MONOLITHE – Scale eptatoniche

Pubblicato il 25/02/2018 da

Ai Monolithe piacciono le sfide. Al settimo disco sulla lunga distanza, dopo che i sei lavori precedenti – i quattro “Monolithe”, “Epsilon Aurigae” e “Zeta Reticuli” – avevano denotato peculiarità compositive da clinica psichiatrica, non ci si poteva aspettare altrimenti dall’ultimo “Nebula Septem”, completamente ed ossessivamente incentrato sul numero 7 e sui suoi molteplici rimandi e riferimenti. Ai Monolithe, nella persona di Sylvain Bégot, mastermind, principale compositore, chitarrista e tastierista, non piace neanche la staticità stilistica, aspetto paradossale se si pensa che il gruppo ha iniziato – ed è associabile tuttora alla scena relativa – come funeral doom metalband. Nel 2018, difatti, i francesi hanno raggiunto i loro minutaggi più bassi in assoluto, solo sette minuti per traccia, stravolgendo completamente il loro approccio alla scrittura: se ben vi ricordate, la band era nota per comporre uniche suite dalla lunghezza monstre di oltre cinquanta minuti, nelle quali la voce appariva alla stregua di suppellettile. Oggi, al contrario, anche le parti vocali vanno ad assumere maggiore importanza all’interno di un songwriting sempre mutevole e vario, seppur mantenuto con gran sagacia su solidissime coordinate di pesantezza, groove monolitico e psichedelia onirica; caratteristiche ben utili a portare i fruitori della musica dei Monolithe, come al solito, lontano nell’universo, al di là di galassie e buchi neri, dove solo la fame di immensi wormhole può attendere. Proprio nelle parole di Sylvain, andiamo dunque a svelarvi i nuovi Monolithe…

 

CIAO SYLVAIN, BENTORNATO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM! POCO TEMPO E’ TRASCORSO DALLA NOSTRA PRECEDENTE CHIACCHIERATA, MA TANTE COSE SONO SUCCESSE IN CASA MONOLITHE: UN NUOVO DISCO FUORI, NUOVE SPERIMENTAZIONI E QUALCHE CAMBIO DI LINEUP. PARTENDO PROPRIO DA QUEST’ULTIMO TOPIC, PUOI RACCONTARCI COSA E’ SUCCESSO CON RICHARD LOUDIN, VOSTRO STORICO GROWLER, E COME E’ AVVENUTO IL PASSAGGIO DI REMI BROCHARD DA CHITARRISTA LIVE A VOCALIST?
– Ciao e grazie! Be’, Richard aveva bisogno di ridefinire le sue priorità di vita e non poteva più continuare a gestirsi tra due gruppi diversi. Dunque ha semplicemente scelto di portare avanti la sua attività con i Nydvind, per i quali compone, canta e suona la chitarra. Ovvio e giusto così, si è trattato di uno split amichevole. Me ne ha parlato attorno a marzo del 2017, ma è rimasto nei Monolithe fino alla fine di giugno per permetterci di portare a termine i concerti già programmati fin lì. Abbiamo registrato “Nebula Septem” con Sébastien Pierre, cantante degli Enshine, e gli abbiamo proposto di restare con noi; è però un ragazzo molto impegnato e non molto interessato ad esibirsi dal vivo, quindi niente, alla fine abbiamo ‘ripiegato’ su Rémi. Nel suo altro gruppo fa già le veci di cantante/chitarrista, dunque sapevamo quanto era in grado di rimpiazzare Richard. La ragione per cui non l’abbiamo scelto subito è che si tratta di una posizione difficile, che richiede parecchia dedizione, molto più di quanto si pensi possa servire per suonare la chitarra e cantare assieme; non sapevamo, a tutti gli effetti, se poteva reggere l’impegno con due band. Ad un certo punto però ci siamo decisi e detti ‘proviamoci!’, e siamo ancora qui. Il suo primo concerto è stato al Brutal Assault, ad agosto in Repubblica Ceca, dopodiché abbiamo avuto altre sei date per rodare la nuova lineup. E fino ad ora…tutto bene!

