MOONLIGHT HAZE – Risveglio lunare

Pubblicato il 04/04/2022 da

Dopo aver dovuto arrestare bruscamente i lavori legati alla promozione del precedente lavoro “Lunaris”, i nostrani Moonlight Haze ci riprovano con il loro terzo album in studio “Animus”, approfondito e apprezzato sulle nostre pagine. Dopo due anni di silenzio per pressoché tutta la scena musicale, è inevitabile che la band guidata da Chiara Tricarico abbia tutta l’intenzione di cavalcare quello che è un vero e proprio risveglio generale da parte di una moltitudine di artisti, ciascuno col proprio bagaglio di entusiasmo maturato nel corso del letargo appena concluso. Tuttavia non sarà solo la cantante a rispondere alle nostre domande, ma l’intera line-up di quella che, come abbiamo già ribadito più volte, rappresenta molto più che una semplice riproposizione degli stilemi del metal sinfonico; il tutto nella sempre accogliente location dell’Headbangers Pub di Milano, durante la serata di presentazione del nuovo lavoro. Buona lettura!

CIAO RAGAZZI, NONOSTANTE IL PROGETTO MOONLIGHT HAZE ESISTA DA RELATIVAMENTE POCO TEMPO SIETE GIUNTI AL TERZO DISCO, CHE RAPPRESENTA ANCHE UNO STEP RELATIVAMENTE TEMUTO. COME DESCRIVERESTE IL PROCESSO CHE HA PORTATO ALLA SUA CREAZIONE?
– Chiara Tricarico: Ciao! Allora, tieni a mente che noi personalmente tendiamo ad avere molto spesso qualche melodia che ci passa per la testa, e si tratta di una caratteristica cui volontariamente prestiamo molta attenzione. I lavori sul nuovo album hanno avuto inizio nell’estate del 2020, ovvero subito dopo che la promozione del predecessore “Lunaris” era stata brutalmente interrotta dalla pandemia, e anche per questo abbiamo deciso di ritirarci in una location di montagna col solo scopo di stare insieme e cominciare a gettare le basi di quello che sarebbe stato il nostro terzo album. A livello di sound la nostra volontà era che ci fosse una coerenza, ma anche una evoluzione, grazie soprattutto alla maggiore intesa sviluppata tra di noi dopo un esordio per certi versi sperimentale e un seguito che purtroppo non abbiamo mai approfondito come avremmo voluto in sede live. Tuttavia a questo giro è stato ancora meno semplice, a causa del fatto che abbiamo dovuto lavorare molto a distanza tra i vari lockdown, ma la dedizione ci ha permesso di continuare a sentirci vicini.

A LIVELLO DI SOLUZIONI, VI SIETE CONCENTRATI SU QUALCOSA IN PARTICOLARE?
– Chiara: Personalmente ci piace essere istintivi e spontanei nella nostra composizione, indipendentemente dal fatto che si tratti di un elemento tipico come uno sfogo di doppia cassa o di qualcosa di azzardato come l’inserimento di uno strumento orientale più o meno insolito, per non parlare dei vari inserti orchestrali o elettronici. Quello che puoi sentire in “Animus” è letteralmente il miscuglio di ciò che la nostra mente ha avuto modo di partorire, senza forzature o inserimenti voluti con insistenza. La maggior parte delle composizioni trova origine nel nostro batterista Giulio Capone qui presente, mentre io mi dedico essenzialmente alla stesura dei testi, anche se non sono mancati episodi in cui il procedimento si è capovolto: ad esempio la melodia principale di “It’s Insane” è venuta in mente a me canticchiando mentre tornavo dal supermercato, e ovviamente chiamare Giulio a quel punto non poteva che essere d’obbligo per condividere l’idea.

