MONOLITHE – Spazio, ultima frontiera

Pubblicato il 24/02/2023 da

Il doom metal dei francesi Monolithe, pur rientrando sempre nelle coordinate piuttosto rigide del genere, ha ormai quasi dimenticato gli esordi funeral – oltretutto particolarissimi nella quadrilogia di album dedicata alla saga del Grande Orologiaio – per lentamente planare verso un’accessibilità marcata e quasi definibile come orecchiabile.
I dischi successivi (dal quinto al settimo) avevano mostrato sempre più tale attitudine, diminuendo man mano la durata delle canzoni in essi contenute e quindi denotando una maggiore attenzione verso l’ascoltatore sui generis, sebbene si stia parlando di lavori assai ostici da digerire. Il precedente “Okta Khora”, con il suo appeal fortemente visivo e cinematico, aveva fatto rimbalzare il sasso ancor più lontano verso il centro dello stagno; ma è con l’ultimo “Kosmodrom” che questi esperti doomonauti, capitanati dal mastermind e principale compositore Sylvain Bégot, paiono essersi definitivamente staccati dagli approdi più plumbei per invece andare a sondare lidi dal diverso tenore, proponendo un progressive doom metal tutto da scoprire.
E’ proprio con Sylvain che andiamo a sviscerare il nuovo nato in casa Monolithe, spaziando (passateci il gioco di parole) tra corse allo spazio in piena Guerra Fredda, dilemmi etici e personaggi ormai entrati nel mito dell’Umanità. A voi!

CIAO SYLVAIN, BENTORNATO SULLE PAGINE DI METALITALIA.COM! IL VOSTRO NUOVO ALBUM, “KOSMODROM”, ORMAI SCRITTO QUASI TRE ANNI FA, E’ FINALMENTE DISPONIBILE DOPO ESSERE STATO A LUNGO POSPOSTO. COME VI SENTITE A RIGUARDO? VOGLIO DIRE, ALLE VOSTRE ORECCHIE SUONERA’ ORMAI VECCHIO, MENTRE PER LE NOSTRE E’ MUSICA NUOVA DI ZECCA. NON E’ STRANO? NON ERA PROPRIO POSSIBILE FARLO USCIRE PRIMA?
– Ciao Marco, e grazie! Be’, prima di tutto devi considerare che ogni disco suona datato per chi l’ha scritto al momento della pubblicazione. Considerando tutto il lavoro fatto, l’averlo ascoltato centinaia di volte durante il processo di scrittura e registrazione, considerando che tutto ciò richiede spesso molto tempo, è chiaro che per un musicista un disco nuovo è come fosse già vecchio al momento dell’uscita. Come hai scritto tu, nel caso di “Kosmodrom” la situazione è stata ancora più estrema: l’album è stato composto nella sua maggior parte nella primavera del 2020 e pubblicato invece nel novembre 2022. Ne è passata di acqua sotto i ponti! In realtà il master definitivo del disco era pronto quindici mesi prima della sua poi effettiva data di uscita.
Quindi sarebbe stato tecnicamente possibile farlo uscire prima, questo sì; ma la mossa è stata considerata poco saggia dalla nostra nuova etichetta (Time Tombs Production, ndR), per cui ci siamo fidati e abbiamo aspettato. E’ sempre difficile gestire queste lunghe tempistiche quando si tratta dell’uscita di un disco, chiaro, ma fortunatamente non siamo al primo album, non siamo dei pivelli, quindi abbiamo potuto gestire la frustrazione derivante dall’attesa in modo assai maturo.

