A poche ore dalla performance al Metalitalia.com Festival, abbiamo avuto il piacere di incontrare Fernando Ribeiro e fare il punto della situazione in casa Moonspell. Band che si è spesa lungamente negli ultimi due anni per celebrare la propria storia, lanciandosi nel trionfale tour ripercorrente i primi due album “Wolfheart” e “Irreligious”, mentre dietro le quinte già progettava un nuovo capitolo discografico. Un’opera che invece nulla ha di nostalgico e che se guarda al passato, lo fa soltanto sul piano tematico, ripercorrendo il tragico, terrificante terremoto di Lisbona del 1755. Il titolo è emblematico nella sua semplicità, “1755”, anno del sisma avvenuto il giorno di Ognissanti che andrà a costituire uno spartiacque nella storia del Portogallo. Lisbona uscirà rivoluzionata dal processo di ricostruzione, la nazione si spoglierà della sua identità ingabbiata dal potere ecclesiastico e si aprirà gradualmente alla modernità. Morte, dolore, disperazione sono mitigate dalla voglia di ripartire e rifondare non solo la città, ma proprio la mentalità delle persone. Un album a cui il gruppo ha lavorato col cuore e l’intelligenza di sempre, reinventando sé stesso come pochi altri ensemble così esperti hanno il coraggio di fare. Fernando si pone a noi come una persona che ha voluto fortemente un progetto del genere e che ha inteso omaggiare la storia del proprio popolo in un modo speciale, tramite un disco viscerale e sentito, trascinante dalla prima all’ultima nota.
NEGLI ULTIMI DUE ANNI SIETE STATI IMPEGNATI IN UN TOUR CELEBRATIVO IN CUI AVETE SUONATO SOPRATTUTTO BRANI DEI PRIMI DUE ALBUM. COME VI SIETE SENTITI A SUONARE CANZONI CHE IN MOLTI CASI NON ERANO PRESENTI DA TEMPO NEL VOSTRO LIVE SET?
– Non siamo una band che ama guardarsi spesso alle spalle, certamente non avremmo mai immaginato di durare così a lungo e di conquistare una platea di fan tanto vasta. Alcuni ci hanno scoperto sono negli ultimi anni proprio coi nostri primi dischi, quindi ci è sembrato fosse giunto il momento di omaggiare quel materiale e di poterlo far ascoltare ampiamente a chi si è avvicinato alla musica dei Moonspell con quegli album. Per noi, sul palco, si è trattato di riavvolgere il nastro della memoria e riportarci con la mente alla sensazione che quei pezzi ci provocavano quando li abbiamo creati e suonati live le prime volte. Ci è piaciuto vedere le facce contente sia di chi ci segue da molto tempo, sia di chi è nostro fan da poco. Un set del genere non te lo puoi permettere a lungo, altrimenti si diventa la tribute band di se stessi, ma i tempi erano maturi perché ciò avvenisse.
ADESSO STATE PER PUBBLICARE UN DISCO PARTICOLARE, BASATO SUL GRANDE TERREMOTO AVVENUTO A LISBONA NEL 1755. QUANDO AVETE INIZIATO A PENSARE AL PROGETTO E COME SI È EVOLUTO NEL TEMPO NELLA VOSTRA MENTE?
