In occasione dell’evento di presentazione dell’ultimo lavoro in studio in quel di Milano, abbiamo avuto modo di scambiare due parole con Chiara Tricarico e Giulio Capone, ossia due delle figure di spicco all’interno di una formazione che ultimamente sta godendo di una notevole importanza sotto i riflettori della scena italiana ed internazionale nell’ambito del power metal sinfonico.
Parliamo ovviamente dei Moonlight Haze e del loro nuovo album “Beyond”, già recensito e premiato sulle nostre pagine, su cui è stato interessante scoprire qualcosa in più, ovviamente con il contributo di queste due menti fondamentali e già da tempo attive all’interno del panorama, ciascuno col proprio bagaglio di esperienze accumulate nel corso degli anni. Buona lettura!
CIAO RAGAZZI! NEL GIORNALISMO MUSICALE SPESSO SI USA DIRE CHE IL TERZO DISCO È UNO DEGLI SCOGLI PIÙ IMPORTANTI DA SORMONTARE, COSA CHE VOI AVETE FATTO CON NOTEVOLE CAPACITÀ, ARRIVANDO ADDIRITTURA AD UN QUARTO CHE MANTIENE INTATTO IL LIVELLO QUALITATIVO.
PRIMA DI ENTRARE NEL MERITO, QUAL È LA PRIMA COSA CHE VI VIENE IN MENTE AL PENSIERO DI ESSERE ARRIVATI FINO A QUI?
Giulio Capone: – È abbastanza particolare come situazione, anche perché noi siamo arrivati al quarto album con la stessa formazione dell’inizio, il che indica che vi è una notevole stabilità da un punto di vista umano, oltre che da quello artistico, senza particolari idee a risultare fuori posto all’interno del mindset comune.
Chiara Tricarico: – Confermo, anche perché la band è nata da un’idea di Giulio, che un giorno mi mandò una mail con all’interno le prime composizioni, di cui io mi innamorai immediatamente e fu spontaneo pensare alla necessità di trovare dei musicisti adeguati, non solo dal punto di vista tecnico, ma anche da quello umano e con cui potesse instaurarsi un rapporto funzionale e volto a portare avanti la band senza andare incontro a stravolgimenti.
Non a caso, giunti a questo punto è come se fossimo in perfetta simbiosi tra noi, e questo si traduce anche in un approccio artistico molto funzionale e spontaneo.
A TITOLO PERSONALE, SIETE UNA DELLE POCHE BAND DEL VOSTRO FILONE D’APPARTENENZA CHE ASCOLTO ANCORA CON PIACERE OGNI VOLTA CHE ESCE UN DISCO, IN QUANTO TROVO CHE MANCHI DA VOI QUELLA RIDONDANZA CHE HA INVECE PORTATO MOLTE BAND AFFINI AD AFFONDARE, DOPO IL BOOM DEL GENERE AVVENUTO ANNI ADDIETRO. PRESO ATTO DI QUESTO, COME DESCRIVERESTE IL VOSTRO APPROCCIO AL MOMENTO DI DEDICARVI ALLA COMPOSIZIONE?
Chiara: – Su questo ti posso rispondere molto chiaramente: quello che senti nella nostra musica è quanto di più spontaneo e autentico potresti trovare, in quanto è rappresentativo di noi e della nostra realtà, e quindi non scelto per ragioni commerciali o per andare incontro a particolari esigenze di mercato. In un certo senso, fare questa musica serve quasi più a noi, rispetto a chi ci ascolta.
Non a caso, inizialmente ci siamo detti chiaramente che, qualora nessuno ci avesse creduto, avremmo avuto per le mani un prodotto di nostro gradimento di cui godere per i fatti nostri.
Giulio: – Sappiamo bene che adesso è piuttosto usuale che degli artisti compiano determinate scelte compositive su una base orientata alla vendita, ma personalmente preferiamo portare avanti naturalmente delle idee o delle ispirazioni, e se queste non maturano significa che si possono accantonare, per il momento. Poi, pazienza se il risultato finale secondo qualcuno può essere poco commercializzabile, l’importante è andare a letto la sera consci di aver fatto qualcosa di nostro gusto e soddisfazione, anche se può capitare che col tempo qualcosa passi in secondo piano.