LA MIA PRIMA CURIOSITA’ RIGUARDA PROPRIO IL PROCESSO DI COMPOSIZIONE: HAI GIA’ ACCENNATO DI AVERE SCRITTO “KOSMODROM” NELLA PRIMAVERA DEL 2020, MA NON HAI PRECISATO IL FATTO CHE TI TROVAVI A KOH TAO, IN THAILANDIA, IN PIENO PRIMO LOCKDOWN. ERI LA’ IN VACANZA OPPURE COS’ALTRO? DICCI QUALCOSA SULLA GENESI DEL DISCO…
– E’ una lunga storia ma la faccio breve: sono finito a Koh Tao perché io e mia moglie siamo fuggiti dalla Francia giusto poche ore prima del lockdown a marzo 2020. In quel momento pensavamo che il lockdown e tutte le restrizioni previste fossero del tutto inaccettabili, in quanto sapevamo già allora che il Covid-19 non era una minaccia per tutti e che seguire passo passo quanto faceva la Cina non era esattamente la cosa migliore. Tutto quanto ha preso una piega politica, poco medica, e ciò ha fatto uscire di senno un po’ chiunque. Essendo la libertà in cima alle cose importanti per noi, siamo volati in Thailandia, dove tutto era molto più rilassato. Eravamo già stati a Koh Tao un paio di volte, è una piccola isola lontana e abbiamo qualche amico là, quindi era una buona scelta.
Chiaramente non è che ci fosse molto da fare: così alla fine ho scritto tutto “Kosmodrom” praticamente per passare il tempo. Fatto è che la Thailandia chiuse i suoi confini un paio d’ore dopo che fummo atterrati, quindi siamo stati sull’isola per ben quattro mesi. E comunque non ci sarebbe stato alcun modo di tornare a casa: non c’erano aerei, non c’erano navi, niente. Bloccati a Koh Tao… ma era esattamente ciò che volevamo! Percepivamo tutta la pandemia come lontanissima: nessun caso registrato, niente panico, nessun lockdown, solo il coprifuoco dalle 23 alle 5; praticamente nulla, in confronto con altri paesi. Inoltre, come forse sai, ci fu un secondo lockdown in Francia e quella volta siamo volati a Stoccolma, in Svezia, e abbiamo vissuto lì per sette mesi. Ti dirò che entrambe le volte si sono rivelate le migliori decisioni da prendere: abbiamo conservato la nostra libertà ed avuto l’opportunità di vivere all’estero per lungo tempo, fantastiche esperienze!
Per quanto riguarda “Kosmodrom”, prima della pandemia mi dicevo che ad un certo punto avrei dovuto iniziare a scrivere della nuova musica, ma non avevo intenzione di lavorare ad un nuovo disco dei Monolithe a così poca distanza dalla precedente pubblicazione, “Okta Khora”, che era fuori all’epoca da circa tre/quattro mesi. A Koh Tao avevo dietro solo il mio laptop con un paio di software caricati, e ho chiesto in prestito una chitarra acustica al proprietario del nostro resort. La chitarra era veramente conciata e suonava di merda, ma ho trovato un negozietto, lì sull’isola, che vendeva corde per chitarra. Ed erano pure le ultime che avevano! Son dovuto stare attentissimo a non romperne, altrimenti era finita.
Vero, avrei potuto comporre anche senza chitarra, ma è molto più facile farlo avendone una a portata di mano. E poi ho avuto questa idea di raccontare del programma per la conquista dello spazio dell’era sovietica. Ho lavorato su tutto il materiale creato e alla fine, avendo ancora tempo, ho messo mano a qualche cover, qualche medley, che sono finiti nel bonus disc intitolato “Kassiopea”.