– Le prime nozioni sul terremoto di Lisbona le ho imparate alle scuole superiori, è un pezzo importante della storia del nostro paese. Ho approfondito la conoscenza dell’argomento all’università e mi sono documentato negli anni attraverso film, libri, documentari. Per certi versi, i portoghesi sembrano vivere in un altro mondo rispetto a quello che avviene a casa loro, perché per ottenere dei documentari all’altezza sull’evento bisogna ricorrere quasi sempre a fonti estere. L’idea del disco è venuta intanto che stavamo lavorando a un bonus EP per il nostro ultimo DVD: abbiamo pensato che il tema fosse interessante e abbiamo iniziato a comporre avendo in testa quel tema come filo conduttore. In breve ci siamo accorti che un EP sarebbe stato limitante e allora abbiamo cambiato programmi, orientandoci su un full-length. Esplorando quanto è connesso al terremoto in sé, ci siamo accorti della vastità delle sue implicazioni, soprattutto a livello filosofico e religioso e che quindi potevamo andare molto più in profondità nel trattare la vicenda rispetto a quanto si potrebbe pensare a un’analisi superficiale. Credo che la storia meriti molta più attenzione di quella che gliene viene normalmente data, è appassionante; siamo in un mondo dove l’interesse è spesso dominato da opere di fantasia, come Game Of Thrones, Harry Potter, oppure la storia americana, cose contro cui non ho nulla, ma credo che la storia di ogni paese contenga eventi che meritino di essere conosciuti. Sono orgoglioso di aver parlato del terremoto di Lisbona in “1755”, quanto accaduto all’epoca si adatta perfettamente a una metal band e meritava di essere trattato in un nostro album.
PARLATE DEL TERREMOTO NON SOLO COME DI UN’IMMANE TRAGEDIA, MA ANCHE COME UN PUNTO DI SVOLTA NELLA STORIA DEL PORTOGALLO. LISBONA VENNE COMPLETAMENTE RICOSTRUITA CON IMPEGNO, ENERGIA ED IMPEGNO DAI SUOI ABITANTI. COME AVETE SVILUPPATO LA NARRAZIONE DI “1755”, TENENDO PRESENTI I MOLTEPLICI SIGNIFICATI RACCHIUSI NEL TERREMOTO?
– Non abbiamo dovuto impegnarci in un grande lavoro di pianificazione, ci siamo documentati, abbiamo letto, studiato e quindi ci siamo formati una nostra visione dei fatti. Non dovevamo scrivere un saggio, piuttosto interpretare le cose in una prospettiva poetica, drammaturgica, teatrale. Mi sono concentrato sugli aspetti che avevano maggior fascino su di me: quanto accaduto quel giorno, le reazioni, soprattutto i pensieri di chi aveva subito quel trauma, chi si era recato a messa quella mattina e si trovava in chiesa durante le scosse. Cosa devono aver pensato, se si sono chiesti che significato avesse, perché Dio avesse causato una tale disfatta. È interessante indagare quale fu il pensiero sulla chiesa e i fondamenti religiosi, che influenzavano pesantemente ogni strato della società. Anche se un vero cambiamento si iniziò ad avvertire a fine secolo, c’è una parte del disco dedicata alla rinascita di cui Lisbona fu poco per volta protagonista. “1755” pone delle domande e cerca di dare delle risposte. Cos’accadde? Come reagirono le persone? Cosa pensarono fosse successo? Quali cambiamenti intervennero? Credo siano più o meno le stesse domande che si sono poste le persone in Messico dopo l’ultimo terremoto, l’ottica di pensiero delle persone ha mantenuto delle similitudini attraverso i secoli, le reazioni sono state probabilmente simili a quelle degli abitanti di Lisbona. È importante quanto avvenne dopo nella mentalità collettiva, il Portogallo divenne un paese sempre più indipendente dall’autorità ecclesiastica, allora dominante. Terminò l’Inquisizione, divenimmo gradatamente un paese più moderno.
MUSICALMENTE, IL NUOVO ALBUM PRESENTA GROSSE DIFFERENZE CON “EXTINCT”. “1755” È UNA METAL OPERA CONTRADDISTINTA DA OPULENTE ORCHESTRAZIONI, CORI, USO DI STRUMENTI LONTANI DAL COMUNE SENTIRE METAL, ED È ANCHE UN DISCO VIOLENTO, BRUTALE, GENERALMENTE PIUTTOSTO VELOCE E MARTELLANTE. QUALE TIPO DI ATMOSFERA VOLEVATE CREARE?