TANTI CONSIDERANO IL POWER SINFONICO BASATO SU UNA VOCE FEMMINILE COME UN GENERE NATO, PROLIFERATO E POI DEFUNTO MOLTO VELOCEMENTE, A SEGUITO DI UNA IMPORTANTE SATURAZIONE DEL MERCATO. VOI INVECE RIUSCITE A RISULTARE COMUNQUE INTERESSANTI E, POTREMMO DIRE, QUASI DI PUNTA IN QUELLO SPECIFICO FILONE, ORA COME ORA. COME ANALIZZERESTE QUESTO DISCORSO?
Chiara: – Partiamo da un presupposto che potrà sembrarti buffo, ma nel nostro caso vale: il fatto che ci sia una donna alla voce non è un elemento da cui siamo partiti, ma è quasi una caratteristica accidentale, nel senso che l’importante era di risultare una band poco interessata ad una collocazione in un sottoinsieme così specifico e/o vincolato ad un singolo elemento.
Poi chiaramente, se questo aiuta a diffondere la proposta musicale a chi magari ha nostalgia verso un determinato stilema, ben venga, ma ci teniamo che non sia un elemento cardine o volto ad inquadrarci.
Giulio: – Ti faccio un esempio bizzarro: quando all’epoca al supermercato trovavi le confezioni di determinati tipi di gelato, dentro c’erano gusti misti, compresi quelli che non piacevano quasi a nessuno, mentre ora trovi le confezioni con all’interno un gusto o una variante unica. Similmente, nel nostro caso abbiamo deciso di distaccarci da questo bisogno di fare le cose pensando semplicemente ai gusti o alla nostalgia di qualcuno, e quindi infilando a forza uno o più brani con determinate caratteristiche, solo perché la gente vuole che ce ne sia uno fatto in quel modo o che ricordi quello specifico stile.
Anche in questo caso, ed è anche per questo che riusciamo a immettere dischi in poco tempo, abbiamo dato priorità alla nostra coscienza e percezione, arrivando a capire cosa ci è piaciuto di più e cosa di meno.
PENSATE CHE QUESTO POTREBBE ESSERE UN PO’ IL DILEMMA DEL MERCATO ODIERNO, OVVERO IL MOTIVO PER CUI SI FA MUSICA?
Giulio: – Sì, e ogni volta ci si chiede con chi prendersela nel momento che qualcosa non funziona, e quindi nel dubbio è meglio cercare di accontentare se stessi proprio sulla base della musica prodotta.
Io stesso, se volessi fare una classifica dei nostri pezzi più riusciti potrei anche riuscirci, ma nel farlo mi renderei conto che quelli che funzionano di più sono essenzialmente quelli che hanno superato la prova del tempo, infischiandosene di qualsiasi moda.
Chiara: – Non dimentichiamoci lo spettro emotivo personale, che magari ti porta un giorno a scrivere una canzone triste in cui poi fai fatica ad immedesimarti nel momento che il tuo umore cambia, e in un’ottica di carriera questo viene ulteriormente amplificato, visto che la vita è fatta sempre e comunque di fasi e non è detto che quanto fatto in un determinato momento poi corrisponda necessariamente a come ci sentiamo in seguito.
Anche questo rientra nel concetto di tempo che passa e brani che continuano a risultare spontanei, oltre che rappresentativi del motivo per cui li abbiamo composti.
ENTRANDO NELLO SPECIFICO DI “BEYOND” E ALLA LUCE DI QUANTO DETTO FINO AD ORA, CHI VI PARLA LO HA TROVATO UN ALBUM PIÙ SPINTO, PIÙ POWER RISPETTO AI PRECEDENTI. È UNA CARATTERISTICA CON CUI VI RITROVATE?
Chiara: – Sì, anche più rock in generale, potremmo dire. Diciamo che, essendo passati anni dal nostro esordio, è abbastanza naturale che la musica man mano possa andare incontro a delle evoluzioni o a delle soluzioni più evidenti, rispetto ad altre, anche in base alle esperienze vissute. Io stessa avevo voglia di cantare in una maniera più diretta ed aggressiva, nonché di mettere i nostri musicisti alle prese con qualcosa di più movimentato.
Giulio: – Magari la base di partenza è simile a quella degli altri brani, ma a una certa ci siamo detti che sarebbe stato interessante accentuare la componente più heavy, con un risultato finale che può quindi risultare più diretto e affilato.
Anche in questo caso perché, molto semplicemente ci andava di fare così, dando magari più spazio alle chitarre rispetto al passato.
LA PARTECIPAZIONE DI SASCHA PAETH ALLA PRODUZIONE HA GIOCATO UN RUOLO NEL PROCESSO?