HO LETTO NELLE VOSTRE NOTE BIOGRAFICHE CHE AVETE RINOMINATO I QUATTRO ALBUM PRECEDENTI COME ‘LA SAGA DELLE STELLE PROSSIME’, E’ CORRETTO? PER CUI DEVO SUPPORRE CHE “KOSMODROM” APRA UNA NUOVA FASE DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. E, A PARTE IL FATTO CHE SIA “KOSMODROM” CHE “KASSIOPEA” HANNO NOVE LETTERE, NON VI E’ TRACCIA DI RIFERIMENTI AL NUMERO NOVE NEL NUOVO LAVORO. SONO RIMASTO UN ATTIMO SCONCERTATO DA QUESTA NOTIZIA, QUINDI CHIEDO LUMI DIRETTAMENTE A TE…
– Sì, ricapitolando la nostra discografia, abbiamo i primi quattro lavori – “Monolithe I”, “Monolithe II”, “Monolithe III”, Monolithe IV”, ma anche la compilation “Monolithe Zero” – che fanno parte della saga del Grande Orologiaio; mentre i successivi “Epsilon Aurigae”, “Zeta Reticuli”, “Nebula Septem” ed “Okta Khora” formano la saga delle Stelle Prossime. In effetti è giusto dire che “Kosmodrom” sta cominciando qualcosa di differente, qualcosa che ha più a che vedere con l’elemento umano delle nostre storie. Il Grande Orologiaio è una complessa storia metafisica nella quale gli umani sono visti come una specie; voglio dire, tutta l’umanità viene considerata attraverso lo svolgersi del tempo, passato e futuro.
Gli album delle Stelle Prossime sono più focalizzati sull’epoca d’oro dei racconti di fantascienza, sono più orientati verso storie di extraterrestri o addirittura verso la space-opera come nel caso di “Okta Khora”. Credo abbia avuto il desiderio di tornare alle origini di tutto ciò con “Kosmodrom”: i primi passi dell’umanità nello spazio e gli eroi che ne hanno permesso la conquista.
Per quanto riguarda la questione dei numeri… be’, noi contiamo sempre i nostri album! L’abbiamo fatto in modo differente questa volta, ma il fatto che i titoli “Kosmodrom” e “Kassiopea” abbiano nove lettere è voluto. Chissà che per il prossimo disco non escogiteremo qualcosa di più arduo da decifrare!

HO TROVATO DAVVERO INTERESSANTE ED AZZECCATO CON IL VOSTRO SOUND IL TEMA SCELTO QUESTA VOLTA: LA CORSA ALLO SPAZIO VISTA DALLA PROSPETTIVA SOVIETICA RISULTA AFFASCINANTE E AMMALIANTE, VINTAGE IL GIUSTO MA ANCHE CON QUEL SAPORE DI FUTURO CHE QUALSIASI AVVENTURA SPAZIALE SI PORTA DIETRO. COME TI E’ NATA L’IDEA, A PARTE L’ESSERTI TROVATO ISOLATO IN THAILANDIA?
– L’idea ha preso forma un po’ per volta dopo la lettura di una graphic novel di Nick Abadzis, intitolata semplicemente “Laika”. Raccontava ovviamente la storia di Laika, ma anche quella di altri ‘cani spaziali’, dato che diversi altri tipi di cane sono stati usati per test di volo. Ciò ha smosso in me il paragone tra il programma spaziale sovietico, unico, all’avanguardia, pionieristico, e la carriera dei Monolithe, che ha sempre cercato di differenziarsi dal resto dei gruppi doom, di trovare una sua unicità. La verità, però, è che ho seguito il consiglio di mia moglie, che dopo aver letto la graphic novel ed esser rimasta toccata dalla storia, mi ha suggerito di scriverci sopra una canzone. Ed infatti nel disco è presente un brano dedicato a Laika.