-Nella mia testa “1755” non lo considero un seguito di “Extinct”. Con quest’album volevamo esplorare una faccia diversa dei Moonspell, dedicarci a un progetto che avesse vita propria all’interno della nostra discografia e andasse a fondo nel parlare della storia portoghese. Quando ho presentato l’idea agli altri membri della band, ci siamo trovati d’accordo su tre punti: dovevamo produrre un disco violento, molto orientato sull’impatto delle chitarre e sui riff e, vista la tragicità dei contenuti e il periodo storico in cui è contestualizzato, doveva far respirare l’atmosfera che si respirava a Lisbona nel diciottesimo secolo. In questo senso, volevamo che si percepisse qual era la musica che si ascoltava allora per le strade di Lisbona: musica africana, tribale, derivata dalla cultura islamica, tipici suoni del folclore lusitano, canti ecclesiastici, come quelli dei monaci. L’idea era quella di creare un album che oltre a far percepire la durezza del momento, potesse portare la mente in quel determinato periodo storico, immergere completamente nel contesto fisico e sociale di quei tempi.
CON CHI AVETE COLLABORATO PER LE PARTI CORALI E ORCHESTRALI? COME VI SIETE COORDINATI CON LE PERSONE ESTERNE ALLA BAND?
– Per le orchestrazioni e le parti tribali ci siamo rivolti a Jon Phipps, con cui avevamo collaborato anche per “Extinct”. È un personaggio abbastanza noto nella scena, ha lavorato anche con Sepultura, Amorphis e altri gruppi importanti. Sa dare una multidimensionalità alle orchestrazioni e plasmarle correttamente rispetto alla struttura dei brani. Non abbiamo abbastanza tempo e denaro per relazionarci con una vera orchestra, inoltre se devi dialogare con diversi musicisti classici rischi di non riuscire a comunicare correttamente quello che hai in mente e devi raccordare molti musicisti, mentre in questo caso hai a che fare con una persona sola. Così siamo riusciti a non perdere potenza sugli strumenti tipicamente metal, il disco è ricco di sfumature sonore ma rimane molto diretto e carico di energia. In questo è stato bravo il produttore a non lasciare in disparte nessun aspetto del sound. Jon Phipps è un grande professionista, talentuoso e spesso ossessionato dal suo lavoro e dalla musica su cui mette mano; non è un problema, anzi, ci piace questo forte attaccamento per la sua attività. Ha lavorato così bene che le sue orchestrazioni potrebbero vivere di vita propria, essere ascoltate autonomamente anche scisse dalla struttura metal delle singole tracce.
AVETE SCELTO DI CANTARE IL DISCO INTERAMENTE IN PORTOGHESE. VOLEVO CONOSCERE I MOTIVI DI QUESTA DECISIONE E QUALI DIFFERENZE CI SAREBBERO POTUTE ESSERE SE “1755” FOSSE STATO CANTATO IN INGLESE.
– Avremmo avuto il piacere di usare il portoghese già per “Extinct”, ma in definitiva non vi erano liriche che si adattassero alla nostra lingua e abbiamo rinunciato. Quando abbiamo iniziato a pensare al concept del nuovo disco, non si è posta nemmeno la questione: doveva essere per forza cantato in portoghese, la scelta dell’inglese non è stata neanche presa in considerazione. Parlare di un argomento così fondamentale nella storia del nostro paese, che ha avuto grosse ripercussioni in tutta Europa, non poteva essere fatto in inglese. Alla fine non è importante se le liriche saranno capite solo da chi conosce la lingua, perché in sé e per sé delineano inconfondibilmente l’atmosfera, che sarebbe stata per forza diversa se non avessimo utilizzato il portoghese. Stavolta la mia voce è meglio inserita nel contesto, non noti la differenza che ci può essere abitualmente fra il cantante e la band, siamo un tutt’uno in “1755”. Il messaggio che volevamo trasmettere arriva forte e chiaro in questo modo, a prescindere che uno capisca immediatamente le parole che pronuncio.
AVETE SCRITTO UN CONCEPT ALBUM SENZA SACRIFICARE LA FORZA ESPRESSIVA DELLE SINGOLE CANZONI, CHE POSSONO FUNZIONARE BENISSIMO ANCHE SCISSE DAL CONTESTO IN CUI SONO INSERITE. VOLEVO SAPERE SECONDO TE QUAL È LA CANZONE CHE MEGLIO SINTETIZZA LO SPIRITO E IL SIGNIFICATO DELLA STORIA CHE NARRATE.
