MOONSPELL – Intervista a Fernando ‘Langsuyar’ Ribeiro

Pubblicato il 05/09/2001 da

Aspettavo da una vita di poter intervistare Fernando Ribeiro, l’incantevole voce di una delle più eclettiche ed originali band degli anni novanta, ma mai come in questo caso avrei preferito schivare l’incontro, rimandarlo ad un domani il più lontano possibile. Non è stato facile dire a Fernando come la pensavo su “Darkness And Hope”, un album sostanzialmente superfluo e qualitativamente mediocre se paragonato al resto della produzione della band, ed altrettanto è stato un compito arduo dovermi relazionare con uno di quei miti che hanno accompagnato la mia adolescenza, proprio nel momento in cui le acque di navigazione dei nostri si fanno sempre più torbide ed il percorso sempre più aspro. Non servono poi troppe sfere di cristallo per supporre che la nuovissima fatica dei Moonspell si scontrerà per l’ennesima volta con il favore di quello stesso pubblico che pochi anni or sono li aveva portati nel giro di pochi mesi dall’anonimato dell’underground alle corone d’allori che spettano solo ai migliori; poi vennero cambi di rotta improvvisi, sperimentazioni non proprio riuscitissime, e soprattutto una separazione, quella dal bassista Ares (autore di gran parte del materiale fino ad “Irreligious”), che segnò definitivamente il futuro della band. Un futuro che adesso si propone di tentare il tutto per tutto, perché la credibilità avvizzita riprenda colore, e la stella dei nostri vampiri lusitani riprenda a luccicare.
Ti senti soddisfatto di come le tue pulsioni artistiche hanno preso corpo in questi anni?
Si, moltissimo, perché con i Moonspell ho sempre potuto fare ciò che veramente volevo, e penso che la gente non possa darmi torto. Quando agli inizi volevamo suonare musica veloce ed aggressiva lo abbiamo fatto; quando abbiamo pensato di inserire per la prima volta degli elementi tipici della musica lusitana, non ci siamo chiesti troppo se sarebbe stato commercialmente a nostro favore, ma l’abbiamo fatto e basta. E così con tutti i nostri album, abbiamo sempre desiderato sentirci artefici di qualche cosa di davvero unico che però il nostro pubblico non avrebbe potuto definire in altro modo che ‘Moonspell’. Lo stesso “Darkness And Hope” è un album che mostra un’ennesima progressione del nostro sound; è un album sul quale abbiamo lavorato davvero sodo, impiegando molto più tempo per comporlo rispetto ai precedenti lavori, e che secondo noi è molto vicino concettualmente alle nostre origini, perché recupera quello stile lirico narrativo/visuale che soprattutto in “Irreligious” caratterizzava molti nostri brani. Senza dubbio si può parlare di un ennesimo passo avanti nella nostra carriera.

Era dai tempi di “Wolfheart” che non si vedeva una vostra copertina completamente nera; gli ultimi due album, in particolar modo, erano dominati dal bianco… Quanto pensi che i colori possano interagire con il feeling stesso della musica?
Moltissimo, perché credo che quando una canzone ha delle liriche che vengono da dentro, non possono fare a meno di riflettere degli stati d’animo e delle emozioni che possono essere associate a dei colori. Questo disco è predominato dalle tinte oscure, è vero, ma ci sono brani come ad esempio “Than The Serpents In My Arms” che per me è la ‘canzone del blu’, o “Devilred” che come dice il titolo stesso è la ‘canzone del rosso’; questo succede perché ogni canzone per i Moonspell è un viaggio a sé stante, con una propria atmosfera ed il suo feeling, e per questo possiamo essere definiti una band dalle molteplici tinte.

Molti hanno parlato di un ‘ritorno alle radici’ con “Darkness And Hope”, ma mi sembra di aver capito che tu non sia esattamente d’accordo con questa affermazione…
Non credo si possa parlare di un vero e proprio ritorno alle radici. E’ vero che in questi anni non ci siamo mai fossilizzati sulle stesse sonorità, ma non per questo abbiamo perduto la nostra vena oscura e decadente; dopo degli album che hanno segnato la nostra evoluzione sonora grazie all’inserimento di nuovi elementi ed all’acquisizione di una maggiore esperienza e capacità compositiva, abbiamo deciso di recuperare alcune componenti che avevamo già usato in passato ed elaborarle in maniera differente, grazie soprattutto alla maggiore esperienza che abbiamo adesso rispetto a quando abbiamo suonato e registrato “Irreligious”, ad esempio. Se avessimo desiderato tornare alle nostre origini, ci saremmo limitati a ripetere con cura quanto già fatto allora, ma come tutti possono rendersi conto ascoltando “Darkness And Hope” non è andata così.

Che ruolo ricopre la band nella vita di tutti i giorni? Quanto sono e sono stati importanti i Moonspell nella tua vita?
Negli ultimi dieci anni i Moonspell sono stati pressoché tutta la mia vita. Ho avuto il privilegio per tutti questi anni passati di suonare sempre con persone stimolanti e che mi hanno aiutato ad espandere le mie conoscenze e percezioni artistiche sia come musicista che come ascoltatore; poi credo che i Moonspell siano per me la band della vita, se così si può dire, e quindi si, sono e sono stati davvero importanti per me.

