Ci addentriamo nel complesso e strutturato mondo Monolithe per l’ennesima volta, per un excursus extraplanetario ed extragalattico al solito interessante e fuori dai più normali canoni conosciuti. Con il recente “Okta Khora” la band francese si è confermata quale certezza assoluta e ormai rinomata del panorama doom-death metal mondiale, sempre più lontana da quel solido ed estremissimo concetto di funeral doom metal monolitico (embé…) ed inossidabile che l’aveva contraddistinta nei primi lavori e nei primi anni di vita; la deriva melodica e ben più orecchiabile intrapresa dalla coppia di dischi “Epsilon Aurigae”/”Zeta Reticuli” e dal seguente “Nebula Septem” è stata ereditata alacremente dalla recente uscita discografica, un ottimo esito sperimentale di un’avanguardia stilistica che va oltre le strade battute, per approdare, via via sempre più, su lidi che abbracciano la metafisica, la matematica e l’esplorazione spaziale. Sylvain Bégot, leader e mastermind della compagine transalpina, ci racconta per bene la nuova propaggine tentacolare emanatasi dalla sua creatura multidimensionale…
CIAO SYLVAIN, BENTORNATO SU METALITALIA.COM! I MONOLITHE, AL CONTRARIO DI QUANTO POSSA SUGGERIRE IL VOSTRO NOME, SEMBRANO PROPRIO NON RIUSCIRE A STARE FERMI! IN POCHI ANNI SIETE DIVENTATI UNA DELLE PIU’ PROLIFICHE DOOM METAL BAND: QUAL E’ IL SEGRETO DIETRO ALLA VOSTRA INSTANCABILE CREATIVITA’?
Sylvain – Be’, non ho mai visto i Monolithe come una band particolarmente prolifica, considerato che di solito pubblichiamo un album ogni due anni, una cadenza piuttosto regolare, io penso. Ma posso capire come mai possiamo dare questa sensazione: dal 2012 abbiamo fatto uscire regolarmente del nuovo materiale, sotto forma di full-length, compilation, un live album e i remaster dei nostri primi due dischi, “Monolithe I” e “Monolithe II”. Abbiamo un sacco di release che rendono il nostro back catalogue abbastanza importante ora. Ma i Monolithe sono anche alle soglie dei vent’anni di carriera, per cui suppongo ciò non debba sorprendere troppo. In merito alla creatività, una risposta che posso dare è che siamo ancora spinti dalla passione di comporre la miglior musica possibile con i nostri mezzi: non siamo musicisti professionisti, quindi non abbiamo obblighi di scrivere canzoni o album che vendano milioni di copie o che abbiano appeal sulle masse. Facciamo semplicemente quello che vogliamo e questo ci permette di mantenere salda la nostra integrità artistica.
PROBABILMENTE VOI TROVATE I MIGLIORI STIMOLI COMPOSITIVI NEL SEGUIRE OGNI VOLTA CIO’ CHE IL NUMERO DEL VOSTRO NUOVO ALBUM VI SUGGERISCE. QUESTA PROGRESSIONE MI RICORDA VAGAMENTE LA SUCCESSIONE ALFABETICA DEGLI ALBUM DEI MORBID ANGEL, MA IMMAGINO CHE IL DISCORSO SIA PIU’ COMPLESSO NEL VOSTRO CASO. QUALI SONO, DUNQUE, I COLLEGAMENTI TRA IL NUMERO OTTO E LE STRUTTURE DI “OKTA KHORA”?