Chiara: – Assolutamente! Anzi, direi che siamo rimasti tutti impressionati dal suo estro e dalla sua sensibilità nel comprendere i nostri punti di forza, peraltro con una velocità notevole nel metterli in risalto, dandoci di fatto una grossa mano a fornire la nostra miglior prova, senza però risultare in alcun modo coercitivo o vincolante nella direzione da intraprendere.
Ha capito perfettamente dove volevamo arrivare, e nel frattempo ci ha permesso di imparare moltissimo: io stessa, dopo averci lavorato a stretto contatto, ho registrato le parti vocali nel suo studio in Germania, e una volta conclusa l’esperienza ho compreso l’importanza di lavorare con una persona così, in quanto può davvero aprirti gli occhi su molte parti del lavoro.
Giulio: – Contemporaneamente, ci ha più volte aiutato a svincolarci da quei punti in cui, per un motivo o per un altro, ci siamo ritrovati arenati senza sapere come proseguire o come valorizzare ulteriormente un determinato pezzo.
E volendo aggiungere una chicca, ci ha permesso di registrare chitarre e batteria in presa diretta, anziché facendo semplicemente uno strato alla volta come si usa ultimamente. Ciò ci ha permesso di rendere il tutto molto più legato ed organico, malgrado si tratti di un metodo ritenuto old-school da molti.
QUALI SONO STATI I BRANI PIÙ DIFFICILI DA VALORIZZARE?
Chiara: – Ricordo, a tal proposito, una discussione abbastanza accesa su “Tame The Storm” poiché, all’inizio, il risultato era risultato un po’ spiazzante per alcuni di noi, in quanto era come se non risultasse una nostra canzone al cento per cento, e questo ha portato inizialmente parecchie perplessità in merito al singolo.
Giulio: – Dal canto mio, ed esco un minimo dal seminato, trovo che i pezzi su cui è stato più difficile lavorare siano quelli che ad una certa abbiamo deciso di escludere, perché magari avevano degli elementi che stonavano o che, comunque, non li rendevano meritevoli di essere salvati.
Ne approfitto per fare una piccola polemica: capita spesso che un artista diventi matto per mesi, se non addirittura anni, pur di far funzionare un brano che si ostina a non girare in alcun modo, e questo si è spesso tradotto in certe uscite davvero fallimentari e superflue. Poi, chiaramente ci sono delle eccezioni e ce le ricordiamo proprio in quanto tali, in quanto non è così usuale, secondo me, che un pezzo nasca fallato per poi diventare un capolavoro anni dopo.
COME AVETE SCELTO LE BONUS TRACK CHE SI POSSONO TROVARE NEI DIVERSI FORMATI DEL DISCO?
Chiara: – Ti sembrerà strano, ma nessuna delle due bonus track è riconducibile a un filler o a un brano escluso, ma anzi c’era la possibilità che una delle due diventasse addirittura un singolo, ruolo che poi è toccato ad altre. Il motivo per cui le abbiamo collocate in quella nicchia è semplicemente per un discorso di fluidità dell’ascolto, perchè abbiamo ritenuto che il disco girasse al meglio con la scaletta odierna, anche se ci è dispiaciuto mettere in secondo piano due brani davvero ben riusciti e pregni di significato.
Giulio: – Chiaramente è un discorso molto soggettivo: non è detto che per tutti un brano abbia la stessa valenza di un altro.
SECONDO VOI, C’È UN’ABITUDINE ODIOSA DA EVIDENZIARE TRA QUELLE IN VOGA ULTIMAMENTE NELLA SCENA?
Chiara: – Probabilmente, questo trend che sta portando molte band a calcare troppo la mano su determinati orpelli, mettendo in secondo piano la musica.
Anche noi abbiamo una componente visual molto marcata e lo si può vedere da come utilizziamo le luci durante le canzoni, però ci teniamo che il tutto sia in funzione della musica, e non il contrario. Se prendiamo in analisi alcune band power che vanno forte oggi, ce ne sono sicuramente alcune che avrebbero lo stesso successo anche senza tutto il lavoro dedicato alla componente più visiva e/o teatrale, ma questo non ritengo si possa dire per tutte.
Giulio: – Diciamo che non ci piace quando la musica sembra diventare il pretesto fatto e finito per riunirsi e fare qualcosa di basato prevalentemente sulla componente visiva e/o macchiettistica. Ci sta che questo elemento ci sia, poiché nella musica esiste da sempre la volontà di combinare un mood scenico importante con dei brani azzeccati, però l’attenzione non dovrebbe spostarsi totalmente dalla musica in favore del resto.