QUANDO SI PARLA DI METAL SINFONICO IL DISCORSO É SEMPRE DELICATO, PERCHÈ SI TRATTA DI UN GENERE CHE É STATO AMATO, ODIATO, ABUSATO, UCCISO, RESUSCITATO ECCETERA. COME VI SENTITE VOI PERSONALMENTE A RAPPRESENTARE QUASI DEI ‘DIADEMI’ DEL SUDDETTO FILONE NEL 2022?
– Chiara: A noi non piace molto classificarci più del necessario, tant’è che non ci sentiamo direttamente parte della scena sinfonica, della scena power italiana o cose simili, in quanto il voler appartenere a tutti i costi a un filone crea dei paletti, e noi non ne volevamo. Anzi, riteniamo che la priorità debba necessariamente essere che i brani piacciano prima di tutto a noi, e che di conseguenza si debba lavorare sulle canzoni in quanto tali, perché se ne abbiamo poi bisogna svilupparle e farle maturare senza preoccuparsi troppo del modo in cui si possono classificare, fossero pure aderenti al death metal, per dire.
-Marco Falanga: Inoltre, non dimentichiamoci che se si vuole aderire a un filone per ragioni commerciali allora non bisognerebbe proprio suonare metal, perché l’ossessione per l’etichetta ha senso se c’è un ritorno economico importante, ma se si vuole fare musica per passione allora bisogna mettere in secondo piano la possibilità di farlo per soldi. Certo c’è chi ci riesce in vari filoni e buon per loro, di sicuro è una speranza che hanno tutti, ma a livello di priorità non è assolutamente il nostro caso.

ESSENDO TUTTI VOI MUSICISTI CON UNA CARRIERA RISPETTABILE E NUMEROSI PROGETTI ALLE SPALLE, RITENETE CHE I MOONLIGHT HAZE POSSANO ESSERE A LORO MODO UNA SUMMA O UN RISULTATO DI QUELLO CHE SIETE STATI?
– Chiara: Sicuramente! Da una parte le nostre esperienze ci hanno permesso di conoscerci a vicenda, e non a caso io e Giulio suonavamo insieme nei Temperance nei primi anni della loro esistenza, il che è una ulteriore motivazione dell’intesa che c’è tra noi ora come ora. Inoltre, è inevitabile che quando si scrive musica si voglia riversare al suo interno un messaggio che parla di noi, di ciò che siamo e di ciò che eravamo una volta, e questo vale sia per la musica che per i testi. Del resto, se non si ha nulla di che da raccontare, tanto vale non cercare di fare musica.

AVETE AVUTO LA SENSAZIONE DI VOLER PROVARE A PROPORRE IN UN PROGETTO NUOVO QUELLO CHE NON SIETE MAI RIUSCITI A PROPORRE IN UNO PASSATO?
– Alessandro Jacobi:
Io personalmente ti direi di sì, ma si tratta di una sensazione provata più che altro in passato, in una fase diversa della mia vita e del mio percorso personale e musicale, quindi nulla che abbia a che fare in alcun modo coi Moonlight Haze.
– Marco: Può essere una sensazione che ha toccato qualcuno di noi, ma appunto non lo definiremmo decisamente il caso dei Moonlight Haze, anche perché non è necessariamente costruttivo vivere con la testa rivolta all’indietro: la mentalità che si ha a vent’anni non equivale a quella che si ha a trenta e così via. Di conseguenza le esigenze tendono a essere diverse, così come le ispirazioni musicali, anche se il passato può comunque rappresentare una possibile fonte di idee, nel momento in cui ci si accorge che alcune di esse non erano male.
– Giulio Capone: Poi c’è anche da dire che se si ha magari il feticcio di un determinato stile e, di conseguenza, si vuole a tutti i costi fare un album con quelle caratteristiche, allora è meglio tenerlo distinto da quello che si sta facendo con una line-up che, seppur con la dovuta versatilità, ha comunque una sua natura effettiva. Ad esempio, se si vuole fare un disco power tutto in doppia cassa non c’è problema, così come uno in tempi dispari e di matrice puramente prog, però si tratta di desideri e sfizi da mettere in pratica magari in un eventuale progetto parallelo.

SIMILMENTE, C’É INVECE QUALCHE IDEA NUOVA E INUTILIZZATA CHE IN FUTURO VI PIACEREBBE SFRUTTARE? 
– Chiara: In tutta sincerità riteniamo che anche qui l’importante sia che le idee abbiano un senso e una funzionalità al servizio della canzone e del risultato finale, in quanto sarebbe sciocco impuntarsi per inserire qualcosa che poi non arricchisca in alcun modo un brano o l’album in sé. Ti faccio l’esempio della titletrack del nostro nuovo album, in cui io ho voluto sperimentare con il growl e le harsh vocals, cosa che già avevo fatto in passato, ma non dando la giusta importanza ad una trovata che ho sempre trovato potenzialmente divertente ed appagante. In questo caso, lo scopo era fornire una giusta contrapposizione tra la collera e la paura iniziali rispetto ad un messaggio finale luminoso e positivo.
– Marco: Del resto, uno dei punti di forza di questa musica è la possibilità di andare a mescolare i diversi stilemi, anche tra due generi apparentemente opposti. Basti pensare al fatto che ultimamente l’estremo e il melodico tendono a convivere con una naturalezza notevole, e basta ascoltare un po’ ciò che esce per accorgersi che si tratta di un pensiero positivo: gli Arch Enemy, ad esempio, nell’ultimo singolo “Handshake With Hell” hanno ragionato in modo simile al nostro, in quanto è la prima volta che in un loro brano troviamo delle clean vocals così in evidenza.