Sylvain – Sì, esatto, c’è sicuramente un elemento ispirazionale nel fatto di seguire regole autoimposteci a seconda del numero dell’album a cui siamo arrivati. Giocare con i numeri, come del resto abbiamo sempre fatto finora, deriva dal nostro amore per i concept-album in generale, dischi che creano un intero corpo di fondo invece di una semplice collezione di canzoni messe assieme in uno stesso media. E così iniziammo con gli album ad una canzone – i primi quattro – e poi con le diverse incarnazioni dei seguenti lavori. E’ stato per me come seguire una sorta di linea-guida, molto d’ispirazione, perché così facendo riesco ad unire forma e sostanza; specialmente per gli ultimi “Nebula Septem” e “Okta Khora”, con i numeri 7 e 8, è venuto fuori un bell’intrico tra testi e musica, oltre che con tanti piccoli dettagli sparpagliati qua e là nelle spire di tali album, che essi siano nell’artwork o nella posizione del disco nella discografia e così via. In breve, per “Okta Khora” le canzoni durano 8 minuti, oppure 2×4 minuti (i brani strumentali sono formati da 2 parti di 4 minuti); ci sono in tutto 8 tracce; e se prendiamo l’8 e lo sdraiamo, avremo il simbolo dell’infinito, ed infatti la storia narra di un loop che si può generare per sempre su se stesso.
IL CONCETTO FILOSOFICO DI “KHORA” DERIVA DA UNA PAROLA GRECA DI DIFFICILE E MULTIPLO SIGNIFICATO. CI VUOI SPIEGARE IN QUALE SENSO NE AVETE FATTO USO E L’AVETE APPLICATA AL NUOVO DISCO?
Sylvain – Il primo significato della parola greca ‘khora’ indica una zona appena fuori dalla città principale. Puoi anche vederlo, a metafora, come un posto dove niente è stato costruito o prestabilito. Nel senso metafisico della parola, diventa quindi una sorta di terra di nessuno, o meglio qualcosa che non si è ancora sviluppato, uno spazio contenente materia senza forma che potenzialmente diventerà qualcosa. Nella storia di “Okta Khora”, questo spazio è praticamente l’universo prima del Big Bang, il Caos primordiale. E’ lo stato non-esistente dell’universo, il momento in cui non c’è niente ma solo la probabilità di una futura nascita della materia. L’esistenza della ‘khora’ e la volontà di distruggere l’universo per tornare al punto di partenza (la ‘khora’ stessa) è il credo su cui si basa la religione dei protagonisti principali della vicenda narrata.
RESTANDO IN AMBITO FILOSOFICO, MA PORTANDOLO AD UN LIVELLO POVERAMENTE MAINSTREAM, MI VIENE QUASI DA ASSOCIARE IL CONCETTO DI ‘KHORA’, NELLA CINEMATOGRAFIA DEI NOSTRI TEMPI, ALLA BRAMA DEL SUPERVILLAIN THANOS NELLA MAXI-SAGA DEGLI AVENGERS (RESTAURARE UN ORDINE PRIMEVO DELLE COSE TRAMITE LA CANCELLAZIONE DI BUONA PARTE DELL’ESISTENTE). GIUSTO PER COGLIERE MEGLIO LA VOSTRA STORIA, PUOI FARCI UN PARAGONE A RIGUARDO?
Sylvain – Per me la storia narrata in “Okta Khora” porta avanti la tradizione tematica di quelle saghe o novelle fantascientifiche che trattano di distruzione di massa o dell’annientamento della vita. Per farti qualche esempio: la space opera Berserker di Saberhagen, la Galactic Center Saga di Benford, gli Inibitori nel Revelation Space Universe di Reynolds, le Nuvole Omega nelle Academy Series di McDevitt, l’Intelligenza Artificiale nei Canti di Hyperion di Simmons, oppure anche le Macchine Pensanti del ciclo di Dune (l’evento noto come Jihad Butleriana). Sebbene non sia troppo ferrato sui videogame, mi è stato detto che ci sono anche delle similarità con giochi quali Mass Effect e Halo, probabilmente influenzati dallo stesso materiale cartaceo. Solitamente la minaccia alla vita giunge dalle macchine, vecchie o nuove che siano, ma qualche volta da una civiltà aliena le cui motivazioni nascono o da qualcosa di tangibile (volontà di dominio, bisogno di risorse primarie) o da qualcosa impossibile da comprendere (differenze di pensiero, culturali). Penso che il nostro racconto appartenga a questa seconda fazione, del resto abbiamo più volte puntualizzato che i bellicosi protagonisti di “Okta Khora” sono dei fanatici religiosi.