HAI MAI PENSATO, IN QUESTI ULTIMI MESI DI GUERRA TRA RUSSIA E UCRAINA (O TRA NATO E RUSSIA, COME PREFERISCI), CHE FOSSE RISCHIOSO PUBBLICARE UN DISCO DEDICATO ESSENZIALMENTE ALLE CONQUISTE RUSSE IN AMBITO SPAZIALE? VOGLIO DIRE, VIVIAMO IN UN MOMENTO IN CUI QUALSIASI COSA/ESSERE/IDEA PROVENGA DALLA RUSSIA VIENE OSTRACIZZATA E DEMONIZZATA QUALE LA PEGGIOR COSA ESISTENTE SUL PIANETA; E VOI ANDATE A CELEBRARE LE EROICHE E PIONIERISTICHE VITTORIE RUSSE SUGLI STATI UNITI. PRENDI LA DOMANDA CON UN PIZZICO DI SARCASMO, MA SIETE CONSAPEVOLI DI CIO’?
– Ti dirò, ho iniziato a scrivere “Kosmodrom” più di un anno prima che la guerra in corso cominciasse, e ovviamente non avevo idea di fin dove si sarebbero spinte le cose. Oltretutto l’album prende ispirazione da delle conquiste sì sovietiche, ma che sono associabili alla storia di tutta l’umanità, non si tratta di una celebrazione del regime sovietico o cose simili. Sono avvenimenti accaduti per davvero e semplicemente li abbiamo usati come fonte di ispirazione in quanto artisti e musicisti, non per fini politici o altro.
E possiamo essere d’accordo nel detestare Putin, gli Stati Uniti o chiunque ci sia dietro, ma la nazione Russia, il popolo russo, in quanto tali, non sono certo responsabili di questa guerra. Altresì, il contributo che la storia e la cultura russe hanno apportato all’umanità è incontestabile. Ma non siamo qui per prendere le parti di nessuno, i Monolithe sono un gruppo musicale che ha preso un pezzo di storia per scriverci su un disco. Semplicissimo. Siamo stati invitati, chiaro, a cambiare i titoli delle canzoni e a non menzionare la Russia, ma mi pareva una gran bella stronzata. Non c’è nulla di fraintendibile nel voler parlare del programma spaziale sovietico che iniziò nel 1950 e che nulla ha a che fare con l’attuale situazione geopolitica. Così abbiamo gentilmente declinato l’invito. E avevamo ragione, perché nessuno ci sta accusando di nulla; e anche se fosse successo, non ce ne sarebbe importato affatto.

A MIO PARERE “KOSMODROM” E’ IL LAVORO PIU’ ORECCHIABILE DELLA VOSTRA CARRIERA, MA ALLO STESSO TEMPO MANTIENE TUTTE LE VOSTRE PECULIARITA’ DI DOOM METAL BAND, ESPANDENDO INOLTRE LA VOSTRA VISIONE MUSICALE. UN CHIARO ESEMPIO POTREBBE ESSERE LA PRIMA CANZONE, “SPUTNIK-1”, CON UNA LINEA DI BASSO PROMINENTE, UN FANTASTICO DUETTO VOCALE E, APPUNTO, UN’OSPITE FEMMINILE A PORTARE LINEE CANTATE ADDIRITTURA DI STAMPO JAZZ. PUOI PARLARCI DI QUESTO BRANO E DI LONDON LAWHON?
– Grazie mille. E’ esattamente ciò che abbiamo cercato di fare: mantenere l’essenza stilistica della band album dopo album, aggiungendo sempre qualcosa in più. E’ voluta questa cosa, in modo da non ripeterci troppo ed ottenere quella che i musicisti chiamano ‘progressione naturale’. Sembra un cliché, è vero, ma è la verità: c’è sempre qualcosa che non riesci a controllare quando componi; e c’è sempre qualcosa di casuale nell’evoluzione della propria musica nel tempo. ‘Casuale’ però non è la parola corretta, in quanto si tratta di un processo complicato: si cresce, si invecchia, si assimilano nuove influenze, nuove esperienze di vita, si diventa (non sempre!) più maturi; tutto questo si aggiunge alle abilità compositive e le modifica in modo subdolo, tale da neanche accorgersene completamente. Quando abbiamo pubblicato “Monolithe I” vent’anni fa, io ero un ragazzo e ora, alla venerabile età di quarantacinque anni, non sarei più capace di comporre un disco come quello. Non ho più gli stessi stimoli, gli stessi ‘attrezzi del mestiere’ di allora. E, viceversa, allora non sarei stato capace di scrivere dischi come “Okta Khora” o “Kosmodrom”. Questi ultimi dischi sono nati dopo un lungo processo di maturazione, capisci cosa voglio dire?
“Sputnik-1”, in particolare, è stato un tentativo di fare qualcosa di veramente sorprendente come traccia di apertura di un disco targato Monolithe. Penso in definitiva sia un tentativo riuscito. Non avevamo idea di chi fosse London Lawhon prima di iniziare a cercare una cantante femminile, poi mi sono imbattuto in un suo video online e ho subito pensato “wow, che voce!“; il fatto che venisse da un background musicale totalmente differente dal nostro, considerato che lei non sa quasi niente di metal, ha reso la cosa ancora più interessante. Ha cantato le sue parti come vocalist session, lei è una professionista, l’abbiamo praticamente ingaggiata.