IL NUOVO DISCO E’ UN’ENNESIMA SFIDA MUSICALE, PRESENTA DIVERSE VIE D’INTERAZIONE CON IL NUMERO SETTE, CHE E’, A PARTE UN NUMERO CARICO D’INTRECCI E SUGGESTIONI CON L’ESOTERISMO, L’ALCHIMIA E LA CABALA, IL NUMERO DEI VOSTRI FULL-LENGTH ALBUM. DA DOVE E’ NATA INNANZITUTTO L’IDEA DI RIDURRE ULTERIORMENTE LA LUNGHEZZA DEI VOSTRI PEZZI? STATE FORSE CERCANDO DI DIVENTARE UNA GRINDCORE BAND (OVVIAMENTE SI SCHERZA…)?
– Abbiamo deciso di comporre canzoni di sette minuti per “Nebula Septem” perché tutte le circostanze erano a favore di questa soluzione. Si tratta del nostro settimo album, ci siamo trovati ad essere in sette in lineup, ci sono sette note nella scala musicale occidentale… Abbiamo trovato perciò divertente spingere al massimo questo aspetto formale. Certamente siamo a conoscenza del significato di tale numero in determinate discipline e pratiche, ma deliberatamente non ne abbiamo voluto parlare. Questo particolare numero e l’uso che ne abbiamo fatto sta facendo sollevare diverse sopracciglia, con un sacco di giornalisti che ci chiedono come mai l’abbiamo infilato ovunque, per questo lavoro. Ma per noi è sempre stato un obiettivo, quello di creare dischi che fossero un tutt’uno compositivo, con tanti fili da tirare per far muovere e far comprendere tutto l’insieme ad incastro. E ciò va oltre la musica. Quando pubblichi un album, puoi dare senso all’insieme attraverso l’artwork, oppure tramite gli aspetti formali della composizione e dei testi. Comunque sia, non stiamo cercando di diventare una band grindcore, anche perchè un brano da sette minuti sarebbe un’impresa titanica da scrivere per una formazione dedita a quel genere!

SUPPONGO CHE, DAL VOSTRO PUNTO DI VISTA, LA COSA PIU’ STIMOLANTE ED INTRIGANTE SIA STATO IL COMPORRE OGNI PEZZO BASANDOVI SU UNA DELLE TONALITA’ DELLE SETTE NOTE. NON SONO UN MUSICISTA E NON SCRIVO CANZONI, QUINDI MI E’ DIFFICILE IMMAGINARE QUANTO POSSA ESSERE COMPLESSO TROVARE BUONE SOLUZIONI RESTANDO FEDELI ALLE REGOLE CHE VI SIETE AUTO-IMPOSTI… PROVA A RACCONTARCI QUALCOSA DEL PROCESSO COMPOSITIVO, DUNQUE.
– In realtà si tratta solo di tecnicismi. La cosa importante è avere in mente tutto il pattern principale della tua canzone e pian piano ripulirlo fin quando non ti appare perfetto per ciò che ti sei auto-imposto. Qualche volta è un lavoro anche facile, altre volte è un vero rompicapo. Il brano “Burst In The Event Horizon”, ad esempio, è stato parecchio complesso da portare a termine: ho dovuto rimodellare alcuni spezzoni affinché funzionassero di per loro e all’interno del brano allo stesso tempo. E’ un processo che richiede abilità e pazienza, come il lavoro dell’orafo che scolpisce il diamante per ottenere la forma desiderata in partenza. Per far sì che funzioni, come dicevo prima, bisogna considerare la canzone nella sua interezza, sapere dove la stai portando e ciò che vuoi raggiungere. Devo dire che ormai abbiamo una certa esperienza nel comporre in questo modo: la discografia dei Monolithe finora aveva previsto o album formati da una sola canzone, oppure da canzoni di quindici minuti. Non possiamo dire di non esserci messi alla prova prima d’oggi. Penso possa essere davvero di grande ispirazione scrivere musica così, come se fosse un gioco, una sfida. Con la mia precedente band, gli Anthemon, pubblicammo nel 2005 un disco intitolato “Kadavreski”, nel quale c’è un brano lungo venti minuti composto da tutti i membri del gruppo, con ognuno che ha scritto una parte di pezzo senza sapere cosa avevano scritto gli altri, ad esclusione dell’ultimo riff. Esattamente come quelle round-robin story che i poeti surrealisti usavano scrivere nei primi anni Venti. Un modo per essere creativi, dunque, che va ben oltre l’idea del concept-album, a mio avviso.