IL VOSTRO DOOM METAL E’ SEMPRE STATO MOLTO VISIONARIO, CALEIDOSCOPICO, PSICHEDELICO E, IN DEFINITIVA, ‘VISUALE’, CINEMATOGRAFICO. NELLA MIA RECENSIONE HO SCRITTO CHE “OKTA KHORA” E’ IL PIU’ VISUALE DEI DISCHI DELLA VOSTRA CARRIERA: IL RIFFING, I SOUNDSCAPE, GLI ARRANGIAMENTI E LE PROGRESSIONI SONO EFFETTIVAMENTE CONCEPITI PER MOSTRARE DELLE IMMAGINI, COME SCENE DI UN FILM. AVETE PERCEPITO LO STESSO (O LO AVETE CERCATO) DURANTE LE FASI DI COMPOSIZIONE E REGISTRAZIONE?
Sylvain – Sì. A livello di tematiche, tutti i lavori dei Monolithe sono dei racconti di fantascienza. Ma la maggior parte di essi hanno a che fare con quella che potremmo chiamare ‘fantascienza metafisica’, perciò suppongo che non sia così ovvio, per gli ascoltatori occasionali, metterci in relazione alla sci-fi classica, fatta da astronavi, navicelle e viaggi interstellari; la sci-fi classica è solo un sottogenere della fantascienza. Sui due ultimi album, però, e specialmente in “Okta Khora”, è vero che ci sono più riferimenti a ciò che l’immaginario fantascientifico colpisce solitamente un gran numero di fruitori, quindi penso che sia più facile comprendere che dietro al sound e al progetto Monolithe ci sia moltissima fantascienza. C’è un feeling da space opera in “Okta Khora”, non ispirato a roba come Guerre Stellari, bensì più vicino a Dune, Hyperion e similari. Ci sono un sacco di arrangiamenti rumoristici nel tappeto musicale, oppure suoni di tastiere futuristici, loop, atmosfere industriali, un’intera panoplìa di elementi che riesce a catturare un deciso mood avveniristico che va oltre ai riff e alle melodie composti. L’idea era di ampliare questo approccio futuristico in ogni aspetto del lavoro, in modo da creare una completa immersione nel mondo che si respira all’interno della nostra storia. E considerato che il disco ne è la colonna sonora, la musica doveva essere un tutt’uno con quanto previsto dal concept narrativo. Ciò abbiamo cercato di fare in sede di composizione e registrazione.
SIA IN “OKTA KHORA” CHE NEL PRECEDENTE “NEBULA SEPTEM”, LA VOSTRA LINEUP HA MOSTRATO UNA SORTA DI ‘INCERTA SITUAZIONE’ NEL POSTO DA LEAD VOCALIST. TI VA DI RIASSUMERE COS’E’ SUCCESSO DOPO L’ABBANDONO DEL VOSTRO CANTANTE ORIGINARIO, RICHARD LOUDIN? DAL DI FUORI, SEMBRA QUASI CHE AFFIDIATE UN BRANO AD UN PERFORMER DIVERSO A SECONDA DI QUANTO EGLI CALZI A PENNELLO O MENO…
Sylvain – In realtà è più semplice di come dici. Dopo che Richard lasciò la band, Rémi Brochard, già nostro chitarrista e cantante in un’altra band, si offrì di prendersi carico delle voci mantenendo il ruolo di terza chitarra. All’epoca, io pensavo che fosse un po’ troppo per lui fare entrambe le cose, così chiesi a Sébastien Pierre, un’altra nostra conoscenza, di cantare le canzoni del disco “Nebula Septem”. Così accadde per tutti i brani di questo album, ma in una, “Delta Scuti”, Rémi compose assieme a me la maggior parte della musica e ci tenne in particolar modo a cantarci sopra. Quando iniziammo a suonare dal vivo in promozione a “Nebula Septem”, Rémi si occupò in toto delle voci, in quanto Sébastien non era interessato ad unirsi ai Monolithe a tempo pieno. Arriviamo ad “Okta Khora”: per le registrazioni ho invitato di nuovo Sébastien ad esibirsi in due brani, in quanto apprezzo molto la sua voce e volevo mantenere una certa prosecuzione tra il disco precedente e il nostro ultimo; Rémi ha cantato sugli altri due episodi con voce e resta il nostro main vocalist, attualmente. Detto ciò, per me un album e la sua interpretazione live sono due cose molto diverse: non mi preoccupo minimamente se trovo un vocalist da studio e poi un altro più adatto alle performance dal vivo. Rémi canterà on stage anche le parti di Sébastien, non appena riusciremo a salire su di un palco per il ciclo di tour di promozione ad “Okta Khora”.