MENTRE “SOYUZ” E’ UNA PIU’ CLASSICA CANZONE DOOM DEI MONOLITHE, EPICA E CINEMATOGRAFICA, “VOSKHOD” E’ UN ALTRO PEZZO DEL PUZZLE CHE RISULTA UN PO’ ATIPICO NELLA VOSTRA DISCOGRAFIA. ABBIAMO UNA LINEA DI BASSO MOLTO ACCATTIVANTE IN PARTENZA, UN GROOVE PESANTISSIMO CHE CI TRAINA LUNGO TUTTO IL BRANO ED INFINE UNA SEZIONE FINALE SOSTENUTA DA UN RIFF A’ LA KATATONIA DI META’ CARRIERA DAVVERO ESALTANTE. SENZA CONSIDERARE LA SAGA DELL’OROLOGIAIO, QUESTO BRANO E’ IL MIO PREFERITO IN ASSOLUTO DEI MONOLITHE. DI NUOVO, CE NE PUOI PARLARE?
– Grazie mille, davvero! Onestamente non saprei descrivere il brano in un modo migliore. Ed è un pezzo che adoro anche io. Volevo scrivere qualcosa che iniziasse con un bel giro di basso, credo che trovare una linea di basso giusta faccia poi in modo che la canzone si scriva da sola! “Voskhod” sarà uno dei brani nuovi che sicuramente proporremo dal vivo. Non è la più facile da suonare, perché ha una struttura cangiante e tempi dispari, però ci sarà da divertirsi. Questa traccia ricorda la passeggiata spaziale di Alexei Leonov, avvenuta nel 1965. Lui fu il primo uomo a trovarsi letteralmente nello spazio, fuori dalla capsula. La storia ci ha offerto lo spunto per parlare della sensazione di pericolo imminente quando ci si butta in una situazione ignota per la prima volta.

GLI ULTIMI DUE BRANI DELL’ALBUM ANCORA NON CITATI SONO “KUDRYAVKA” E “KOSMONAVT”, ENTRAMBI DEDICATI AI DUE PERSONAGGI PROBABILMENTE PIU’ NOTI DELL’EPOPEA SPAZIALE DELL’URSS: LA GIA’ CITATA LAIKA E GAGARIN. TALI EPICHE – ED ORMAI PRIMITIVE – MISSIONI PONGONO SUL TAVOLO DIVERSE QUESTIONI ETICHE. COSA E’ GIUSTO FARE PER LA SCIENZA? COSA E’ SBAGLIATO? COSA CI ERA PERMESSO FARE IN PASSATO E COSA ADESSO? IL SACRIFICIO DI LAIKA E’ VALSO A QUALCOSA? GAGARIN ERA DAVVERO PRONTO A MORIRE? COME TI PONI DI FRONTE A CIO’?
– Hai ragione, “Kudryavka” narra di Laika, il cui vero nome era proprio quello. Ma “Kosmonavt” non parla solo di Gagarin. Tratta il tema dei cosmonauti (o astronauti, o spazionauti, come li volete chiamare) più in generale. Il suffisso ‘-nauta’ deriva dal greco antico e significa ‘navigatore’. Quindi la canzone riguarda i navigatori dello spazio. I testi tracciano un paragone tra i viaggi nello spazio e quelli per gli oceani nei tempi più remoti.
In tutti e due i casi si trattava di esplorazioni molto pericolose, con ancora tanto, quasi tutto, da scoprire. Ragionando su Gagarin e su qualsiasi altro cosmonauta dell’epoca, sono piuttosto certo di come tutti loro fossero pronti a morire nel fare quello che dovevano o avevano scelto di fare. Vladimir Komarov, ad esempio, che faceva parte della missione Soyuz-1, sapeva bene che quasi sicuramente non sarebbe sopravvissuto durante la fase di rientro. Eppure partì lo stesso. E ne parliamo nel brano “Soyuz”.
Per quanto riguarda “Kudryavka”, sì, il brano è un tramite per sollevare questioni etiche. Il sacrificio è davvero necessario per un bene superiore? Il destino di Laika è drammatico ed epico allo stesso tempo. Quella cagnolina è morta in terribili condizioni, a causa di uno stress inimmaginabile. Ma è anche vero che sarà ricordata per l’eternità e su di lei sono state scritte canzoni e altro. Se non avesse fatto parte del programma spaziale, chi ci dice che non sarebbe morta affamata o assiderata per le strade di Mosca, nella più totale indifferenza, come molti altri cani randagi ancor oggi? Sarebbe stata meglio questa fine per tale innocente animale, che non aveva chiesto niente di tutto ciò? Non ci sono risposte a queste domande, ovviamente.