CON LA RIDUZIONE DEL MINUTAGGIO DELLE CANZONI, IL VOSTRO SONGWRITING SEMBRA ESSERE ORA PIU’ IMMEDIATO E DINAMICO: MOLTO PIU’ GROOVE, ASSIEME AD ASSOLI E HOOK PSICHEDELICI, FA MOSTRA DI SE’. IL FUNERAL DOOM E’ ASSAI LONTANO DA “NEBULA SEPTEM” (EPPURE E’ ANCHE PRESENTE!), MA ANCHE DOOM METAL PARE ORA UNA DEFINIZIONE RIDUTTIVA NEI CONFRONTI DELLA VOSTRA MUSICA: C’E’ GOTHIC E DEATH METAL, C’E’ PROGRESSIVE, C’E’ UN FORTE TOCCO AMBIENT. LA VOSTRA EVOLUZIONE PROSEGUE, INSOMMA. SIETE SODDISFATTI DI TUTTO CIO’?
– Be’, è sicuramente difficile catalogare band che si evolvono così tanto dai loro esordi. Io la vedo lampante: siamo una formazione che suona doom/dark metal e mi basta questa scarna definizione. Ovviamente non ci descrive al 100% ed è decisamente restrittiva, ma la gente che ascolta i Monolithe credo sia in grado di capire da sola cosa suoniamo. Per quanto riguarda il funeral doom, esso è stata un’influenza tra tante altre, anche ai tempi dei nostri primi dischi. Alcuni ci identificano ancora come funeral doom: sinceramente non lo concepisco, a meno che queste persone non abbiano ascoltato i nostri ultimi dischi…e comunque è strano. Ora, se dovessimo inquadrarci a seconda delle nostre principali fonti d’ispirazione, probabilmente non saremmo più etichettabili come doom metal band, ma penso che il succo del discorso stia ancora là. Credo che, a parte il metal, una forte influenza udibile in “Nebula Septem” sia il classic rock: non che l’album suoni classic rock, chiaro, ma un sacco di vocabolario musicale è stato preso da quel contesto e travasato in un’opera doom metal. Non pensate però allo stoner, se per caso classic rock vi fa venire in mente lo stoner: ad essere onesto, è un genere che non amo proprio… “Nebula Septem” non è il risultato di un songwriting collettivo, dato che il processo di scrittura non è sostanzialmente cambiato. Ho collaborato con Rémi per il pezzo “Delta Scuti”, per il resto il materiale è tutto mio. Detto questo, la cosa veramente importante per me è che i brani restino consistenti e che tutti i diversi input immessi vengano ben digeriti dal composto che, in definitiva, resta doom metal. Anche se sono un loro fan, non mi interessa trasformare i Monolithe nei Mr. Bungle!

SIETE PASSATI DALLA DEBEMUR MORTI ALLA VOSTRA CONNAZIONALE LES ACTEURS DE L’OMBRE. COME MAI QUESTO AVVICENDAMENTO DI LABEL? E COSA VI ASPETTATE DALLA NUOVA ETICHETTA?
– Mah, non è successo nulla di particolare con la Debemur Morti. Semplicemente, sia noi che loro abbiamo capito che era arrivato il capolinea della nostra collaborazione. Per fartela breve, loro volevano cambiare alcune delle carte in tavola nel contratto e noi non siamo stati d’accordo, quindi non c’era motivo di andare avanti. Così, quando abbiamo ricevuto l’offerta dalla Les Acteurs De L’Ombre in un primo momento ci siamo mostrati interessati e basta, in quanto stavamo ancora aspettando delle risposte dalla Debemur e non volevamo tradire la loro fiducia e la loro onestà; poi però, quando a tutti è stato chiaro che le strade si sarebbero divise, ci siamo trovati a firmare il nuovo deal con la LADLO, un’etichetta che si è creata con merito una grande reputazione. Ci tengo comunque a precisare che i Monolithe devono molto alla Debemur Morti, dei ragazzi che ci hanno aiutato in ogni modo possibile, sempre al meglio delle loro capacità. Saremo sempre grati verso di loro. Cosa ci aspettiamo ora dalla nuova label? Le cose basilari: pubblicare e promuovere il nuovo disco e supportarci nelle nostre scelte artistiche.