QUALE RITENETE ESSERE L’ERRORE PRINCIPALE CHE GLI ARTISTI TENDONO A COMMETTERE IN ITALIA?
– Chiara:
Come dicevamo prima, se in un qualunque genere manca la spontaneità allora si perde del tutto l’efficacia. Là fuori è pieno di artisti più o meno giovani che tendono a dare priorità non al proprio estro musicale, ma alla necessità di essere inquadrati e/o classificati a tutti i costi in un filone, una scena, un sottogruppo e quant’altro. La musica dovrebbe essere quasi come una sorta di lingua madre che ci porta a dire ciò che da banali esseri umani non ci verrebbe spontaneo, e che di fatto ci stimola a continuare ad andare avanti continuando a manifestare ciò che noi siamo. Se manca questo, in favore di una semplice voglia di appartenere ad una nicchia o di attirare l’attenzione di un pubblico più o meno definito anche con escamotage discutibili, allora viene meno il concetto che noi personalmente riteniamo essere alla base dell’essere musicisti.

QUINDI, RITENETE A VOLTE CHE IL MERCATO SIA RELATIVAMENTE SATURO?
– Marco: Non è relativamente saturo, bensì è estremamente saturo! Ormai non siamo più negli anni ’80 e non ricordiamo quanti dischi escano ogni giorno, perciò è chiaro che riuscire a trovare la propria dimensione in questo settore non è facile, anche perché ci si scontra inevitabilmente con delle piattaforme che vengono utilizzate per ragioni differenti dal punto di vista commerciale, inclusa la vendita diretta, e all’interno delle quali ognuno vuole dire la propria, tra artisti ed etichette discografiche. Il tutto senza contare che i big del settore risultano ancora presenti e occupano sempre e comunque una fetta enorme del mercato e dell’attenzione generale, il che va benissimo contando che parliamo di vere e proprie leggende della musica. Però nel contempo bisogna vedere in futuro come avrà modo di riorganizzarsi l’intero settore discografico e di promozione musicale, poichè inevitabilmente dovranno esserci delle line-up che spiccheranno sulle altre, come hanno fatto ad esempio gli Slipknot, che sono passati dall’essere la band che suonava alle due del pomeriggio a quella che infiamma gli stadi ad ogni singola data.

PER CHIUDERE, CON QUALE APPROCCIO BISOGNA RIPARTIRE DOPO LA PANDEMIA?
– Marco: Innanzitutto bisogna essere consci che non sarà mai del tutto come prima: la storia e l’evoluzione del mondo si compongono da sempre di episodi piacevoli e altri spiacevoli, ma a prescindere il mondo deve evolversi ed andare avanti senza per forza pendere dalla parte del bene o da quella del male. Si tratta sostanzialmente di un cambiamento, ma con la volontà di continuare a fare ciò che si faceva, e questo si ripercuoterà anche nel settore dei live, perchè adesso come adesso pensare di ritrovarsi in mezzo a una bolgia con trentamila persone fa stranissimo, essendo due anni che siamo chiusi in casa con a malapena i nostri congiunti al nostro fianco. Può darsi che saremo migliori di prima e che avremo delle abitudini più sane rispetto a prima, ma perché questo possa essere così le persone devono essere responsabili e propositive nel supportare dei cambiamenti costruttivi, fossero pure cosette come la presenza di un disinfettante all’interno di un locale o una tappa in più al bagno per lavarsi le mani.
– Alessandro: Come band è ovvio che c’è tanta voglia di tornare a calcare i palchi trascinando nel nostro universo musicale le folle, anch’esse desiderose di tornare in un certo senso ‘a casa’, ovvero in un contesto in cui tante persone si riuniscono fisicamente e mentalmente per condividere una comune passione, ma anche in generale per supportare nuovamente la produzione di arte e cultura, che anche se economicamente sembrano fruttare meno, rappresentano comunque due settori fondamentali e irrimediabilmente compromessi, ora come ora, da ciò che abbiamo vissuto.

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