COSA E’ SUCCESSO CON LA RELEASE DEL DISCO? SE NON HO CAPITO MALE, “OKTA KHORA” E’ STATO MESSO IN RETE ILLEGALMENTE MESI PRIMA DELLA SUA ESATTA DATA DI PUBBLICAZIONE; COSI’ AVETE ANTICIPATO L’USCITA IN VERSIONE DIGITALE, MA NON QUELLA FISICA. CON QUESTA MODIFICA FORZATA, AVETE NOTATO PIU’ FEEDBACK POSITIVI O PER VOI SI E’ TRATTATO DI UNA PERDITA?
Sylvain – Sì, è stato leakato. Oltretutto con una qualità davvero pessima, per cui abbiamo deciso, di comune accordo con la nostra etichetta Les Acteurs De L’Ombre, di pubblicare subito almeno la versione digitale del disco. Almeno i fan hanno avuto accesso ad una maggiore qualità. I supporti fisici, CD e vinili, ovviamente non erano ancora pronti – il leak è avvenuto molto prima della stampa prevista – e si è trattato di un mezzo disastro, perché ci ha praticamente scombinato tutti i piani promozionali. L’idea iniziale era quella di pubblicare una nuova canzone ogni due settimane fino alla data di uscita ufficiale, così come pure una serie di video di noi che spieghiamo i significati dei pezzi (vedasi domanda e risposta successive, ndR), anche questi uno ogni 14 giorni. Questa strategia chiaramente non ha avuto l’impatto desiderato, considerato che chiunque ha potuto ascoltare l’album interamente in streaming, quindi effetto-sorpresa andato perso. Ascoltatori casuali anch’essi persi, mentre almeno l’interesse della fanbase è sembrato solido, con discrete visualizzazioni, commenti sui social media, pre-ordini del disco fisico. Non è facile sapere esattamente come tutto ciò abbia realmente impattato sulla vita di “Okta Khora”, se abbia compromesso alcune vendite potenziali o cos’altro. Ma ormai il danno è fatto e noi siamo andati avanti, tenendo presente che questo tipo di avvenimenti succede molto spesso a qualsiasi tipo di artista. Se ci sarà possibile, comunque, non forniremo più in futuro a nessuno la reperibilità di un nostro disco prima della sua uscita ufficiale: sinceramente, non crediamo sia più davvero importante ricevere una recensione o avere un’intervista prima o a cavallo della data di pubblicazione. E avere un album leakato da un cosiddetto ‘giornalista musicale’ tre mesi prima della release ufficiale ti assicuro che non ci è piaciuto, soprattutto dopo il tanto lavoro fatto. Non ne vale veramente la pena.
HO VISTO TUTTI I VOSTRI VIDEO SU YOUTUBE ATTI A SPIEGARE NEL DETTAGLIO IL SIGNIFICATO DEI BRANI DI “OKTA KHORA” E DELLA STORIA CHE VI E’ DIETRO, E MOLTI OSPITI HANNO CONTRIBUITO A PLASMARE IL RISULTATO FINALE. POSSIAMO AFFERMARE CON CORRETTEZZA CHE NEL PROGETTO MONOLITHE LA PAROLA ‘SPERIMENTAZIONE’ E’ DA INCLUDERE FRA LE PIU’ IMPORTANTI DELLA VOSTRA CARRIERA?