ANCORA UNA VOLTA ROBERT HOYEM, L’ARTISTA NORVEGESE, HA REALIZZATO L’ARTWORK PER UN VOSTRO LAVORO, CHE PER QUESTA OCCASIONE POTEVA SOLO ESSERE RAPPRESENTATO DA SETTE ETTAGONI CIRCONCENTRICI. QUAL ERA L’IDEA ORIGINALE E COME SI E’ SVILUPPATO IL DISCORSO GRAFICO?
– Quando si tratta di lavorare con Robert, solitamente gli diamo la quasi totale libertà di presentarci una sua idea fatta e finita, partendo solo da poche indicazioni da parte nostra. Per “Nebula Septem” gli ho chiesto di provare a lavorare su qualcosa di più immediato, quasi fosse un logo, che avesse un impatto molto forte e che fosse collegato al numero sette. Ecco come siamo arrivati alla copertina e all’artwork, un’altra opera d’arte di Robert che adoro, così viva e misteriosa allo stesso tempo.

L’ORDINE DELLE CANZONI ED IL LORO FLUIRE SEMBRANO SUGGERIRE COME PIU’ IL DISCO PROCEDA PIU’ AUMENTINO LE INFLUENZE ELECTRO-AMBIENT. FINO AD ARRIVARE ALLA CONCLUSIVA “GRAVITY FLOOD”, UN VERO MASTERPIECE, LA CUI PRIMA PARTE E’ COMPLETAMENTE DEVOTA AL SYNTH-POP/DARK AMBIENT, PRIMA DI DIVENTARE UNA SORTA DI REVIVAL DI LUSSO DEL DOOM-GOTHIC METAL DEI NINETIES. PROBABILMENTE LA VOSTRA TRACCIA PIU’ SOFT DI SEMPRE, MA ANCHE PREGNA D’EMOZIONE E PERSONALITA’. PUOI DIRCI QUALCOSA A RIGUARDO?
– “Gravity Flood” è un brano strumentale la cui missione è chiudere il disco. In quanto tale, dovrebbe condurre l’ascoltatore in maniera delicata e suadente verso l’abbandono dell’album, lasciandogli dentro una forte ultima impressione. Allo stesso modo, l’ultima traccia è sempre il punto ideale in cui raggiungere un climax sperimentale. Per questo “Gravity Flood” ha due sezioni, la prima quasi un brano synth-wave e la seconda più organica, guidata dalla chitarra e con un gran assolo epico. Gothic metal dei Nineties? Forse. Comunque sia, mostra bene le influenze che stanno agli antipodi della nostra musica: suoni elettronici e moderni da una parte, rock classico dall’altra, il tutto raccolto nel solito modello doom metal.

UN’ALTRA TRACCIA CHE ADORO E’ “FATHOM THE DEEP”, MOLTO POTENTE ED EPICA, MA ANCHE IPNOTICA E MALINCONICA. CI RACCONTI UN PO’ DI QUESTO BRANO?
– Be’, i quattro aggettivi che hai usato sono esattamente ciò che volevo far scaturire da un pezzo come “Fathom The Deep”! Volevo avere un’altra canzone ripercorrente lo stile usato nel nostro secondo EP, “Interlude Second”, pubblicato nel 2012. All’epoca qualcuno disse che avevamo creato un nuovo stile chiamato ‘frone metal’, mischiando il drone al funeral doom. Ricordo il mio stupore attonito quando me lo riportarono… Questo pezzo si basa su forzate e ripetitive ondate di chitarra ritmica che formano un massiccio wall of sound mesmerizzante, che porta a sua volta una sinistra sensazione di tristezza mista a bellezza. Hanno scritto che il solo di chitarra pare suonato da David Gilmour: probabilmente l’influenza esiste davvero, ma sono felicissimo che la gente lo noti, perché si tratta di uno dei miei musicisti preferiti. Il testo parla di una civiltà aliena che conduce una feroce crociata attraverso le galassie per convertire, con la forza ovviamente, tutte le forme di vita senzienti alla loro religione panteista, una sorta di idolatria dell’universo.