– Confesso che non ho mai pensato di scrivere un concept album per i Moonspell perché, a dire il vero, non mi sono mai trovato completamente a mio agio con questa idea. Mi piacciono i concept album, sono un grande fan di King Diamond e delle storie che racconta. Ma il problema, per scrivere dischi di questo tipo, è che devi effettuare un grosso sforzo di adattamento della musica alla storia che intendi raccontare. Riuscire ad avere un filo logico, a muoverti con cognizione perché tutto scorra perfettamente ti pone di fronte a delle costrizioni nel modo di comporre. Per certi versi, quanto appare in “1755” lo abbiamo già introdotto in abbondanza nella musica dei Moonspell: morte, amore, romanticismo, bisogno di fuga, messa in discussione dell’autorità di Dio, sono tutti aspetti contenuti nell’album, solo sotto una forma differente. Tutti questi temi sono racchiusi negli accadimenti di un giorno soltanto, quello del terremoto. In verità, non abbiamo dovuto pensare ad alcuna storia, era già tutto avvenuto, non ci siamo dovuti inventare nulla, abbiamo solo dovuto interpretare un evento storico. Tornando alla domanda, non riesco a identificare una canzone che spicchi sulle altre, tutte quante tendono a evocare lo spirito di quel momento, cosa è successo, che cosa ha causato successivamente, come è stato vissuto.
ALL’INTERNO DI “IN TREMOR DEI” TROVIAMO LA PRESENZA DEL FAMOSO ARTISTA DI FADO PAULO BRAGANÇA. QUALI SONO LE ANALOGIE FRA IL FADO E LA VOSTRA MUSICA?
-Il fado è un po’ l’equivalente per noi di quello che è il tango per gli argentini o gli spagnoli. In origine, era musica fatta per ballare. Ce ne sono di diversi tipi e interpretazioni, recentemente è diventato molto popolare sul piano commerciale, perdendo un po’ delle sue caratteristiche originarie. Quello che mi interessa in particolare del fado è il carico di dolore che si porta addosso, la disperazione, l’oscurità. Paulo è considerato il Lucifero del fado, l’Angelo Caduto, incarna le caratteristiche più buie del genere. Ha abbattuto molte barriere nel fado e nella musica tradizionale in generale, è un innovatore. Non è stato semplice da contattare perché è andato via dal Portogallo, in modo fugace, quasi scomparendo. È una persona di grande cultura, ha studiato filosofia, registrare assieme a lui “In Tremor Dei” è stata un’esperienza forte, intensa. La malinconia, la cupezza delle nostre chitarre non è poi così distante da quella del fado. Fado significa fede, in “1755” siamo diventati molto profetici, infusi di spiritualità, sensazione fortissima appunto nel fado. In un certo senso diamo un messaggio, tendiamo una mano per essere salvati nell’ultimo disco, il fado per sua natura rimane sospeso fra dannazione e redenzione, come avviene anche in “1755”.
UNA CANZONE CHE COLPISCE MOLTO È “RUÌNAS”, CHE NEL SUONO DI TASTIERA RICHIAMA ALCUNE VOSTRE COMPOSIZIONI DEL PASSATO, SENZA CITARNE ESPRESSAMENTE NESSUNA. COSA RAPPRESENTA DAL PUNTO DI VISTA LIRICO E SONORO QUESTO PEZZO? COME SI COLLEGA ALLE ALTRE TRACCE DEL DISCO?
– “Ruìnas” è stata una delle prime canzoni che abbiamo scritto, e ha un passo più lento delle altre, perché arriva in un momento del disco in cui è già accaduto molto, ci sono state le scosse e vi è solo distruzione. Comincia la riflessione, per le persone che sono rimaste in vita è il momento di osservare ciò hanno attorno e constatare che ci sono solo macerie, cenere. Non vi è più nulla. Il testo parla delle rovine fisiche e del senso di rovina interiore, al rendersi conto della vastità del disastro avvenuto.