SE CI SOFFERMIAMO SULLA VOSTRA LUNGA CARRIERA, I MONOLITHE HANNO AMPIAMENTE DIMOSTRATO COME LE PROPRIE CAPACITA’ COMPOSITIVE SIANO MATURATE E PROGREDITE DURANTE GLI ANNI. PENSO CHE UNO DEGLI AGGETTIVI CHE PIU’ VI SI ADDICA SIA ‘DUTTILE’, PER IL FATTO DI ESSER PASSATI ATTRAVERSO TANTE LUNGHEZZE DI BRANO, TANTE ATMOSFERE, SVARIATE ISPIRAZIONI, IDEE… ECCO, IN QUESTO SIETE STATI DEI VERI PIONIERI DELLA COMPOSIZIONE, IN UN CERTO SENSO. QUALI SONO LE SENSAZIONI PRINCIPALI CHE VI SPINGONO A CERCARE NUOVE STRADE E NUOVI STIMOLI NEL CREARE UN BRANO?
– E ancora grazie, allora. Credo che, in qualsiasi cosa tu faccia per molto tempo oppure in quelle cose che si prova a fare al proprio meglio, si sviluppino lentamente, con il tempo, delle abilità che poi diventano maestria. E non solo in ambito artistico, voglio dire. Può trattarsi di un musicista, così come di un idraulico o di un tecnico di chissà cosa.
Penso che nel mio caso, a rappresentanza dei Monolithe, ci sono due aspetti che ancora ci spingono oltre: la volontà di creare qualcosa che sia interessante da ascoltare e non solo quella di registrare un ennesimo disco simile alle migliaia di pubblicazioni che ci sono ogni anno; e poi la voglia di non ripeterci mai troppo. Ciò deriva dal bisogno di lavorare, ogni volta che componiamo un nuovo disco, su qualcosa di eccitante e coinvolgente. Sarebbe stato molto più facile comporre album che fossero rimasti nella nostra comfort zone, ma invece proviamo sempre a sfidare noi stessi, in modo da essere freschi per chi ci ascolta e divertirci noi a scrivere.

ULTIMA DOMANDA, SYLVAIN, PIUTTOSTO COMUNE: “KOSMODROM”, COME GIA’ RIPETUTO, E’ NUOVO MA ARTISTICAMENTE VECCHIO. SUPPONGO DEL NUOVO MATERIALE SIA STATO SCRITTO NEL FRATTEMPO. EBBENE, COSA CI DOBBIAMO ASPETTARE DAL DECIMO ALBUM IN STUDIO DEI MONOLITHE?
– La verità è che le mie intenzioni, dopo l’uscita di “Okta Khora”, erano quelle di prendermi una bella pausa dalla scrittura di dischi per i Monolithe. La pandemia, però, ha deciso altrimenti e così è nato di getto “Kosmodrom”. Forse, quindi, è giunto il momento di mettere la band un attimo a riposo, perlomeno per quanto riguarda l’aspetto compositivo.
La risposta per ora è che non c’è nulla di programmato. Ho degli spezzoni di musica registrati qua e là, ma niente su cui ci sia del lavoro serio. Ho scritto qualcosa durante il periodo in Svezia, ma non è roba adatta ai Monolithe, forse per un side-project sì… ma chissà se mai verrà completato! Devo dire che proprio di recente mi sono trovato a pensare più volte ad un nuovo concept che pare essere davvero intrigante, perciò ti lascio così, in sospeso. Non si può mai sapere cos’altro succederà!

 

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