NELLA SUA INTEREZZA, LA TRACKLIST DA’ ANCHE L’IMPRESSIONE DI UNA LENTA CONDOTTA VERSO SONORITA’ MAN MANO PIU’ RILASSATE E ‘DOLCI’; MENTRE ALL’INIZIO DELL’ALBUM CI SONO I BRANI PIU’ AGGRESSIVI E CARICHI DI DINAMISMO E VITALITA’, AD ESEMPIO “ANECHOIC ABERRATION” E “BURST IN THE EVENT HORIZON”. E’ CORRETTA QUESTA MIA IMPRESSIONE?
– I termini ‘rilassate’ e ‘dolci’ non sono esattamente due parole che associo alle canzoni di “Nebula Septem”, ma credo ci sia della verità in ciò che dici. Soprattutto se consideriamo l’album composto e assemblato come un viaggio in cui l’ascoltatore si imbarca in preda a diverse emozioni e visioni, quindi necessitante di un inizio e di una fine concettuale. E se a te è sembrato così…perché no? “Anechoic Aberration” voleva fungere da opening track, all’opposto di “Gravity Flood”, come ho spiegato prima, che è lì a fare da outro. Per questo nel primo pezzo c’è tanta dinamica e tanto groove. Poi, più si va avanti con la fruizione, più si affonda e si cade in un mare d’ipnotismo e psichedelia. La mia intenzione era proprio questa ed aver raggiunto in parte questo obiettivo è uno dei motivi principali per cui sono davvero orgoglioso di come sia uscito il lavoro.

PRESUMO NEL 2018 PROMUOVERETE L’ALBUM ATTRAVERSO PICCOLI TOUR O DATE SINGOLE. MA COSA SI DEVE ASPETTARE UN FAN DA UNO SHOW DEI MONOLITHE? E COME SCEGLIETE I BRANI DA SUONARE? SUONANDO ATTORNO AI 45/60 MINUTI E CON UNA DISCOGRAFIA DAL MINUTAGGIO ATIPICO COME LA VOSTRA, NON DEVE ESSERE FACILE RACCAPEZZARSI…
– Stiamo lavorando ad un tour proprio ora, sì. Ma come abbiamo fatto negli ultimi due anni, suoneremo ad un numero limitato di show. Perciò daremo priorità a paesi e posti in cui non siamo ancora stati. Ovviamente siamo aperti ad ogni opportunità e, ad esempio, sarebbe magnifico suonare da voi in Italia, non essendo mai stati nell’Europa mediterranea. Solitamente non ripetiamo mai due volte lo stesso spettacolo. Scegliamo le setlist considerando diversi fattori: la strumentazione, la linea e l’acustica presenti nel locale; il mood in cui siamo in quei giorni; la tipologia di audience che ci troviamo davanti. Se partecipiamo a qualche festival doom, tendiamo a suonare il materiale più lento ed oppressivo; se siamo a festival più generalisti, allora ci orientiamo sulla roba più up-tempo mischiando un po’ di brani. Varia davvero tanto, il nostro approccio. Ciò che importa, alla fine, è che comunque vecchi e nuovi fan paiono gradire quello che facciamo!

OK, SYLVAIN, E’ TUTTO! TI RINGRAZIO PER LA DISPONIBILITA’ E TI LASCIO CHIUDERE L’INTERVISTA A PIACIMENTO…
– Grazie, Marco, per l’intervista e per il supporto. Spero di poter incontrare i nostri fan italiani, non appena saremo finalmente dalle vostre parti! Abbiamo pubblicato un documentario di cinque episodi, intitolato “Innersight”, nel quale parliamo della storia della band, così come della realizzazione del nuovo lavoro. Potrebbe interessare sia i fan dei Monolithe, sia coloro i quali gradiscono i cosiddetti ‘rockumentary’. Lo trovate sulle nostre pagine Youtube e Facebook:
http://youtube.com/MONOLITHEOfficial
http://facebook.com/monolithedoom

 

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