SIETE UN GRUPPO ORGOGLIOSO DELLE ORIGINI, MOLTO ‘PORTOGHESE’, ANCHE SE AVETE SEMPRE MOSTRATO UNA GRANDE APERTURA VERSO IL RESTO DEL MONDO. QUAL È L’ASPETTO PIÙ IMPORTANE DELLA CULTURA PORTOGHESE CHE SI RIFLETTE NELLA VOSTRA VISIONE ARTISTICA?
– Siamo un popolo che a prescindere dalla povertà o dalla ricchezza di ognuno, è portato a sognare molto. Ciò può portare a una visione distorta della realtà, ma anche a impegnarsi al massimo per superare le difficoltà che si vengono improvvisamente a creare e che prima non c’erano. La storia del Portogallo è una successione di grandi prove cui siamo stati chiamati, a sfide che abbiamo vinto. Siamo stati un impero, poi l’abbiamo perso, siamo ripartiti come stato più piccolo, non ci siamo fermati. Noi come Moonspell abbiamo avuto e continuiamo a portare avanti un cammino simile a quello della nostra nazione: mai avremmo pensato di essere dove siamo ora, come lo stesso Portogallo mai avrebbe pensato di sopravvivere così tanto, mantenere la propria sovranità nonostante la pressione di stati esterni più forti e potenti, come la vicina Spagna. I Moonspell hanno resistito e continuato ad esistere, così come il Portogallo può andare orgoglioso del fatto di non essersi piegato a nessuno.
STAVO RIASCOLTANDO IN SETTIMANA UNA PARTE DELLA VOSTRA DISCOGRAFIA E MI SONO SOFFERMATO NEGLI ASCOLTI SU “THE BUTTERFLY EFFECT”, CONSIDERATO GENERALMENTE UN ALBUM CONTRVERSO E NON PERFETTAMENTE RIUSCITO, MENTRE A MIO PARERE CONTIENE IDEE MOLTO INTERESSANTI E GRANDI BRANI. QUAL È OGGI LA TUA VALUTAZIONE SU QUEL LAVORO?
– Non è un mistero che sia stato l’album più difficile da far digerire ai nostri fan, per la presenza di molte influenze esterne e sperimentazioni, anche se ci trovavamo in un periodo dove alcuni cliché venivano superati e si andava verso un’interpretazione più aperta del genere. Ricordo quel periodo come molto creativo, abbiamo lavorato in modo produttivo sul disco, se lo guardo in retrospettiva mi rendo conto che “The Butterfly Effect” contiene dell’ottima musica, ma in alcuni momenti non sembriamo noi. Poi sai, la musica vive di cicli, sentiamo che potrebbe essere giunto il periodo giusto per riproporre nelle setlist delle tracce di quei tempi, che non abbiamo suonato a lungo dal vivo.
COME È CAMBIATA LA TUA VOCE NEGLI ANNI? QUALI SONO I VANTAGGI E GLI SVANTAGGI DELL’INVECCHIARE, PER UN CANTANTE?
– Non ci sono grossi vantaggi nell’invecchiamento, per un cantante, a parte una maggiore consapevolezza delle proprie possibilità e un maggiore controllo su quello che si sta facendo. La mia voce è cambiata tanto dalla giovinezza ad oggi, come quella di tutti gli uomini di questo mondo, con la differenza che io rispetto alla media delle persone ho parlato e urlato molto di più. Ciò ha portato a una modifica più profonda della voce, a darle una certa profondità che altrimenti non avrei avuto. Il lavoro del cantante, rispetto agli altri musicisti, è molto mentale: puoi curare gli aspetti fisici, affidarti a un vocal coach, prendere certi farmaci, alcune bevande che aiutano a preservare la voce, ma la cosa più importante è la tua capacità di controllarti. Intendo dire che devi limitarti nei vizi, bere tanta acqua, limitarti con gli alcolici, fare orari regolari, non stressarti inutilmente. La disciplina è fondamentale per mantenere la voce in condizioni adeguate. Le persone che vengono a vederci hanno pagato un biglietto per sentirci, non possiamo presentarci in cattive condizioni perché la sera prima avevamo voglia di ubriacarci. Ci vuole cura per se stessi, non puoi comportarti in maniera scriteriata, senza pensare alle conseguenze delle tue azioni.
