIBILE E COMPLESSO FILM?
“Non sono cambiati. Per nulla. ‘2001’ è un capolavoro, non c’è nessun altro film come questo ed il suo contenuto è così forte che supererà la prova del tempo per sempre. Non invecchierà mai, non verrà mai sorpassato dai tempi. Ciò non vuol dire che lo guardo ogni giorno in completa adorazione, però. Infatti ora è passato un bel po’ di tempo da che l’ho visto l’ultima volta. E’ semplicemente un’opera d’arte alla quale mi sento profondamente connesso e legato, perchè tocca tematiche quali l’immaginazione, la prospezione, la scienza, la metafisica ed un sacco di altri argomenti che io trovo molto avvincenti, oltretutto in un modo in cui nessun altro film è riuscito a farlo”.
I VOSTRI ARTWORK SONO SEMPRE PECULIARI E IN QUALCHE MODO ‘STRANI’. CREDO PERO’ CHE PER “EPSILON AURIGAE” E “ZETA RETICULI” AVETE RAGGIUNTO IL VOSTRO ZENIT. CI VUOI DIRE QUALCOSA A RIGUARDO?
“Le copertine sono state create dall’artista Robert Hoyem, con il quale lavoriamo da ormai quattro anni. L’idea è stata quella di usare lo stesso motto che applichiamo alla nostra musica, ovvero ‘progressione con continuità’. Perciò, in merito alle cover dei due nostri ultimi dischi, puoi immediatamente riconoscerle come copertine dei Monolithe, ma, allo stesso tempo, è evidente il loro distaccamento dalle precedenti quattro. Sono frutto di una visione di Robert, noi gli abbiamo lasciato carta bianca sul da farsi. L’unica richiesta è stata quella di disegnare le cover in modo da rendere esplicito in tempo brevissimo che i due dischi sono collegati fra loro. Non sto neanche a dirti che questa richiesta è stata esaudita magnificamente”.
NEGLI ULTIMI ANNI I MONOLITHE SONO STATI ASSAI PROLIFICI E CREATIVI NELLO SCRIVERE MUSICA, PORTANDO IL LORO SUONO SEMPRE PIU’ OLTRE, COME ABBIAMO DETTO. DOVE PERO’ PUO’ PORTARVI ANCORA LA VOSTRA SPINTA EVOLUTIVA? PERSONALMENTE CREDO CHE TUTTO IL BACKGROUND ELECTRO/AMBIENT SIA IL TERRENO VERSO IL QUALE POTRESTE VOLGERE AMPIO LO SGUARDO…
“Guarda…ora come ora, il prossimo album è quasi totalmente composto, ma è troppo presto per iniziare a parlarne. Ho bisogno di fare il necessario passo indietro, come quando si contempla un quadro al museo, per poterlo descrivere obiettivamente. Penso sia ottimo e che piacerà e sorprenderà di nuovo i nostri fan. E’ 100% Monolithe, in qualche modo, ma ci sono pure delle svolte inaspettate, un po’ come in ‘Zeta Reticuli’. Progressione con continuità, come il nostro motto recita. Per quanto riguarda le influenze ambient che citi, ti posso dire che io e Rémi ultimamente abbiamo ascoltato parecchia musica dark synth: Mega Drive (li adoro!), Carpenter Brut, Dance With The Dead, roba così. Forse tutto ciò un giorno diventerà un’influenza presente nella nostra musica, come tutto il resto d’altronde, chi lo sa?”.
IL DOOM METAL STA VIVENDO IN QUESTI ANNI UN BUONISSIMO PERIODO ‘DI SUCCESSO’. CI SONO SIA MOLTE BAND STORICHE A TENERE ALTO IL PROPRIO VESSILLO CON OTTIMI ALBUM, SIA UN BEL MANIPOLO DI GRUPPI PIU’ GIOVANI DAVVERO VALIDI. QUALI SONO LE VOSTRE PRINCIPALI VECCHIE INFLUENZE? E, DALL’ALTRO LATO DELLA MEDAGLIA, C’E’ QUALCHE FORMAZIONE TRA QUELLE PIU’ RECENTI A CUI GUARDATE CON UN CERTO INTERESSE?
“La maggior parte delle nostre vecchie influenze sono di stanza nel Regno Unito. La Triade della Peaceville, naturalmente, con Anathema, My Dying Bride e Paradise Lost, e il death metal inglese con quell’enfasi sulla pesantezza tipico, ad esempio, dei Bolt Thrower. Poi un lieve tocco di doom finlandese, il genere metal sui generis e il progressive-rock dei Seventies. Ma oggigiorno, ad essere del tutto onesti, la nostra maggiore ispirazione siamo noi stessi. Siamo riusciti a sviluppare, nel corso degli anni, uno stile che appartiene solo a noi e che solo noi sappiamo come gestire e far progredire. Potrà essere una sorpresa per te, ma è difficile che oggi io ascolti un disco doom metal. Ed in effetti è tanto che non ascolto un album doom. Non mi è neanche sorto interesse verso qualche band nuova di recente, forse perchè non riesco a trovare davvero qualcosa che mi stupisca ancora. In ambito doom, un genere che so come trattare, sono molto esigente in fatto di gusti. Trovo sempre qualcosa che mi fa storcere il naso. Oltretutto non sono così convinto che il doom stia vivendo un periodo di successo, seppur relativo. O almeno, non è una sensazione che mi pervade. Ma chiaramente, dipende un po’ da di cosa stiamo parlando. C’è una enorme scena, oggi, di doom tradizionale (per tradizionale intendo che fa il verso ai Black Sabbath), ma non mi appassiona per nulla. Preferisco ascoltare dischi e band dell’epoca che fu. C’è anche parecchia attenzione sullo sludge e sul post-metal con i chitarroni e gli slow-tempo, ma qui siamo fuori dal doom metal. Il doom è nato dall’heavy metal, non dall’hardcore o dal post-rock. Sto ancora aspettando un disco che raggiunga la qualità artistica di album quali ‘The Silent Enigma’ o ‘As The Flower Withers'”.
BENISSIMO, SYLVAIN. TI RINGRAZIO E TERMINO L’INTERVISTA CON UNA DOMANDA SUI VOSTRI PROGRAMMI FUTURI…
“Sì, abbiamo ancora una manciata di concerti prima della fine del 2016. Poi ci sarà qualche richiamo anche nel 2017. Come ti dicevo sopra, abbiamo un nuovo album quasi pronto, ma c’è ancora del lavoro da fare e non sappiamo ancora quando entreremo in studio per registrarlo. Quindi per ora non posso progettare molto le cose. Ma il nuovo album non è la nostra priorità principale adesso, in quanto abbiamo ancora diversi show da suonare e in cui divertirci!”.