Sylvain – Ad essere onesti non mi sento molto a mio agio con il termine ‘sperimentazione’. Prima di tutto perché credo che la musica dei Monolithe sia molto più accessibile di band od artisti realmente sperimentali, e come esempio unico ti posso portare i Mr. Bungle. Ciò che facciamo noi non è cercare di portare qualcosa di nuovo alla musica in generale, ma piuttosto lavorare su nuove contaminazioni e allargare le frontiere all’interno del nostro genere di riferimento. Non siamo scienziati in un laboratorio. Vedo la musica dei Monolithe e noi stessi più che altro come esploratori su di un’isola deserta che tentano di farsi strada attraverso la foresta, verso qualcosa che già esiste e che ha solo bisogno di essere scoperto o ricomposto assieme. Quindi forse la parola ‘esplorazione’ la trovo naturalmente più indicata.
BENE, SYLVAIN, E’ GIUNTO IL MOMENTO DI METTERE IN FILA I CINQUE DISCHI CHE TUTT’OGGI POSSONO ESSERE CONSIDERATI I PIU’ RAPPRESENTATIVI DEL VOSTRO APPROCCIO STILISTICO AL METAL E ALLA COMPOSIZIONE DI MUSICA…
Sylvain – Solo cinque dischi sono davvero pochi da citare, ma gli album che ritengo siano fondamentali nell’avermi spinto a formare i Monolithe e a scrivere musica nel modo in cui lo faccio potrebbero essere i seguenti:
Pink Floyd – “The Wall”;
Iron Maiden – “Live After Death”;
Slayer – “Decade Of Aggression”;
Anathema – “The Silent Enigma”;
My Dying Bride – “As The Flower Withers”.
L’ANNO SCORSO – E QUI CHIUDIAMO L’INTERVISTA – AVETE FINALMENTE SUONATO LA VOSTRA PRIMA DATA IN ITALIA, UN PAESE IN CUI IL DOOM METAL NON E’ ESATTAMENTE AMATO E BEN SEGUITO DALLE MASSE METALLICHE. QUI DA NOI POWER E SOPRATTUTTO THRASH METAL VANNO MOLTO PIU’ FORTE. QUALI SONO I RICORDI DI QUEL TOUR ED IN PARTICOLARE DELLA DATA ITALIANA?
(Avevamo anche chiesto alla band a riguardo di piani futuri live, ma nella situazione attuale di pandemia la risposta risulta completamente anacronistica, quindi preferiamo ometterla)
Sylvain – Il tour di per sé è stata una grandiosa esperienza. Stancante, ma molto divertente. Abbiamo speso dell’ottimo tempo in compagnia dei nostri amici Abyssic, con i quali abbiamo girato anche in posti in cui non avevamo mai suonato prima, tra cui l’Italia. Da voi abbiamo suonato vicino a Milano, allo Slaughter Club, e purtroppo è stata la data meno popolata fra tutte quelle del tour. E siccome lo Slaughter è piuttosto capiente, l’apparenza è stata quella di aver avuto davanti davvero il vuoto. E’ stata una delusione, sì, e per me personalmente devo dirti che in quella serata ero particolarmente stanco per aver dormito pochissimo durante il trasferimento, perciò ho anche suonato in modo per nulla brillante. Precisato ciò, sono stato molto contento di esser stato in Italia, avete il miglior cibo in Europa e quel giorno abbiamo pranzato alla grande in una piccola cittadina appena fuori Milano. E anche il catering del locale si è rivelato davvero ottimo. Ho sempre amato il vostro paese e anche se il concerto non è stato granché è stato bello esser da voi, e questa volta non da turista.