IN PASSATO HAI PUBBLICATO POESIE E RACCOLTE DI RACCOLTI, A BREVE USCIRÀ IN PORTOGALLO UNA BIOGRAFIA DEI MOONSPELL. QUALI SONO STATE LE REAZIONI A QUESTE TUE OPERE IN PORTOGALLO? QUANDO SARANNO TRADOTTE IN INGLESE E ALTRE LINGUE?
– Sono state generalmente apprezzate, anche se è qualcosa che mi tengo come attività collaterale e non presto così tanta attenzione al successo che possono avere, perché i Moonspell occupano la maggior parte del mio tempo. I miei libri sono andati sold-out, le poesie sono piaciute, sono abbastanza diverse dalle tipiche lyrics dei Moonspell e questo stile ha trovato i suoi ammiratori. Quando inizio a occuparmi dei testi per un disco, metto la poesia in ghiaccio, non riesco a mischiare le due attività. Circa un anno fa ho fondato una casa editrice, per realizzare sia progetti letterari che musicali, chiamata Alma Mater Books And Records. Abbiamo già edito un paio di uscite dei Moonspell, questa label si occuperà anche della distribuzione di “1755” in Portogallo. Adesso ho in programma di far uscire un libro antologico dedicato ai miei racconti, chiamato “Purgatoriale” (il titolo è in portoghese, ndR). L’anno prossimo uscirà una biografia dei Moonspell, scritta dal nostro chitarrista Ricardo Amorim, che è anche giornalista. È una storia che racconta chi siamo veramente, è una biografia che va molto in profondità nel nostro vissuto come band. Dovrebbe uscire a marzo del 2018, la traduzione in spagnolo e inglese sarà disponibile probabilmente prima dell’estate.
IN PORTOGALLO SIETE CONSIDERATI UN’ENTITÀ IMPORTANTE IN AMBITO CULTURALE, OPPURE SIETE RITENUTI SEMPLICEMENTE UNA METAL BAND ABBASTANZA FAMOSA?
– Direi la seconda ipotesi. I nostri fan sanno che siamo un simbolo del Portogallo nel mondo, perché sanno che abbiamo molti elementi della nostra cultura insiti nel sound e nei testi, ma ci manca un riconoscimento pubblico su larga scala. È raro che il mondo intellettuale non di settore mostri apprezzamento per quello che facciamo. Rimane un certo pregiudizio verso il rock e il metal. Non credo “1755” cambierà questo scenario, nonostante non si scrivano spesso dischi basati su fatti storici. Certo, non andiamo nemmeno a toccare argomenti che potrebbero creare discussioni, come un concept sull’Africa tribale durante il periodo coloniale o, appunto, l’imperialismo portoghese.
LA VOSTRA LINE-UP È MOLTO UNITA, SIETE RIUSCITI A RESISTERE SULLA SCENA PER TANTI ANNI EFFETTUANDO BEN POCHI CAMBIAMENTI IN SENO ALLA BAND. COME SIETE RIUSCITI A RESTARE INSIEME, AD ADATTARVI ALLE MUTAZIONI DEL MERCATO E AD AMPLIARE LA VOSTRA AUDIENCE?
– Il fatto di lavorare solo per i Moonspell e non per altre band ha giovato parecchio. Ci aiuta anche la prossimità gli uni agli altri, nessuno di noi vive troppo distante e possiamo vederci spesso al di fuori dei tour. Il nostro segreto è quello di essere sempre stati molto onesti gli uni con gli altri, inoltre siamo indipendenti, ci occupiamo di tutto in prima persona, non abbiamo un manager che ci segue, o un’agenzia. A volte è faticoso, ma in definitiva è gratificante. Siamo rimasti molto creativi, il non dover perdere continuamente tempo a parlare, perché ci fidiamo l’uno dell’altro, ci consente di pensare esclusivamente alla musica.