Fino a che punto credi che la personalità di un musicista possa perdersi e sublimare nella coscienza collettiva di un gruppo?
Ad un certo punto la tua sensibilità artistiche finisce per coincidere con quella del gruppo, e molto spesso quando qualcuno lascia la band si tratta di un vero e proprio nuovo inizio; c’è bisogno di qualche scossa d’assestamento prima che ritorni l’armonia tra i membri della band. I Moonspell sono sempre stati volti ad un discorso di scoperta musicale, attraverso nuovi stimoli e le esperienze personali che ognuno di noi portava nella band accrescendo l’esperienza dei singoli. E’ da quando abbiamo formato la band, ed abbiamo iniziato a comporre arte ‘visuale’ che potesse interagire nella vita dell’ascoltatore, che cerchiamo di non interrompere la magia che pervade i Moonspell.

Quanto invece tenete in considerazione l’opinione dei vostri fans?
Abbastanza, senza dubbio. Abbiamo avuto una discreta schiera di fans fin dagli esordi, ed abbiamo sempre cercato di raggiungere più persone possibili, continuando però ad avere il controllo della nostra musica; io stesso cerco di pormi come un fan, perché credo sia importante valutare anche da un punto di vista esterno come dover sviluppare la musica e le liriche dei tuoi brani. Non ho mai visto però i fans come il vero ‘boss’ da dover accontentare a tutti i costi con ogni nuovo album, ma più che altro come una fratellanza cui unico modo di comunicare e connettersi a loro è solo grazie la tua musica e le tue parole: diciamo che i fans sono molto più di dei semplici ‘ricettori’ della tua musica, ma non sono neanche i primi ed unici a poter aver voce in capitolo sulle tue decisioni.

Quando avete composto “Irreligious” avevate idea di come quell’album avrebbe potuto influenzare tutta la scena di allora?
Si, adesso sono conscio di quanto e come quell’album sia stato importante per la scena gothic metal, ma all’epoca non era neanche minimamente pensabile. Quando nella metà degli anni novanta noi con “Irreligious” ed altre band come Paradise Lost e Tiamat con i loro rispettivi album abbiamo contribuito a delineare quel sound di successo, probabilmente non immaginavamo neanche fino a che punto avremmo potuto fare proseliti; siamo riusciti addirittura ad influenzare una grandissima band come i Kreator, ad esempio, che sono usciti un paio di anni fa con un album come “Endorama”. Il gothic metal è nato dall’idea di unire due scene musicali molto vicine soprattutto ideologicamente che al contrario degli ibridi di metal e hip hop che vanno molto di moda adesso, hanno molto in comune a livello concettuale, sebbene l’approccio sia abbastanza differente.

In passato avete suonato cover di Ozzy Osbourne, Depeche Mode e Bathory(nel progetto Daemonarch), e adesso è la volta dei Madredeus; vorrei che tu spendessi qualche parola su questa stupenda canzone…
E’ un brano bellissimo, che già da tempo volevamo suonare e reinterpretare a modo nostro. I Madredeus sono degli artisti portoghesi che proprio come i Moonspell sentono fortemente il legame con la propria terra e per questo, appena avuta occasione abbiamo suonato “Os Senhores Da Guerra” imprimendo il nostro marchio. E’ un tributo oltre che alla magia della nostra terra, anche ad una band di grandi musicisti che noi ammiriamo davvero molto. In passato invece avevamo scelto brani di artisti che ci hanno influenzato, in maniera differente, durante tutta la nostra esperienza di musicisti ed ascoltatori di musica.

E del simbolo presente sulla copertina del nuovo album, cosa mi dici?
Era da molto tempo che stavamo cercando un simbolo che potesse avere qualche attinenza con il nostro nome: se lo osservi bene infatti puoi vedere uno spicchio di luna… E’ stato disegnato da un nostro fan! Come vedi c’è una sorta di continuità tra il discorso iniziato da noi musicisti e quello che invece i semplici fruitori di musica vogliono perpetuare aiutandoci con il loro contributo artistico ed umano, attraverso lettere, poesie, disegni e manifestazione d’affetto. E’ fantastico, te lo assicuro.

L’ultimo libro e l’ultimo film che hai rispettivamente letto e visto?
L’ultimo libro è un saggio filosofico di Umberto Eco, ma non saprei quale sia il titolo originale nella vostra lingua… L’ultimo film, uhm… non saprei dire; non amo andare al cinema, specie perché ultimamente c’è questa invasione dei colossal hollywoodiani che sono quanto di più squallido si possa immaginare!

Ti ringrazio Fernando per il tempo concessomi. Spero che “Darkness And Hope” possa riportarvi di nuovo qui in Italia, vi ho visto diverse volte dal vivo, e devo dire che avete un feeling davvero magico…
Sono io che devo ringraziare te per aver accettato questa intervista in pieno Agosto. Credo che torneremo in Italia nei primi mesi del 2002, e spero che verremo anche a Roma: è una città fantastica. Un saluto a tutti i fans italiani… Ciao!

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